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Autore: Kirara_Kiwisa    26/05/2013    1 recensioni
Se cercate una storia in cui i protagonisti sconfiggono il male, questa storia non fa per voi. Qui si parla di una ragazza in parte strega e in parte angelo che tenta di sconfiggere il bene, a tutti i costi. Una ragazza con sangue misto, Victoria, temuta dalla sua specie ma che presto l'intero mondo temerà. O almeno questo è ciò a cui lei aspira. Ma qualcosa interferisce sulla sua strada della vendetta, un demone. Nolan, un sangue misto come lei, che la trascina nella sua battaglia per la conquista della corona del Regno dei Demoni. Due destini si incrociano, un mezzo angelo e un mezzo diavolo che collaborano per diventare più forti insieme. Lei serve a lui, lui serve a lei. Un piano che potrebbe funzionare, basterebbe solo riuscire a non annientarsi a vicenda per raggiungere ognuno la propria vendetta...
La paura di essere uccisa da Nolan, spinge Victoria ad allontanarsi, a cadere nelle grinfie di qualcuno di ancor più pericoloso. Abrahel, il fratellastro di Nolan, che aspira al trono dei Demoni altrettanto se non più del mezzo demone.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Victoria's Memories'
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La sentenza della mia morte, giunse a casa nell’anno del mio ventesimo compleanno.
Dopo vari tentativi falliti, il Concilio provava nuovamente a togliermi la vita.
Non mi sarei preoccupata, se non si fosse trattato degli angeli.
Gli Anziani, esasperati, avevano convinto le creature celesti a rompere il patto instaurato due decadi prima. Quei piccioni dalle ali bianche stavano venendo ad uccidermi.
Mio padre era defunto già da tempo e, come lui, gran parte dei miei coetanei e conoscenti.
Lo stesso valeva per il Re dei Demoni, che avevo visto sei anni prima alla parata.
Il tempo scorreva inesorabile e intanto le persone svanivano con lui.
Era appena terminata la guerra più tremenda che il nostro stato potesse ricordare. Durò circa tre anni e si portò via la metà della nostra popolazione.
Tutti avevano combattuto, compresi i bambini e gli umani. Questo mi era sembrata una gran stupidaggine ma nessuno aveva voluto ascoltare il mio parere.
Fummo massacrati. Eravamo un gruppo di streghe, uomini e fate contro i demoni più temuti della storia. Le sanguinose battaglie durarono a lungo, distruggendo le vallate, incenerendo le città e mietendo un gran numero di vittime. Niente avrebbe fatto presagire una vittoria, neanche le più ottimistiche delle predizioni. Eppure un giorno, quasi come un miracolo, il Re dei Demoni cadde. Incredibilmente, senza che nessuno avesse visto realmente cosa fosse successo, il nemico comune fu ucciso, decretando la sconfitta dell’esercito avversario.
Io non fui presente. Ricordo di essere stata l’unica strega a non partire per il fronte.
Anche la mia insopportabile cugina umana andò. “Per difendere tutto ciò che le era caro”, così mi disse sulla porta prima di andare.
Per questo proposito, tornò a casa in fin di vita e rimase in coma per un anno.
I suoi genitori, la madre strega e il padre umano, erano già morti durante la prima guerra, lasciando una figlia orfana che ne aveva quasi seguito il destino.
I miei compagni di scuola, umani o stregoni che fossero, presero le armi e partirono con le famiglie. Le case rimasero disabitate e in rovina. Le aule scolastiche si dimezzarono, molti banchi di liceo si riempirono di fiori e nessuno dei sopravvissuti osò occuparli.
Già, i sopravvissuti. I morti in guerra furono considerati eroi ma coloro che riuscirono a ritornare vennero ritenuti Dei.
Mia cugina doveva essere un lontano parente degli Dei, visto che tornò in coma.
Mio padre venne ritenuto un semidio, siccome fu proprio lui che, chissà come, uccise il sovrano nemico sacrificando la sua stessa vita. Saputo questo, lo detestai ancora di più.
Aveva ucciso un grande uomo, il mio idolo, abbandonando sua moglie e sua figlia piccola. Quell’insopportabile mocciosa non si sarebbe nemmeno ricordata di suo padre ma nessuno era triste per lei, perché Elisa era la figlia dell’eroe che aveva liberato il mondo dalla stretta del nemico.
