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Autore: Elos    02/06/2013    7 recensioni
"Su un quadro appeso alla parete dell'officina, proprio accanto a quella che assomigliava sospettosamente ad una Judy Garland di Warhol e a due passi di distanza da una dettagliata direttiva per il comportamento da tenere in caso di evacuazione, trasformata da qualcuno in un bersaglio per il tiro a freccette scarabocchiato a penna, c'era un cartello a grosse lettere cubitali:
Il possibile può essere fatto immediatamente, sull'impossibile ci sto ancora lavorando, per i miracoli c'è da aspettare 48 ore.
Bruce aveva fissato il cartello e si era schiarito la voce:
“Non credo che questo posto sia a prova di Hulk.”
Stark gli aveva rivolto un sorriso preoccupante.
“Non ancora.” [...]
"
Il problema con questo genere di cose è che si comincia sempre con un'esplosione.
Genere: Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Jarvis , Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Whatever can go wrong, will go wrong.
“Tutto quel che può andare male, lo farà.”
Murphy's Law (Legge di Murphy)




Sei variazioni sulla Legge di Murphy



. cinque
Murphy was an optimist.
“Murphy era un ottimista.”
Smith's Law (Legge di Smith)



Il problema con questo genere di cose è che si comincia sempre con un'esplosione.
E, ehi, se qualcuno si fosse preso la briga di chiederglielo – qualcuno che non fosse Pepper, sicuro, perché dire ciò a Pepper avrebbe significato correre il rischio di farsi aprire la scatola cranica con un fermacarte – lui avrebbe detto che non c'era niente di sbagliato in un paio di sane esplosioni, le esplosioni sono carine, le esplosioni sono nostre amiche, diamine, lo scopo principale dei repulsori era causare esplosioni, se avesse voluto evitare le esplosioni avrebbe montato sull'armatura un paio di idranti, un diffusore sonico, uno spray al peperoncino, per amor di Dio, non i repulsori, una mezza dozzina di missili e un lanciafiamme.
Ecco.
Niente in contrario, quindi, a che qualcosa esplodesse di tanto in tanto, finché la situazione restava sotto controllo. La sua definizione di cosa fosse accettabilmente sotto controllo era stata estremamente elastica sin da prima che alieni, terroristi, dei, portali interspaziali ed organizzazioni di superspie capaci di ucciderti usando solo le cosce si fossero ritagliati uno spazio nella sua vita, ma era assolutamente certo che un'esplosione in un'officina contenente a) Dita di Burro, b) numerosi materiali altamente infiammabili e/o potenzialmente radioattivi, e c) tutto quel che era rimasto del Mark VII dopo quello che sarebbe passato ad eterna memoria come l'Infausto Incontro Troppo Ravvicinato Con Le Aragoste Giganti Dello Hudson non rientrasse nella definizione. Neanche nella versione elastica della definizione. Neanche in un universo in cui questa versione elastica fosse stata così elastica da poter essere usata per cucirci un paio di mutande in grado di sopravvivere al passaggio da Banner ad Hulk e viceversa. Aver trascorso un certo numero di anni perdendo i pantaloni ogni volta che Hulk usciva fuori a giocare aveva insegnato a Banner a mantenere una visione estremamente Zen della cosa, molto Jedi, sulla linea di i pantaloni non esistono e queste non sono le chiappe che state cercando, ma accendere la televisione con il primo caffè del mattino e trovarsi sbattuto davanti alla faccia un grosso posteriore molto verde e molto nudo a darti il buongiorno non avrebbe mai smesso di essere un'esperienza traumatica. Inventare un polimero elastico (che non fosse viola, Banner aveva messo il veto sul viola, no, grazie, tutta quella storia era già sufficientemente imbarazzante per conto suo senza che ci si mettessero di mezzo un paio di pantaloni viola, il viola sul verde sarebbe stato, insomma, sarebbe stato un pugno nell'occhio, ecco cosa sarebbe stato) che si espandesse insieme ad Hulk era in cima alla lista delle sue priorità; insieme, apparentemente, ad installare uno scivolo che portasse direttamente dall'attico all'officina, perché tredici piani di scale in discesa sono comunque tredici piani di scale, trentatré gradini a rampa moltiplicati tredici fanno un fottuto numero di gradini anche per qualcuno senza problemi cardiaci, e sui suoi problemi cardiaci ci si sarebbe potuto scrivere un trattato. Diversi trattati, in effetti.
Tony prese in considerazione l'ipotesi di fermarsi a riprendere fiato sul gradino numero duecentottantanove, ma la seconda esplosione fece vibrare le pareti e sussultare il pavimento con un brontolio estremamente preoccupante.
“JARVIS?” chiamò, quando i gradini smisero di tremare.
Quello che era stato infilato nel sistema di sicurezza della torre, di qualunque cosa si trattasse, doveva aver isolato parte dell'impianto audio e video; i server di JARVIS, fortunatamente, erano dispersi in tredici Stati distribuiti su quattro diversi continenti, e le copie di backup venivano aggiornate ogni trenta secondi in un alveare di hard disk distribuiti in tre differenti bunker corazzati e in un satellite Stark in orbita a bassa quota attorno alla Terra. La paranoia di Tony era viva e vegeta e godeva di ottima salute, grazie tante.
Perciò, niente output audio, niente output video, ma JARVIS era ancora dietro le telecamere. La voce che uscì dall'auricolare incastrato nel suo orecchio sinistro suonò più lontana e metallica del solito:
Temo vi sarà la necessità di acquistare una nuova piastra di raffreddamento, una nuova centrifuga da laboratorio ed una nuova macchina da caffè, signore. E di controllare la paratia a nord.
“La macchina del caffè, perché sempre la macchina del caffè, ce l'hanno tutti con la mia macchina del caffè, è la terza volta questo mese, potrei fare un abbonamento con il fornitore e risparmiarmi la fatica di ordinarne una alla settimana... Novità dalle telecamere, JARVIS?”
Le telecamere nell'officina e nei piani attigui sono ancora fuori uso. Gli infrarossi rilevano la presenza di tre intrusi nel settore esterno dell'officina, due intrusi nel corridoio antistante e sette intrusi nella tromba delle scale, distribuiti tra il settantaseiesimo e l'ottantesimo piano, in salita.” Una brevissima pausa. “Sembra che i cinque ospiti non autorizzati che hanno scelto di prendere l'ascensore abbiano avuto modo di scoprire il blocco di sicurezza nel pannello di controllo. Non si muoveranno dal sessantaseiesimo piano, signore.
“Stanno ancora cercando di far saltare in aria i divisori dell'officina?”
Precisamente, signore.
Tony cercò di vedere il lato positivo nell'essere stato svegliato alle quattro del mattino, dopo che solo tre ore di sonno erano seguite a circa quarantotto quasi ininterrotte ore di molto produttiva smania ingegneristica: qualcun altro si stava prendendo la briga di testare il prototipo della sua nuova fibra di vetro (che si era rivelata fino ad ora a prova di Rogers, a prova di Thor, a prova di Romanoff, ma non a prova di Barton e disastrosamente non a prova di Hulk), e lo stava facendo gratis.
I bracciali del Mark VII non davano segno di vita: li aveva messi come li metteva tutte le volte che si alzava dal letto, per forza dell'abitudine (quella di armarsi appena svegli, aveva scoperto suo malgrado, era un'abitudine che nasceva con estrema facilità quando si trascorreva un quarto abbondante del proprio tempo sotto attacco potenziale), ma del Mark VII non era rimasto abbastanza da poter essere indossato. I crostacei dello Hudson sembravano non aver apprezzato il fatto di essersi ritrovati improvvisamente ingranditi di, diciamo, una sessantina di volte, ed avevano dimostrato il proprio non-apprezzamento smantellando con estremo entusiasmo tutto lo smantellabile nell'armatura. Avrebbero cercato di smantellare tutto lo smantellabile anche nel molle, seppur indiscutibilmente affascinante, corpo molto umano e molto ammaccato che si era trovato all'interno della stessa, se Hulk non fosse intervenuto.
Tony adorava Hulk. Aveva cercato di fondare un fan club su Twitter tramite un account civetta (twitter.com/siamo_tutti_verdi_dentro), perché nessuno più di Hulk si meritava un fan club su Twitter, ma Banner l'aveva scoperto in meno di un'ora e l'aveva costretto a cancellarlo.
Bruce Banner non aveva senso dell'umorismo ed era una persona malvagia e perversa che preferiva il tè al caffè.
Posso chiederle, signore, cosa pensa di fare una volta che sarà arrivato al livello dell'officina?
E questa era una bella domanda. Un'eccellente domanda, in effetti, alla quale Tony era sicuro di avere un'eccellente risposta. Da qualche parte. Probabilmente.
“Uhm.”
Potrei suggerirle di fermarsi ed aspettare i rinforzi, signore.
Il tono di JARVIS lasciava intendere che sapeva che quello era un suggerimento con possibilità pari a zero di venire accolto. Tony non rallentò neanche.
“Già, sì, no. No, direi proprio di no, il Mark V, JARVIS, che mi dici del Mark V, se le paratie hanno retto, il Mark V dev'essere ancora...”
Mi permetto di ricordarle, signore, che lei ha rimosso i repulsori del Mark V ieri mattina per farne pezzi di ricambio.
