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Autore: Kagome_86    24/05/2013    5 recensioni
Era una notte fin troppo tranquilla, per essere quella notte. L’indomani sarebbe finito tutto, nel bene o nel male. Una delle due parti sarebbe stata sconfitta. Dalla loro avevano il numero, i Nascosti che avevano deciso di schierarsi con il Conclave. Ma non avevano la forza demoniaca né tantomeno la crudeltà: continuavano a pensare a quelli che avevano voltato le spalle al Conclave, dichiarandogli guerra, come a dei fratelli da salvare e, alla fine, quello era il loro punto debole.
Simon e Isabelle si preparano ad affrontare l'ultima notte prima della grande battaglia. Uniti, innamorati, pronti ad essere separati dalla morte. Ma lo sono davvero?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Maryse Lightwood, Simon Lewis
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
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Something Stupid

A Rò, che ha letto questa "cosa" pezzetto per pezzetto incoraggiandomi ad andare avanti.

Era una notte fin troppo tranquilla, per essere quella notte. L’indomani sarebbe finito tutto, nel bene o nel male. Una delle due parti sarebbe stata sconfitta. Dalla loro avevano il numero, i Nascosti che avevano deciso di schierarsi con il Conclave. Ma non avevano la forza demoniaca né tantomeno la crudeltà: continuavano a pensare a quelli che avevano voltato le spalle al Conclave, dichiarandogli guerra, come a dei fratelli da salvare e, alla fine, quello era il loro punto debole.
L’amore sarebbe stato la loro rovina, proprio come gli aveva sempre insegnato Valentine Morgenstern, l’unico padre che avesse mai conosciuto.

* * *

Aveva bussato alla porta di Magnus perché non sapeva dove altro andare. Tutti i suoi amici, quelli che sapevano dell’importanza di quella notte, erano con i loro cari. Lui era solo e non sapeva da chi andare. Tornare a casa non era possibile e poi non voleva allarmare sua sorella: Rebecca avrebbe capito subito che c’era qualcosa che non andava. Clary stava trascorrendo del tempo con Jocelyn e Luke, e anche se non fosse stata con loro non era con lui che avrebbe scelto di trascorrere quella che avrebbe potuto essere l’ultima notte della sua vita. Isabelle era con i suoi fratelli e sua madre all’Istituto. Jordan con Maia all’appartamento, dove si era sentito un terzo incomodo e aveva deciso di lasciarli soli. Almeno Magnus l’avrebbe capito e si sarebbero fatti un po’ di compagnia.
A dire la verità pensava di incappare in una festa grandiosa all’appartamento, e invece aveva trovato lo Stregone accomodato su una poltrona in velluto rosso con il Presidente Miao acciambellato sulle gambe, del vino fatato in una mano e il telecomando del televisore nell’altra. Un’occhiata allo schermo gli confermò quel che già sospettava: Magnus stava guardando per l’ennesima volta le repliche di Project Runway. Non si era neanche alzato per aprirgli la porta, aveva fatto giusto un cenno con la mano che teneva il telecomando per dirgli di accomodarsi sull’altra poltrona e gli aveva detto tre parole in croce durante la pubblicità.
« Dovrai accontentarti della stanza di Alec. Le altre sono in ristrutturazione, » poi era tornato a guardare la televisione.
Considerato il pessimo umore di Magnus era meglio che Simon stesse zitto e annuisse, anche perché non riusciva a trovare una risposta sarcastica adeguata. Probabilmente Magnus aveva litigato con Alec. Di nuovo.
« Secondo te ho sbagliato a chiedergli di passare questa notte con me? » gli chiese durante l’ennesima pausa pubblicitaria. Simon non riuscì neanche ad aprire bocca, perché Magnus continuò a parlare. « No, non rispondere. Sei qui da me e non con Isabelle. È ovvio che io abbia sbagliato. »
Simon sussultò alla menzione di Izzy. Erano usciti insieme. Si erano baciati un bel po’ di volte ed avevano persino dormito insieme. Ma non avevano ancora chiarito la loro situazione, e Dio sapeva che quella era una delle cose che più lo faceva impazzire: non averle mai detto apertamente e chiaramente quello che provava per lei. E presto sarebbe potuto essere troppo tardi. Si alzò in piedi, perché era quello che faceva quando era nervoso: si muoveva fino a trovare pace. Ma in quel momento c’era anche una seconda motivazione al suo improvviso bisogno di jogging. Voleva allontanarsi dai pensieri neri di Magnus. L’atmosfera stava facendosi pesante.
« Se hai fame c’è del sangue nel frigo. Da quando bazzichi qui intorno ne tengo due o tre bottiglie di riserva, giusto in caso tu decida di comparire senza preavviso. Ci tengo al mio gatto. »
« Io non luccico come una monetina al sole, ma comunque grazie, Magnus. Credo che ne approfitterò. » (1)
« Conosci Twilight? » chiese Magnus, cogliendo il riferimento.
« Ero un liceale, prima di tutto questo, » rispose indicandosi. « Potrei far finta di non sapere cosa sia solo se negli ultimi due anni fossi vissuto su un’isola deserta. » (2)
Magnus ridacchiò, uscendo per un attimo dal suo stato di apatia. « Ad ogni modo, prego, Seamus. E non sporcare le coperte, non c’è niente che potrebbe mandare in paranoia il mio Nephilim più di un copriletto macchiato di sangue. »
« Ah. Dannazione. Qui muore il mio piano di ridecorare la stanza con pois rosso sangue! » rise, mentre si dirigeva verso la cucina.