Io non andai a combattere per principio. Non ero avversa al sovrano, nonostante avesse dichiarato guerra con il pretesto della mia intrusione nelle sue terre. Ovviamente voleva solo allargare i suoi confini e distruggere le razze inferiori, ufficialmente però la pace era stata rotta a causa mia.
In ogni caso non avevo motivo di combatterli, appoggiavo l’idea di sterminare le streghe e qualunque altro essere che non fossero i demoni.
Come se non bastasse ero riconoscente al re, gli dovevo la vita. Sei anni prima alla parata mi aveva risparmiato perché io avevo salvato l’erede al trono. Come ringraziamento, mi prese per le spalle portandomi fino al confine, mi poggiò su di esso e mi disse di non tornare più.
Non seppi cosa accadde a Lilith ma ciò che successe a me lo ricordo bene.
Non ci fu gloria per colei che aveva osato andare contro al terzo e al quinto emendamento delle leggi del Concilio, piuttosto trovai solo punizioni.
Non mi apprezzarono nemmeno quando raccontai di aver ucciso un serpente demoniaco a mani nude. Che stupida ero allora, ancora cercavo l’ammirazione di coloro che osavo chiamare famiglia.
Dell’aver disertato il fronte rimpiangevo solo di non aver visto i demoni che tanto ammiravo.
Dai racconti dei sopravvissuti seppi che avevano partecipato creature come Amon, Abaddon e Alastor. Come risorsa, il re aveva messo in campo anche il gigantesco lupo Fenrir.
- Era un vero inferno laggiù!-
Raccontò un uomo, tornato a causa di una profonda ferita.  
- Non avevo mai visto tanti mostri! Ce ne erano alcuni orripilanti! Ho visto un grande cobra e dovunque andava scendeva la notte su di lui! Era terribile!-
L’uomo era in stato di shock ma capì immediatamente che si trattava della grande divinità del buio.
- C’era anche un mostro gigantesco con tre teste!-
Continuava a ripetere.
- E che teste erano?-
Chiedevano altri.
- Quelle di un gatto, un uomo e un rospo. Faceva ribrezzo!-
Era ovviamente Bael, il miglior generale che il re potesse avere in battaglia.
La guerra era stata vinta solo da un anno, quando la sentenza del Concilio giunse nel becco di uno splendido colombo. A leggerla fu la seconda moglie di mio padre, con grande gioia.
Come vi era scritto, le streghe mi condannavano a morte e sarebbero stati gli angeli a giustiziarmi.
Ufficialmente non sarei stata uccisa per crimini contro natura, per essermi macchiata le mani di sangue o per aver scatenato l’ultima guerra. Meritavo la morte per aver infranto il primo ed il secondo emendamento del regolamento: aver svelato ad un essere umano di essere una strega.
La loro ironia mi faceva quasi sorridere.
 
Sedevo sul letto, quando capii che tutto stava per finire.
Era mattina, il sole entrava dalle finestre creando dei tenui fasci di luce sul pavimento.
I raggi mi riscaldavano la schiena, quasi avvolgendomi in un abbraccio.
L’aria fresca e il cinguettio fuori dal mio davanzale faceva presagire l’inizio della primavera.
Gli uccellini cantavano, mentre la mia anima piangeva. Non versavo lacrime ma il mio cuore era distrutto. Il mio sguardo vagava nel vuoto, mentre le mie orecchie erano intente ad ascoltare tutto ciò che avveniva in casa.
Elisa correva da una parte all’altra cercando una bambola persa. Sua madre telefonava a tutti i cari rimasti, informandoli di due grandi novità, una delle quali si riferiva a me.
Dalla fine del corridoio, in una piccola stanza parallela alla mia, provenivano due voci.
Mia cugina di un anno più grande si era svegliata dal coma.
Era appena stata informata della fine della guerra, della nostra vittoria e della eroica morte dello zio, ucciso sacrificandosi contro il Re dei Demoni.
Intanto il mio ragazzo le stringeva la mano e la baciava affettuosamente. No, il suo ragazzo.
