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Autore: lady hawke    24/05/2013    6 recensioni
Meg è cresciuta a Pontelalungo, e da quella piccola città ha visto molte cose. Ha conosciuto la paura di vivere vicino alla tana di un drago temibile, ha visto una battaglia immensa, e ha visto un Re nanico riprendersi il suo regno. Poche sono le cose che la spaventano, tante sono invece quelle che vuole conoscere. Ma nessuno nasce privo di paure, e viene sempre il momento di affrontarle.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: Per merito o colpa di Maiwe e Charme mi ritrovo a proporvi questa shot apparentemente senza capo nè coda. La realtà è che il finale de Lo Hobbit ci pare ingiustamente crudele nei riguardi dei Durin, e a lungo ci siamo interrogate sulla possibilità che Thorin riuscisse a riprenderselo per davvero lui, quel trono lì, e che riuscisse, magari, pure ad essere un pochino felice. Da lì è nato un universo di storie che per ora albergano solo nel nostro cervello, ma a cui ho voluto cominciare a dar corpo questa sera, con una piccola shot molto semplice, che spero vi risulti comprensibile e gradita. Tutti i personaggi appartengono a Tolkien tranne quelli che io stessa ho inventato, come Meg, e se me li toccate mordo!
Quanto al resto, spero vi piacerà!

Immagine: http://browse.deviantart.com/art/Thunderstorm-I-167076380Thunderstorm;
Canzone: http://www.youtube.com/watch?v=QUypt2nvorM Accidentally in love;
Prompt: Capogiro;
Citazione: “Solo coloro che rischiano di andare troppo lontano posso scoprire quanto lontano si può andare.” [Thomas Stearns Eliot];
Fandom: The Hobbit.
 