“Oh, già. Oh, be'. L'improvvisazione è la madre dei piani migliori, JARVIS. Ehi, questa suona bene, potrebbe diventare... non so, una citazione, uno slogan... un motto...”
Credo che la parola che sta cercando sia epitaffio, signore.
“Sarcasmo, JARVIS, che cosa abbiamo detto a proposito del sarcasmo?”
Ma la discussione di quel che era stato detto a proposito del sarcasmo dovette essere rimandata, perché Tony aveva appena messo piede sulla rampa al di sopra dell'ottantesimo piano: ed anche alla luce rossastra delle lampade d'emergenza il giallo dei cappucci improponibili una rampa più in basso e dall'altra parte del vano delle scale spiccava come un pugno in un occhio.
“Oh, Dio,” gemette Tony – ma lo gemette piano, perché, malgrado quel che Rogers poteva pensare, Tony non era imbecille, niente affatto, nossignore, ed un istinto di sopravvivenza ce l'aveva di certo. Lì. Da qualche parte. “L'A.I.M., ancora, di nuovo, perché, cos'ho fatto di male per meritarmi questo?”
JARVIS non gli rispose: invece, gli fece apparire sul palmare la posizione delle tracce di calore nei piani inferiori. Tony le studiò distrattamente, cercando di pensare ad un buon sistema per scendere dalle scale, attraversare metà dell'atrio e raggiungere la porta dell'officina – il tutto senza farsi scoprire ed ammazzare perché, ehi, i proiettili facevano male, i proiettili non erano una buona cosa, Pepper odiava i buchi di proiettile che restavano sulle pareti dopo un incidente con l'Agente Romanoff e Tony aveva scoperto di essere diventato ipersensibile agli umori di Pepper. Gli umori di Pepper erano come il caffè, decidevano il tono della sua giornata: buon umore, buon caffè, bella giornata, sole splendente, tutto sarebbe andato per il meglio, le sue azioni avrebbero triplicato di valore e nessuno sarebbe arrivato a fargli saltare in aria la torre; cattivo umore e cattivo caffè, invece...
“L'A.I.M. è la dimostrazione che qualcuno non si è messo in fila il giorno in cui hanno distribuito i cervelli,” disse Tony, perché i filtri della sua bocca erano stati scollegati alla nascita e lui poteva parlare di sette argomenti diversi, spesso contemporaneamente, mentre si concentrava su un ottavo.
JARVIS lo ignorò serenamente.
Non c'era modo, stabilì Tony fissando il palmare, di arrivare dal punto A al punto B senza dover passare per i punti C, D ed E, dove il punto C era Sparatoria, il punto D era Infermeria se tutto andava bene, Obitorio in caso contrario, ed E era Cattivo Umore di Pepper.
Ci doveva essere qualcosa di fondamentalmente sbagliato in lui, perché al momento il punto E era quello che lo preoccupava maggiormente.
“D'accordo, JARVIS, spalanca le bocchette dell'antincendio al tre. Uno, due, t... mgumph!”
Mgumph non era un numero, e le bocchette dell'antincendio rimasero chiuse. Tony agitò le braccia per un momento, l'avambraccio di qualcuno premuto contro la bocca e la mano di quello stesso qualcuno stretta attorno alla sua maglia mentre veniva tirato indietro e più su lungo le scale. Non ebbe il tempo di farsi prendere dal panico: lo stesso qualcuno che lo teneva per la collottola lo tirò giù, costringendolo ad accovacciarsi sulle scale e riparato dietro alla ringhiera, e la faccia – assai poco impressionata – di Natasha Romanoff gli apparve di fronte.
Erano le tre del mattino. Il pomeriggio precedente era stato un luuuuungo pomeriggio per tutti, perché l'agente Hill doveva aver deciso di vendicarsi dell'episodio delle bombe-uova (che era stato un episodio estremamente divertente, e chiunque non avesse avuto il senso dell'umorismo chirurgicamente amputato alla nascita l'avrebbe compreso) ed aveva spedito loro qualcosa come un quadrilione di moduli da compilare. Moduli di carta. Carta stampata, perché lo S.H.I.E.L.D. era rimasto incastrato da qualche parte all'altezza del Giurassico ed il resto del mondo si era dimenticato di avvertirlo. Tony aveva cercato di fuggire ed era stato placcato all'altezza del corridoio, perché se gli altri dovevano soffrire per quei moduli, gli aveva detto Rogers, anche lui avrebbe sofferto, tutti per uno, uno per tutti e via discorrendo. Tony si era offerto di andare a prendere l'armatura e usare il lanciafiamme, risolvendo il problema dei moduli in maniera rapida, definitiva ed indolore, ma la sua proposta era stata respinta senza possibilità d'appello.
Dunque, un lungo pomeriggio, seguito dall'allarme alle tre del mattino. Malgrado ciò, l'Agente Romanoff aveva tutto l'aspetto di qualcuno che avrebbe potuto serenamente andare a prender parte ad una sessione fotografica per una rivista d'alta moda, lì, in quel preciso momento, senza passare per le fasi umanamente normali degli impacchi alla camomilla, correttore, fondotinta e plastica facciale.
Era biologicamente ingiusto, ecco cos'era.
Natasha gli rivolse un'occhiata che, in circostanze diverse, sarebbe stata capace di far appassire un mandorlo in fiore:
“E che cosa, precisamente, pensavi di fare?”
“Uhm,” rispose Tony, che era la risposta universale a qualunque domanda complicata. E poi, mentre le sue sopracciglia schizzavano verso l'alto a velocità supersonica: “Perché sul tuo pigiama c'è Harry Potter?”
Natasha gli rivolse un delicato sorrisino beffardo e Barton – perché, dove l'agente Romanoff andava, Barton non era mai troppo lontano – gli si accovacciò accanto sulle scale e gli disse:
“Un consiglio da amico: non chiedere.” E poi, cacciandogli una freccia in mano: “Tienimi questa.”
Tony l'afferrò prima che il suo cervello avesse il tempo di ricordargli che a lui non piaceva che gli venissero porte le cose, prendere le cose dagli altri era male, gli estranei potevano passare germi e batteri e sporcizia e pizza avariata e i cacciavite sbagliati.
“Questa è una delle mie frecce,” disse Tony. Lo disse in tono distratto, perché aveva progettato moltissime frecce nel corso degli ultimi otto mesi – e se qualcuno, tre anni prima, gli avesse detto che si sarebbe trovato a costruire frecce, di tutte le cose, frecce, non pistole o missili o bombe atomiche, Dio, no, frecce, vere frecce con la punta e l'asta tirate da un vero arco con la corda e tutto il resto, gli avrebbe riso in faccia – e il suo cervello stava cercando di riconoscere questa in particolare. Era una delle frecce soniche? Le frecce soniche erano state un'ideale geniale, davvero, molto meglio delle frecce-rete, anche se non all'altezza delle...
I suoi neuroni fecero clic e Tony quasi si fece scappare la freccia dalle mani. Quasi. Non lo fece: il detonatore era stato pensato per essere sensibile agli urti, e Tony aveva partecipato ad un numero di esplosioni sufficiente a sapere che a) non era mai bello e b) faceva sempre un fottuto male.
“Mi hai messo in mano una freccia al plastico. Barton, perché ho in mano una freccia al plastico?”
Barton gli rivolse il migliore dei suoi ghigni:
“Consideralo un promemoria per la prossima volta che deciderai di andare a balzelloni in avanscoperta.”
La freccia era sicura. Tecnicamente sicura. Teoricamente sicura. Non avrebbe dovuto essere tirata fuori dalla faretra fino all'ultimo minuto, perché teoricamente sicura e praticamente sicura non erano sinonimi, e mai lo sarebbero stati. Tony tenne le mani ben ferme e gli occhi fissi sull'asta.
“Dimmi la verità, sto ancora venendo punito per quella storia dei cereali,” blaterò, perché blaterare era sempre una reazione appropriata alle situazioni surreali. “Non ho finito io i tuoi cereali, Barton. E' stato Bruce.”
Natasha sogghignò al suo indirizzo, prima di scivolare giù lungo le scale e sparire sulla rampa sottostante.
“Continua pure a ripeterlo, Stark,” disse Clint, estraendo un'altra freccia dalla faretra. Si accovacciò e si sporse oltre l'angolo. “Prima o poi, qualcuno finirà per crederci.”
Bilanciandosi sulla punta dei piedi, Clint incoccò e prese la mira. Era in mutande, calzini, guanti e protezioni per le braccia; il che, pensò Tony, diceva molte, molte cose sulla sua capacità di priorizzare le necessità. Guanti, ce l'ho, parabraccia, ce l'ho, faretra, ce l'ho, vestiti, facoltativi.
Dal piano di sotto arrivò l'inconfondibile verso straziante di qualcuno i cui genitali avevano avuto il dispiacere di un doloroso e prematuro incontro del terzo tipo con le ginocchia dell'agente Romanoff.
“JARVIS?” chiamò Tony.
Sembrerebbe che abbiamo un intruso in meno attivo nel settore esterno dell'officina,” replicò JARVIS, volenterosamente. “Il capitano Rogers è nella colonna dell'ascensore, signore,” aggiunse dopo un istante. “All'altezza del settantesimo piano, in discesa.
“Questo sarebbe un momento eccellente per mettere in funzione l'antincendio, Stark,” disse Barton.
“Hai sentito il signore, JARVIS?” disse Tony, rivolgendosi al palmare. “Apri le pompe fuori dall'officina.”
Le bocchette si spalancarono nello stesso momento in cui Clint lasciava partire la freccia, l'eco di una raffica di spari arrivava fin sulle scale dal vano dell'ascensore e dall'officina cominciava ad emergere il suono inequivocabile di una mezza dozzina di membri dell'A.I.M. che andavano serenamente nel panico.
Quelli che seguirono furono quindici minuti di caos relativamente controllato.


