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Autore: nes_sie    02/06/2013    7 recensioni
Non vi era stato il tempo di pensare ed assimilare tutto ciò che era accaduto quel giorno ma adesso, che si trovava sul divano e completamente rilassata, la sua mente era tornata operativa ed un unico pensiero cominciò a martellare con insistenza.
Cosa diavolo gli regalo?

[Olicity]
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuochi d'artificio.








«Mi senti, Felicity?»
«Forte e chiaro. Certo, se riuscissi anche a vedere dentro a questo cunicolo sarebbe il massimo. Ti ho già detto che soffro di claustrofobia?»
«No. Una volta mi hai detto di aver appena scoperto di soffrire di vertigini.»
Si ritrovò a sorridere come un'ebete, nel constatare che lui ricordasse ancora quel piccolo particolare accaduto millenni prima.
«Ah. Era quello? Beh, la vita è tutta una scoperta...»
«Rimani concentrata, per favore.»
«Più concentrata di così... non è che si possano fare molte attività, qui dentro. Oddio! Credo mi abbia sfiorato qualcosa!»
«Felicity, sei in un condotto di aerazione, non su un'isola sperduta nell'Oceano Pacifico. E credimi, non vorresti mai sapere cosa potrebbe sfiorarti, lì.»
«Com'è che facciamo dell'ironia?»
«Aspetta. Credo di averti trovato la via d'uscita.»
Felicity si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Oliver le indicò la direzione da seguire, così riprese a strisciare, sperando che quella tortura finisse presto.
«Eccolo! Vedo una luce. Non-non quella luce. Anche perché, se così fosse, non potrei parlare con te, o sì, gli spiriti lo fanno... okay, sto zitta. Okay.»
Continuò ad avanzare; si teneva sui gomiti – che ormai avevano perso del tutto la sensibilità e percepiva un fastidioso formicolio alle mani –, inoltre credeva di essersi sbucciata un ginocchio, perché sentiva la pelle bruciare a contatto con la stoffa ruvida dei pantaloni.
Oliver aveva ragione: di fronte a lei vi era l'apertura del condotto che conduceva all'ufficio del loro obiettivo (Caleb Miles si era guadagnato un posto nella Lista per estorsione e riciclaggio di denaro sporco). Cercò di accucciarsi, per quanto fosse possibile, il sudore le imperlava la fronte e sentiva l'adrenalina aumentare; allungò le mani verso la grata e cominciò a forzarla.
«Felicity, ti sentirà tutto il quartiere,» le sussurrò Diggle, che controllava il sistema di sorveglianza. Imprecò a denti stretti (perché nei film è tutto più facile?) e strattonò ancora fino a quando sentì il metallo cedere.
«Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta.»
«Ottimo lavoro, ora sai cosa fare.»
«La guardia è appena scesa al piano di sotto, hai campo libero.»
Oliver e Diggle smisero di parlare e a Felicity a quel punto fu sola.
Toccava a lei.
Diede un'occhiata veloce alla stanza vuota, debolmente illuminata dalle luci dei grattaceli vicini, perché la prudenza non era mai troppa – istintivamente si portò una mano in tasca, dove teneva il taser che le aveva dato Oliver da utilizzare nel caso le cose si complicassero (parole di Oliver, testuali) – e...
E si ritrovò con la faccia sulla moquette, un dolore lancinante alle costole, il ginocchio sbucciato pulsava e solo per miracolo non si era slogata un polso.
«Felicity, stai bene?»
La voce di Oliver arrivò ovattata. Felicity riprese con qualche traballamento la posizione eretta, tenendosi appoggiata alla scrivania di fronte a sé.
«Perché non esiste un manuale di istruzioni per ladri principianti?» disse a fatica.
«Rimorsi di coscienza? Ti ricordo che sei stata tu ad insistere perché facessi il lavoro,» le disse Oliver.
«Nessun rimorso. Ed ora mi sembra tardi per il “te l'avevo detto”.»
E in effetti non era pentita di aver voluto un ruolo più attivo nella missione, senza contare che avrebbero messo Miles in allarme, nel momento in cui non avesse trovato il portatile (e lei aveva usato molta enfasi su questo punto). In fondo, si trattava solo di copiare indebitamente dei file dal computer dell'ufficio di Miles al 22esimo piano, dopo essere passata per il condotto di aerazione, per poi rifare la stessa strada e il tutto nel minor tempo possibile e senza essere scoperti.
Facile facile.
Si sedette alla scrivania, ringraziando di poter poggiare il suo fondoschiena dolorante su una superficie comoda.
«Sto accendendo il computer. Mh,» si morse il labbro inferiore, «c'è una password, ma non dovrebbe essere difficile decriptarla.»
Cominciò così a trafficare con diversi codici di decriptazione, riuscendo nel suo intento, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il piccolo hard disk e lo collegò al portatile.
Inspirò ed espirò, cercando di allentare la tensione che sentiva addosso (un luuungo bagno rilassante sarebbe stato l'ideale per riprendersi, una volta tornata a casa sana e salva) e attese secondi, minuti che sembrarono interminabili. Per il nervosismo, cominciò a picchettare le unghia laccate di blu elettrico sul legno della scrivania.
«Felicity, calma.»
La voce rassicurante di Oliver nel suo orecchio fu abbastanza perché potesse riprendere a respirare normalmente.
La finestra sul laptop le comunicò che il download era stato completato. Staccò in fretta l'hard disk, chiuse tutti i file e spense il computer.
Mentre si issava sul condotto di aerazione e metteva a posto la grata (Oliver era stato abbastanza preciso su come farlo), pensò che dopotutto Diabolik sarebbe stato fiero di lei.

