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Autore: Dira_    20/05/2013    19 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XX





 
I want to come close, I want to come closer
I held your name inside my mouth
Through all the days out wandering
(Animal Life, Shearwater)


3 Luglio 2028
Galles, Denbighshire. Mattina.
 
Ted si svegliò sentendo i rumori della foresta
Mise a fuoco il mondo, ricordandosi che aveva passato la notte nel bel mezzo della foresta di Clocaenog¹, nel profondo nord del Galles ed ad un’ora di scopa da Stoke-on-Trent.
Era stato fortunato comunque; invece di passare la notte a combattere il freddo umidiccio delle conifere, aveva dormito sul pavimento duro ma di legno asciutto della capanna di Moscardo.
Voltò la testa e vide che Flynn si era già alzata, lasciando il proprio sacco a pelo arruffato vicino al pagliericcio dove il Mannaro doveva dormire abitualmente. Ted piegò e ripose sia il suo che quello della ragazza, decidendo poi che era il caso di alzarsi e andare a sgranchirsi le gambe.
È la prima volta che visito la riserva dei Mannari …
Da ragazzo aveva chiesto più volte il permesso al Ministero, ma gli era sempre stato negato sia per la minore età, sia per la rarità con cui quella richiesta veniva fatta.
Si saranno chiesti se non fossi matto…
Dunque era un’occasione che doveva cogliere. Non aveva visto molto la sera prima, arrivando a notte fonda e con il fuoco dell’accampamento ridotto a braci sorvegliate da due figure insonnolite che avevano a malapena rivolto loro un’occhiata. Aveva però notato come quello occhiata, data con gli occhi dorati dei Mannari, fosse stata indagatrice.  
Sapranno il motivo della mia visita? Quello che è successo?
Decise di smettere di arrovellarsi e uscì; l’accampamento era nient’altro che una serie di capanne di legno, pietra e paglia radunate attorno ad un grande focolare delimitato da un cerchio di ciottoli regolari inscuriti dalla fuliggine; ricordava dai suoi studi come fosse l’unico focolare sia per ragioni di sicurezza che di aggregazione sociale. Una mezza dozzina di donne vi stavano infatti cucinando la colazione: due rimestavano un pentolone che sobbolliva quieto mentre altre pulivano radici con dita esperte. Individuò anche Flynn che seduta con la schiena rivolta ad un tronco d’albero, fumava una pipa di corno e parlava con un anziano imbacuccato in una serie di coperte che dovevano difenderlo dal freddo umido del mattino.
L’atmosfera era rilassata, con gli uccelli che cinguettavano di ramo in ramo, l’odore pulito delle conifere e le donne che sgranavano parole nel loro cantilenato accento gallese. Cambiò di colpo quando si accorsero di lui.
Okay.
Tentò un sorriso finendo di scendere la collinetta su cui era abbarbicata la capanna di Moscardo.  
“Ehi, splendore!” Lo salutò con disinvoltura Flynn. “Ben svegliato! Dormito bene?”
“Molto, grazie.” Rispose costringendosi ad un tono sereno, per quanto tutte quelle occhiate ai suoi capelli e alle sue mani lo stessero allarmando.

Beh, di certo hanno capito che sono un mago…
La ragazza asiatica non pareva turbata dal silenzio caduto nella radura. “Vieni a mettere qualcosa sotto i denti!” Lo spronò. “Le ragazze stanno giusto preparando per tutti.”  Ted acconsentì, impacciato di fronte a tutte quelle iridi dorate che lo scrutavano diffidenti – quelle di Flynn, a ben vedere, viravano più sul marrone.
Jamie aveva ragione…
Non aveva mai avuto veri contatti con i Mannari; quelli che aveva conosciuto alle conferenze erano inseriti nel Mondo Magico, mentre quelli che aveva di fronte avevano un’aria … più selvatica: indossavano vecchie tuniche e mantelli logori dei colori del bosco e le donne avevano collane di selce avvolte in più giri attorno al collo e i capelli intrecciati di piume colorate. Non avevano neppure l’aria pallida e poco salubre che aveva sempre pensato fosse cifra stessa della loro malattia.

Sembrava che le sue certezze in materia in realtà non fossero poi così certe.
La funzionaria parve intuire il suo imbarazzo perché si alzò e gli passò un braccio sulle spalle con fare protettivo: a sentire James, faceva spesso quest’effetto alle donne.
Fai quella faccia da cucciolo bastonato e bam! Hai ufficialmente una balia.
Il suo ragazzino era sempre stato uno stronzetto linguacciuto.
“Questo è Ted Lupin.” Esordì come se stesse presentando un bambino brillante ad una serie di adulti compiacenti. “È ospite di Moscardo.”
L’atmosfera cambiò di nuovo. Sembrava che le decisioni del vice fossero indiscutibili perché le donne si rilassarono visibilmente e persino il vecchio imbacuccato accennò ad un brontolio d’assenso.
“Buongiorno.” Salutò sedendosi su una delle rocce, sedili di fortuna; ringraziò Merlino di essersi svegliato presto. Se quelle poche persone riuscivano a farlo sentire indesiderato, Morgana solo sapeva come si sarebbe sentito di fronte all’intero branco.
“Dov’è Moscardo?” Chiese alla ragazza dopo aver accettato da una delle donne un piatto contenente una zuppa di carne e radici, a giudicare dall’odore.  
“L’umano non mangia?” Chiese quella più anziana ricordandogli immediatamente Molly Weasley.
“Si chiama Ted, non umano.” Corresse Flynn ficcandosi in bocca una cucchiaiata di stufato come se lo trovasse delizioso. 
E lo era, constatò stupefatto, imitandola.
Non giudicare un libro dalla sua copertina…
“È lepre. Le hanno cacciate i nostri uomini.” Gli venne spiegato con orgoglio.
Una delle giovani, forse incoraggiata dal sorriso con cui le ringraziò, si accoccolò vicino a lui. Non doveva avere più di sedici anni, dato che aveva le proporzioni e la goffaggine tipica delle sue studentesse. “I tuoi capelli sono buffi!” Constatò sporgendosi per toccarli.
Ted la lasciò fare, ricordando di aver letto come un contatto fisico iniziato spontaneamente fosse un buon segno per i Mannari; la fisicità era il linguaggio più immediato e naturale per loro. “Posso cambiargli colore e lunghezza.” Spiegò gentilmente e poi si concentrò per farli diventare di un viola acceso che fece gettare gridolini sorpresi e divertiti da parte delle più giovani.
“Quindi sei un mago.” Stimò l’anziana scoccandogli un’occhiata di nuovo sospettosa. “Sei qui per fare magie?”
“No.” Fu lesto a rispondere, interrompendo con una mano la protesta di Flynn. Le era grato per l’aiuto, ma poteva cavarsela da solo. “Mia madre era una Metamorfomaga, ma mio padre era un Mannaro.”
Ho a che fare quotidianamente con adolescenti diffidenti e in pieno contrasto con il mondo intero.
Questo è il mio campo.  
“Un mezzo-lupo.” La donna sembrò sorpresa. “Adesso capisco il tuo odore.”
“Il mio odore?”

“Sei un mago e non porti la pelliccia, ma hai il nostro odore!” Chiarì la ragazza allargando le narici per annusarlo. “Buffo!” Ripeté.
Dopo un’iniziale ritrosia, vedendo che non aveva cattive intenzioni e che mangiava con gusto, anche le altre donne si avvicinarono per toccargli i capelli o rivolgergli qualche domanda.
Vivono segregati in una foresta da meno di duecento acri per tutta la loro vita, vedendo le stesse facce ogni giorno … È naturale che quando arriva un forestiero siano curiosi.
“Come si chiamava tuo padre?” Gli venne chiesto dall’anziana che si era poi presentata con il nome di Mira.
“Remus, ma quando viveva qui si faceva chiamare Lunastorta.”
Forse l’ha conosciuto.
“Non l’ho conosciuto.” Sembrò indovinare, voltandogli di colpo le spalle per tornare al pentolone dello stufato.
Flynn gli si sedette accanto, finendo la sua ciotola con un rumore soddisfatto. “Non far caso a Mira.” Esordì. “Se ha conosciuto tuo padre, non te lo dirà.”
“Perché?”

“Non farà rivelazioni con Moscardo che ti deve parlare … C’è una gerarchia anche nelle chiacchiere, sai.”
“Non c’è problema.” Sospirò. “Quando…”
“Sì, non ti ho risposto … Dovrebbe tornare a momenti. Cacciano nei punti meno battuti della foresta, ma stanno diventando sempre meno.” Si grattò la nuca, stiracchiandosi. “Il Ministero ha un bel da fare a tener Intracciabile questo posto.”

Un improvviso rumore di fronte lo mise in allerta. “Ah, eccoli!” Lo avvertì voltandosi nella direzione del rumore; una decina di uomini, il più giovane poteva avere tredici anni, il più anziano una sessantina, emersero dal sottobosco. A differenza delle loro donne, indossavano pantaloni di stoffa grezza ed erano a torso nudo, nonostante l’aria frizzante del mattino. Avevano archi e frecce e lance rudimentali, molto simili alle armi usate dai Centauri, anche se più rozze e di certo meno precise. Uno di loro, il più anziano, si staccò dal gruppo che invece si diresse compatto verso la colazione.  
Dev’essere lui.
“Moscardo, ehi!” Lo salutò infatti Flynn andando a dargli una pacca sulla spalla. “Ti ho portato Ted. Ho passato la notte a dormire nella tua scomodissima capanna, contento?”
L’uomo gli lanciò una lunga occhiata senza dir nulla; aveva una lunga serie di cicatrici che gli coprivano parte della gola.
Segni di unghie. Auto-inflitti o…
“È il motivo per cui sono il braccio destro di Vulneraria.” Spiegò quasi gli avesse letto nel pensiero, o forse l’aveva capito dalla direzione del suo sguardo. Più probabile la seconda. “Sei il figlio di Lunastorta, vero?”
“Io…”
Quale dei due?