. uno
Anything that can, could have, or will go wrong, is going wrong, all at once.
“Tutto quel che può andar male, che può essere andato male o che potrebbe andare male, andrà male, tutto in una volta.“
Murphy's Quantum Law (Legge quantistica di Murphy), attribuita a P.DICKSON


Quando la linea ingombrante della Torre Stark aveva fatto capolino al di sopra del profilo di una Manhattan un po' ammaccata, il dottor Bruce Banner s'era visti confermati i sospetti che aveva cominciato ad avere sette miglia, tredici semafori e una ventina circa di svolte prima.
“Sono relativamente certo che questo possa essere considerato sequestro di persona,” aveva detto. Lo aveva detto molto mitemente: fare qualcosa mitemente era meglio che farlo da verde, e c'erano già grossi buchi a forma di Hulk sparsi in tutta Manhattan, grazie tante, la città di New York sicuramente non aveva intenzione di cominciare una collezione.
Stark gli aveva rivolto un sorriso smagliante.
“Non ho idea di che cosa tu stia parlando.”
“L'aeroporto è nella direzione opposta.”
Stark aveva emesso un suono vago per tutta risposta, gli occhi fissi sulla strada.
“Se è per i vestiti,” aveva tentato Bruce, perché malgrado tutto la speranza era sempre l'ultima a morire, “glieli spedirò per pacco.”
“Non sono della mia taglia,” era stata la replica di Stark. “Non saprei cosa farci.” E poi, con un secondo sorriso che era un'edizione impercettibilmente più sincera del primo. “Pensavo avessimo superato la fase delle formalità. In effetti, pensavo avessimo superato la fase delle formalità e fossimo passati a quella della condivisione di bagno e spazzolino, dribblando la sempre imbarazzante fase del primo appuntamento.”
“Non abbiamo condiviso lo spazzolino,” aveva detto Bruce, il tono asciutto. “E neanche il bagno.”
“Questo è perché io sono previdente e costruisco tutto in doppia copia. Tripla. E Pepper detesta usare gli asciugamani usati da qualcun altro.”
Le strade di Manhattan erano state costellate di piccole fosse, buche, macerie e detriti. C'era una fenditura che tagliava diagonalmente un incrocio, simile alla più grossa crepa da radici che si fosse mai vista, e i resti anneriti dei veicoli alieni che avevano riempito i cieli di New York il giorno prima stavano ancora venendo spazzati via. La circolazione era stata interrotta da qualche parte fuori dall'isola, ma Stark era passato con il motore a tutta birra, sventolando un pezzo di carta che avrebbe anche potuto essere un permesso sotto al naso del poliziotto all'altezza del blocco stradale. Bruce aveva il sospetto che nessuno si fosse mai preso il disturbo di spiegare a Stark il significato dell'elementare concetto di no.
Bruce si era chiesto se fosse il caso di tentare una fuga. Prima o poi la macchina si sarebbe fermata, e tre anni da migrante in due continenti diversi avevano insegnato a Bruce come fare a trovare la strada per l'aeroporto più vicino in ogni situazione. Era stato in grado di raggiungere l'aeroporto quella volta che si era svegliato in mezzo alla foresta amazzonica con addosso un paio di pantaloni sbrindellati e non molto altro. A Manhattan avevano i segnali stradali. Con delle frecce che puntavano nella direzione giusta. E lui aveva dei vestiti. Vestiti nuovi. Aveva trovato un portafoglio, in una tasca di quei vestiti, che era assolutamente certo di non aver mai visto prima. Hulk non aveva simpatia per i portafogli, i telefoni cellulari, le macchine fotografiche e gli orologi, che erano le prime vittime collaterali di ogni Grosso Incidente Verde.
I vestiti erano effettivamente una delle ragioni per la quale Bruce aveva considerato la prospettiva di una fuga senza troppa urgenza. La sensazione di avere addosso qualcosa che fosse della sua taglia e che non fosse stato acquistato con fango e/o pulci e/o e toppe già inclusi era una sensazione meravigliosa. E, ehi, un'armata aliena guidata da un dio norreno con il complesso di Edipo – Dio, faceva strano anche solo pensare le parole nella privacy della sua testa; Bruce sperava di non essere mai costretto a pronunciarle a voce alta – aveva già provveduto a smontare e svuotare Manhattan: se anche Hulk fosse uscito fuori accidentalmente, avrebbe avuto poca roba da spaccare.

Nel giro di un quarto d'ora, Bruce si sarebbe ritrovato nel mezzo di un soggiorno con una grossa fossa nel pavimento a forma di Loki, intento a stringere la mano ad una certa Pepper Potts, formidabile rossa in gonna, tacchi improbabili ed espressione stressata, in possesso di un paio di gambe capaci di rallentare il traffico di un'autostrada a tre corsie.
Non c'erano i dieci piani promessi di palazzo delle meraviglie, sotto i suoi piedi, ma per arrivare fin lassù erano passati in un laboratorio dove qualcuno aveva costruito quel che aveva tutto l'aspetto di un acceleratore di particelle fatto in casa.
L'ultima centrifuga che Bruce aveva posseduto era stata fatta con le bobine di un mangianastri e la cintura di un accappatoio. Ad un conteggio, il quantitativo di tessere mancanti dalla tastiera del suo preistorico IBM avrebbe superato quello di tessere presenti in un fattore di tre ad uno. Non ricordava più quand'era stata l'ultima volta che era entrato in un posto dove fosse presente un calcolatore più potente di un registratore di cassa.
E lì c'era un acceleratore di particelle. Cioè, un acceleratore di particelle.
Tutto considerato, avrebbe ammesso Bruce a posteriori, non aveva mai avuto una singola possibilità di cavarsela.