Ero sempre stata invaghita di lui. Lo avevo desiderato da quando mia cugina lo aveva portato a casa. Come una stupida, mi ero infatuata perdutamente di un umano mentre lui aveva sempre giocato con i miei sentimenti. Non appena la sua ragazza era entrata in coma, si era gettato senza ripensamenti sulla cugina più piccola, forse attratto malsanamente dalla mia diversità.
Io accettai le sue attenzioni priva di sensi di colpa, avevo desiderato a lungo che accadesse e non avevo certo intenzione di rinunciarvi.
Nessuno era a conoscenza della nostra relazione, sarebbe stato uno scandalo per la reputazione della semi-dea. Per la gente lui era sempre il suo fedele fidanzato che, una volta a settimana, andava a portarle dei fiori al capezzale.
La nostra intensa, purtroppo breve, storia si interruppe nel momento in cui lei riaprì gli occhi.
Lui, senza dirmi una parola, ritornò da lei facendo finta che niente fosse successo.
Per gli umani era tanto facile ma per le streghe no.
Io avevo fatto un patto di fiducia con lui, gli avevo rivelato di essere una strega e con ciò noi eravamo legati per sempre. Le stupide e antiquate leggi del Concilio erano chiare: se una strega rivelava la sua natura e veniva tradita, doveva essere bruciata sul rogo.
La mattina che lei aprì gli occhi e lui la baciò, il mio cuore finì in pezzi.
Il Concilio non perse tempo, ottenuto il consenso celeste, sentenziò la mia morte specificando che non sarei stata messa al rogo. Scrissero che meritavo qualcosa di più particolare, di più adatto alla mia razza, tralasciando ovviamente che non potevano fare altrimenti.
Fu allora che la mia matrigna seppe della relazione fra me e l’umano.
- Sgualdrina-
Sbottò, con ancora la pergamena in mano.
- Rubare il ragazzo a tua cugina in coma. Meriti di morire-
Secondo i mortali io meritavo sempre si morire, non appena respiravo. Non importava quale era la ragione ufficiale, finalmente si sarebbero sbarazzati di me e del mio sangue misto.
- Se solo tuo padre fosse ancora qui…-
Continuò la donna, inveendo successivamente contro di me. Sospirai, non prestando attenzione al suo ribrezzo o alle sue parole. Proseguì ad osservare i raggi di sole sul pavimento, inerme e terrorizzata.
Non sarei mai riuscita a sopravvivere agli angeli. Ero spacciata.
- Quella ragazza ha perso tutto per la guerra che tu hai causato! Io ho perso un marito, Elisa il padre e tu non ti sei nemmeno degnata di andare al fronte. Se solo ti avessero ucciso alla nascita…-
Non replicai, quelle parole giunsero troppo lontane alle mie orecchie.
Finalmente era arrivata la mia ora. Il Concilio, mio padre e sua moglie avevano aspettato per venti anni quel momento. Era bastato un ragazzo, un uomo, per mettere fine a tutto.
Senza accorgermene, mi alzai. Costeggiai il muro lentamente, a piedi scalzi, sotto lo sguardo di Priscilla e di sua figlia.
- Dove stai andando?!-
Non risposi. Non sapevo nemmeno io quello che stavo facendo, però continuai a camminare.             
Giunsi fino alla fine del corridoio, fermandomi solo quando scorsi la camera di mia cugina.
Rimasi silenziosamente sulla soglia, spiando al suo interno.
La figura lunga e snella di Lidia era stesa sul letto. I capelli rossi ricoprivano tutto il cuscino e lui li toccava, li odorava.
- Ti sono mancata?-
Chiese la ragazza, accarezzando la guancia che solo la sera prima io avevo baciato.
- Immensamente-
- Cosa hai fatto senza di me?-
- Niente, mi hai lasciato un anno a soffrire e a sognare la tua guarigione. Senza di te non posso vivere-
Strinsi i pugni, protendendo leggermente la mia mano destra verso di loro. La tenni sollevata per qualche istante, desiderosa di inglobare le loro vite e soffocarle. Le mie iridi si contornarono di rosso, quando udì la voce terrificata di Priscilla.