* * *

La camera di Alec sembrava un museo in tutto e per tutto. Tutto in perfetto ordine, tutto perfettamente pulito. Tutto il contrario di quella fucsia e nera e incasinatissima che Izzy aveva all’Istituto. Non che lui ci fosse mai entrato, ma Clary ogni tanto gliene parlava, stupendosi di come Isabelle potesse aver avuto la stessa educazione di Alec e Jace. Quando si fermava a pensarci qualche secondo di più si rabbuiava, e Simon sapeva perfettamente che era per colpa di suo padre, dell’uomo con cui condivideva metà del patrimonio genetico. Dell’uomo che aveva cresciuto Jace come un figlio e poi l’aveva barbaramente ucciso trafiggendogli il petto con una spada. In quei momenti Simon poteva soltanto stare a guardare Clary, abbracciarla e sperare che passasse presto.
Izzy era tutto il contrario di Clary. Tendeva a tenersi dentro le cose che la facevano soffrire, e voleva sempre mostrare di sé l’immagine della ragazza che non aveva bisogno di nessuno. E a lui non dispiaceva essere quello che aveva bisogno di lei, o meglio, a lui non dispiaceva essere quello che doveva dirlo ad alta voce, perché se c’era una cosa di cui Simon era sicuro era che Isabelle aveva bisogno di lui tanto quanto lui ne aveva di lei.
Le parole di Magnus lo avevano colpito più di quanto volesse lasciare intendere, ma il fatto era che lui voleva passare quella notte con Isabelle, perché non sapeva se ce ne sarebbero state altre. Scolò quello che rimaneva del sangue in bottiglia, prese il telefono dalla tasca dei jeans e le mandò un messaggio per avvisarla di dove avrebbe potuto trovarlo. Stava per rimettere via il cellulare, quando il desiderio di contattare Rebecca e sentirla per quella che poteva essere l’ultima volta lo aveva colpito, prepotente.
Schiacciò il tasto per la composizione rapida del numero di sua sorella. Il numero tre. Al numero uno, quello che fino a poco tempo prima era stato di Clary, ora c’era Isabelle. Clary era scivolata al quattro. Nonostante tutto quello che era successo, Simon non se la era sentita di togliere il numero di casa dal numero due. Nonostante tutto quello che era successo, non riusciva a non chiamare casa la villetta in cui era cresciuto.
Il telefono di Rebecca squillava a vuoto per un po’, poi la chiamata veniva trasferita alla segreteria. Provò una, due, tre, cinque volte. Alla fine Simon si rassegnò al fatto che sua sorella non potesse – o non volesse – rispondere. Alla sesta chiamata si arrese a lasciare un messaggio in segreteria.
« Reb, ti voglio bene. Stai vicina alla mamma, è un periodo difficile. Dalle un bacio da parte mia e dille - »
Il bip che segnalava il termine del tempo a sua disposizione per parlare gli risparmiò la fatica di scegliere cosa dire a sua madre. “Scusa”? “Perdonami”? Ma per cosa si sarebbe dovuto scusare? Per cosa doveva chiedere perdono? Lui le voleva bene e gliene avrebbe sempre voluto, ma non sarebbe mai più stato il ragazzo che era suo figlio. Quel ragazzo era morto, letteralmente, e lui era ciò che ne restava. Stessa faccia, stesso carattere, stessi atteggiamenti, ma era un dannato, e non poteva neanche mettere piede in casa sua.
Si sdraiò sul letto e fissò il soffitto come se nascondesse chissà quale verità, ma a lui non dava nessuna risposta. Eppure nei polpettoni russi che Luke qualche volta aveva condiviso – per non dire obbligato a vedere – con lui e Clary c’era sempre quel momento in cui il protagonista si sdraiava sul letto a guardare… ah no, aveva capito cos’era che non andava. Non era il letto e non era il soffitto. Era un prato in mezzo al nulla con un cielo stellato che si perdeva nell’infinito. Possibile che in quei film non piovesse mai? Persino in Guerre Stellari c’erano piogge di meteoriti… Comunque, il soffitto non funzionava e il prato in mezzo al nulla non era proprio a portata di mano.
Si girò su un fianco e i suoi occhi caddero sulla foto che Alec teneva sul comodino. C’erano Alec e i suoi fratelli. Jace, Max e Izzy.
Izzy… sorrideva. Sembrava così rilassata in quella foto. Probabilmente Simon non l’aveva mai vista ridere così. Del resto, da quando la conosceva non è che avesse avuto molti motivi per farlo.
Prima c’era stato il piccolo Max, la cui morte era stata talmente insensata che ancora non riusciva a rendersene conto. Poi suo padre era rimasto a Idris ed Izzy si era convinta che Robert stesse peggio per la morte della sua amante che per quella del figlio. Simon sperava che prima o poi ad Izzy quella convinzione sarebbe passata, ma la passione con cui lei difendeva le sue idee era una delle cose che amava di lei. Una delle cose stupide che amava di lei.
E dopo, nello stesso periodo in cui cercava di lasciarsi alle spalle la morte del fratellino, era scomparso Jace. Con lui erano stati più fortunati, era tornato sano e salvo e di quello Simon si sentiva un po’ artefice. Se non fosse stato per lui… ma in fondo la ragione per cui era stato lì per farlo era che Jace l’aveva salvato sulla nave e Clary gli aveva messo quel marchio per cui l’angelo Raziel non aveva potuto farlo fuori a vista.
Comunque Jace si era salvato ancora una volta. E l’indomani, a distanza di neanche due mesi dall’ultima guerra, sarebbero dovuti di nuovo scendere in campo contro altri Shadowhunters.
No. Izzy non aveva davvero molti motivi per sorridere, in quel periodo, ma Simon voleva trovarne uno per poterla vedere brillare come in quella foto almeno una volta.
Stava ancora accarezzando il viso di Isabelle, quando il campanello di casa suonò, annunciando un visitatore.