 

 

«Bene. Non dovrei metterci molto ad entrare nel sistema, ora che conosciamo tutti i codici di accesso e i conti bancari. Il nostro amico si ritroverà al verde entro domani,» disse Felicity soddisfatta ai suoi due soci in piedi accanto a lei.
Oliver le rivolse un sorriso d'intesa, con la mano posata sulla sua spalla, e Felicity trattenne a mala pena un brivido. Da un po' di tempo a quella parte, il contatto fisico era diventato complicato da gestire, perché il suo corpo reagiva in modi che lei non poteva controllare e questo la mandava fuori di testa (King avrebbe confermato, ormai testimone delle sue crisi durante le quali esponeva i pro ed i contro del suo rapporto con Ollie. Siete amici, Fel. Amici e nient'altro.).
«Torno a casa,» disse Oliver sovrappensiero. «Fatelo anche voi.»
Felicity aspettò che Oliver imboccasse le scale e sparisse dietro la porta blindata.
«Okay, cosa proponi?»
Diggle la guardò confuso. «A proposito di cosa?»
«Di come festeggiare il compleanno di Oliver, che – per la cronaca – è tra due giorni,» rispose lei spiccia.
«Il compl... lo avevo rimosso.»
«Non dirlo a me, è stato un caso che me ne sia ricordata. Allora?»
«Felicity, non credo sia il caso,» rispose dopo qualche attimo, Dig.
«Perché? L'anno scorso a mala pena gli abbiamo fatto gli auguri, e posso soprassedere al fatto che non gli abbiamo comprato neppure un pensierino, ma adesso non ci sono scuse che tengano.»
Dig sospirò incerto. «Capisco cosa vuoi dire, ma penso che Oliver non avrà molta voglia di festeggiare. È trascorso quasi un anno dalla morte di Tommy Merlyn, e le cose con Laurel non vanno tanto bene, a quanto ne so. Festeggiare è l'ultimo dei suoi pensieri.»
«Ma proprio per questo dovremmo farlo! Per fargli sapere che gli siamo vicini. È ciò che fanno gli amici, no?»
Dig sembrò rifletterci, mentre la osservava attento. Sotto il suo sguardo, Felicity credette avesse letto qualcosa di cui lei ignorava l'esistenza. «D'accordo. Ma non hai tenuto conto di un dettaglio.»
«Cioè?»
«Che forse hanno pensato alla stessa cosa sua sorella Thea, o la stessa Laurel.»
«Mh, è vero. Beh, potresti scoprirlo. Frequenti abitualmente casa Queen, così sapremo quando organizzare la nostra festicciola.»
«Hai una soluzione per tutto, vero, Felicity?»
«Ah, mi piacerebbe averla davvero per tutto. Come ad esempio per la perdita del lavandino nel bagno di casa mia.»
«L'idraulico?»
«L'ho chiamato. Cioè, no. Lo ha fatto il padrone di casa, spero...» sussurrò distratta. «Ma non cambiare discorso. Abbiamo una missione da portare a termine.»
Diggle ridacchiò divertito. «Vai a casa, Felicity. Buonanotte.»