“Sto parlando del Mannaro che rispondeva al nome umano di Remus.” Chiarì. “Non serve che tu risponda. Hai il suo odore.”
Ted sentì un groppo alla gola, come sempre gli succedeva quando qualcuno lo comparava a suo padre.

Anche se è la prima volta che è una questione … di naso.
“Lo ha conosciuto?”
“Sì.” Non aggiunse altro. Si rivolse poi a Flynn. “Vulneraria è andato al fiume con il gruppo di pesca, tornerà questo pomeriggio. Dovrete aver lasciato il branco per allora.”
“Ricevuto.” Annuì la ragazza con una scrollata di spalle. “Grazie per il tempo che ci concedi, Moscardo.”
Il Mannaro fece un cenno evasivo della mano. “Non posso rifiutare un favore alla nipote di Quintilio. Lo sai, il tuo vecchio era mio fratello di latte.” Si rivolse poi a lui. “È la tua prima volta nel branco?”

 “Sì.” Rispose un po’ impacciato. “Non ho mai … i miei genitori sono morti quando ero bambino, e mio padre…”
“Non ci ha fatto compagnia per molto.” Concluse per lui. “Mi ricordo. Indossava una pelle da agnello, come molti di noi.” Vedendo la sua espressione, scosse la testa. “Non fraintendermi, capisco che per chi è stato allevato dagli umani sia difficile prendere la decisione di venire a vivere qui. Tuo padre era un Trasformato, vero?”

“Greyback lo morse da bambino.” Convenne pacato, senza livore o recriminazioni; sapeva che per persone come Moscardo, nato da genitori Mannari, la Licantropia non era una malattia da curare e tenere a bada, ma una condizione da vivere con orgoglio.
E non posso dire che sia un punto di vista sbagliato … Di certo ha una vita meno infelice di quella che ha avuto papà.
“Ricordavo bene allora.” Annuì. “Per i Trasformati è più difficile. Né carne, né pesce. È dura.”
Ted non rispose; non era lì per un tuffo nel passato, ma per dirimere un mistero che non gli dava pace. “Flynn le ha detto il motivo della mia visita?”
“Sì, si tratta di Lunastorta …”
Okay, non ci sto più capendo niente.

“Mi scusi, ma … di che Lunastorta sta parlando? Di mio padre? O del Mannaro che è stato ritrovato vicino a casa mia? Perché sta chiamando tutti nello stesso modo.”
“Lo so.” Fu la replica sconcertante. “Per il branco i nomi sono importanti.” Non gli diede il tempo di ribattere, perché si incamminò verso la sua capanna. “Vieni con me.” Soggiunse. “Dobbiamo parlare.”

Ted lanciò uno sguardo a Flynn, che si limitò a stringersi nelle spalle e fargli cenno di seguirlo.
Obbedì.
 
****
 
Londra, Ministero della Magia.
Ufficio Auror, Mattina.
 
Sveglia all’alba, una doccia gelida per smaltire i postumi del whisky ingerito la sera prima e una corsa
lungo Charing Cross Road fino a Leicester Square. Questo era l’unico metodo che Sören conosceva per riuscire ad arrivare puntuale al lavoro senza sembrare un Infero appena uscito dalla propria tana.
Così, fresco di una seconda doccia e con l’uniforme stirata dalle riluttanti ma capaci mani di Milo, varcò l’ingresso dell’ufficio Auror, schivando come al solito un nugolo di Promemoria Ministeriali che sfrecciarono fuori con la velocità dei proiettili.
La scrivania di Potter e Malfoy era già al completo con i due che si litigavano la sedia, Jordan seduto diplomaticamente alla sua e …
Un cane?
“Di chi è quel cane?” Chiese incrociando lo sguardo adorante del suddetto, che pensò bene di ficcargli il muso umido nella giuntura del ginocchio, chiedendo attenzioni che non era disposto a dargli. Fece un rapido passo indietro. “Può stare qua?”
“No, per niente.” Fu l’allegra risposta proveniente da Malfoy. “Per questo lo nascondiamo! Si chiama Donnola.”
“Non si chiama Donnola, testa d’uovo!” Sbuffò Potter come al solito ignorando la sua presenza. “Avrà un nome ma non è un insulto indiretto a mio zio!”
“Non so di cosa tu stia parlando, Donnola è un nome perfetto per un cane.” Replicò l’altro con un sorriso zen, afferrando per il collare il cane e strattonandolo gentilmente indietro, evitando così che gli lavasse l’uniforme nella bava. “Non ti piacciono i cani Sören?”

“Non sono abituato ad averci a che fare…” Gli unici con cui aveva interagito in effetti erano stati i cani da guardia che aveva dovuto neutralizzare durante le sue missioni con Johannes.
Per me non sono certo paragonabili al miglior amico dell’uomo.
“Lo abbiamo trovato a casa di Price.” Spiegò Malfoy grattando dietro le orecchie dell’animale che guaì guardandolo con canina adorazione. “Non potevamo lasciarlo lì, stava morendo di fame!”
“Non c’era nessuno che se ne potesse occupare.” Aggiunse Jordan che ormai nella sua testa incarnava la voce della ragione. “Lo porteremo ad un rifugio per animali Babbano non appena avremo un momento libero.”
“Ma sono posti orribili!” Malfoy scosse la testa come se stessero teorizzando qualcosa di estremamente stupido. “Lo tengo io come ieri sera, non c’è problema!”
Potter roteò gli occhi al cielo, ma sembrava ben disposto verso l’animale da come si era chinato per grattargli la pancia. “Sì, perché nasconderlo in camera tua al Manor è un piano perfetto sulle lunghe distanze. Tuo padre ti ucciderà.”
“Papà alleva dei pavoni. Albini. Come può avere voce in capitolo?”

“Ci sono novità sul caso?” Li interruppe, perché quella scena per lui non aveva il minimo senso e gli stava tornando il mal di testa. Intuiva che il tono giocoso della conversazione era voluto per distendere i nervi dopo le ventiquattro ore appena passate…
Ma io le ho passate a rischiare la vita, non sapere se ero stato contagiato e infine ho realizzato che dovrò tenermi alla larga da Lilian.
Non ho voglia di scherzare.
Gli altri agenti si scambiarono un’occhiata, ma fu Malfoy a parlare. “Ce ne sono, sì.” Esitò, poi assunse un’aria colpevole che proprio non capì. “Ma tu come stai?”
Batté le palpebre confuso. “Sono stato dimesso ieri sera, vi avranno informato del fatto che non sono stato contagia…”
“Lo sappiamo, Prince, è ovvio.” Grugnì Potter che pareva stare sui carboni ardenti. “Ma tu come stai?”

Li fissò ad uno ad uno tentando di leggere tra le righe, perché doveva essere uno quei casi in cui le parole non esprimevano affatto le intenzioni.
“Sto bene?” Tentò.
Malfoy gli diede una pacca sulla spalla come se fosse un caso senza speranza. “Eravamo preoccupati per te.” Chiarì e persino Potter riuscì a lanciargli un’occhiata che non prometteva una rissa immediata. “Siamo contenti che tu non ti sia ammalato.”
“Già, non possiamo permetterci altra gente su un lettino.” Borbottò quest’ultimo incrociando le braccia al petto e fissando ovunque tranne che nella sua direzione.
È in imbarazzo?
“Potty era roso dall’ansia …” Gli sussurrò Malfoy con aria cospiratoria, mentre l’altro gli allungava un calcio che schivò con disinvoltura consumata. “Se non c’è qualcuno con cui può fare il bullo si intristisce. È nei suoi geni, sai.”
“Vaffanculo Malfuretto!” Lanciò un’occhiataccia ad entrambi come se l’esternazione del collega fosse anche colpa sua. “Vogliamo lavorare o no?”

“Tutto lavoro e niente svago rendono Scorpius un ragazzo noioso²!” Cantilenò questo con tono petulante, ma poi afferrò una cartellina dal caos che riposava in precario equilibro alle sue spalle e gliela porse. “Questa è arrivata ieri sera dal tuo Ministero.”
Sören non poté fare a meno di sorridere quando vide il logo della SAGITTA stampato sulla copertina.

Devono averci lavorato Rico e gli altri…
Non avrebbe mai pensato di dirlo un anno prima, ma gli mancavano le chiacchiere del partner e persino l’imbarazzo che era capace di scatenargli Ama o le battute irritanti di Murphy. Erano la sua gente e quel rapporto gli trasmetteva la stessa familiarità. Andarsene oltre mare gliel’aveva solo fatto realizzare. “Si tratta del materiale raccolto su Howe?” Chiese sfogliandola e leggendone qualche paragrafo.
“Già!” Convenne Malfoy. “Per riassumerla, dice più o meno quello che già sapevamo … Incensurato, neppure una multa per non aver disilluso la scopa mentre volava. Viaggiava spesso per lavoro, era un commesso viaggiatore, commercio in aggeggi da giardinaggio, roba del genere … Divorziato con una Babbana, senza figli.”