Meg di Dale a suo modo non era una giovane timorosa. Un po’ timida, forse, ma mai abbastanza da tacere la sua opinione, ed estremamente curiosa. Questo l’aveva portata, da bambina, a conoscere i confini di Pontelalungo e i suoi dintorni nonostante il pericolo dato da Smaug, e l’aveva portata a cercare di assistere, seppur da lontano, alla Battaglia dei Cinque eserciti. Il fatto che della battaglia non avesse visto poi nulla, trascinata via da suo padre che voleva metterla in salvo, non cambiava il fatto che potendo sarebbe rimasta lì ad osservare, e non è certo cosa da vigliacchi, questa. Qualcuno più vecchio e più saggio di lei avrebbe potuto replicare che il suo non era di certo coraggio, ma avventatezza e piena inconsapevolezza dei rischi a cui avrebbe potuto andare incontro, ma lei non era che un’adolescente, a quei tempi, e da lei nessuno si sarebbe aspettato saggezza; non ancora, almeno.
Qualche anno dopo, era stata quella stessa folle avventatezza di ventenne nel fiore dei suoi anni a far sì che rivolgesse la parola ad un Re Sotto la Montagna decisamente fuori dalla montagna, che aveva sognato per tutta una vita e riconquistato con sangue e fatica, e che ora si scopriva nostalgico quando non sentiva l’aria fresca sul suo viso. Era stata una curiosità istintiva che l’aveva guidata a tornare più volte in quegli stessi posti, a incontrare di nuovo sempre quello stesso Re, e a scoprire che non tutto quello che si diceva a Dale dei nani era vero. Ad esempio aveva scoperto che arrossivano, che non necessariamente tenevano all’oro più di ogni altra cosa e che non erano per forza scorbutici. Thorin, il Re Sotto la Montagna, non era mai stato scorbutico. Silenzioso, forse. Cupo, sicuramente, ma del resto è anche quello che ci si aspetta da chi ha dovuto aspettare quasi un secolo per riottenere quello che gli spettava.  Meg si era ritrovata presto a dover ammettere che oramai, quando usciva di casa per i fatti suoi, era sempre per andare a incontrare Thorin, e a parlare con lui. Era probabile che il Re la considerasse sciocca, ma aveva il buongusto di nasconderglielo e di sorriderle con gentilezza. In questo modo, però, si era anche presto ritrovata a dover fare i conti con un padre e con una famiglia che, come pochi anni prima, erano pronti a sollevarla di peso e a toglierla da quello che potevano considerare un pericolo, per lei.
“Un nano non è una compagnia adatta ad un umano. Sono creature avide, inaffidabili, si occupano solo di accumulare ricchezze e sono così dure dentro da essere in grado di amare una sola volta per tutta la vita”.
Erano frasi che avrebbero dovuto impensierire una ragazza come Meg, ma Meg aveva preferito correre sulle colline e avere delucidazioni in merito ai nani da un Re della specie, in particolare sulla faccenda dell’amore. Era così che aveva scoperto che i nani arrossivano, e che sì, amavano una volta, e per la vita.
Meg aveva capito che non era certo per durezza interiore, che i nani erano così, ma perché la loro vita era spesso dura come la pietra in cui vivevano, e perché le nane si contavano sulle dita di un paio di mani. In tutta Erebor, probabilmente, non ve n’erano più di cinque, incluse l’anziana madre di Thorin, Norla, e sua sorella Dìs. Perciò aveva ignorato gli avvertimenti della sua famiglia e i loro consigli, e aveva tirato dritto per la sua strada, perché c’era ancora tempo perché venisse raggiunta dalla saggezza.
Benché non riuscisse a capire se Thorin tollerava la sua compagnia solo per mera cortesia o meno, e non avendo la sfrontatezza per chiederglielo, aveva continuato a raggiungerlo sulle colline per tutta la bella stagione. Poi, un giorno, era arrivata la resa dei conti.
Cominciava a giungere da nord aria fredda, segno che l’estate stava volgendo al termine, e il vento scivolava tra le rocce e i campi, pettinando l’erba e gli ultimi fiori, e facendo tremare chi non si allontanava dall’abbraccio del sole. Meg si era seduta accanto a Thorin, sulle prime, ma alla fine aveva preferito lasciarsi cadere a terra sull’erba morbida, godersi il sole come un gatto e lasciarsi colpire della luce che presto si sarebbe fatta più fredda con l’arrivo dell’inverno. Teneva la testa alta guardando le nuvole correre in cielo, soddisfatta del suo essere in quieta contemplazione. Era uno di quei giorni in cui Thorin tornava con la mente ai giorni dolorosi, e in cui parlare gli era difficile. Meg aveva imparato presto a lasciarlo perdere e ad accontentarsi di un silenzio diviso in due. Parlare, in giorni così, avrebbe solo rovinato l’umore.
Perciò Meg era rimasta lì, silenziosa e placida, fino a che non aveva visto le nubi addensarsi e farsi nere, minacciando pioggia. Si era tirata su appoggiandosi sui gomiti, e aveva assunto un’aria corrucciata.
“Dovresti andare a casa, Meg. Tra poco potrebbe piovere.” Le disse Thorin, accomodante. Poi, un fulmine attraversò il cielo e il fragore di un tuono in lontananza raggiunse entrambi. Meg si irrigidì.
“… Non posso.” Disse, mettendosi a sedere.
“Perché?”
“Non mi piacciono i temporali.”
C’erano tante cose che a Meg non facevano paura, ma i tuoni non erano tra questi. Conosceva le storie che venivano raccontate, sapeva dei giganti delle montagne e delle loro lotte, e ne aveva sempre avuto paura. Benché non avesse mai incontrato un gigante di pietra in vita sua, ogni volta che sentiva i tuoni avvicinarsi temeva di fare incontri simili, e la cosa la annichiliva.
“Hai paura?” c’era un tono indulgente, nella voce del nano, un tono che fece sentire Meg piccola e inadeguata.
“Non ho detto questo, ho detto che non mi piacciono.” Rettificò.
Thorin le sorrise divertito, e si mise in piedi. “E’ meglio avviarsi.” Le disse, tendendole la mano.
“Mi accompagnerai fino a casa?”
“Non è luogo dove sono gradito, mi è parso di capire.”
“Danno retta a racconti per sentito dire, non sanno niente, loro.” Meg afferrò la mano, e si mise in piedi. “Mi sarà sufficiente arrivare alla mia via, poi correrò fino a che non sarò dentro.”
Un secondo lampo tagliò il cielo in due, e il tuono giunse più forte e vicino; Meg strinse la mano di Thorin con tutta la forza che aveva, e lui sembrò appena notarla, quella stretta. La ragazza temette che il nano potesse ridere del suo gesto, ma il Re Sotto la Montagna sapeva tacere così come sapeva parlare: “Avanti, meglio muoversi.”
Iniziarono a scendere dalla collina, Thorin in testa, e Meg alle sue spalle, che si lasciava guidare docilmente, mentre lei si guardava attorno, con i capelli rossastri mossi dal vento freddo, in cerca di un sole ormai del tutto nascosto. Ad ogni tuono si ritrovava ad accelerare il passo per stargli più vicina, e gli stringeva la mano. Dopo il terzo tuono di fila, anche Thorin iniziò a stringergliela con più forza, e Meg sentiva come un leggero capogiro, uno di quelli piacevoli.
“Conosco le storie dei giganti di pietra, è di questo che ho paura.” Disse poi Meg, mentre continuavano a camminare, sentendo il bisogno di giustificarsi.
“Io li ho incontrati, invece, i giganti di pietra.” Le rispose Thorin con aria tranquilla, lasciando la ragazza a dir poco sorpresa.
“E come sono?”
“Spaventosi, e fai bene ad averne paura. Mio nipote Fili ha rischiato di non uscirne vivo, da quelle montagne, e noi con lui.”
Meg  alzò lo sguardo verso la Montagna Solitaria, mentre le prime gocce di pioggia cadevano a terra, inquieta.
“Non troverai giganti qui, non a Dale, e nemmeno sulla mia montagna.”
Sempre per mano, Thorin accompagnò Meg fino alla città di Pontelalungo, seguendo le sue indicazioni su come raggiungere la sua casa. Quando furono all’imbocco della via, Meg fu pronta a lasciarlo. Thorin le strinse ancora un po’ la mano poi, contrariamente a quanto avrebbe fatto di solito, se la portò alle labbra e ne sfiorò leggermente il dorso. “Corri a casa. Starò qui finché non sarai dentro”.
Meg aveva corso, e si era chiusa la porta dietro alle spalle quando ormai la pioggia cadeva a grandi gocce, bagnando la strada e i tetti. Thorin probabilmente era rientrato nel suo regno ormai fradicio, e di questo si sentiva colpevole. Nonostante i tuoni cercassero di disturbarla anche mentre era al caldo e al sicuro, la paura era un po’ scemata, e lo doveva a quel nano e alla sua gentilezza inaspettata. Non c’erano giganti, là fuori, ma soprattutto, conosceva chi era in grado di affrontarli.

