Film > Ralph Spaccatutto
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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    18/05/2013    3 recensioni
E Ralph si chiedeva se un giorno le cose sarebbero cambiate.
Se, un giorno, tra qualche anno, magari tra dieci, venti, altri trent’anni, qualcuno sarebbe venuto e avrebbe guardato oltre quell’aspetto da cattivo.
E se quel qualcuno avrebbe riempito quel buco nero che era ogni giorno più nero.
E se tutta la frustrazione e la rabbia che si sentiva in corpo un giorno se ne sarebbe andata, così, d’un tratto, spazzata via da qualche vento o da qualche virus, forse.
Gli altri scappavano, quando lo vedevano.
Ma lui, era davvero così cattivo?
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I pensieri di Raph con la canzone "Cigno nero" di Fedez.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ralph Spaccatutto, Vanellope von Schweetz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Di pensieri e di pentimenti'
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Game over.
Ralph si chiese per cosa avesse lottato tutto quel tempo, solo quando entrò nella stanza d’albergo completamente vuota.
Prima, probabilmente, il dolore per il tradimento che aveva perpetrato verso Vanellope l’aveva distratto dal pensiero di quel ritorno tanto temuto ma tanto aspettato.
Si era spesso ritrovato a pensare a quel momento, il momento del suo rientro nel gioco, e se l’era sempre figurato come un momento di gloria assoluta. Un momento straordinario, unico nella vita, così eccezionale che anche Feliz si sarebbe inginocchiato a lui, e sulla torta, stavolta, ci sarebbe stato lui. E non quel piccoletto e il suo martello ambulante.
Lui, Ralph.
Lui, l’eroe.
Lui…
Che per trent’anni era stato in fondo.
Ma non era stato così.
 
Mangio merda da vent'anni,
ma non perdo l'appetito 
poi mi fanno pure fare la scarpetta con il dito.

 
Per trent’anni si era accontentato di quell’umile posto in fondo.
Per trent’anni aveva sopportato l’umiliazione del dormire in mezzo ai mattoni.
Per trent’anni era stato zitto quando, passando per la stazione, gli altri gridavano e lo evitavano.
E per trent’anni, oddio, trent’anni, aveva sopportato l’ipocrita sorrisetto di chi faceva finta di tenerci a lui ma che in realtà era spaventato a morte.
Per trent’anni.
Trent’anni non sono pochi, sapete?
Sono un’eternità per chi fa la stessa cosa da anni e da anni rimane in seconda linea.
Anzi, neanche in seconda linea.
Ralph stava in fondo alla sala.
Sì, perché in seconda fila c’erano quegli ipocriti dei Belpostiani, che vivevano in quel palazzo e che da trent’anni, TRENT’ANNI! da quando quel gioco era uscito, avrebbe voluto uccidere.
E persino loro erano più importanti di lui.
Lui era il cattivo.
Lui perdeva.
Lui non contava nulla in quello stupido gioco.
Lui era quello in fondo, Felix quello in cima.
La legge dei videogiochi.
Ma lui, era davvero così cattivo?

E tu sei il cigno nero,
stanco di seguire il branco,
e il cuore grande come il sole 
ma freddo come il marmo.

 
Eppure, nonostante tutto quello che gli aveva fatto, Ralph non era arrabbiato con Felix. Come poteva esserlo? Quel piccoletto non aveva mai deciso di essere lui l’eroe.
Erano stati i programmatori del gioco a scegliere. Evidentemente un esile e minuscolo ragazzino era più adatto come buono di un uomo forte e corpulento.
Ma pensa te.
Perfino gli ideatori avevano pensato che lui avesse l’aspetto del VERO cattivo.
Perfino loro credevano che un uomo di quella corporatura e di quella statura fosse perfetto per il cattivo.
Solo a guardarlo, la gente aveva paura.
E subito tutti dicevano “Ecco, lui è il cattivo!”.
E chi poteva biasimarli?
Era nato così e così l’avevano creato, non era colpa sua.
Peccato che quegli ideatori così brillanti, così geniali da aver trovato il design perfetto per il cattivo perfetto, non avessero pensato a dargli dei sentimenti da cattivo.
Perché lui, cattivo, non si sentiva dentro.
E quando provava a cercare un minimo di malvagità nel suo codice, non sentiva altro che un gran buco nero al posto del cuore. O meglio, di quel codice che doveva essere il cuore.
E Ralph si chiedeva se un giorno le cose  sarebbero cambiate.
Se, un giorno, tra qualche anno, magari tra dieci, venti, altri trent’anni, qualcuno sarebbe venuto e avrebbe guardato oltre quell’aspetto da cattivo.
E se quel qualcuno avrebbe riempito quel buco nero che era ogni giorno più nero.
E se tutta la frustrazione e la rabbia che si sentiva in corpo un giorno se ne sarebbe andata, così, d’un tratto, spazzata via da qualche vento o da qualche virus, forse.
Gli altri scappavano, quando lo vedevano.
Ma lui, era davvero così cattivo?