“Nessun collegamento con John Doe?” Prima o poi avrebbe smesso di sentirsi la bocca secca e le mani sudate, a quel nome.
“Nessuno.”  
Sospirò, chiudendo la cartellina e appuntandosi di visionarla dopo. “Stavate però parlando di sviluppi …”
Datemi qualcosa da fare. Datemi qualcosa da pensare che non sia … lei.
Concentrarsi sul caso al momento era la cosa migliore. 
Potter interruppe il flusso dei suoi pensieri. “Ieri sera abbiamo perquisito l’appartamento di Henry Price e Malfoy, spremendo quei due neuroni ossigenati che si ritrova, se n’è uscito con una teoria…”
“Una fantastica teoria!” Fece eco il suddetto. “Ti ricordi quando ci hai detto che il virus poteva essere un effetto collaterale? Qualcosa venuto fuori cercando di creare qualcos’altro con la Magia Oscura?”

“Sì, mi ricordo.” Convenne. “Ma era una considerazione, tutto qui. Avete trovato delle prove a conferma?”
Malfoy frugò di nuovo tra la pila di carte e estrasse una busta di plastica che conteneva un ritaglio di giornale. “Dovremo fare ordine, prima o poi.” Considerò meditabondo, poi gliela girò. “Abbiamo trovato questo, assieme ad un inquietantissima collezione di gadget sui Duelli Magici.”
Sören lesse il trafiletto sotto l’immagine di un mago dal fisico prestante e atteggiato in una posa da modello.
 
Ti senti un mezzo Mago? Un Magonò? Non è la bacchetta, ma pensi di essere tu?
Prendi in mano la tua vita!
 
Seguiva un indirizzo postale e nient’altro. “È un annuncio pubblicitario … abbastanza oscuro.” Osservò confuso. “Pensate che Price possa aver risposto? E Howe?”
“Per Howe non lo sappiamo, ma di sicuro Price voleva diventare un Duellante più di qualsiasi altra cosa al mondo, a giudicare da quello che gli abbiamo trovato in casa.” Rispose Malfoy stringendosi le spalle. “Il problema è che le sue capacità non erano all’altezza dei suoi sogni.”
“Storia vecchia come la bacchetta di Merlino.” Sbuffò Potter. “Non è il primo che casca in una truffa magica. All’epoca dei nostri genitori c’era quel corso per corrispondenza…”
“SpeedyMagic.” Suggerì Jordan. “Una mia zia Maganò ha speso una fortuna per imparare a scaldarsi il the. E non ha mai imparato, per la cronaca.” Aggiunse con una smorfia. “È il brutto della faccenda. Puoi allenarti quanto vuoi, ma se non nasci con la magia nel sangue …”

“Price non era un Magonò però.” Osservò. “Ha frequentato Hogwarts.”
Jordan lo squadrò perplesso. “Non è che ci dividiamo così. C’è anche gente che ha magia, ma non ne ha abbastanza.”
Si sarebbe sentito in imbarazzo, se Scorpius non avesse dimostrato la sua stessa confusione. “Mentre i Magonò non ne hanno per niente, giusto? Sono tipo rotti.”
Rotti?” Potter lo guardo indignato. “Che cazzo, Malfuretto, non fare il Purosangue!”

Sono un Purosangue.” Ribattè  stringendosi nelle spalle. “All’epoca di mio padre o nascevi con la bacchetta in pugno o finivi come una toppa bruciata sull’arazzo di famiglia. Nessuno mi ha mai spiegato un accidente di questa roba. Si suppone che non ne abbia bisogno.”   
A quanto sembrava, per una volta la sua ignoranza era questione di educazione Purosangue e non una personale deficienza: ne fu sollevato.   
Jordan per l’ennesima volta si assunse il compito di spiegare; era strano pensare che avesse frequentato la stessa Casa di Potter; sembrava più adatto a Corvonero. “Molta gente fa confusione." Esordì diplomatico. "Il motivo per cui i Purosangue di solito non sono scarsi è perché nascono da famiglie con grandi capacità magiche. Spesso discendono da persone come i Quattro Fondatori  … o gente come i Peverell. Oltretutto fino ad una generazione fa non si mischiavano con Nati Babbani o Mezzosangue …” Fece una smorfia. “Gli ideali che propugnavano i Mangiamorte erano deliranti dal punto di vista etico, ma la genetica darebbe loro ragione. Se immetti nel tuo corredo genetico geni Babbani, il ceppo magico viene indebolito. Ci vogliono parecchie generazioni, si capisce, e basta una nuova unione con un ceppo magico forte per scongiurare il pericolo, ma comunque…”
“Sì, peccato che se sposi la teoria Mangiamorte ti aspetta un futuro di malattie orrende! Non è che ti puoi portare a letto tuo cugino e non avere conseguenze!” Si inserì Potter con l’aria di aver già scelto l’opzione che più gli aggradava.

“Io preferirei diventare un Babbano.” Borbottò Scorpius. “Non avete idea di che diavolo ci sia nel mio albero genealogico.” Represse un brivido. “Una su tutte, zia Bella.”
“Però un Purosangue può essere Magonò.” Obbiettò Sören incuriosito. Si rendeva conto che c’era tanto che non sapeva del Mondo Magico, ora che era fuori dalla bolla in cui la Thule e suo zio l’avevano tenuto.
Jordan confermò. “Sì, quello è in discorso diverso. Non è che siano rotti.” Fece un sorrisetto indulgente a Scorpius, che abbozzò un sorrisetto imbarazzato. “ … È che il loro sangue produce qualcosa che, come dire, annulla la magia. È una malattia, non c’entra niente con ipotetiche scale magiche.” 
Quindi per Milo è così?
Sören ricordò come cinque anni prima l’altro non avesse tratto giovamento dai suoi incantesimi curativi e come fosse poi sembrato stranamente resistente alle Maledizioni scagliategli dai Mercemaghi.
Aveva detto che la magia su di lui funzionava in modo diverso, che era per via del suo sangue.
Ecco perché.
“Comunque, dai documenti scolastici è venuto fuori che Price era ricettivo quanto una Scopalinda.” Si inserì Potter per riportare su di sé il centro dell’attenzione. Sembrava tipo che non riusciva a delegarla per lungo tempo. “Poi, sei mesi fa, è diventato il re del Duello Magico. La cosa puzza di Magia Oscura, non vi pare?”
“Pensate che tutto sia partito dal rispondere all’annuncio?” Lesse l’indirizzo postale. “È qui a Londra.”

“Ci stavamo andando.” Potter si alzò della sedia che era riuscito a guadagnarsi a rischio di azzoppare il partner. Passandogli vicino gli diede un colpo con la propria spalla, ma leggero e che non sapeva di astio o violenza come quelli di Murphy. Sembrava quasi … cameratesco.
“Aspettavamo te, pipistrello.”
Non sapeva se sentirsi offeso o chiedere spiegazioni. Nel dubbio, guardò Malfoy che dava spesso mostra di capire il primogenito del Salvatore meglio di chiunque altro.
Questo gli fece un sorrisetto, e quando gli si affiancò,gli diede lo stesso lieve colpo sulla spalla. “Potty ha un soprannome per tutti.” Spiegò di buon grado. “Specie quando cominci a piacergli. Forse tra un paio d’anni si ricorderà anche come ti chiami. Non è adorabile?”
Quando penso a James Potter, adorabile è l’ultima parola che mi viene in mente.
“Quindi è un buon segno?” Chiese invece.
“Cavolo, sì!” Malfoy agganciò il collare del cane al guinzaglio e lo Disilluse con un gesto della bacchetta. 
Era ironico, considerò seguendo il biondo mentre questo incespicava fuori dall’ufficio come trascinato da una forza invisibile che in realtà aveva quattro zampe ed era canina; era entrato nel radar di James Potter proprio quando tentava di uscire da quello di sua sorella.
 
****
 
Chelsea Embankment, Old Church Street.
Casa di Michel Zabini, Mattina.
 
Loki Nott trovava che la stanza degli ospiti di Michel fosse la cosa più simile alla definizione di casa che avesse.
Non che indugiasse spesso in pensieri del genere appena sveglio, specie se in piacevole compagnia, tuttavia l’emotività era una faccenda che doveva mettere in conto ogni tanto.
Cogito ergo sum.
Districandosi dalle braccia morbide della ragazza che gli dormiva affianco si alzò in piedi e dopo una doccia scelse con cura i vestiti: l’amico diventava infatti di cattivo umore se solo osava essere meno che distinto in sua presenza. Non possedendo al momento fissa dimora - la villa in Spagna era stata sequestrata dalle autorità locali per un increscioso incidente che coinvolgeva una partita di Radici di Belladonna cilene  – doveva tenerselo buono  onde evitare di finire in mezzo ad una strada.
O da Sy.
Credo che Lord Malfoy non abbia mai preso bene l’innocente corte fatta a sua moglie…
Si sistemò i suoi gemelli migliori al polso mentre percorreva il lungo e bianchissimo corridoio che portava da camera sua fino alla cucina, un tripudio di acciaio, marmo e non-colore.
Sembra il catalogo di un architetto.
La mancanza di personalità dell’arredamento era il modo in cui Michel scoraggiava tutti dal considerare la sua magione un posto accogliente.
Basta vedere camera sua per capire che non ci vuole nessuno in pianta stabile.
Lui però non era il mondo intero. 
“Buongiorno!” Si annunciò al ragazzo che gli dava le spalle, assorto nella lettura di qualcosa che non riusciva a vedere. “Dormito il sonno dei giusti?”
Michel sobbalzò, chiudendo con un tonfo secco ciò che stava leggendo. “Ah, sei qui.” Esordì in un tono che nascondeva evidente allarme. “Non ti ho sentito rientrare ieri sera.”
“Perché mi sono Materializzato in camera da letto. Sai, non avendo le chiavi di casa…”
“ … dato che questa non è casa tua…” Gli fece eco con una smorfia appoggiandosi sull’isola di marmo bianco che fungeva da tavolo della colazione. “Bella camicia.” Osservò ironico.