- Victoria!-
Sussultai, rinsavendo. I due ragazzi si voltarono verso di me, fissandomi sorpresi. Indietreggiai di un passo innanzi ai loro occhi, trafitta dai loro sguardi. Lasciai perdere, volgendomi per tornare in camera mia, decretando che non ne valesse la pena.
 
Quando Priscilla venne a controllare quello che stavo facendo, era già troppo tardi.
Ormai avevo preparato lo zaino e messo dentro tutto quello che mi era più caro.
- Non puoi scappare! Devi accettare la legge!-
Urlò la vedova di mio padre, con il desiderio di fermarmi. Non aveva nessun modo di avvertire il Concilio della mia fuga, non c’era proprio il telefono nella sede di quelle mummie preistoriche.
- Io non sono come mia madre!-
Urlai furibonda contro di lei, facendola indietreggiare.
- Non starò ad aspettare pazientemente che gli angeli mi uccidano!-
Si allontanò da me, senza dire una parola. Lasciò che preparassi i bagagli, osservandomi mentre mi legavo i lunghi capelli neri. Il caldo mi stava soffocando.  
Mi tolsi i vestiti che ero costretta ad indossare, scegliendo semplicemente degli shorts e un top.
Iniziava ad andare meglio ma avevo ancora troppo caldo.
- Non puoi uscire così-
Rimproverò la donna, sempre sul ciglio della porta.
- Oh, certo che posso-
Risposi ormai fuori di me.
Stavo dicendo addio a tutto quello a cui tenevo, a tutto quello che avevo conquistato. Non avrei più cercato la normalità, non avrei più tentato di assomigliare agli altri.
Il voler essere normale mi stava portando alla morte, la mia natura invece mi avrebbe salvato.
Se volevano uccidermi ero pronta ad affrontarli o almeno avrei tentato.
- Non mi direte più cosa devo fare-
Sentenziai, controllando per l’ultima volta il contenuto del mio zaino. 
Un pettine, due cambi di vestiti, un coltello svizzero rubato a mio padre da piccola, la scatoletta con l’unico ricordo di mia madre e dei soldi.
Tutto ciò di cui avevo bisogno era lì dentro.
Con l’aria fresca della primavera, con lo zaino pronto e Priscilla adirata sulla porta, era giunto il momento di andarsene per sempre.
Mi volsi con lo zaino in spalla, mentre la mia matrigna si faceva da parte. Nonostante si logorasse, non era capace di impedirmi di andare. Non poteva fare altro che sperare che gli Anziani mi catturasse in fretta.
Oltrepassando il corridoio, incappai nella piccola Elisa di sette anni.
- Torni presto?-
Chiese, stringendo una bambola in mano. Ignorava la voce della propria madre che le diceva di spostarsi, continuando a guardarmi con i suoi fastidiosissimi occhi dolci.
- No, non torno proprio-
Dissi fermamente, scorgendo le lacrime nello sguardo di quella bambina.
- Prima papà…poi tu…-
Non avevo mai provato sentimenti fraterni verso la terza figlia di mio padre. Era sempre stata solo una creatura bionda che camminava per casa. In quel momento però, mi fece una grande pena. Amava qualcuno che non ricambiava i suoi sentimenti ma come potevo amarla? Non avevo cuore, come diceva il Concilio. Non provavo sentimenti, ero solo un mostro.
- Io non ho mai fatto parte della tua famiglia, dimenticami. Attaccati a Lidia piuttosto-
La sentì scoppiare a piangere mentre scendevo le scale per raggiungere la porta di casa.
Prima di spalancarla completamente, piena di rabbia, udì ancora la fastidiosa voce di Priscilla.
- Fermati Victoria!-
Urlò.
- Non puoi andartene! Se resti riscatterai il tuo onore! Se accetti le regole il tuo nome non verrà avvelenato più di quanto già non è!-
- Non me ne frega niente-
Risposi divertita mentre la donna mi guardava, inerme. Terrorizzata di essere accusata della mia fuga, cercò di prendere tempo dando un pugno sulla parete.
- Maledizione Victoria!-
Gridò infuriata, sorprendendomi per tale coraggio.
- Non sei più una bambina! Adesso le tue azioni hanno delle conseguenze! Non è come quando a sedici anni scappavi nel Regno delle Fate! Sei adulta ora!-
Scoppiai a ridere, non riuscendo a trattenermi.