* * *

Izzy era seduta sul divano con le gambe distese di fronte a sé. Il cellulare era tornato in tasca, dopo aver letto il messaggio di Simon che la invitava a raggiungerlo all’appartamento di Magnus, e aveva tra le mani la frusta d’oro che aveva appena finito di pulire. Preparare le armi per la battaglia era ciò che doveva fare un buon Cacciatore.
Nelle ultime settimane Alec e Jace avevano messo a punto nuove tecniche di combattimento. Finora avevano sempre combattuto per uccidere, i demoni, ma quelli che avrebbero avuto di fronte l’indomani erano Shadowhunters come loro. L’armata nera di Sebastian. Se ci pensava si sentiva un’assassina, ma non era lei che si era schierata contro il suo stesso sangue. Erano in guerra. Guerra. G.U.E.R.R.A.
« Ehi, Iz! Stai facendo dei buchi nel tappeto! »
La voce di Alec che la riprendeva con un tono tra il divertito e l’annoiato la fece sorridere, prima di rendersi conto che effettivamente aveva puntato i piedi così forte che i tacchi dei suoi stivali stavano davvero strappando il tappeto. Nel frattempo Alec continuava a lucidare le spade, affilare gli shuriken, rimproverare Jace per il disastro che stava combinando. Sembrava una sera come tante altre lì all’Istituto.
Ma non lo era! Quella poteva essere la loro ultima notte e loro erano lì a sprecarla in quell’assoluta finzione di normalità. Era così ingiusto che invece volesse soltanto passare un po’ di tempo con Simon?
Chissà perché lei e i suoi fratelli si erano accordati per trascorrere la notte all’Istituto. Di sicuro anche loro smaniavano dalla voglia di stare con le persone che amavano, non poteva essere altrimenti. Alec aveva persino litigato con Magnus per rispettare l’impegno preso, ma si vedeva chiaramente che era di pessimo umore per quella scelta e per l’idea di aver deluso Magnus ancora una volta.
Il rumore di una sedia che strusciava sul parquet le ricordò esattamente perché lei, Alec e Jace erano lì. Maryse Lightwood. Sua madre. La donna più forte che conoscesse e che non era crollata davanti a niente. La donna che aveva messo al mondo lei, Alec e Max, che aveva adottato Jace e l’aveva cresciuto amandolo come se fosse stato suo. La donna che aveva perso un figlio ed aveva continuato a guardare avanti, nonostante tutto. La donna tradita da suo marito che aveva continuato a stargli accanto. Quella donna che amavano e non potevano e non volevano lasciare sola durante quella notte.
Izzy vide sua madre spostarsi in modo che tutti e tre potessero guardarla negli occhi. La vide osservare lei e i suoi fratelli, con gli occhi che si addolcivano mentre passavano dall’uno all’altro e si fermavano su di lei.
« Basta così, ragazzi. Non so di chi sia stata l’idea di rimanere qui a farmi da balie, ma non lascerò che trascorriate questa notte qui all’Istituto. Sono in grado di badare a me stessa, ho Church a farmi compagnia e sarò impegnata ad accogliere gli Shadowhunters in arrivo all’ultimo minuto. Voi dovreste stare con le persone che amate, non qui con me. Siamo Nephilim, addestrati a combattere e ad affrontare la morte, ma siamo anche esseri umani e abbiamo bisogno di amore e conforto. Perciò, entro un’ora vi voglio fuori di qui. »