“Grazie.” Lisciò il tessuto con una mano. “È una delle tue.”
Michel roteò gli occhi al cielo, Appellando dal frigo il necessario per la colazione, ovvero una serie di piatti già cucinati dalle mani talentuose – anche a far altro - di una Babbana che veniva settimanalmente ad occuparsi della casa.
Qui un Elfo sarebbe incongruo. Oltre al fatto che non ci metterebbe piede.
“Devi farti la barba comunque.” Osservò facendogli cenno di servirsi. “O hai bisogno che lo faccia io per te?”
“Mi raso, l’effetto di lieve incuria è voluto. Dà quell’idea di dissolutezza elegante che piace, mio caro.” Si versò una tazza di caffè bollente e lo sorseggiò grato: Michel non sapeva cucinare, ma il suo caffè era sempre eccellente. “Cosa stavi guardando prima che arrivassi?”
Perché sì, mi sono accorto che stai nascondendo qualcosa dietro la schiena.
“La Gazzetta.” Dissimulò con perfetta noncuranza. “Hai saputo del disastro mediatico avvenuto all’Accademia di Duello?”
“Certo … a quanto pare dovremo evitare singolari tenzoni per un po’.” Scrollò le spalle. “Solo è strano…”
“Da quando è strano il panico da epidemia?”

“Non quello. Da quando il Profeta è rilegato in cuoio verniciato?” 
E prima che l’altro potesse far Evanescere l’oggetto della discussione lo Appellò con un colpo di bacchetta e se lo fece arrivare in mano.
Loki!
“Via, via … sai che i segreti sono la mia droga.” Lo tenne fuori dalla porta dell’altro con una certa difficoltà, dato che debitamente innervosito sapeva essere piuttosto pronto alla violenza. “Mi correggo, non un libro ma un album di foto!” Riconobbe sfogliando le prime pagine e frapponendo tra di loro il ripiano di cottura. “Nostalgia dei bei tempi andati?”

“Ti ricordo che sei un ospite, e che in qualsiasi momento posso sbatterti fuori e far mettere barriere in grado di polverizzarti il culo.”
“Diventare scurrile di prima mattina, Lord Zabini, mi delude.” Schioccò la lingua continuando a stuzzicarlo; quando l’amico d’infanzia la piantava con la manfrina dell’algido ministeriale mostrava una vitalità.

A volte penso che suo padre abbia fatto un lavoro eccellente nel renderlo simile a lui.
E non è un complimento.
Che se si doveva parlar di nostalgia, ricordava bene la persona che Michel era stato prima che Lord Zabini si interessasse della sua educazione, strappandolo dall’orbita dell’amata nonna. La persona che nonostante tutto era continuato ad essere durante la loro adolescenza.
Solo che adesso non c’è più Hogwarts a proteggerlo.  
Era come se una fiamma si stesse spegnendo negli occhi del suo amico d’infanzia, soppiantata da qualcosa che non parlava di maturità, ma di inaridimento.
Si scrollò dalle spalle quei pensieri fin troppo seri e gli servì un sorriso beato. “Su, non prendertela … Sto solo cercando di interessarmi alla vita privata del mio amato padrone di casa.”
“Chiama le cose col suo nome. Ti stai impicciando.”
“Ti confidi con il dolce Albus e non con me? L’altro ieri mi avete lasciato solo in quel caffè Babbano per spettegolare dei vostri piccoli segreti gay. Mi ritengo offeso.”

“Non sei credibile.”
“Dici? Perché oggi potrei aver voglia di pranzare con Scorpius e dirgli che ti sei commosso su un vecchio album di foto.” Ghignò. “Sai come diventa quando pensa che un amico sta passando un brutto periodo…”
Gli scoccò un’occhiata orripilata. “Non oseresti.”

“Potrebbe stabilirsi qui per prendersi cura di te.”
“Va bene!” Sbuffò crollando su uno degli sgabelli scomodissimi che fungevano da sedie. “Si tratta … beh.” Aggrottò le sopracciglia. “In realtà potresti tornarmi utile.”
“Sempre lieto di esser sfruttato. Al giusto prezzo, si capisce. Dicevamo di quella tua decappottabile…”
“Piuttosto mi prendo a balia Scorpius.”
Loki ridacchiò, battendo sul taschino della vestaglia dell’altro, percependo a tatto il porta-sigarette e sfilandoglielo. “Scherzavo. In realtà mi accontento di poco.”

“Si tratta di trovare una persona.” Disse infine, e da come nicchiava l’argomento si prometteva interessante.
Ed io adoro le cose interessanti.
Si accese la sigaretta, spedendo il fumo a volteggiare trai faretti bianchi che illuminavano l’ambiente con l’eleganza di un tavolo da obitorio. “E questa persona appartiene al nostro polveroso passato?”
Michel si risedette, togliendosi ed infilandosi distratto l’anello col blasone di famiglia. Era un vezzo nervoso che aveva quando veniva roso dall’indecisione. “Non al tuo, al mio…” Sospirò vinto. “La persona che cerco ha qualcosa che mi appartiene. La rivoglio indietro.”
Loki studiò l’espressione dell’altro: non si diventava il mago d’affari che era senza saper leggere nel comportamento altrui. Non era un Legimante, né gli interessava diventarlo, ma dalla postura rigida mal dissimulata, Michel gli stava mentendo.

Decise di stare al gioco. “Perché lo cerchi in un album di fotografie e non in strada allora?”
“Dovevo essere sicuro fosse lui. L’ho incontrato di recente dopo … anni. Solo non ho idea di come rintracciarlo a meno che non ci sbatta di nuovo contro.” Fece una smorfia pescando una fragola dal proprio piatto e mordendola pensieroso. Gli lanciò un’altra occhiata. “O meglio, potrei, solo … non appartengo a quel mondo.”

“Fammi indovinare, io invece sì.” Si puntellò sul ripiano con le mani, inarcando le sopracciglia e godendosi il delizioso disagio che si dipinse sul volto del dirimpettaio.
Che razza di persona sta cercando?
“Lo, mi serve un favore.” Ammise riluttante massaggiandosi il retro del collo come se il solo pensiero gli provocasse dolore. “Ma devi promettermi di non farne parola con nessuno, perché la situazione è … imbarazzante.”
Oh, bene. Benissimo.

Cercò di non gongolare, perché tornare a Londra non per svago, ma per evitare la galera era noioso come contemplare lo scorrere del Tamigi e Merlino solo sapeva se aveva bisogno di distrazioni. “Non preoccuparti.” Lo rassicurò. “C’è una categoria di persone per cui sono una tomba e quelli sono i miei amici.”
Un lieve sorriso gli increspò le labbra. “Lo so, mio buon Nott.” Si riscosse, schiarendosi la voce perché era pur sempre Michel Zabini, e Morgana stessa non sarebbe riuscita a fargli mostrare un’emozione che non fosse calcolata al millimetro. “La persona che voglio trovare è un Magonò.”
“Oh.” Non mascherò il suo stupore; mettere nella stessa frase, nonché nello stesso ambiente un senza-magia e quel bastione Purosangue che era il suo migliore amico suonava … strano. “E cos’ha che ti appartiene, di grazia?”

“Niente che ti interessi.” Fu svelto a rispondere. “Tu fai affari con loro, vero?”
“Capita.” Convenne dando gli ultimi tiri alla sigaretta e facendola Evanescere con uno schiocco di dita. “Se posso però preferisco evitare. Non sei mai dalla parte giusta dell’accordo con gente come quella.”
“Me ne sono accorto.” Si tolse l’anello e lo posò sul tavolo, contemplandolo assorto per qualche attimo prima di parlare. “Dove … dove passano la giornata di solito?”

“Un po’ ovunque.” Si strinse nelle spalle. “Dipende. Per esempio il Black Goose a Notturn Alley è un buon punto di partenza. È un po’ il loro pub di elezione. C’è un tipo che conosco …”
“No, niente tipi.” Lo fermò, un fascio di nervi: era raro vederlo così, e Loki per un momento si chiese se non fosse il caso di smettere di dissuaderlo.