Stasera niente alcol,
voglio bere le mie lacrime,
e una crepa sopra il petto 
che diventa una voragine.
Al cuore non puoi fare le iniezioni di collagene.

 
Se aveva mai pensato di andarsene?
Sicuro.
Quante volte, guardando le stelle, nel suo letto fatto di mattoni, aveva pensato “devo andarmene”.
Quante volte aveva pensato di poter trovare la felicità altrove.
Quante volte si era fermato perché sentiva che la felicità presto sarebbe arrivata.
Ma la felicità non arrivava mai, e gli anni passavano, e Ralph giaceva sempre in quel letto di mattoni, a guardare quelle stelle, e a pensare “devo andarmene”.
Ma erano trent’anni che lavorava in quel videogame. Che avrebbe fatto?Dove sarebbe andato?Sopratutto, chi lo avrebbe mai accettato?
Magari, se fossi un eroe…
Felix sarebbe stato più accettato sicuramente, se si fosse presentato in un altro gioco.
Lo avrebbero accolto a braccia aperte, quel piccoletto.
Lui, invece…
Lui era un’altra cosa.
Lui era ingombrante.
Lui era grosso.
Lui era forte.
Lui era, soprattutto, cattivo.
E a Raplh faceva male, tanto male, pensare come la sua vita sarebbe stata se fosse stato un buono.
Non un buono come i “simpatici” abitanti nel suo videogame, ma un buono come Felix.
Un eroe.
Uno che quando passava tra la gente, veniva salutato.
Uno rispettato e ammirato da tutti.
Uno che finiva sulle torte.
Uno che vinceva medaglie.
Uno che veniva invitato agli anniversari del suo videogame.
Già…
Ma lui era il cattivo.
E dentro di sé, tornava la domanda:era davvero così cattivo?
 
Togliamoci i vestiti ma teniamoci le maschere,
se mi fissi bene non vedrai i miei occhi sbattere: 
sogno ad occhi aperti,perdo l'uso delle palpebre.

 
Quella festa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. I Belpostiani si erano permessi di insultarlo e di scaraventargli addosso colpe che non erano sue. Credevano che non si fosse accorto del loro faccino felice quando era uscito? Quel faccino che da tanti anni gli veniva sbattuto in faccia con la stessa delicatezza che un dentista aveva nel strappare un dente, quella sera era anche il faccino di Felix.
Ralph non aveva mai creduto che lui e Felix potessero essere, o anche considerarsi minimamente, amici. Non l’aveva mai pensato e si sarebbe veramente stupito se il piccoletto un giorno gli avesse chiesto di essere suo amico. Tra loro due vi era una sorta di rispetto imbarazzato, un accordo tacito che durava ormai da tempo: lui era l’eroe e Ralph il cattivo. Inutile accanirsi contro un omone grande e grosso che poteva spezzarti il collo quando e come voleva.
Felix aveva un po’ paura di Ralph.
Ma mai, MAI gli aveva mancato di rispetto.
Era anche vero che mai era venuto a difenderlo dagli scherni e dalle ingiurie di un qualsivoglia gioco, ma a Ralph non era mai importato granché.
Il suo cuore era da tempo abituato all’indifferenza generale e alla noncuranza del prossimo. Non aveva fiducia né in Felix, né in quegli ipocriti dei Belpostiani. Si fidava solo di sé stesso e dei suoi pugni.
Ma quella sera, oh, quella sera! Quella sera era stato un cambiamento totale per lui.
Per la prima volta si era reso conto di come la tacita freddezza di Felix fosse uguale alla disapprovazione rumorosa dei Belpostiani.
Di come, ognuno in modo diverso, quelle due entità, così diverse da lui, stavano cooperando per allontanarlo.
Come avrebbe voluto spaccare in due quell’omino, oltre che quella torta…
Ma non era colpa sua se era il buono, si diceva.
Era nato così, non aveva mai conosciuto altra realtà.
Poteva essergli vicino quando nemmeno i cattivi lo erano?