- Priscilla, io a sedici anni le uccidevo le fate. Secondo te cosa potrei fare adesso?-
La donna si mise le mani alla bocca, senza più il coraggio di parlare. Forse si ricordò del “mostro delle fate” che qualche anno prima era sulle cronache di tutti i giornali. Per varie settimane una misteriosa figura aveva carbonizzato decine di quelle leggiadre creature, per poi svanire improvvisamente.
Cosa ne sapeva lei del mio nome? Non conosceva niente di me.
- Adesso, su questa porta, Priscilla io ti faccio una promessa. Io il mio nome lo eleverò, non lo infangherò. Tutti si ricorderanno di me ma non per come mi conosci tu. Io distruggerò il Concilio delle Streghe Priscilla, ecco per come mi conosceranno-
Con quelle parole me ne andai, sbattendo forte la porta di casa per l’ultima volta. Avanzai di qualche passo prima di voltarmi verso la finestra di mia cugina. Da lì, il suo ragazzo mi stava fissando mentre scuoteva la testa. Aveva sentito le urla e ora mi guardava sdegnato. Mi credeva pazza ma glielo avrei fatto vedere io di cosa ero capace.
Camminando all’indietro, rivolta verso la finestra, alzai la mano sinistra e gli mostrai il dito medio. Dopodiché mi diressi verso la stazione ferroviaria.
 
Correvo con il cuore che batteva a mille, consapevole di non avere speranze contro gli angeli.  Avevo tutta l’intenzione di sfidarli, appena ne avessi avuto la forza. Per il momento dovevo fuggire, nascondermi fino a che non avessi ottenuto il potere per difendermi.
- Maledetto Concilio!-
Sbottai mentre correvo verso la stazione.
- Maledetti angeli!-
Ero piena di rabbia. Era stato il Concilio ad impedirmi di studiare l’arte della magia. Non sapevo quasi nulla sugli incantesimi, pure le sciocche streghe della mia età erano molto più sapienti di me. Ovviamente non avevo seguito le loro regole e avevo rubato dei libri di magia, conscia che prima o poi mi sarebbero serviti. Purtroppo fra ciò che avevo letto e imparato non c’era niente che potesse aiutarmi contro gli angeli.
Ero quasi giunta alla stazione, quando udii un rumore dietro di me. Mi insospettì, visto che all’ora di pranzo nella mia piccola cittadina non vi era nessuno. Per di più dopo l’ultima guerra il mio paese era diventato una città fantasma. Le strade erano sempre deserte, i negozi chiusi con le saracinesche abbassate, porte e finestre di molte case erano sprangate con assi di legno. Molti uffici vennero chiusi e rimasero solo i servizi necessari. Un pronto soccorso, un ufficio delle poste, una locanda sempre vuota, un giornalaio. Questo era tutto quello che rimaneva della mia città natale.
Mi volsi lentamente verso quel suono inquietante, accertandomi di essere sola.
Scrollai le spalle, riprendendo a camminare e cercando di dimenticarlo.
Dopo pochi passi, lo risentì. Mi volsi velocemente, tentando di cogliere il colpevole sul fatto.
- Miaow-
Un gatto.
Cercai di calmarmi. Feci un profondo respiro, passandomi una mano fra i capelli. Avevo i nervi a fior di pelle e mi stavo agitando troppo. Era solo un gatto.
Cercai di non farmi prendere dal panico, rassicurandomi che avrei fatto in tempo a prendere un treno e a confondermi in una grande città. Gli Anziani erano potenti ma anche estremamente lenti
e tradizionalisti. La prassi voleva che fosse il Concilio a prelevare la strega da casa, per poi giustiziarla il mattino seguente all’alba. Nel mio caso, gli angeli mi avrebbero aspettato nella sede degli stregoni, a meno che io non fossi scappata.
Li avrebbero spediti sulle mie tracce non appena accortasi della mia fuga, avevo qualche ora al massimo. Ripresi a camminare, voltandomi per un’ultima volta indietro. Il gatto era sempre seduto in mezzo alla strada, intento a fissarmi. Un gatto bianco.
No, il Concilio non poteva già essere sulle mie tracce.
  
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