* * *

Jace si riprese immediatamente dallo stupore che aveva colpito tutti e tre. Si alzò e si portò di fronte alla madre per stringerla in un abbraccio che colse la donna del tutto impreparata.
« Grazie, mamma. » Era la prima volta che la chiamava così, ma sentiva che doveva farlo almeno una volta nella sua vita. Non aveva mai chiamato nessuno in quel modo, perché non aveva mai avuto una madre, o almeno non si era mai permesso di avvicinarsi tanto a qualcuno. Ma Maryse era sua madre. Ed era una verità che niente, neanche il fatto che il suo sangue fosse quello degli Herondale, poteva cambiare. « Grazie per quello che hai fatto per me in questi anni. Grazie. »
« Jace, non devi ringraziarmi, lo sai che ti considero mio figlio da sempre. Ho fatto per te tutto quello che ho fatto per Alexander e Isabelle. Non potrei amarti di più neanche se fossi carne della mia carne. Ed ora vai, prima che rovini la mia immagine di donna inflessibile mettendomi a piangere di fronte a tutti per quello che mi hai detto! »
Jace la strinse ancora un po’, poi salutò Alec, senza parole e senza abbracci, sfiorando le rune da parabatai che entrambi avevano vicino al cuore. A Izzy dedicò solo un cenno della testa, sapeva perfettamente che la sorella se la sarebbe presa molto di più se il saluto fosse stato più sentimentale.
Senza voltarsi, uscì dalla biblioteca, chiudendosi la porta alle spalle.

* * *

Izzy era convinta che non dovessero comportarsi come se l’indomani avrebbero perso qualcuno. Era di cattivo auspicio.
Ma l’idea che quella potesse essere l’ultima notte per lei e Simon non riusciva ad abbandonarla. Si alzò in piedi, nello stesso momento in cui anche Alec lo faceva.
I loro sguardi si incontrarono, e Izzy fissò il fratello con aria divertita per qualche istante, prima di abbracciarlo. Alec non la abbracciava dalla notte in cui era morto Max, e quella consapevolezza non contribuiva a tranquillizzarla.
« Ave atque vale » le disse, e lei quasi si sciolse in lacrime a quelle parole.
Lo strinse più forte. « Non provare ad abbandonarmi anche tu » sussurrò, un attimo prima di lasciarlo andare per abbracciare la madre.
Mentre usciva dalla biblioteca sentì sua madre dire qualcosa ad Alec. Qualcosa che tradiva quanto lei fosse la donna che Izzy non sarebbe mai stata.
« Convinci tua sorella a chiamare vostro padre. Se dovesse succedergli qualcosa - » si interruppe e sospirò. « Se dovesse succedergli qualcosa se ne pentirebbe. »
Non poteva vederli, ma era sicura che Alec avesse annuito, un attimo prima di stringere la madre in un abbraccio, perché Alec era così: ligio alle regole e al dovere, e sempre pronto a sacrificarsi per gli altri.
Era quello per cui temeva di più, perché non aveva un minimo di istinto di conservazione. Qualunque cosa facesse, ci metteva corpo, cuore e anima.
Si asciugò la lacrima che le scivolava lungo la guancia proprio un secondo prima che Alec uscisse dalla biblioteca. Gli sorrise, per non farlo preoccupare, anche se il fratello sembrava sempre sapere quello che provava davvero.
« Iz - »
Lo fermò con un gesto della mano.
« Non sprecare fiato, non lo farò. »
« Iz, è nostro padre. »
« Lo era anche quando è morto Max. E dov’era quando lo piangevamo? A piangere sui resti della sua sgualdrina! Robert Lightwood non è mio padre, non più di quanto Stephen Herondale sia il padre di Jace! »
« Sei ingiusta. Papà ci ha sempre voluto bene e non ci ha mai fatto mancare niente, Iz. I problemi tra lui e la mamma… sono problemi tra lui e la mamma. »
« È questo che ti ha chiesto di dirmi per convincermi? Perché probabilmente » alzò la voce in modo che la madre la sentisse chiaramente « ci avrebbe dovuto pensare quando anni fa mi ha scaricato addosso questo peso. Ad ogni modo, io non cercherò di contattarlo. »
« Ok. Fai pure. Io sì. Mi aspetti o vai da sola? »
« Come fai a sapere che dobbiamo andare nello stesso posto? »
« Il tuo ragazzo è prevedibile… e comunque me l’hai appena confermato tu » disse, con un sorriso.
« Vado da sola. Se restassi qui troveresti il modo di farmi parlare con papà anche se non voglio. »
Si voltò velocemente, in modo che i lunghi capelli corvini ondeggiassero nell’aria prima di ricaderle sulle spalle, e prima che Alec si accorgesse che era arrossita, quando aveva dato a Simon il titolo di “il tuo ragazzo”.
Si preparò in fretta e uscì altrettanto in fretta dall’Istituto. Aveva bisogno di sentirsi una ragazza da proteggere, anziché una protettrice, per una volta. Aveva bisogno di Simon.