Su un quadro appeso alla parete dell'officina, proprio accanto a quella che assomigliava sospettosamente ad una Judy Garland di Warhol e a due passi di distanza da una dettagliata direttiva per il comportamento da tenere in caso di evacuazione, trasformata da qualcuno in un bersaglio per il tiro a freccette scarabocchiato a penna, c'era un cartello a grosse lettere cubitali:
Il possibile può essere fatto immediatamente, sull'impossibile ci sto ancora lavorando, per i miracoli c'è da aspettare 48 ore.
Bruce aveva fissato il cartello e si era schiarito la voce:
“Non credo che questo posto sia a prova di Hulk.”
Stark gli aveva rivolto un sorriso preoccupante.
“Non ancora.”
Alle sue spalle, una metà smontata dell'armatura penzolava da tutta una serie di ganci, appigli e carrucole. Lui aveva una chiazza di olio da motore sulla tempia destra ed una chiave inglese ficcata nella cintura di un paio di pantaloni che probabilmente costavano da soli dieci volte tanto il valore complessivo dell'intero guardaroba di Bruce – vestiti in prestito esclusi. A giudicare dalla dimensione delle occhiaie e dall'espressione maniacale, probabilmente non aveva dormito in almeno trentasei ore, e il numero di tazze di caffè vuote allineate sul tavolo da lavoro faceva pensare ad un'overdose di caffeina in corso.
In una qualche inspiegabile, possibilmente masochistica, maniera, Bruce trovava appagante la presenza e la visione di qualcuno il cui autocontrollo fosse ridotto ai minimi essenziali.
“Non ancora,” gli fece eco. Aveva letto da qualche parte che fare eco alla gente era un eccellente sistema per sentirsi rispondere cose interessanti; Stark non sembrava aver letto la stessa cosa – o, molto più semplicemente, l'aveva letta ed era comunque disposto ad abboccare all'amo – perché appoggiò entrambi i palmi al piano da lavoro e li fece ruotare. Le sue dita affondarono in schermate luminescenti ed estrassero, reggendone i bordi tra pollice ed indice, quello che pareva il progetto tridimensionale di un qualcosa stretto, alto e dotato di un grosso balcone sporgente. Bruce aguzzò la vista, poi si sistemò meglio gli occhiali, spingendoseli su per il naso, poi aggrottò la fronte.
“E' la Torre Stark, questa?”
Il sorriso di Tony si fece due dita più largo e sette gradi più preoccupante.
“C'erano ristrutturazioni da fare, un buco o due nel mio soggiorno da richiudere, e l'arsenale montato su un veicolo alieno ha fatto saltare in aria i vetri del mio bagno preferito. Perciò mi sono detto: perché non tornare alla fase della progettazione e non apportare qualche modifica?”
“Qualche modifica,” gli fece eco Bruce, di nuovo. La tecnica sembrava efficace, e tecnica che vince non si cambia.
Stark diede un colpetto alla parte superiore dell'ologramma e i piani più alti della torre si dispersero e si appiattirono, mostrando piantine di stanze, balconi, laboratori, bagni, un poligono di tiro, una piscina, una palestra...
Bruce si schiarì la voce.
“E Pepper sa di tutto questo?”
Tony Stark inarcò un sopracciglio. Bruce aveva già avuto una settimana per scoprire che le sopracciglia di Tony Stark erano l'incredibile prodotto di un dio dotato di un gran senso dell'umorismo, perché le sopracciglia di Tony Stark parlavano. Esprimevano tutta una vasta gamma di pensieri, opinioni e insulti. In questo specifico caso, il Dizionario Sopracciglio-Inglese che Bruce aveva cominciato ad appuntarsi mentalmente gli permise di tradurre quell'inarcatura con un Questa è stata una domanda estremamente stupida e sto riconsiderando quello che avevo presunto essere il tuo quoziente intellettivo.
“Giusto,” disse Bruce. Si tolse gli occhiali e li pulì con cura usando l'orlo della camicia. Tony emise un verso che era una via di mezzo tra un lamento, un gemito d'incredulità ed un grugnito: fece per sottrargli gli occhiali, una mano ad annaspare sul piano di lavoro in cerca – presumibilmente – di una pezzetta, ma Bruce gli si sottrasse abilmente. “E che cosa ne pensa Pepper?”
“Ne è entusiasta.”
“Posso immaginare,” commentò Bruce in tono molto, molto lieve.
“Era sarcasmo? Non si capisce mai se è sarcasmo o meno. Ti posso assicurare che Pepper appoggia l'idea. Incondizionatamente.”
Bruce emise un piccolo suono che avrebbe anche potuto essere un assenso. Stark aspettò pazientemente per un po' – circa tre decimi di secondo, in effetti, due decimi di secondo in più rispetto a quel che Bruce aveva previsto – prima di premere:
“E allora?”
Bruce guardò l'ologramma. Le linee delicate della torre sembravano prenderlo un po' in giro, così fragili e sottili e piccole, con tutte quelle finestre e quelle porte e i balconi che davano su Manhattan. Nel mezzo di Manhattan. C'erano un milione e mezzo di persone, a Manhattan, quasi venti milioni di persone in tutta New York, e un numero potenzialmente infinito di cose fragili e sottili e piccole che si potevano rompere.
“Ci devo pensare,” disse mitemente.
Stark sorrise.
“Questo non è un no.”
Bruce dibatté tra sé e sé sulla possibilità di pulirsi gli occhiali – e poi si ricordò che l'aveva appena fatto e che c'era un quantitativo limitato di ossessioni, fissazioni e tic che poteva dimostrare prima di risultare evidentemente pazzo.
“No,” convenne perciò, piegando il capo da una parte. “Non è un no.”


. tre
Anything that can go wrong, will — at the worst possible moment.
“Tutto quel che può andare male, andrà male – nel peggior momento possibile.”
Finagle's Corollary (Corollario di Finagle)