Mike che cerca un Magonò… Sembra una barzelletta. O un disastro.
Voleva divertirsi alle spalle dell’altro, ma non a spese della sua incolumità. “Mike…”
“Lascia perdere.” Fece un cenno evasivo. “Non vale la pena discuterne.”
“Allora perché hai tirato fuori l’argomento?” Poteva esser serio se necessario, e il suo istinto gli diceva che era il caso di esserlo. “Se hai bisogno di trovare questo tizio posso aiutarti.”
“No.” Si alzò e spedì il piatto dentro il lavello. “Comunque adesso non ho tempo, devo essere al Ministero tra venti minuti, sono in ritardo.”
Non gli diede tempo di ribattere perché se la diede elegantemente a gambe. Loki sospirò, dirigendosi verso il lato della casa che l’altro gli aveva concesso, dritto tra le braccia delle sua conquista che, a giudicare dai rumori che provenivano dalla stanza, doveva essersi appena alzata.

Lasciare perdere? Come no.
Ti ho appena dato un posto in cui cercare.
 
 
****


Galles, Denbighshire. Mattina.
 
La capanna di Moscardo era nient’altro che assi solide e un tetto di paglia; nulla di eccezionale, ma più resistente di quanto non avesse immaginato quando vi aveva varcato la soglia la notte prima. Il Mannaro si sedette sul ciglio del letto, massaggiandosi il ginocchio con una smorfia. “Ogni volta che deve piovere vedo l’intero firmamento.” Spiegò ironico alla sua occhiata.
“Di cos’aveva bisogno di parlarmi?” Decise di andare dritto al punto. Aveva aspettato fin troppo per avere le sue risposte-
Anche la pazienza ha un limite. Già superato.
Moscardo lanciò un’occhiata a Flynn, che si era appoggiata alla parete osservando distratta nessun punto in particolare. “Ho conosciuto tuo padre, Signor Lupin.”
“Quando ha vissuto qui, immagino.”
“Quando era un agente mandato da Albus Silente, sì.” Alla sua espressione sorpresa, sorrise divertito. “Noi Mannari potremo esser tagliati fuori dal mondo, ma non siamo degli sprovveduti. Molti di noi avevano capito sin da subito che non si era unito al branco per spirito di aggregazione. Un Trasformato adulto che arriva nel branco? Succede raramente. Di solito i Trasformati arrivano da cuccioli, portati da chi li ha morsi.”
Fenrir Greyback, mangiamorte e Mannaro. Ha morso mio padre e ucciso il nonno di Scorpius…
Serrò le labbra, ma non commentò. “Eppure ha vissuto per mesi con voi … Greyback non se n’è mai reso conto?”
“Se l’ha fatto, probabilmente era convinto di riuscire a portarlo dalla sua parte, alla fine.” Osservò Moscardo stringendosi nelle spalle. “Oltretutto, Lunastorta poteva giustificare quel genere di pensieri … Era diventato uno di noi. Non mi arrischio a dire che Greyback si fidasse di lui, ma certo credeva di averlo convinto che questa era la sua vera e sola famiglia.”
“In ogni caso, nessuno dei due alla fine ha vinto …” Ribatté perché sentiva che doveva farlo. Greyback e famiglia era un concetto osceno, se associato al genitore. “Mio padre non è riuscito a portar via Mannari dalla sfera di influenza di Greyback, e Greyback non l’ha avuto.” Scosse la testa. “Non mi fraintenda, ma queste cose già le so.”

“Non credo proprio.” Lo redarguì l’altro con un certo fastidio. “Cosa sai del periodo che ha trascorso qui?”
Ted scoccò un’occhiata a Flynn e fu sorpreso di vederle distogliere lo sguardo a disagio. “Cosa c’è da sapere? È venuto qui per … ma non ne abbiamo già parlato?”  

“Lo fai sembra semplice, come fai sembrar noi dei sempliciotti.” Sbottò l’altro. “Pensi che basti essere un Licantropo per essere accolto a braccia aperte?” Lo incalzò con una certa durezza che lo confuse.
“Non intendevo…”
“Moscardo.” Si inserì Flynn. “Ted non conosce il branco come lo conosciamo noi, dagli tregua.”
Il Mannaro sbuffò, scuotendo la testa ma tornando a più miti consigli da come alzò le mani in segno di resa. “Non mi aspetto che lo faccia, ma neppure che ci veda come un circolo di Scacchi Magici a libera entrata!” Fissò le iridi dorate nelle sue, con serietà. “Il branco è tutto. È la tua famiglia, è la tua casa … È l’unico posto in cui puoi essere al sicuro. Un estraneo può essere più pericoloso di un’epidemia. Lunastorta quando è stato qui non si è finto uno di noi. Era uno di noi.”
Ted non sapeva cosa pensare, ma sentiva che il magone che gli chiudeva lo stomaco non era un buon segno; era vero, sapeva poco o niente del periodo in cui suo padre aveva vissuto lì. Sua nonna non gliene aveva mai parlato e anche Harry non aveva potuto essergli molto d’aiuto data la segretezza della missione.

“Non intendevo offenderla, mi creda …” Tentò di rabbonirlo. “Solo che non capisco cosa c’entri mio padre con il motivo per cui sono venuto qui.”
Il Mannaro schioccò la lingua, alzandosi in piedi e misurando il pavimento in un paio di passi. “Sei venuto qui per sapere chi era il Mannaro morto nella tua foresta, no?”
Non è proprio la mia foresta…
Ma non era il caso di impuntarsi sui dettagli. “Sì, beh…”
“Perché?”
La domanda lo spiazzò, anche se in fondo non avrebbe dovuto.

Me la sono fatta da solo non so quante volte…
“Perché mi sento responsabile. Avevo il compito di aiutarlo, ed ho fallito.” Si passò una mano trai capelli, sentendosi stanco di colpo; tutto quel parlare non stava portando da nessuna parte, se non ad una strana inquietudine che sentiva scorrere sottopelle. Avrebbe voluto avere la capacità Potter di tagliar corto.
Mai avuta.
“E poi, non riesco a togliermi dalla testa che abbia voluto dirmi qualcosa prima di morire. Credevo fosse il suo nome, Ben…”
Ben?” Da come il Mannaro si irrigidì capì che quelle tre lettere avevano fatto scattare più di un allarme.
“… Non è il suo nome?” Tentò.
“Lunastorta è nato e cresciuto nel branco, ragazzo. Non ha mai avuto un nome da umano.” Borbottò sfuggendo il suo sguardo come aveva fatto e stava facendo Flynn.

Che sta succedendo? Cosa mi stanno nascondendo?
“Chi era Lunastorta?” La domanda gli salì alle labbra prima che potesse mediarla. Ma doveva farlo, poi? Era quello che aveva sempre voluto sapere.  
Moscardo e Flynn si scambiarono un’occhiata e di colpo fu come se qualcuno gli avesse piazzato un pugno secco nello stomaco. Secondo James le realizzazioni peggiori arrivavano così.
Tutto questo parlare di papà … del fatto che fosse parte del branco, che i nomi di battesimo sono importanti…
Oh, no.
No.

Come aveva fatto a non arrivarci prima?
“Moscardo, la prego.” Mormorò al Mannaro, tentando disperatamente di non farsi sopraffare dalla nausea. “Mio padre e il Mannaro della foresta … Che rapporto avevano? Ho bisogno … me lo dica e basta.”
Moscardo si scambiò l’ennesima occhiata con Flynn. “Mi dispiace, ragazzo. Pensavo che lo sapessi.”

Era tutto quello che aveva bisogno di sentire. Il Mannaro della foresta non era solo un uomo che gli era morto tra le braccia senza che avesse potuto fare niente.
Era mio fratello.
Avevo un fratello.
L’istinto di correre via da quella capanna, le cui pareti minacciavano di soffocarlo, era forte, ma chiuse gli occhi e si prese un momento per tornare in sé; c’era un ultimo punto che doveva chiarire e gli premeva più di sapere perché suo padre si fosse portato un segreto simile nella tomba.
Ben.” Doveva avere un’espressione spaventosa a giudicare dalla faccia preoccupata degli altri due. “Chi è?”  
Moscardo scosse la testa. “Tuo fratello ha abbandonato il branco anni fa … Era tornato, ma non per rimanere. Vulneraria non gliel’ha permesso.”
Era davvero così difficile dirgli tutto in una volta sola?
Avrà paura che tu perda la testa. A giudicare da come ti guarda, sembra proprio temerlo.

Fratello … avevo un fratello.
“Cos’aveva fatto per essere bandito?” Incalzò.
Il Mannaro sembrava in difficoltà, diviso dalla lealtà verso il branco e la consapevolezza di dovergli delle spiegazioni.  Non gli importava: gli si avvicinò e ignorò il guizzo di allarme ferino che gli vide nello sguardo, come il richiamo inutile di Flynn. “Chi è Ben?”
“Suo figlio.” Buttò fuori rassegnato. “È questo il motivo per cui Vulneraria non lo voleva. È venuto qui con un bambino.”

“Oddio…” Mormorò Flynn. “Perché diavolo non me l’hai detto? Dovrebbe essere nei registri!”
“È stato una sorpresa anche per noi!” Replicò il Mannaro sulla difensiva. “È arrivato qui con un cucciolo, dicendo che era suo e pretendendo che ce ne prendessimo cura … ma aveva la magia, gliel’abbiamo sentita addosso!” Fece una smorfia. “Non poteva rimanere.” 

“Vuoi dire che il bambino non è un Mannaro?”
“È un mezzo lupo. Come voi.”
“Dannazione Moscardo!” 