* * *

Si alzò per andare ad aprire la porta quando – alla terza volta che il campanello suonava – fu chiaro che Magnus non l’avrebbe fatto.
La maniglia gli rimase quasi in mano per la forza con cui la strinse quando scoprì chi era stato a suonare. La fissò con insistenza, prima di riuscire a formulare un pensiero coerente, e comunque quello che gli uscì dalla bocca era tutto il contrario di quello che le avrebbe voluto dire.
« Che ci fai qui? » le chiese. L’ennesima cosa stupida che faceva o diceva quella sera.
Per fortuna Izzy non parve sentirlo – o, se l’aveva fatto, aveva deciso di ignorarlo nel nome della sua stupidità – e invece di rispondergli gli circondò il collo con le braccia e si sollevò sulle punte per baciarlo. Quando le labbra di lei si posarono contro le sue, capì come si doveva essere sentito Anakin Skywalker quando aveva preso la decisione di passare al Lato Oscuro della Forza. Avrebbe fatto di tutto per tenere Izzy al sicuro, tra le sue braccia, e non doverla mandare a combattere il giorno dopo. Ma sapeva che la guerriera in lei non avrebbe gradito quella sua interferenza.
Simon lasciò andare la porta, per stringere la vita della ragazza che aveva desiderato per tutta la sera senza osare sperare che si sarebbe fatta viva. La sollevò un po’ da terra, per permetterle di stare più comoda mentre si baciavano. Chiuse la porta con un piede, dopo essere arretrato quel tanto che bastava per non rimanerci chiuso in mezzo, e poi dedicò tutta la sua attenzione a Isabelle e a quel bacio che aveva tanto aspettato, quella sera.
Persero la cognizione del tempo, lì nell’ingresso della casa di Magnus con le labbra l’uno su quelle dell’altra, e fu Simon a rendersi conto che Izzy gli stava svenendo tra le braccia per la mancanza di aria. Mise fine al bacio e lasciò che Isabelle tornasse a poggiare i piedi a terra, ma la tenne stretta contro il suo petto fino a che il respiro di non lei non si fu calmato. Mentre la stringeva e le accarezzava la schiena, come se avesse bisogno di accertarsi che lei fosse davvero lì, con lui, e che la sua mente non gli stesse giocando brutti scherzi, si rese conto che lei non aveva portato borse con sé e che gli abiti che indossava erano quelli della battaglia. Non sarebbe tornata all’Istituto, quella notte. Sarebbe rimasta lì con lui.
Il pensiero gli riempì il cuore di una tale gioia che per un momento Simon pensò che potesse ricominciare a battere in una specie di miracolo. I ciechi tornavano a vedere, i lebbrosi venivano sanati e i vampiri tornavano umani. E sarebbe stato soltanto merito dell’amore che provava per quella meravigliosa Cacciatrice che in quel momento era tra le sue braccia.
Quando fu sicuro che Izzy non sarebbe più crollata sul pavimento si azzardò a spostare una mano sotto il mento di lei per sollevarle il viso e guardarla negli occhi.
« Stai bene? » le chiese. Lei annuì, mentre continuava a guardarlo negli occhi. Aveva uno sguardo così fiero, così determinato. I suoi occhi erano neri come una notte di tempesta e – da quando era così sdolcinato? Aveva negli occhi la stessa determinazione che Amidala aveva quando si era presentata davanti al Senato con una mozione di sfiducia per il cancelliere Valorum. O la stessa determinazione di Leila quando aveva baciato Han Solo per la prima volta, specificandogli che Luke era suo fratello. D’altra parte quelle due erano madre e figlia…
« A cosa stai pensando? »
« A Leila Organa, » gli sfuggì dalle labbra prima di potersi fermare. Si rese conto di quanto potesse suonare strano dire a una ragazza che stava pensando a un’altra ragazza mentre la stava baciando, anche se era il personaggio di un film e del tutto inesistente e stava pensando a lei solo perché lo sguardo di Izzy gliel’aveva ricordata.