Tre quarti di secolo non avevano cambiato molto Central Park. C'erano più tartarughe nel laghetto delle tartarughe e i chioschi dei gelati adesso non vendevano solo gelati, ma anche tutta una lunga serie di cose sulla natura delle quali Steve preferiva in linea di massima non interrogarsi: aveva scoperto a sue spese che la nuova reazione alla domanda Vendete Coca-Cola, qui? non era il , il No o il Mi faccia controllare che uno si sarebbe ragionevolmente aspettato, ma un Quale Coca Cola? al quale era sorprendentemente difficile dare risposta.
Nel 2012 la Coca-Cola era in bottiglia grande di plastica, bottiglia piccola di plastica, bottiglia media di vetro, in lattina, al bicchiere, alla spina, alla brocca, era senza zucchero o con lo zucchero, con caffeina e senza caffeina, alla vaniglia, al limone, al lime, alla ciliegia, energetica, tradizionale, con etichetta rossa, con etichetta bianca, Coca-cola arancione, nera, rossa.
Steve Rogers, settant'anni sotto ghiaccio, tre anni di servizio attivo e una guerra mondiale alle spalle, aveva deciso che, per vivere una vita semplice, la cosa migliore da fare sarebbe stata bere da quel momento in poi soltanto acqua naturale.
Malgrado la Coca-Cola in ventisette versioni e le tartarughe che si erano entusiasticamente riprodotte in quegli anni – così come si erano riprodotti i chioschi, le panchine e i cartelloni pubblicitari – Central Park era più o meno sempre lo stesso. Steve non ricordava di aver mai frequentato molto Manhattan in passato: era stato un posto per ricchi anche prima della guerra, e Steve e Bucky... be', Steve e Bucky avevano avuto frequentemente le tasche bucate, ecco. Tasche bucate e rattoppate nelle quali era stato più probabile trovare ragnatele che non dollari.
Comunque.
Central Park era ancora un posto verde e tranquillo. C'erano bambini che ridevano e vecchietti che passeggiavano e graziose tartarughe dal dorso lucido che sonnecchiavano pigramente, ammucchiate sui sassi che emergevano dall'acqua trasparente. Era una giornata luminosa. Sembravano tutti felici. Era difficile credere che New York fosse emersa di recente da un tentativo di invasione aliena, ma il profilo dei grattacieli al di sopra delle cime degli alberi e dall'altra parte del laghetto mostrava buchi e toppe che prima non c'erano stati. Da qualche parte, qualcuno si stava spremendo le meningi per decidere che cosa fare precisamente dell'enorme balena aliena che aveva giocato al gioco del pollo con Hulk ed aveva perso.
Steve aveva passato la mattinata aiutando una squadra di soccorso a Roosevelt Island, dove il peso dei detriti degli edifici crollati aveva fatto cedere anche la galleria della metropolitana. Aveva parcheggiato la moto accanto all'albergo dove aveva preso una stanza e comprato il pranzo a portar via in una tavola calda che preparava gli hamburger con vera carne e vero formaggio, non con la soia macinata e la plastica gialla che sembravano essere gli ingredienti principali di quell'orribile posto con l'insegna a forma di clown che adesso era praticamente ovunque. Al momento, Steve si stava godendo un momento di tranquillità con un panino in mano e il lago di fronte; forse, quando avesse finito di pranzare, avrebbe camminato fino al Met per vedere se le gallerie erano state riaperte o erano ancora chiuse.
Il sole di giugno era alto e caldo; c'era un velo di vapore umido sopra al lago delle tartarughe che sembrava immergere tutta la scena in un'atmosfera quieta, pigra, assorta. Steve finì il suo (terzo) panino, ripiegò accuratamente la busta per poterla buttare via alla prima occasione e gettò la manciata di briciole avanzata nel laghetto delle tartarughe. Poi chiuse gli occhi, sentendosi sazio e tutto sommato contento, e piegò la testa all'indietro con un respiro profondo.
“Lo sai che è vietato dar da mangiare alle tartarughe a Central Park?”
Steve ebbe l'impressione che la quiete del pomeriggio si spezzasse, tutto d'un tratto, fisicamente e di netto, con un sordo crack.
Tenne gli occhi chiusi ancora per un momento – se si fosse rifiutato di guardare, magari, la voce si sarebbe rivelata un'illusione acustica e niente di male sarebbe accaduto.
“Soprattutto, non si dà da mangiare il pane alle tartarughe, la tartaruga si riempie lo stomaco con il pane, l'acqua lo fa gonfiare e la tartaruga muore orribilmente e tra atroci sofferenze quando il pane si gonfia troppo e le scoppia la pancia. Non te l'ha mai spiegato nessuno? Buon Dio, cos'è che insegnavano a scuola nel Pleistocene?”
Steve aprì gli occhi. Tony Stark gli rivolse un sorriso a novantasette denti ed esclamò:
“Salve.”
Percorrendo il metro e mezzo che lo separava ancora da Steve, si lasciò cadere seduto accanto a lui sulla panchina, gettando entrambe le braccia dietro lo schienale, allungando le gambe di fronte a sé e, per farla breve, occupando una straordinaria quantità di spazio per essere qualcuno alto meno di sei piedi.
Steve si fece un paio di centimetri più in là sulla panchina, perché tre anni passati tra campi di battaglia, tende e camerate gli avevano instillato un feroce desiderio di cose come la privacy ed uno spazio personale, e si schiarì la voce, prima di informarsi mitemente:
“C'è qualcosa che posso dire o fare per convincerla a fingere di aver sbagliato persona e di avere qualcos'altro da fare di estremamente urgente in un qualunque posto che non sia questo?”
Stark gli rivolse un sorriso smagliante:
“No.”
“Lo supponevo. Buongiorno, signor Stark.”
“Sai, c'è una cosa che mi stavo chiedendo. Perché Bruce è il dottor Banner mentre io sono il signor Stark? Ho una laurea anche io. Davvero. L'ho incorniciata e appesa e tutto il resto. Da qualche parte. Sono sicuro di averla appesa. Forse in bagno.”
Rispondere a tono avrebbe richiesto una quantità d'energia che Steve sentiva di non voler racimolare, al momento.
“Che cosa posso far per lei, dottor Stark?”
“Ecco, no, dottor Stark suona – suona veramente malissimo. E' terribile. No, no, cancelliamolo. Dimentichiamoci di averlo mai sentito pronunciare. Stark va bene. Anche Tony va bene. Tony è un bellissimo nome, ci piace, Tony sarebbe fantastico.”
“C'è una ragione per la quale è venuto?” chiese Steve, sentendo un'eco di disperazione farsi strada nella sua voce. “Qui? Adesso?”
Stark piegò il capo in avanti e si spinse gli occhiali più giù sul naso, guardandolo al di sopra dell'orlo delle lenti rosse.
“Oltre al piacere della compagnia?”
L'occhiata che Steve gli rivolse doveva avergli comunicato efficacemente che cosa, precisamente, Steve pensasse della compagnia e del piacere in questione, perché Stark rise e si spaparanzò più comodamente sulla panchina, la schiena e le gambe allungate ad occupare tutta la superficie umanamente possibile.
“Com'è andato il tour in motocicletta, Capitano? L'America è tutta ancora dove l'avevi lasciata?”
“I Dodgers decisamente non sono più dove li avevo lasciati.”
La risposta parve cogliere di sorpresa Stark, che si sfilò gli occhiali, dopo un attimo d'esitazione, li ripiegò e se li cacciò nel taschino della giacca. Fu il turno di Steve di appoggiare il dorso allo schienale della panchina e, sentendosi stranamente soddisfatto, di allungare le gambe e intrecciare le caviglie.
Stark girò la testa per guardarlo:
“Un uccellino mi ha riferito che lo S.H.I.E.L.D. ti ha trovato un appartamento a Brooklyn.”
Steve, sorpreso, emise un indistinto suono d'assenso. Stark lo guardò fissamente per un momento, gli occhi socchiusi, prima che il suo sorriso si facesse ancora più ampio.
“Dev'essere un posticino carino.”
Altro, sempre più indistinto, suono d'assenso. Il sorriso di Stark si fece così largo da dare l'impressione che gli avrebbe spaccato la faccia in due, se non fosse stato attento.
“Non ci hai messo piede, non è vero?” chiese, divertito.
Colto sul fatto. Steve intrecciò le braccia all'altezza del petto e serrò la mascella.
“C'è una ragione dietro a questo interrogatorio, Stark?” “Ecco, Stark va bene. E' un buon inizio; non ottimo, ma un buon inizio.”
Stark...”
“Ho una proposta per te, Capitano. Restituisci a Fury le chiavi dell'appartamentino dello S.H.I.E.L.D. e vieni a stare da noi.”
Steve si chiese se la botta che Stark aveva preso quando Hulk l'aveva acchiappato al volo e gli aveva impedito di trasformarsi in una macchia rossa sull'asfalto gli avesse danneggiato irrimediabilmente il cervello. Sbatté le palpebre, l'espressione vacua, e aprì e chiuse bocca a vuoto un paio di volte; represse l'istinto – a fatica, ma lo represse – di cacciarsi un dito in un orecchio per cercare di sturare il tappo di cerume che sicuramente doveva essere lì da qualche parte, perché sua madre l'aveva cresciuto a pane, minestra ed educazione e c'erano cose che proprio non si potevano fare in pubblico, nossignore.
“Non credo di aver capito,” disse, invece, in quello che sperava fosse un tono estremamente cortese.
“Che cosa c'era da capire?” Stark agitò una mano in un gesto ampio, minacciando di ammaccare accidentalmente il naso di Steve e spaventando a morte un paio di coraggiosi piccioni che stavano becchettando via le briciole ai piedi della panchina. “Molla lo S.H.I.E.L.D.. Molla quel buco di appartamento a Brooklyn – dove non hai ancora messo piede, peraltro – e vieni alla torre. C'è un sacco di spazio. Bruce è già lì. Romanoff è già lì. Diamine, Barton è già lì, e fino ad una settimana fa ero convinto che vivesse in una voliera dello S.H.I.E.L.D..”
“L'agente Romanoff vive alla torre,” ripeté Steve. La frase non apparve più credibile neanche una volta ripetuta. “La sua torre. La torre Stark.”
Stark agitò nuovamente le mani – ma stavolta Steve era pronto, e fece in tempo a spostare la testa.
“Che cosa posso dire, Capitano? Un bel giorno mi sono guardato attorno e, puff, lei e Barton erano apparsi.”


. due
Anything that can go wrong already has, you're just not aware of it yet.
“Tutto quel che può andare storto, è già andato storto; è solo che tu ancora non lo sai.”
Elson's Law (Legge di Elson)



Natasha Romanoff e Clint Barton erano, in effetti, molto semplicemente apparsi.
L'avevano fatto di buon mattino, e silenziosamente, e tirandosi dietro due sacchetti con qualche vestito di ricambio e diversi borsoni contenenti l'equivalente portatile dell'arsenale di una piccola repubblica delle banane.
Tony sospettava che Barton avesse stabilito un presidio armato all'interno dei condotti dell'aria condizionata e che l'agente Romanoff fosse responsabile per l'inspiegabile sparizione della macchina del caffè che era stata installata all'interno dell'officina – e che era la miglior macchina del caffè che il denaro, la fama e Pepper Potts fossero stati in grado di procurargli.
Sospettava anche che Natasha avesse trascinato via Clint dal quartier generale dello S.H.I.E.L.D. in fretta e furia, prima che a qualcuno potesse venire la brillante idea – giacché il vero responsabile era ad x anni luce di distanza, con x equivalente ad un qualunque numero tra uno e nessuno ne ha la minima idea, ma concordiamo tutti sul fatto che siano fottutamente tanti – di cercare un capro espiatorio per gli svariati milioni di dollari di danni e le svariate centinaia di vittime che erano seguiti a Loki e ai Chitauri.
Clint sarebbe stato un simpatico capro espiatorio. Clint non veniva da Asgard, Clint era rimasto sulla Terra e, soprattutto, Clint non aveva un grosso fratello molto irritabile dal martello facile.

Di tanto in tanto a Tony capitava di pentirsi di aver detto all'agente Romanoff che c'erano piani liberi alla torre di Manhattan – piani che gli sarebbe piaciuto venissero occupati – e che era libera di tirarsi dietro Barton, sicuro, Barton era invitato, Barton era il benvenuto, la festa non sarebbe stata completa senza Barton.
Se ne pentiva generalmente ogni volta che Natasha era di cattivo umore e in qualche modo era sempre colpa di Tony e lei cominciava a guardarlo in quella maniera lì, proprio quella, che lo informava che siringhe dagli aghi aguzzi e coltelli acuminati non erano poi troppo lontani, e che c'erano centoventisette modi diversi nei quali sarebbe stata in grado di far sparire il suo cadavere definitivamente e senza sporcarsi le scarpe. Se ne pentiva anche ogni volta che Barton e la strumentazione tecnologica della torre – televisori e lettori DVD e modem e frigoriferi e tostapane, indistintamente – avevano un acceso dibattito che terminava, immancabilmente, con una freccia piantata da qualche parte. Usualmente, in un posto costoso.
Non se ne pentiva mai abbastanza, tuttavia, da decidere di chiedere loro di togliere il disturbo: c'era comunque sempre il rischio che ci fosse qualcuno, le facce senza faccia dietro allo S.H.I.E.L.D. e dietro alla bomba che era stata spedita dritta dritta su Manhattan, potenzialmente pronto a togliere Clint Barton dalla circolazione.
E Barton gli piaceva. Davvero. Soprattutto quando non si teneva occupato piantandogli frecce nel televisore.