Ted stava ascoltando a malapena l’alterco tra gli altri due. Era come se qualcuno gli stesse insistentemente prendendo a calci il cervello.
Torna in te. Si sta parlando di un bambino. Ragiona.
“So dov’è.” Si sentì dire come se fosse stato qualcun altro a pronunciare quelle parole. “So cosa stava cercando di dirmi prima di morire … Il bambino è ancora nella Foresta Proibita.”
 
****
 
Londra, East End.


“L’indirizzo è questo.”
James lanciò un’occhiata distratta al pezzo di carta tra le mani di Scorpius, recitante la pubblicità che aveva attirato Price in quella che, a conti fatti, si era rivelata una trappola a scoppio ritardato.

Si trovavano nell’East End, in una zona industriale piena di magazzini dismessi e occupati abusivamente oppure talmente cadenti da aver attorno un cordone di avvisi di pericolo e transenne.
Quest’ultimo era il loro caso; la loro meta finale era nient’altro che un enorme agglomerato di lamiere e cemento che sembrava reggersi in piedi per puro miracolo. Agli occhi di un Babbano sembrava un semplice orrore architettonico, con scritte oscene e vetri rotti.
Agli occhi di un mago invece…
Con un cenno agli altri tirò fuori la bacchetta e salì le scale arrugginite che portavano all’ingresso di servizio. Bobby fu il primo ad arrivare alla porta e prese in mano il pesante catenaccio con cui era stata chiusa in più giri. “Sembra proprio roba Babbana, eh?”
Sembra. Sono stati lanciati un Repello Babbanum, un Salvo Hexia e Clausurum Totalum.” Esordì Prince, fino a quel momento in totale silenzio. “Più un incantesimo di Intracciabilità di classe uno.”
“Roba potente!” Ribatté Scorpius massaggiandosi la nuca con una smorfia dolorante. “E si sente, per Merlino.”
James finse di non notare la cosa, nonostante la compressione alle tempie e il senso di oppressione al petto parlassero chiaro. “Bobby, chiama gli Spezza Incantesimi. Voglio evitare che mi schizzi il cervello fuori dalle orecchie.”
“Non serve.” Replicò il tedesco, chiedendo con un chiaro movimento della mano di fargli spazio. “Posso pensarci io.”
“Sul serio?” Non poté frenare l’incredulità e a giudicare dall’occhiataccia che la nuova balia del pipistrello – ovvero Scorpius – gli lanciò doveva aver esagerato anche con il sarcasmo.

Oh, dai. Non posso proprio dir niente adesso!
Prince non si scompose. “Sul serio.” Rispose invece. “Sono stato addestrato anche come Spezza Incantesimi.”
“Certo che questi Americani ne sanno una più del diavolo…”
“Non è stata la SAGITTA ad addestrarmi.” 

James si morse la lingua per evitare una battuta che persino lui avrebbe considerato infelice.
Visto? Sono stato bravo stavolta!
Scorpius invece di lodarlo alzò gli occhi al cielo. “Le barriere sono tutte tue Sören!” Disse al tedesco dandogli una pacca sulla spalla.
“Vi fare anche le treccine nel tempo libero?” Non poté fare a meno di soffiare quando l’amico gli fu accanto. “Le barriere sono tutte tue…” Lo imitò sentendosi solo leggermente infantile. “La tua cotta è imbarazzante.”

“Lo so. È così rigoroso e tedesco, non posso resistergli.” Ghignò l’altro. “Ma non preoccuparti, Potty. Rimani tu il mio preferito.”
James si rifiutò di farsi lusingare dalla cosa e si concentrò invece sull’osservare l’operato di Prince: questo armeggiò con il bracciale che aveva al polso e poi se lo tolse, infilandolo nella tasca dello spolverino di pelle che gli aveva suggerito il suo nuovo soprannome.
Dai, è l’uomo pipistrello. Punto.
Poi l’altro mise la mano sulla porta e di colpo la magia attorno a loro fu scossa come da una potente ondata di vento. Dalla strada nessuno si accorse di niente, ma James sentì l’intero corpo vibrare come una corda.
Woah!
Il rumore di uno strappo violento qualche momento dopo sottolineò come le barriere erano appena state tranciate di netto e senza troppe cerimonie.
“Per tutte le sottane di Salazar!” Esclamò Scorpius. “Come diavolo hai fatto?”
Prince non tentò neanche di nascondere il compiacimento da come sorrise. Era piuttosto pallido e sudato, ma non sembrava scosso. Una vocetta interiore, che aveva il tono di voce petulante di Malfoy, gli suggerì di rivedere l’idea di trascinarlo su una pedana e sfidarlo a duello non appena si fosse presentata l’occasione.
Perché siamo proprio sicuri che saresti tu a fare il culo a lui e non viceversa?
“Anni di pratica.” Rispose intanto quello tagliando il catenaccio della porta con Recido. “Era uno dei miei compiti quando lavoravo per mio zio.”   
Bobby si voltò inarcando le sopracciglia. “È una fortuna che adesso lavori per noi, eh?”

“Come no.” Borbottò entrando dentro e accendendo un Lumos per rischiarare l’ingresso avvolto nella penombra.
L’ambiente, come c’era da aspettarsi, era enorme. Non si sentivano i rumori, e l’odore di pioggia, muffa e in generale abbandono era ovunque.
“Facciamo un po’ di luce.” Esordì e quattro Lumos Maxima andarono a galleggiare tra le architravi metalliche del tetto. Tra vecchi scaffali, bidoni e scatole da imballaggio non sembrava esserci nulla, tuttavia, quando gli occhi si furono abituati, James scorse sul pavimento tracce di suole da scarpe. “Qualcuno è stato qui di recente.” Si chinò per osservarle. “Le tracce non sono state coperte dalla polvere.”
“Questo posto puzza.” Borbottò Scorpius. “E sembra voler crollare da un momento all’altro. Come  ha fatto Price a considerare attendibile l’intera faccenda?”
“A giudicare dalla quantità di magia che è percepibile tutt’ora, questo posto è stato Illuso.” Replicò Prince passando le dita sulle colonne di cemento mangiate dall’umidità. “Forse quello che ha visto Price non è quello che stiamo vedendo noi.”
Bobby si guardò attorno circospetto. “Quindi è stato incantato. Come un ufficio … un laboratorio, cosa?”  
“Forse entrambi.” Ipotizzò James. “Qualunque cosa sia stato comunque ora non lo è più. È chiaro che chiunque lo abbia usato se n’è andato da un bel pezzo.” Fece una smorfia. “Questo posto è stato ripulito da tutto ciò che era magico, barriere a parte.”
“Potrebbero esserci degli indizi invece.” Obbiettò Prince, con la faccia di chi l’aveva presa sul personale.
“Non sto dicendo di non controllare.” Replicò esasperato. “Solo che…”
“Gente, qua!” Scorpius li interruppe, indicando di fronte a sé. “C’è un’altra porta!”
Non mi piacciono le porte.

Indipendentemente dalla sua antipatia, la porta c’era e faceva chiaramente accedere ad un altro ambiente, l’ufficio del proprietario a giudicare da quel che diceva la targa a fianco. Stavolta bastò un Alohomora per farla aprire.
Entrati dentro capirono subito che quello era l’ambiente che era servito da base: non vi era una sola cianfrusaglia, era pulito dalle ragnatele e arieggiato, mentre un Incantesimo Climatico teneva bassa la temperatura e asciutta l’atmosfera.
“È qui che hanno fatto tutto.” Mormorò Bobby chinandosi sul pavimento e passandovi le dita. “Neanche una traccia di polvere … e ci sono dei segni. Qualcosa è stato posato qui, pesante e metallico.”
“Attrezzature?” Congetturò guardandosi attorno. “Non sentite …” Allargò le narici. “ … non sentite un odore familiare?”
“Sicuro.” Sbuffò Scorpius con un sorrisetto. “Questo è l’odore che c’è al San Mungo. Erbe mediche e disinfettante. Scommetto dieci Galeoni che è qui che hanno sperimentato la super-cura su Price e Howe!”

James annuì, facendo cenno a Bobby che, recettivo come sempre, prese lo Specchio Comunicante dalla tasca. “Chiama i Tracciatori … Devono setacciare questo posto e inscatolare tutto l’inscatolabile. Dobbiamo sapere chi e cosa conteneva. Per quanto ne sappiamo potrebbero anche averci distillato un decotto per la tosse. Dobbiamo essere sicuri che sia la pista giusta.”
Con la coda dell’occhio notò che il tedesco non si era mosso dopo i primi cinque passi che aveva fatto: stava invece fissando qualcosa ai suoi piedi rigido come una statua.
“Ohi.” Lo apostrofò e questo sobbalzò come se gli avesse lanciato un incantesimo Elettro. “Che c’è?”
Gli lanciò un’occhiata indecifrabile, pallido come un cadavere. “Johannes è stato qui.”
“John Doe?” Aggrottò le sopracciglia. “Come lo sai?”
Per tutta risposta si spostò per mostrargli la porzione di pavimento che aveva osservato fino a quel momento; c’erano dei mozziconi di sigarette schiacciati dalla suola di una scarpa. “Sono quelle che fumava abitualmente.” Deglutì e poi il viso prese di colpo una sfumatura decisamente sudaticcia e malsana. “Scusate…” Mormorò con un filo di voce prima di girare le spalle e andarsene a grandi passi.
“Crucco, ehi!” Lo richiamò solo per farsi ignorare. “Torna qui dannazione!”
“James.” Malfoy gli fu subito accanto, e il fatto che avesse usato il suo nome di battesimo doveva essere indicativo. Forse. “Meglio di no.”
“Meglio di no cosa?” Sbuffò. “Non può andarsene in giro come gli pare, è…”
L’altro lo guardò come se fosse idiota. “Stava praticamente avendo un attacco di panico, dagli tregua.”