« Star Wars, di nuovo. Davvero, Simon? » Izzy lo guardava in modo scettico, e dal tono della sua voce era chiaro che si stesse divertendo a prenderlo in giro. Gli passò le mani intorno alla vita, prima di parlare di nuovo, contro il suo petto. « Andiamo in camera, » gli disse, e il calore del suo respiro gli riscaldò la pelle attraverso la t-shirt di cotone che recitava “TopGeek”. (3)
Simon fece passare le braccia sotto quelle di lei, la sollevò per farle poggiare i piedi sui suoi e poi si incamminò lungo il corridoio muovendosi in quello che poteva benissimo chiamare “il passo del pinguino”. Non gli importava di sembrare goffo, in quel momento. In quel momento aveva bisogno di stare vicino a Izzy e non voleva staccarsi da lei neanche per i dieci metri che li separavano dalla stanza. E a Isabelle non sembrava dispiacere.
« Siamo arrivati, » le disse, quando furono sulla porta della stanza, e lei per tutta risposta gli posò un bacio leggero sulle labbra, accarezzandogli la guancia dove non sarebbe mai cresciuta la barba.
« Non fa niente, te l’avrei fatta radere tutti i giorni. Non mi piacciono le facce ruvide. »
« Come fai? »
« A fare cosa? »
« A sapere sempre quello che ho in testa. » (4)
Izzy sorrise, senza rispondergli, scese dai suoi piedi e si guardò intorno.
« Ma questa - »
« È la stanza di Alec, sì, » la interruppe. « Magnus ha detto che potevo e dovevo occupare questa, visto che le altre sono in ristrutturazione. »
« Fondamentalmente non capisco perché abbia ancora una sua stanza, visto che quando è qui non la usa. »
Izzy sorrise ancora. Ma di nuovo il sorriso non arrivò agli occhi. Non li raggiungeva mai, e di questo Simon era tremendamente dispiaciuto. Voleva assolutamente fare qualcosa che riuscisse a farla sorridere davvero. Con le labbra, con gli occhi, ma soprattutto con il cuore.
Si sedette sul letto, con la faccia rivolta verso la porta e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Isabelle si avvicinò a lui e gli poggiò una mano sulla testa. Simon alzò lo sguardo e vide che era preoccupata.
« A che pensi? » gli chiese.
« A qualcosa di stupido che ti faccia sorridere, non lo fai abbastanza. »
« Ma se l’ho appena fatto! »
« I tuoi sorrisi non raggiungono i tuoi occhi, Izzy. Sorridi con le labbra, ma non sorridi mai davvero. Io vorrei vederti sorridere così, » disse, mentre prendeva la cornice sul comodino e gliela mostrava.
Isabelle prese in mano la foto, stirò le labbra, quasi a volerlo rassicurare sul fatto che stava bene, poi si sedette sul letto, in modo che lui non potesse vederle il viso.
Simon si alzò di scatto, con la velocità che solo degli esseri non totalmente umani potevano avere, e si inginocchiò di fronte a Izzy, che piangeva in silenzio, come ormai era bravissima a fare.
« Sono proprio uno stupido, » le disse, accarezzandole il viso con il dorso della mano. « Volevo farti sorridere e invece ti ho fatta piangere. »
La mano di Isabelle strinse la sua. « Non sei uno stupido, Simon. Tutta questa situazione, tutta questa paura che ho non sono colpa tua. Ho già perso un fratello in questa guerra, un fratello a cui non avevo mai dimostrato abbastanza affetto, un fratello che probabilmente è morto pensando che io e Alec lo considerassimo niente più che una palla al piede, una seccatura. Ho paura che domani si ripeta una tragedia simile. Ho paura di perdere Alec, ho paura di perdere Jace. Ho paura di perdere mia madre e ho paura persino per mio padre. Ma la persona per cui ho più paura sei tu, Simon. Ho paura di perdere te. Io… ho bisogno di te. »
Dire che non se l’aspettava era veramente poco. Izzy era lì perché finalmente aveva ammesso con se stessa di avere bisogno di lui, non soltanto perché le aveva mandato quel messaggio cretino in cui le faceva capire quanto gli mancasse.
Le baciò i capelli. La tempia. Scese verso la guancia e, quando finalmente arrivò alle labbra, si rese conto che se fosse morto in quell’istante per mano di Isabelle sarebbe comunque morto felice.