. tre - ripresa
A knowledge of Murphy's Law is no help in any situation.
“Conoscere la legge di Murphy non è d'aiuto in nessuna circostanza.”
Anonimo



“Uh,” disse Steve.
Un audace piccione gli saltò sulla scarpa e, dopo averla scavalcata, cercò di arrampicarsi su quella di Stark. L'uomo emise un piccolo verso di schifo, rabbrividendo, e tentò di tirar via il piede (con estrema cautela, perché nulla come un grosso spavento poteva spingere un uccello a produrre immensi quantitativi di guano). Il piccione lo fissò, tubò tutta la sua disapprovazione e volò via.
“E' solo un piccione,” esclamò Steve, divertito suo malgrado.
“Sbagliato, Capitano: tu vedi un piccione, io vedo un produttore volante di malattie, sporcizia e piume puzzolenti. E' praticamente un'arma batteriologica a media gittata. Dovrei innestarne un paio nell'armatura, sarebbero terribili.”
Rimasero in silenzio per un po'; non un lungo po', perché sembrava che Stark fosse geneticamente incapace di starsene zitto e fermo troppo a lungo, ma comunque un po', sufficiente a dare a Steve il tempo di pensare.
Quando Stark cominciò ad agitarsi sulla panchina, accennando a tirar nuovamente fuori gli occhiali, Steve riaprì bocca:
“Non ha più aggiustato l'insegna.”
Quale insegna?”
Steve inarcò un sopracciglio e gli lanciò uno sguardo alla ah-ha, bel tentativo. Stark sorrise.
“Non l'ho aggiustata?” chiese, il tono vago. “Non ce ne dev'essere stato il tempo. Le riparazioni sono lunghe e costose, Capitano.”
“Sono passati tre mesi.”
“Lunghe, per l'appunto, molto lunghe.”
“Mi aspettavo sarebbe stata la prima cosa ad essere riparata,” disse Steve con leggerezza, perché a quel gioco si poteva giocare anche in due. “Sa. Nomi scritti in cielo, parate, fiori, cose così.”
Il verso che scappò a Tony Stark fu la combinazione tra una risata strozzata ed un suono offeso.
“Diamine, Capitano, è ironia quella che sento?”
Steve si cacciò le mani in tasca, un sorrisetto compiaciuto sulla faccia:
“Non so proprio di cosa lei stia parlando.”
Un'altra pausa. Una tartaruga stava cercando di tirarsi fuori dall'acqua e di raggiungere la cima di un masso: la superficie della roccia formava praticamente un angolo retto con quella del lago, e c'era uno strato di scivolosissimo muschio verde a ricoprirla e a rendere ancora più difficili le cose, ma la tartaruga aveva piantato una zampa contro il sasso più vicino, il collo stirato verso l'alto, e sembrava aver deciso che non sarebbero state le leggi della fisica e della vischiosità a fermarla. Stark la stava fissando con un'espressione affascinata.
Steve si schiarì la voce.
“Mi dica solo una cosa.”
Tony distolse lo sguardo dai tentativi della tartaruga scalatrice.
“Sì?”
“Avete una palestra dalle parti della torre?”



. cinque - ripresa
Matter will be damaged in direct proportion to its value.
“Le cose verranno danneggiate in proporzione diretta al loro valore.”
Murphy's Constant (Costante di Murphy)



L'A.I.M. era il curioso prodotto di un dio dotato di un gran senso dell'umorismo e con troppo tempo libero a disposizione.
Il gruppo dell'A.I.M. - che stava per Avanzate Idee Meccaniche, ma che sarebbe stata una molto più opportuna sigla per Ancora Imbecilli Malgrado tutto, dove mancava una T per chiudere la sigla, ma A.I.M.T. sarebbe stato veramente impronunciabile, aimt, aìmt, visto, suonava davvero malissimo – aveva cominciato producendo armi. Tony riteneva che si trattasse di un inizio mediamente ragionevole per un'associazione a delinquere. Inventavano armi, costruivano armi, vendevano armi, foraggiavano altre organizzazioni terroristiche e, giacché c'erano, portavano avanti nel tempo libero il loro piccolo, personalissimo piano per la conquista del mondo. Fin qui, tutto a posto. Nel corso degli ultimi anni Tony era venuto a contatto con gente che andava in giro facendo saltare in aria altra gente e vestendosi con tutine di latex ed elmetti cornuti per ragioni molto meno sensate: bastava pensare a Loki, dopotutto, il quale avrebbe avuto meramente bisogno di un paio di sedute con uno psichiatra di quelli capaci e di una dozzina di pacche sul sedere in più quand'era stato bambino, e nessuno voleva parlare del Piano Malvagissimo dell'Uomo Talpa. Davvero. Nessuno ne voleva parlare.
L'A.I.M., tuttavia, aveva rovinato una linea di sensati obiettivi e ragionevoli inizi il giorno in cui qualcuno si era messo a tavolino ed aveva cominciato a progettare le divise per i suoi membri.
Perché la divisa dell'A.I.M. era gialla. Non solo: la divisa dell'A.I.M. era uno scafandro. Uno scafandro giallo.
Cioè.
C'erano cose più ridicole, a questo mondo, ma non molte.
I divisori dell'officina avevano tenuto: i pannelli in fibra di vetro, adamantio e berillio – dove il berillio era stato un assoluto colpo di genio, il merito del quale andava attribuito a Bruce – erano giusto un po' crepati agli angoli, dov'erano legati ad un'intelaiatura armata in una lega di acciaio e boro, e c'era una ragnatela di fratture attorno al punto in cui uno scudo rosso, bianco e blu dall'aspetto familiare era stato conficcato nel mezzo del pannello centrale. Tony scavalcò il corpo riverso di un membro dell'A.I.M. che si limitò a gemere – ma a voce molto bassa, probabilmente preoccupato che qualcuno lo sentisse e venisse a dargli altre ragioni per lamentarsi – e afferrò i bordi dello scudo, cercando di tirarlo via. Era come cercare di tirar via Excalibur.
Una grossa mano congiunta ad un grosso braccio collegato ad una grossa spalla coperta da quella che sembrava essere una maglietta della salute gli passò accanto alla testa e, scivolando facilmente nell'impugnatura di cuoio dello scudo, lo tirò via senza fatica.
Tony buttò la testa all'indietro per poter guardare in faccia il proprietario della mano.
“Questo non basterà a fare di te il prossimo re d'Inghilterra.”
Steve gli rivolse l'espressione molto perplessa e solo vagamente divertita che aveva cominciato a sviluppare da alcuni mesi a quella parte, un miscuglio di non ho la più pallida idea di che cosa tu stia parlando e ma non importa, ti trovo buffo lo stesso.
“E' stato divertente, ma cerchiamo di non rifarlo,” commentò Barton. Stava recuperando le frecce tirate, gettando in una sacca quelle inutilizzabili e ricacciando nella faretra quelle che erano ancora in buone condizioni; Tony aveva cercato di spiegargli che era assolutamente inutile, una perdita di tempo, le frecce usate potevano essere buttate e costruirne di nuove era una spesa pressoché irrisoria, ma Barton aveva fatto la faccia di qualcuno al quale si stesse suggerendo di rinunciare al proprio figlio primogenito. Cioè, aveva fatto quella che Tony supponeva potesse essere interpretata come una faccia, nel senso che aveva piegato un sopracciglio un po' verso l'alto, un labbro un po' verso il basso e aveva aggrottato la fronte. Ad aggrottare la fronte era bravissimo: il resto della normale gamma delle espressioni umane – sorriso preoccupante a parte – sembrava causargli sempre qualche problema.
Natasha scivolò nella stanza con l'incedere soddisfatto e un po' ondeggiante di qualcuno che avesse appena pranzato, l'espressione compiaciuta e non un capello fuori posto. Tony cercò di non farsi domande. In linea di massima, non farsi troppe domande in presenza dell'Agente Romanoff era un sistema eccellente per vivere una vita lunga e tranquilla. Bruce, che aveva seguito Natasha, aveva un'espressione pacifica sul viso ed una tazza di qualcosa di fumante tra le mani.
“Tè?” si informò Tony, spingendo da una parte con il piede il membro dell'A.I.M. che stava bloccandogli l'accesso all'officina.
Bruce si limitò a scavalcare il malcapitato.
“Camomilla,” replicò serenamente.
Tony si schiarì la voce:
“Giusto. Ehi, hai ancora tutti i vestiti addosso. Sei passato dal guardaroba prima di scendere o...”
“Quand'è suonato l'allarme, l'ho spento e sono rimasto nella mia stanza,” spiegò Bruce, prendendo un piccolo sorso dalla tazza. “Lo stucco sull'ultimo buco che Hulk ha aperto nella torre si sta ancora asciugando, ho pensato non fosse il caso di, uh, uhm...”
“La ditta di pulizie te ne sarà grata,” disse Tony, sentitamente. “Ho scoperto che scrostare l'intonaco dai tappeti è più complicato di quanto avessi inizialmente supposto. Nessun problema con le esplosioni?”
“Non ho sentito niente.”
Tony inarcò un sopracciglio. Bruce gli rivolse un sorriso vaghissimo, passandosi la tazza in una mano per poter esaminare con l'altra l'orlo delle crepe nel pannello.
“Musica dal Nepal,” spiegò. “E' incredibile quanto rumore possa coprire una campana tibetana.”
L'officina sembrava essere emersa sostanzialmente indenne dall'assalto. Quando il pannello si aprì, DUM-E si affacciò da dietro uno dei tavoli, armato di estintore, ed emise un breve suono perplesso.
“No,” gli disse Tony, guardandosi intorno. “Non farlo. C'è Bruce, qui, e tu non vuoi veramente farlo.”
DUM-E era stato costruito con un'A.I. limitatissima, ma anche l'A.I. limitatissima di DUM-E era perfettamente in grado di ricordarsi che cosa di preciso fosse accaduto l'ultima volta che Hulk era uscito a giocare nel mezzo dell'officina. Dita di Burro tendeva ancora a nascondersi dietro ai tavolini ogni volta che qualcosa di verde gli passava davanti.
L'estintore venne abbassato con un suono depresso.
“Ho chiamato lo S.H.I.E.L.D.,” annunciò Natasha, affacciandosi alla porta dell'officina. “Saranno qui a breve.”
“Sono già qui,” esclamò Clint da qualche parte ai piedi delle scale.
“Hanno mandato l'Agente Hill?” chiese Tony, senza girarsi. “Ditemi, per favore, che hanno mandato l'Agente Hill. Sono certo che per una situazione del genere vi sia una montagna di documenti da firmare, trascrivere e riempire, e la cosa renderà felicissima l'Agente Hill. Le lasceremo compilare tutti i moduli che vorrà.”
“Mi spiace deluderla, signor Stark,” disse Phil Coulson alle sue spalle. Il tipo dell'A.I.M. che stava ancora fungendo da paraspifferi di fronte alla porta dell'officina emise un piccolissimo gemito, estremamente incerto, quando venne scavalcato per la terza volta. “Ma mi ricorderò di riferire al Vicedirettore della premura che avrebbe voluto poterle dimostrare.”