Okay, sono un idiota.  
“John Doe è stato il suo partner per anni … Lavorare dall’altra parte dev’essere, non so, strano?” Considerò Bobby riponendo lo Specchio dopo aver chiuso la comunicazione con la Divisione Tracciatori. “Sapete che tipo di rapporto avevano?”
“Del genere sono la tua cattiva influenza.” Rispose Scorpius con un sospiro. “Credo che John Doe fosse il modo in cui suo zio lo controllava a distanza … Mi ha anche detto che molto di quello che sa gliel’ha insegnato lui. Sapete, duelli, incantesimi … roba così. Una specie di mentore del crimine.”
“Brutta storia.” Convenne Bobby. “Ritrovarselo tra capo e collo, dico … Anch’io andrei fuori di testa.”

A quel punto la sua stupida lingua si mosse da sola. “Qualcuno dovrebbe andare a controllare che non si sia impiccato o roba del genere allora.” Fece del suo meglio per suonare noncurante, ma dal sorrisetto che gli venne servito dagli altri due doveva aver fallito miseramente. Ci rinunciò. “Muovi le chiappe Malfuretto e va a recuperarlo.”
 
L’acqua gelida che si spruzzò in faccia con la bacchetta servì poco e niente, ma perlomeno gli rinfrescò il viso, dato che lo sentiva bollire come se l’avesse tenuto troppo vicino ad una fiamma.
“Ehi.”
Malfoy sembrava avere l’innata capacità di arrivare proprio quando aveva uno dei suoi momenti bui. Non che fosse colpa sua, era solo preoccupato, se ne rendeva conto, tuttavia…

“Sören … ehi amico, stai bene?”
Lasciami in pace. Lasciatemi tutti in pace.
Johannes era a Londra. Certo, lo sapeva, aveva visto l’identikit, ma una cosa era vedere un ritratto, una cosa era realizzarne la presenza fisica, tangibile. Per questo non era potuto rimanere in quella stanza e il panico che lo aveva assalito faticava ancora a dissolversi.
Inspirò, appoggiando la fronte alla ringhiera di metallo dell’uscita di servizio. “Sto bene.” Masticò. “Torna dentro, non è niente.”
“Senti, se vuoi parlarne… Ti farebbe bene.”
Non voglio parlarne.” Avrebbe voluto colpirlo, allontanarlo.

Quello che ha fatto Johannes là dentro … qualunque cosa sia, l’ho fatta anch’io. Cinque anni fa quelle impronte, quei mozziconi di sigaretta sarebbero state le mie.
Avreste indagato su di me.
Gli sembrava quasi di udire la risata di Johannes soffiargli sulla pelle.
Con che diritto mi dai la caccia, principino?
Non poteva vedere Malfoy dalla sua posizione, ma lo sentì sospirare. “Vuoi rientrare?”
“Potete fare a meno di me?” L’idea di metter di nuovo piede in quel posto chiuso da lamiere, buio come Nurmengard gli dava la nausea.
“Penso di sì … Devono arrivare i Tracciatori, ma non è che serviamo al completo.” Fece una pausa. “Vuoi che ti accompagniamo alla locanda?”
“Non ho bisogno della vostra pietà!” Non riuscì a trattenersi.
Si scontrò così con l’espressione dapprima sorpresa, poi leggermente seccata dell’Auror. “Nessuno ha pietà di te.” Obbiettò pacato. “Sono stati giorni duri per te … e siamo preoccupato. È quello che fanno i compagni di squadra.” Sospirò. “Quelli veri.”

Non capiva e neppure ne aveva voglia. Certo, Scorpius aveva ragione, avrebbe dovuto parlarne; era quello che la sua Psicomaga gli aveva sempre consigliato di fare quando i pensieri diventavano troppi e rischiavano di farlo esplodere.
Ma quando ne avrò parlato? Non cambierà niente. Johannes continuerà ad essere qui, come i suoi mozziconi, come i miei incubi…
Mi spiace Lily, non sono coraggioso. Sono un codardo. Lo sono sempre stato.
 “Se non avete bisogno di me…” Si staccò dalla ringhiera e si passò una mano trai capelli. “Vado a pranzo.” Non diede tempo all’altro di ribattere. Si Smaterializzò.
 
 
****
 
Diagon Alley, Tavola Calda Fortebraccio.
Ora di pranzo.
 
“Avevo in mente tutt’altro quando ho detto che volevo trascorrere il mio giorno libero all’aperto.”
Siamo all’aperto.”
Albus avrebbe alzato le mani al cielo, chiedendo l’intercessione di Morgana stessa se non fosse stato in un caffè affollato, data l’ora e il sole cocente che spingeva chiunque in strada a godersi l’estate al suo pieno.

Chiunque tranne me.
“Intendevo una gita fuori Londra, non trafugare rapporti medici per sottoporli all’attenzione del mio ragazzo!”
Tom gli servì un sorrisetto irritante, alzando gli occhi da quel che stava leggendo. “Come ho detto, siamo all’aperto, stiamo per pranzare fuori e indossi una di quelle tue orribili canottiere da tempo libero che, per inciso, mi fanno sanguinare gli occhi.” Alzò un sopracciglio. “Mi pare un compromesso tutto a tuo favore.”
“Solo perché a te non piacciono le cose colorate, Beccamorto, non significa che sia brutta!” Puntualizzò per il puro gusto di protestare, allungando le braccia sul tavolino e seppellendoci il viso. “Ho già detto che ti odio?”

“Cinque volte.” Tom girò la pagina. “Come si legge questo valore?” Gli chiese girando la cartellina.
Al suo malgrado alzò la testa e mise a fuoco la serie di dati numerici espressi in alfabeto runico, usato in ambito medico per risparmiare inchiostro e tempo.

Sì, Rune Antiche serve a qualcosa.
“Significa che tuo cugino ha una capacità magica superiore a quella del mago della strada del … doppio, circa.” Si pettinò i capelli e dall’aria esilarata dell’altro probabilmente senza successo. “Meglio che non si sia ammalato.”
“Ma non sapete perché non è successo.”  
“No, e finché il suo Ministero non ci dà il nulla osta non possiamo fargli altri esami, a parte quelli del sangue che vedi qui.” Picchiettò sulla pergamena. “Ci pensi? Non dispone del suo corpo! È assurdo!”
“In teoria ha una condanna vita natural durante sulla testa…”
“Okay, ma a te non darebbe fastidio sapere che non appartieni a te stesso?”

“Se capitasse a me non lo chiamerei fastidio.” Tom gli lanciò un’occhiata che riassumeva bene cosa avrebbe fatto lui, se si fosse trovato al posto di Sören.
Trema, Mondo Magico.
Si appoggiò poi allo schienale della sedia per guardare assorto il via vai di maghi e streghe sulla via. “È il braccio.” Affermò senza mezzi termini. “È il nucleo di bacchetta che ha nel braccio ad averlo protetto.”
“Sì, ci avevamo pensato. Solo bisogna capire come. Idee?” Domandò e fu sollevato dal vederlo scuotere la testa.

Per fortuna. Se risolve un altro pezzo del puzzle poi chi lo regge…
Si riprese subito, comunque. “Ma lo saprò. Del resto, cosa ne sapete voi Guaritori di bacchette?” Interloquì con l’aria di un gatto a cui era stato presentata una fetta di lardo succulenta. “Potrebbe servirvi una consulenza esterna.”
“Che dovrà prima essere approvata dall’Ufficio Auror. Scommetto che papà non vede l’ora di vederti saltare dentro la fossa dei leoni. Ne sarà estasiato.”
“Non stavo parlando di me, ma di Stevens. Non sono così auto-referenziale.”
Al sorrise, sporgendosi per avvicinare il volto a quello dell’altro. “No?” Mormorò spostando la mano sotto il tavolo ad accarezzargli la gamba. L’altro inspirò, tendendosi istintivamente nella sua direzione. “Siamo sicuri che non useresti Rupert come ponte?”

“Come ho detto, non stiamo parlando di me … io sono solo un Apprendista.” Coprì la mano con la sua e si chinò per sfiorargli l’orecchio con le labbra. “Mi rimetto alle decisioni del mio mentore con umiltà. Come del resto hai fatto tu con Smethwyck, non è vero?”
Al era certo che la cameriera, venuta a ritirare il suo bicchiere, stesse cercando disperatamente di non guardare nella loro direzione. Preso dalla pietà cercò di raddrizzarsi, ma Tom gli strinse il polso e lo costrinse a rimanere in quella posizione, coinvolgendolo in un bacio che era una palese punizione per averlo stuzzicato.
Ah sì?
Gli tirò un pizzicotto violento nell’interno coscia e mentre l’altro si piegava discretamente in due, sorrise alla povera ragazza. “Me ne puoi portare un’altra?” Indicò il bicchiere. “E controllare i nostri ordini? Sono un po’ in ritardo…”
“Hai la vescica di un cammello.” Mormorò Tom con un lamento soffocato, dardeggiando la cameriera e facendola scappare a gambe levate.