Se la vita insegna io sono un alunno pessimo.
è come se facessimo una gara 
è un inizio lungo ma alla fine non è poi così lontana 

 
E così era scappato.
Era stata una mossa ardita, lo doveva ammettere, ma l’aveva fatto.
Si era chiesto spesso se non avesse fatto un errore madornale nell’andare via.
Fuori dal suo videogioco non ci si può rigenerare, lo sapeva, oh, se lo sapeva!
Ma sapeva anche che quella medaglia era ciò che desiderava più al mondo, e niente e nessuno glielo avrebbe mai impedito.
Sì, voleva quella medaglia, quella medaglia dorata, così lucente, con su scritto “Eroe”!!!!
Eroe…
Quello che non era mai stato.
La faccia che avrebbe fatto Felix quando l’avrebbe vista…
E lo stupore dei Belpostiani, se lo immaginava.
Sarebbe durato solo un attimo.
Poi, con la stessa ipocrisia con cui l’avevano detestato, ora lo avrebbero amato.
Pazzo che era stato.
Pazzo a pensare che l’adorazione, il fanatismo fossero amore.
L’amore forzato non è vero amore, e lo sapeva.
L’amarti solo per ciò che hai fatto, e non per ciò che sei, non è amore vero.
Ma allora questo non lo sapeva e tantomeno lo sospettava.
Felix non aveva mai fatto molto per guadagnarsi la gloria, erano bastate qualche centinaio di medaglie.
Ebbene, a lui ne bastava solo una, SOLO UNA!!! Conquistata senza fatica e senza sforzo.
Quanto poteva essere difficile quel gioco?
Bè, si era dovuto ricredere.
E il sogno di una vittoria facile era svanita in un attimo.
Avrebbe dovuto aspettare, giorni, mesi, anni, prima di poter vincere quell’agognata medaglia.
Ma Raplh non aveva anni, e tanto meno intendeva perderne per rincorrere qualcosa che rincorreva da trent’anni.
E così l’aveva rubato.
Era stato davvero cattivo.
 
Il tuo cuore batte a tempo 
ritmo nuovo mai sentito 
e da quelo poco che l'ascolto 
è già il mio pezzo preferito 

 
E poi era arrivata Vanellope.
E Vanellope era stata una vera e propria rivoluzione.
Vanellope lo aveva costretto a rivedere tutta la sua vita e a chiedersi se davvero l’inutilità di cui sentiva il peso fosse reale.
Vanellope era stata la sua ancora di salvezza all’ipocrisia e all’indifferenza.
Vanellope gli aveva cambiato letteralmente la vita.
Con la sua allegria, la sua voglia di vivere, e quel sogno, chiuso nel cassetto, il sogno di poter correre, un giorno!!!  con la determinazione che lui non aveva mai avuto…E con la sua fiducia negli altri, soprattutto. Si era fidato di lui subito, l’aveva subito coinvolto, e non era rimasto tanto tempo a ricordarsi che era un cattivo e, anzi, l’aveva accolto per quello.
L’aveva accolto come un fratello perché, in fondo, loro due erano come fratelli. In loro c’era qualcosa che da tempo immemore spaventava la gente, in loro c’era lo stesso, identico, desiderio di rivincita.
Ma mente Vanellope voleva correre per realizzare un sogno, Ralph voleva quella medaglia solo per poter dimostrare a sé stesso e agli altri quanto realmente valesse.
Che sciocco che era stato! Perché credere che una medaglia fa l’eroe, quando è l’eroe a fare la medaglia?
Vanellope era tanto diversa da lui quanto era uguale a lui. Lei credeva in sé stessa.
Credeva a ciò che faceva.
Credeva alla bontà nel suo cuore anche se gli altri non la vedevano.
Ed aveva visto anche la SUA bontà, quella che persino lui non era riuscito a vedere.
E quel dubbio angoscioso, quel terribile vuoto che per tanto tempo aveva riempito quel suo pseudo-cuore, quel vuoto così incolmabile e così orribilmente scuro, quel vuoto Vanellope l’aveva riempito con una medaglia. Una medaglia di pasta e zucchero, con su scritto “Sei il Mio Eroe”.
Sei il Mio Eroe.
Sei il MIO Eroe.
Sei mio. Per me tu sei un eroe. E non importa cosa gli altri possano pensare o dire, per me tu sei un eroe.
L’eroe più grande che il mondo possa vedere.
E perché lo considerava un eroe, quella ragazzina?
Per un semplice, piccolo gesto che aveva compiuto.
Per avergli costruito il kart. Per averle imparato a guidare.
Una gentilezza, più che altro.
Una formalità.
Una semplice azione che si era “sentito” di fare.
Nessuno lo aveva costretto, nessuno lo aveva ricattato.
Vanellope gli aveva solo promesso che gli avrebbe ridato la medaglia.
E se all’inizio aveva combattuto esclusivamente per quella gloria che da trent’anni inseguiva, se all’inizio tutto ciò che aveva potuto volere era stata una fredda medaglia di oro laccato, in seguito, doveva ammetterlo, si era affezionato a quella piccoletta.
E si era affezionato a tal punto che a costo di poter avverare il suo sogno, aveva quasi rinunciato al proprio. E al posto di quella medaglia, così inutile e sleale, aveva ottenuto una calda, confortevole medaglia di dolciumi e zucchero.
Una medaglia che gli parlava di speranza, e di una dolce promessa: della promessa di una ragazzina che quella medaglia l’aveva fatta con le sue mani, e che aveva promesso di non dimenticarlo mai.
Quella medaglia se l’era guadagnata.
Certo, non avrebbe mai potuto mai mostrarla ai Belpostiani e pretendere che lo rispettassero di più, ma quella medaglia era tutto ciò che nella vita aveva mai voluto: un riconoscimento, un momento di gloria, il SUO momento di gloria.
Ma stavolta non c’erano né Felix né i Belpostiani a fargli festa.
Non c’era nessuna torta né nessun applauso, e nessun attico che l’avrebbe ospitato.
C’erano solo lui, la ragazzina, e la consapevolezza che presto sarebbe finito tutto.
 