. quattro
Whatever you are about to do, if there is a good chance it will get you killed, you probably shouldn't do it.
“Qualunque cosa tu stia per fare, se c'è una buona percentuale di possibilità che ti possa far ammazzare, probabilmente non dovresti farla.”
Murphy's Cops Laws (Leggi di Murphy Per Poliziotti)



Le voci sulla morte di Phil Coulson erano state grandemente esagerate.
Urla, strepiti e una certa dose di rimostranze erano seguiti alla scoperta, e c'era voluta tutta la diplomazia dell'agente Romanoff per convincere Pepper Potts a non sguinzagliare gli avvocati alle calcagna del Direttore dello S.H.I.E.L.D. – perché, a quanto pareva, annunciare la morte di qualcuno che non era effettivamente del tutto morto morto era illegale e, sì, per una cosa del genere si poteva venire denunciati per danni morali, danni psicologici, danni umani, manipolazione, abuso d'ufficio ed un'altra mezza dozzina di cose delle quali Tony aveva preferito non tenere il conto.
Un mazzo di figurine estremamente vintage – sprovviste, queste, di opportune macchie di sangue – erano state fatte comparire in qualche modo, tutte scrupolosamente firmate, e il Capitano Rogers aveva guardato Nick Fury, per un paio di mesi o giù di lì, con la sua migliore Espressione di Disapprovazione. Rogers aveva dozzine di Espressioni di Disapprovazione, nelle varie gradazioni del disappunto, dell'irritazione, della delusione e via discorrendo, ed erano tutte così eccezionali da meritarsi la maiuscola, Espressioni di Disapprovazione. Erano in grado di lasciare l'essere umano medio a contorcersi per l'imbarazzo e la contrizione: Nick Fury si era limitato ad ignorarle finché il momento della Disapprovazione non era passato, facendo sfoggio di una calma sovrannaturale e dimostrando una volta per tutte di provenire, come Tony aveva sempre sospettato, da Plutone.

Come si era arrivati a scoprire che Phil Coulson non era effettivamente del tutto morto, ed era invece effettivamente ancora piuttosto vivo, era una lunga storia.
Come quella di Budapest, era una storia che meritava di essere trattata a parte.


. sei
If it can happen, it will happen.
“Se può accadere, accadrà.”
precedente della Legge di Murphy, attribuito ai membri della squadra di E.A.MURPHY