“Fa caldo, devo integrare liquidi.” Stornò con una scrollata di spalle. “Comunque l’idea del consulto è buona … La accennerò ai miei capi.” Si stiracchiò, esponendo le spalle nude al sole. “Così almeno la pianterò di rischiare d’essere radiato dall’albo dei Guaritori ancor prima di entrarci.”
“Sì, sembri atterrito dalla prospettiva.”
“Sono spaventato dalla prospettiva che un’epidemia si diffonda nell’intero Mondo Magico su larga scala.” Gli fece eco occhieggiando la Gazzetta del profeta che una loro vicina di tavolo stava leggendo; in prima pagina, a caratteri cubitali, c’era una foto di suo padre fatta alla conferenza stampa. La notizia era stata trattata con prudenza, e si era quindi evitato fughe di informazione al sapor d’Apocalisse, tuttavia l’allerta era stata settata e se ci fossero stati altri casi, sarebbe stata solo questione di tempo prima che il panico dilagasse.

“C’è rischio di contagio solo tramite scontro diretto.” Gli fece notare. “Non sarebbe classificabile come epidemia.”
Al si mordicchiò le labbra. “Hanno detto scontro diretto per non allertare i cittadini, ma quello che devi leggere tra le righe è scambio di magia.”

“Ovvero?”
“Non dev’esserci per forza un duello nel senso classico del termine … Se il veicolo di trasmissione è la magia, il contagio può avvenire, per dire, anche quando un MagiParrucchiere usa un Recido per tagliarti i capelli.”  
Tom sgranò gli occhi e rimase in silenzio per qualche secondo, assimilando l’informazione. “Dannazione.” Mormorò. “È un’epidemia.”
“Già.”

Non ebbero tempo di approfondire il discorso che qualcosa o qualcuno entrò nella visuale di Tom che si raddrizzò e perse espressione, come sempre faceva quando qualcuno che non sapeva come gestire entrava nel suo territorio.
Al voltandosi capì subito chi l’aveva scatenata: Sören si stava facendo largo trai tavolini, scortato dal Magonò che aveva alle sue dipendenze, tal Milo. Dovette percepire l’occhiata insistente del cugino, perché dopo una lieve esitazione si avvicinò, facendo un cenno di saluto.
“Buongiorno Al, Thomas.” Salutò mentre l’altro tedesco era impegnato ad accendersi quello che aveva tutta l’aria di essere uno spinello.
… Okay. Sì, dall’odore lo è.
“Oh, ehi Sören!” Lo salutò con un sorriso, tirando un calcio al compagno perché desse un qualsivoglia segno di vita. “Come va?”  
“Bene.” Rispose con l’aria di non aver capito la domanda prima di voltarsi verso il Magonò. “Ricordate Milo?”
“No.” Replicò Tom in piena sgradevolezza, prima di accorgersi della sua occhiata e schiarirsi la voce. “Ma so chi è.”
“Ed è difficile non sapere chi siete voi!” Gli fece eco il biondo in un inglese fluido che non ricordava avesse avuto al castello dei Von Hohenheim. “Il cugino prodigo e …” Gli rivolse un’occhiata di apprezzamento che lo lusingò e mise in imbarazzo al tempo stesso. “… il ragazzino che mi ha quasi fatto bruciare vivo cinque anni fa. Bella canottiera a proposito. La vendono anche per adulti?”

Pure lui!
“Milo.” Lo redarguì Sören senza troppa convinzione. Era pallido alla luce diretta del sole, e faceva saettare lo sguardo da un lato all’altro del patio come se si aspettasse l’attacco di un Dissennatore da un momento all’altro. Inevitabilmente il suo istinto da Guaritore fece capolino. “Hai una brutta cera, stai…”
“Siete soli?” Lo interruppe brusco.

Scusa tanto se mi preoccupo! Merlino, se sei cugino di Tom…  
Decise che non aveva le forze né era dell’umore per mostrarsi offeso. “Sì, ci siamo presi un giorno libero e…” Si fermò quando vide che non sembrava neppure ascoltarlo. “Cerchi qualcuno?”
Perché da come ti stai guardando attorno, sembra tanto.
“No.” Fu veloce a rispondere. “Vi lascio al vostro pranzo. Buona giornata.”
“Beh, gli siamo proprio simpatici…” Considerò con una punta di dispiacere quando i due si furono allontanati; per quanto si fosse sentito a disagio, Sören era pur sempre cugino di Tom.

Vorrei che facessero amicizia. Invece si guardano come se nessuno dei due capisse la lingua in cui sta parlando l’altro.
È … triste.
“Ci ha a malapena notati.” Replicò Tom osservando il cugino prendere posto ad uno dei tavolini. Non sembrava turbato dalla freddezza dell’incontro ma, come al solito, era Tom: non bastava un’occhiata per decifrare quello che gli passava per la testa. 
“Sì, stava cercando qualcuno, ma…”
“Pensava fossimo in compagnia.” Ed era vero, realizzò Albus. Non cercava qualcuno in giro per il locale, lo cercava vicino a loro. “Di solito con chi pranzi durante la settimana?”

“Lily.” Realizzò. “Credeva che fosse con noi?” Fece una pausa. “E non vederla. Perché?”
“Non ne ho idea e non mi interessa.” Si scostò quando la cameriera arrivò con le ordinazioni, radunando i fascicoli e passandoglieli. “Ma se tua sorella scopre che il suo adorato Ren la sta evitando…”
Li fece scivolare nella borsa e sospirò. “Non è questione di sé, è una stramaledetta LeNa. È questione di quando.”
Tom ebbe l’accortezza di non commentare.  
 
“Potevamo unirci a loro.”
Milo lanciò l’idea aspettandosi una reazione che non arrivò; Sören infatti si limitò a scivolare sulla sedia e fissarsi le mani.

“Lo spilungone è tuo cugino, no?” Tentò ancora. Stavolta l’altro tese le labbra in una smorfia, ma non lasciò scappare una parola. “Non ti somiglia, è un figo da paura. Mi farei proprio una cosetta a tre con il suo ragazzo, quegli occhioni da Bambi mi arrapano un sacco … Peccato per il guardaroba, sembra abbia svaligiato l’armadio di una bambina di due anni.”
Sören continuò a fissarsi le mani con aria assente e no, per quanto apprezzasse la mancanza di reprimende o minacce, non era un buon segno.
Pure peggio del solito. Sembra di esser tornati ai primi tempi, quando cavargli una parola era grazia ricevuta.
Per questo quando se l’era visto arrivare alla locanda in quelle condizioni lo aveva subito trascinato fuori, sperando che il sole e la bella giornata potessero aiutare, ma così non era stato.
Quando arrivarono le loro ordinazioni fu quindi sorpreso di sentirlo parlare.
“Hai notizie su Johannes?”
“Dai miei contatti? No, ancora nulla …” Esitò: leggere tra le righe mentre si era fatti come cocuzze non era la cosa più semplice del mondo. “Vuoi che vada a sollecitare?”
“Sarebbe opportuno.” Allontanò il piatto. “Abbiamo prove certe che sia coinvolto nel caso. C’erano mozziconi delle sue sigarette sulla scena del crimine.”
Ah, ecco. Mistero risolto.

Senza offesa Camaleonte, ma ho passato quattro anni ad accudirlo per renderlo un essere umano funzionale. Me lo riduci così lasciando delle cicche?
Vaffanculo.
“Ci vado.” Convenne dando un grosso morso al suo panino. Cercò di essere positivo, perché uno dei due doveva non sembrare la rappresentazione vivente del Tristo Mietitore. “Ti sentirai meglio quando lo sbatterete al gabbio, vedrai.”
Sören finalmente lo guardò, ma a Milo parve di non avere più davanti quell’imbranato del suo datore di lavoro, ma qualcun altro, e quel qualcun altro lo stava fissando come se ogni emozione gli fosse stata lavata via dalla faccia. Dava i brividi.

“Ehm.” Pronunciò acutamente. “Sì?”
Sono troppo fatto per un remake dei dolori del giovane Werther!
“A quanto pare non sono in grado di vincere le mie paure.” Bevve un sorso della sua birra e fece un mezzo sorriso. Tremava negli angoli, e puzzava di crollo lontano un chilometro. “Non mi resta che eliminarle.”
Milo percepì tutto lo stordimento dato dalla droga evaporare, rimpiazzato da una lucidissima realizzazione.
Cazzo. Vuole ucciderlo.
 
****
 
Note:

Andrà tutto bene! Più o meno. Prima o poi. ;)

Ho notato un calo nelle recensioni, quindi spero davvero che questo capitolo sia migliore dei precedenti. Mi spiacerebbe dare capitoli loffi a gente che mi segue!
Qui la canzone che fa da apertura al capitolo. Era una vita che volevo utilizzarla.Qua invece quella che la chiude. Non mi ricordo chi me l’ha fatta conoscere, ma nel caso, grazie!
 
1. Clocaenog, Foresta: è una foresta di cento chilometri quadrati, soprattutto di conifere, piantata ai primi del novecento nel Galles. Qui per info (in inglese).
2. Scorpius usa un vecchio proverbio inglese ‘All work an no play makes Jack a dull boy’ che può essere tradotto sia come ‘noioso’ che ‘cattivo’. Da noi è famoso soprattutto per essere apparso in Shining di Kubrick. Qui per info.
  
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