Si ritrovarono distesi sul letto, lui con la maglietta sollevata fino alle ascelle e le mani sotto la canottiera di lei, lei con le mani allacciate dietro il collo di lui e le caviglie strette intorno alle sue cosce, quando Simon si costrinse a dare la pausa “aria” a Isabelle.
« L’ossigeno è sopravvalutato, » gli disse, con il respiro affannato e il battito del cuore affrettato.
« Per me sì, per te un po’ meno, » la prese in giro, sfilandosi completamente la maglietta prima di tornare con le labbra sulle sue.
Dopo qualche minuto – quantificare il tempo non era importante - la porta sbatté contro la parete. Simon se ne accorse, ma il suo corpo non dava segni di volersi fermare a dare importanza a quel rumore, né la sua mente voleva mettersi ad analizzare il fatto che quando erano entrati avevano chiuso bene la porta dietro le loro spalle. Almeno fino al momento in cui Izzy non lo spinse via e si tirò giù la canottiera. Fissava qualcosa che non erano i suoi occhi. Simon seguì il suo sguardo e vide… Alec.
« Cos’è, non usa più bussare? » gli chiese Isabelle, lo sguardo torvo e la voce imperiosa. Aveva concesso ad Alec il ricoprirsi e lo smettere di baciarlo, ma sembrava aver terminato lì le gentilezze per lui.
« È la mia camera! » balbettò Alec in risposta.
« Non mi pare ti serva a molto, quando sei qui! » controbatté Isabelle.
« Punto a suo favore, Alec. » La voce di Magnus, chiaramente divertita dalla situazione, proveniva dal salotto.
« È un vampiro! » ribatté lui, ignorando Magnus.
Simon stava quasi per sentirsi offeso, quando Isabelle parlo di nuovo: « Il tuo ragazzo è uno Stregone ed è un ragazzo, e non mi pare che qualcuno si sia mai permesso di fartelo pesare. »
« Due a zero per lei! »
«Oh, taci Magnus, più tardi me la paghi! »
« Sono proprio curioso di scoprire come. L’ultima volta le tue punizioni si sono rivelate davvero piacevoli. »
« Magnus! » Urlarono in coro tutti e tre. Alec era avvampato e si affrettò ad uscire dalla stanza, richiudendo la porta alle sue spalle.
Simon sembrò riscuotersi dallo stato di shock in cui era caduto e si sedette sui suoi talloni, quando le gambe di Izzy lo lasciarono libero di farlo. Scoppiò a ridere, mentre lei si alzava per andare a chiudere la porta a chiave e faceva ondeggiare di proposito i fianchi fasciati dai pantaloni di pelle nera.
« Dove eravamo rimasti? » gli chiese lei, una volta che fu di nuovo sul letto.
« Anch’io ho paura di perderti, » confessò all’improvviso Simon, provando la necessità di essere completamente sincero. « Lo sai che ho bisogno di te, Iz. Quando mi sono trasformato ho avuto paura di perdere la mia umanità, ma tu eri lì a ricordarmi che potevo essere ancora me stesso. »
« Non ero l’unica, e penso che quando ti sei trasformato tu non mi vedessi neanche. »
« Ti vedevo. Avevo paura di te e fuggivo da te. »
« Perché? »
« Perché pensavo che fossi tu quella che non mi vedeva e perché dentro di me ho sempre saputo che potevi diventare importante. Ci ho messo solo un sacco di tempo per capirlo e nel frattempo devo averti fatta soffrire in più di un modo. Questa è la cosa per cui sono più dispiaciuto. »
Izzy prese il suo mento tra le mani e gli sfiorò le labbra con le sue.
« Voglio fare l’amore con te, Simon. »
Era seria, la sua Isabelle. Gli occhi pieni di determinazione, come quando scendeva in battaglia, ma anche di una luce che spesso cercava di soffocare. La luce di qualcuno a cui la vita piaceva, a cui importava vivere.
Riusciva a specchiarsi in quei laghi neri e l’ultima volta che mise a fuoco il suo riflesso si vide annuire a quella richiesta della ragazza che amava. Poi, per lui, il mondo si ridusse ad Isabelle.
Isabelle che lo baciava, Isabelle che gli stringeva le braccia attorno al collo. Gli occhi di Isabelle, la sua bocca, la sua pelle morbida e calda contro la sua. Isabelle che gli faceva battere il cuore anche se il suo cuore era fermo da tempo.
Isabelle. Isabelle. Isabelle.
Il suo respiro affannato, le sue gambe forti strette intorno a lui, le dita di lei intrecciate alle sue.