è come se facessimo una gara.
è un inizio lungo ma alla fine non è poi così lontana:
già, sei bella e dannata.
La metà mancata di una mela avvelenata 
e io cerco il sollievo in una dose di veleno.

Aveva dovuto rovinare tutto per non rovinare tutto.
Aveva dovuto riportare l’ordinarietà per rimediare al caos che le loro azioni aveva creato.
Aveva dovuto riportare tutto come prima.
C’era stato costretto ma, in fondo al cuore, sapeva che sarebbe finita così.
Sin dall’istante in cui avevano cominciato quella folle avventura alla scoperta di loro stessi, Ralph sapeva che non sarebbe durato.
Sapeva che, in fondo, quel cambio di programma non era stato altroché un “intoppo” sulla via per la gloria.
“Intoppo”.
Che intoppo, ragazzi! Un intoppo che gli aveva cambiato letteralmente la vita.
Un intoppo che l’aveva catapultato mente e corpo in un progetto totalmente nuovo e assolutamente folle.
Un progetto folle ma stranamente fattibile.
Un progetto che avrebbe cambiato la vita di molte persone.
Ma quel progetto era un disturbo alla quiete pubblica, un insulto, un’eresia.
E per la prima volta, lì, in quella sala d’albergo, solo, con la fredda medaglia tra le mani e quella di zucchero sul petto, Ralph si chiese perché.
Perché, per tutti quegli anni, aveva desiderato quello.
Perché aveva lasciato che tutto quanto finisse.
Perché aveva distrutto quel kart.
Perché, invece di distruggerlo, non erano andati alla gara.
 
Tu sei proprio cattivo dentro.
 
 
Perché non se ne era fregato di tutti i discorsi di Re Candito, perché, PERCHE’????
Per una medaglia senza nessun valore e un cuore più vuoto che mai.
E per la prima volta, lì, in quella stanza d’albergo, Ralph si accorse che in fondo non importava se tutti gli altri non lo avrebbero mai visto come un eroe.
Lui era, e sarebbe rimasto per sempre, un eroe.
Il SUO eroe.


E... Dopo aver fatto i pensieri di Vanellope 50 anni fa torno coi pensieri di Ralph. Chiedo scusa ai miei lettori per aver aggiornato così tardi qualcosa di nuovo, ma ero a 0 ispirazione.
E... Perchè ho usato la canzone "Cigno nero"? Perchè l'adoro e perchè ci stava.
Forse è un po' OOC, ma avevo bisogno di scrivere qualcosa del genere.
  
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