Tra le molte cose che si potevano dire di Phil Coulson – che aveva il taser facile e un discutibile senso dell'umorismo; che adorava le ciambelle glassate, ma detestava, malgrado quel che la maggior parte delle persone credeva, i programmi di Jo Frost; che ascoltava Benny Goodman e che guidava come un pazzo – quella che andava messa prima di tutte le altre era che Phil Coulson era efficiente. Non il genere di efficienza dispersiva e complessa che richiede una squadra di analisti, una o più segretarie ed un sacco di denaro a disposizione, ma il genere d'efficienza che Steve identificava come l'efficienza alla Potts. Otto mesi erano bastati a Steve per apprendere che, per essere efficiente, tutto quel che necessitava alla signorina Potts erano un telefono e un quarto d'ora senza Tony tra i piedi.
A trentasette minuti dal primo allarme di J.A.R.V.I.S., diciannove minuti dopo la chiamata di Natasha, il livello dell'officina era sgombro, le scale stavano venendo spazzate e c'era qualcuno che si stava occupando dei cinque membri dell'A.I.M. ancora bloccati nell'ascensore. L'Agente Coulson sparì alle cinque del mattino, minuto più, minuto meno, lasciandosi alle spalle una torre vuota, una minacciosa pila di moduli e rapporti da completare – Tony aveva spinto da una parte il fascicolo che gli spettava con l'aria schifata di chi si trovi a maneggiare inaspettatamente un mucchietto di cacca di gatto – e molti saluti per la signorina Potts.
Quindici ore più tardi, le cose sembravano tornate alla normalità. Una pentola di stufato cuoceva lentamente sul fuoco, lo scoppiettare allegro del bollore coperto dall'insistente tamburellare della pioggia sui vetri, con scrosci d'acqua che andavano avanti dal pomeriggio, ormai, facendosi sempre più forti di ora in ora. Malgrado la pioggia, dal soggiorno arrivava con straordinaria chiarezza quel che Steve aveva imparato ad identificare come il sottofondo musicale di Super Mario.
C'erano tecnicamente sette soggiorni, così come c'erano tecnicamente sette camere da pranzo, sette cucine, un numero indefinibile di camere da letto, ripostigli, sgabuzzini, balconi, due palestre attrezzate fino all'eccesso, due poligoni di tiro, una enorme sala dalle pareti imbottite che anche Hulk non era (ancora) riuscito a buttare giù e, Steve non aveva creduto ai propri occhi la prima volta che l'aveva vista, una vera piscina. Una piscina olimpionica.
Si poteva dire in tutta onestà che trovare una palestra dalle parti della torre non fosse mai stato un problema.
Comunque, malgrado i sette soggiorni, le sette cucine e le due palestre, che avrebbero permesso in linea teorica di vivere vite felicemente separate, ciascuno per conto suo, senza doversi mai incontrare se non in caso di apocalisse e/o invasione aliena e/o riunioni pre-missione, post-missione e pro-missione, Steve aveva scoperto che tutti quanti tendevano spontaneamente ad aggregarsi nello stesso posto, sbucando fuori come piccoli funghetti ovunque qualcuno stesse cominciando a cucinare, o a guardare il telegiornale, o a fare una qualunque altra cosa in un qualunque altro posto. Steve era sempre stato considerato una persona piuttosto socievole; ma aveva pensato, quando al principio aveva accettato di traslocare nella Torre, che l'agente Barton e l'agente Romanoff avessero personalità estremamente, uh, estremamente riservate, che il dottor Banner non sarebbe riemerso volentieri dal laboratorio che gli era stato offerto e che Stark, be', Stark sarebbe stato più... più... insomma, più... oh, avete capito, no?
Otto mesi più tardi, dal soggiorno arrivavano i suoni soffocati di una lite per il possesso e il controllo del joystick tra Romanoff e Barton – che Steve sperava veramente non si trasformasse in un match improvvisato di lotta libera sul tappeto – e sul fuoco c'era una pentola per dodici persone – perché Steve doveva mangiare per quattro, Clint e Natasha erano due piccole macchinette bruciacalorie, al dottor Banner piaceva lo stufato e, dato che l'adorabile signorina Potts era nuovamente fuori città, c'erano buone possibilità che Stark si facesse vivo da un momento all'altro.
Banner era emerso mezz'ora prima con una pila di fascicoli in mano, gli occhiali storti sul naso e l'espressione assente di qualcuno che fisicamente era in soggiorno, ma mentalmente era ancora in laboratorio, con il cervello che scorreva su binari di equazioni e rotaie di integrali e caselli di sostanze estremamente radioattive. Bruce Banner tendeva ad avere orari estremamente regolari, con tre pasti al giorno e otto ore di sonno per notte e due ore di pausa ogni sei ore di lavoro. Aveva spiegato, con l'estrema serenità di qualcuno che sapeva perfettamente che non essere sereno avrebbe comportato la necessità di milioni di dollari di ristrutturazioni agli edifici circostanti, che era meno probabile che l'Hulk facesse una visita a sorpresa, se lui si ricordava di tenersi ben nutrito e ben riposato e non troppo affaticato.
Un fulmine colossale sembrò accendere a giorno il cielo fuori dalle vetrate. Un secondo più tardi, il tuono fece vibrare le finestre malgrado i pannelli rinforzati.
“Dev'essere caduto vicino,” osservò Steve a voce alta.
“Già,” replicò Stark, comparendogli dal nulla accanto al gomito, con giusto un accenno di velatissimo sarcasmo. “Esprimi un desiderio, Rogers. Che cosa c'è in quella pentola?”
“Stufato.”
“Stufato di cosa?”
“Stufato alla Svuotadispensa,” rispose Steve prontamente.
Colto alla sprovvista dalla replica breve e convinta, Stark esitò per un lungo momento, prima di ripartire all'attacco:
“Sono praticamente certo che una ricetta chiamata Stufato alla Svuotadispensa non esista su nessun libro di cucina.”
“Ed io sono praticamente certo che tu non abbia letto ogni libro di cucina che sia mai stato scritto. Perciò, non puoi esserne davvero certo.”
Stark alzò un dito, aprì bocca, la richiuse, la riaprì, parve cercare per un momento, annaspando, la risposta giusta per il momento giusto; e, quando fu evidente che il momento giusto era passato da un pezzo, richiuse definitivamente la bocca e agitò il dito all'indirizzo di Steve, la fronte aggrottata.
“Se finirò in ospedale con un'intossicazione alimentare, Capitano, Pepper sguinzaglierà i cani.”
“Io piaccio alla signorina Potts,” replicò Steve, serenamente, girando lo stufato per non farlo attaccare al fondo della pentola. “Sono sicuro di poterla convincere che non sia stata colpa del mio stufato.”
“Non ci...” Un fulmine riempì la sera di bianco e le luci negli edifici circostanti – ma non quelle della Torre Stark – parvero affievolirsi e tremolare per un momento. Il tuono che ne seguì coprì le parole di Tony. Steve lo vide aggrottare la fronte. “Questo è caduto vicino.”
Il telefono di Steve prese a squillargli in tasca. Lui spostò lo stufato dal fuoco, si pulì le mani su una pezzetta e sollevò con cura il telefono: era un modello speciale, con lo schermo rinforzato e i sensori calibrati sulla sua forza, i tasti allargati e tutta una serie di icone estremamente facili da comprendere, perché, per quanto Steve potesse essere brillante ed intuitivo, quelli erano comunque settant'anni di storia, tecnologie e cultura delle immagini che erano andati avanti senza di lui, grazie tante, era autorizzato ad otto mesi di incertezza nell'uso dei telefoni cellulari.
“Qui Steve Rogers.”
La voce dell'agente Coulson arrivò stranamente fioca e crepitante:
Buonasera, Capitano Rogers. Abbiamo ricevuto in questo momento un messaggio da una base canadese. La dottoressa Foster ritiene di essere riuscita ad inviare un segnale attraverso un ponte di Einstein-Rosen e di...
“E' Coulson?” lo interruppe Stark. “Metti in vivavoce.” Steve gli fece segno di star zitto e Stark si esibì in un'elaborata mimica gestuale il concetto di base della quale era evidentemente un invito a condividere le novità con la classe. Alzando gli occhi al cielo, esasperato, Steve fece quel che gli veniva chiesto.
La voce di Coulson continuò a suonare lontanissima anche una volta amplificata.
... sembra vi sia stata una risposta degli strumenti.
“Foster ha aperto un ponte di Einstein-Rosen?” chiese Stark, impressionato.
Se Coulson era sorpreso di trovarsi improvvisamente nel mezzo di una teleconferenza, non lo diede a capire:
Non precisamente. La dottoressa Foster ha usato un ponte di Einstein-Rosen già esistente per inviare il segnale. La risposta degli strumenti non sembra arrivare dallo stesso ponte, tuttavia, ed abbiamo...
L'ennesimo tuono coprì la voce di Coulson. Dalla porta del soggiorno si affaccio Banner, l'espressione (fortunatamente) più curiosa che preoccupata, e dietro di lui fecero capolino le teste di Clint e Natasha.
... c'è la possibilità che qualcosa stia arrivando dall'altra parte di uno dei ponti,” concluse Coulson. “La dottoressa Foster sta cercando di stabilire quale ponte e dove avrà le maggior possibilità di aprirsi.
Anche Stark saltò sul posto quando un nuovo fulmine cadde così vicino da dar loro l'impressione che i peli di braccia e gambe si fossero drizzati d'improvviso. I capelli del dottor Banner – che anche nelle migliori giornate davano l'impressione di non aver mai avuto un incontro ravvicinato con una spazzola ed un paio di forbici – sembrarono assumere una visibile qualità crepitante.
“E questo ponte di Einstrosen...” azzardò Steve (“Einstein-Rosen,” lo corresse Tony, scandalizzato, “Einstein-Rosen, per l'amor di Dio, Capitano, Einstein-Rosen!”), “si annuncia per caso con tuoni, pioggia, tempeste... molti fulmini?”
Un attimo di pausa.
... la sua è una brillante seppur immotivata intuizione, Capitano Rogers?
Steve lanciò un'occhiata fuori dalla finestra. La pioggia scrosciante era ridotta a pochi scrosci brevi, adesso, che le raffiche di vento spingevano a cadere quasi orizzontalmente.
“Non precisamente.”
Fuori dalla finestra passò un lampo di luce così chiara da accendere a giorno le strade di New York; il tuono lo seguì senza una pausa, e subito dopo qualcosa parve abbattersi sulla sommità della torre – più in alto delle loro teste, approssimativamente, suppose Steve, al livello della terrazza principale – facendola vibrare.
Steve non ne aveva la certezza, ma avrebbe potuto giurare che si trattasse di un martello.





Note: Questa storia è stata un parto. Ho cominciato a scriverla a febbraio. Le prime cinque pagine hanno richiesto tre mesi, le restandi undici cinque giorni. Ho smesso di farmi domande sui miei processi mentali e sto imparando a seguire l'onda.
Qui potete trovare qualche disegno che ho scarabocchiato dopo aver finito di scrivere la storia. La scena con i piccioni è stata particolarmente ispirante.
E, sì, effettivamente le variazioni sulla Legge di Murphy sono più di sei. Le scene sono sei. Le variazioni sono (tipo) nove. Coff coff.

Partiamo dalle cose serie. Si ringraziano (molto, dove molto è una variabile compresa tra parecchio e tendente a infinito) dierrevi e Charme, che hanno betato questa storia con la loro consueta efficacia alla Phil Coulson.
Per quanto riguarda l'ambientazione. Ho allegramente preso dal film tutto quel che mi piaceva, e costituisce sicuramente la parte più ampia di tutto il contesto; ma ho anche rubato elementi al fumetto - divise dell'A.I.M. comprese. Mi dispiace, ragazzi, ma, dopo aver letto questa scena con Deadpool (e anche questa e questa - Bob dell'Hydra vi dice niente? xD), non si può più tornare indietro.
E' anche possibile che vi siano parecchi elementi tratti a diversi livelli di consapevolezza dal fandom inglese de I Vendicatori. E' da settembre che non leggo praticamente altro online, gente, uscirne senza effetti collaterali era praticamente impossibile.

I nomi dei robots nella serie di Iron Man sono stati tradotti in italiano come Ferrovecchio e Mani di pastafrolla (o di ricotta, non ricordo). Abbiamo anche un Tu che si aggira per l'officina senza che si capisca se è un nome proprio o meno. Nessuna delle prime due traduzioni mi piace. Mani di pastafrolla prevederebbe la presenza di una coppia di mani, in effetti - e il robot ne ha solo una - si fa per dire. E Ferrovecchio, perché...? No, no, no. Ho conservato il nome originale di uno dei due (Dum-E) e tradotto l'altro come Dita di Burro. Generalmente preferisco adeguarmi alle scelte della traduzioni ufficiali, ma stavolta facciamo finta di niente.
Ho scritto questa storia prima di vedere Iron Man 3 (penso di essere stata la terzultima persona in Italia a vederlo), ed avevo fatto DI TUTTO per non farmi spoilerare niente, per cui si può leggere tranquillamente anche se non l'avete visto.

Eeeee abbiamo riempito mezza pagina di note, oggioia. Grazie a tutti voi che vi siete fermati (vi siete fermati...?) a leggere e doppio con panna e gelato a chi mi lascerà qualche parola.
  
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