Dal canto suo, Thorin aveva passato giorni a interrogarsi sul perché del suo gesto, perché non gli era ancora chiaro cosa fosse quella ragazza per lui, oltre ad una splendida compagna di chiacchierate. Una compagna a cui, in effetti, dedicava un po’ troppi pensieri. Non ebbe bisogno di chiederselo quando la rivide, in una giornata gelida ma assolata, e la sentì ringraziarlo per la sua premura.
“Hai allungato di molto la tua passeggiata, per me. Grazie.” furono le prime parole che gli rivolse, mentre si stringeva nel suo mantello.
“Hai avuto paura, correndo verso casa?”
“No, perché avevo chi mi guardava le spalle.” Meg aveva le guance rosse, ed era impossibile dire se ciò era dovuto al suo imbarazzo o ai primi freddi che l’autunno portava con sé. Si chinò per baciare Thorin e si ritrovarono entrambi con le guance scarlatte: e che si trattasse di freddo o timidezza, non importava proprio a nessuno.

Fu sorprendente per entrambi considerare quanta strada avevano percorso in poco tempo, e di come fosse bastato un inverno perché Erebor diventasse, per Meg, una casa. Superata la paura dei giganti, fu quasi semplice affrontare la propria famiglia e la loro cronica diffidenza per i nani, così come lo fu affrontare le temibili e severe Norla e Dìs, e farsi benvolere da Fili e Kili, protettivi fino all’inverosimile nei riguardi di uno zio che amavano come un padre. Meg era una ragazza che difficilmente aveva paura e riuscì a farsi amare, anche se era giovane, poco saggia e più alta del previsto.
Era inverno e pioveva, il giorno in cui divenne la moglie di Thorin e la sovrana di Erebor, e i tuoni, seppur attutiti, attraversavano le pareti delle montagne, arrivando a rimbombare in quelle immense sale. Per quanto avesse percorso molta strada si ritrovò ad avere paura, ma ritrovò anche una mano tozza e callosa pronta a stringere la sua per assicurarle che niente di male sarebbe potuto accaderle. La strinse con forza anche quel giorno, e continuò a farlo negli anni a venire, tutte le volte che si ritrovò a provare paura o inquietudine, forte del fatto che i nani amano una volta in tutta la loro vita, e che Thorin, molto poco saggiamente, come a volte fa chi è giovane come le gocce di pioggia, alla fine aveva scelto lei.
  
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