* * *

Dopo un po’ di tempo – Simon non sapeva quantificarlo – Izzy dormiva stretta tra le sue braccia, il respiro tranquillo, la schiena appoggiata al suo petto, le mani e le gambe intrecciate alle sue.
Se fosse morto in quel momento – morto morto… morto definitivamente – sarebbe morto felice. Probabilmente l’aveva già pensato in passato, ma morire con Isabelle stretta al petto era il miglior modo in cui poteva pensare di andarsene. Forse per lei però il risveglio non sarebbe stato molto piacevole, in quel caso.
Se solo fosse riuscito a vedere almeno una volta quel sorriso non gli sarebbe davvero più importato di restare in vita. Non chiedeva nient’altro a Dio. Solo un sorriso vero e sincero della ragazza che amava.
Perché sì, lui la amava, ma a lei l’aveva mai detto?
Isabelle si mosse tra le sue braccia, e Simon si trovò quei fari neri puntati sul viso.
« Ho qualcosa di stupido da dirti, » esclamò, prima di poter avere ripensamenti.
« Qualcosa tipo? » chiese lei, con una curiosità e un’aria rilassata che era difficile vedere su quel viso.
« Tipo ‘Ti Amo’. »
Il sorriso sulle labbra di Izzy era finalmente accompagnato da una gioia negli occhi così profonda di cui Simon era intensamente orgoglioso di essere responsabile.
Era un sorriso vero. Ed era tutto per lui. E lui non l’avrebbe mai dimenticato.

***

NOTE

(1) - Twilight è uscito nel 2005 e le ragazzine americane ne hanno subito fatto un fenomeno. La storia è ambientata nel 2007 (come tutta la serie The Mortal Instruments) e Simon, che come puntualizza era un liceale, sicuramente sapeva cosa fosse. Non mi stupirebbe che lo sapesse anche Magnus.

(2) - La battuta ricalca una scena di Arrow, il telefilm con Stephen Amell (*ç*) nei panni del non-tanto-eroico Freccia Verde. In particolare la scena a cui faccio riferimento è nella prima puntata e ha come protagonisti Oliver Queen e Tommy Merlyn. Sebbene il telefilm non sia uscito che nel 2012, è verosimile che Simon conoscesse il fumetto. E visto che le basi della storia sono le stesse...

(3) - La maglietta in questione potete trovarla su Qwertee, e la scritta è stata fatta con la grafica di Top Gun. Non so perché mi sembrava qualcosa che Simon avrebbe indossato.

(4) - Questa è autoreferenzialità. Nel senso che nella mia testa Cecily Herondale capisce al volo quello che passa nella testa di chi le sta vicino (specialmente in quella di Gabriel Lightwood) e Izzy le somiglia molto, in questo senso.

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ISPIRAZIONE

I fattori ispiranti questa storia sono chiaramente almeno due: l'immagine che potete parzialmente vedere nel banner (e che trovate, completa di snippet, sul blog di Cassandra Clare. L'art è opera di Cassandra Jean) e Something Stupid, nella versione cantata da Robbie Williams e Nicole Kidman. Ci sono poi, ovviamente, tutti quelli che trovate nelle note qui sopra.

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RINGRAZIAMENTI

Ci sono un buon numero di persone che devo ringraziare. A parte Rò, che ho ringraziato in apertura, ci sono Liz, Susi e Bea. E poi ci sono tutte le persone che ogni giorno mi dimostrano il loro affetto qui su internet e nella vita vera, per le quali non potrò mai smettere di ringraziare quel Qualcuno che le ha messe sulla mia strada.

Spero che la storia vi sia piaciuta :)
   
 
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