 

 

La tv trasmetteva il suo show preferito (per sua fortuna poteva contare sulle repliche notturne) e Felicity se ne stava seduta sul divano, i piedi poggiati pigramente sul pouf arancione che le aveva regalato sua madre, quando era andata a vivere lì, un barattolo di gelato al cioccolato e crema tra le mani e il suo gattone accoccolato in grembo che sonnecchiava placido.
Una volta tornata a casa, si era lasciata andare ad un sospiro di sollievo (era tornata a casa!), aveva riempito la vasca da bagno ed era rimasta immersa lì dentro per più di un'ora, con King che miagolava stizzito, perché non aveva ancora ricevuto le coccole della giornata (il suo gatto viziato... lo aveva detto?). Non vi era stato il tempo di pensare ed assimilare tutto ciò che era accaduto quel giorno ma adesso, che si trovava sul divano e completamente rilassata, la sua mente era tornata operativa ed un unico pensiero cominciò a martellare con insistenza.
Cosa diavolo gli regalo?

 

 

Nemmeno la sua rassicurante postazione nel dipartimento informatico della Queen Consolidated riuscì a farle venire qualche buona idea, il giorno dopo. Senza contare che aveva un mucchio di lavoro in arretrato e il signor Wilson – il suo capo – avrebbe chiesto il suo scalpo, se non avesse rispettato tutte le scadenze.
Sbuffò contrariata e si allontanò dalla scrivania, con tutto l'intento di prendersi un caffè (sarebbe stato inutile continuare a far finta di lavorare). Forse le avrebbe schiarito le idee.
Davanti alla nuova macchinetta installata di recente, per la sua felicità e quella di tutta l'azienda (chissà come avevano saputo, ai piani alti, che quello di prima faceva schifo), Felicity mescolava il suo caffè macchiato con due bustine di zucchero, grazie, completamente assorta.
«Buongiorno.»
Felicity sobbalzò, rischiando di rovesciarsi il contenuto del bicchiere sulla camicetta viola; non si era accorta della presenza imponente di Benny, al suo fianco. Portava la sua solita tuta da lavoro, gli occhi chiarissimi la scrutarono per qualche secondo senza alcuna apparente emozione.
Era sempre stato un uomo di poche parole, da che ne ricordasse. Non metteva in dubbio fosse una persona simpatica, in fondo (okay, mooolto in fondo), ma non si spingeva mai più in là del semplice “Buongiorno”, “Buonasera” con gli altri dipendenti.
Non con Felicity, però.
Era capitato avessero scambiato più di qualche parola (altrimenti come avrebbe fatto a sapere dei suoi passati problemi con la moglie? Che, per la cronaca, aveva risolto, con la benedizione del loro consulente matrimoniale).
Sua madre le diceva sempre che era un dono, quello che portava le persone a fidarsi di lei, e doveva tenerselo stretto. Felicity non era dello stesso avviso.
«Benny, se – ipoteticamente – dovessi fare un regalo ad un amico molto molto ma molto ricco che potrebbe avere qualsiasi cosa schioccando semplicemente le dita... a cosa penseresti?»
Benny ci mise un po' a capire che si stava rivolgendo a lui. Dapprima la guardò stralunato, poi tornò ad ignorarla, come se negli ultimi due minuti lei non avesse aperto bocca.
Che bella idea chiedere un consiglio all'omone delle macchinette a cui evidentemente non sono così simpatica come credevo.
Buttò il bicchiere con ancora il caffè macchiato ormai freddo e cominciò ad incamminarsi verso la sua scrivania.
«Non importa. Il tuo amico apprezzerà comunque.»
Stava parlando con lei? Aveva le allucinazioni?
Felicity si voltò verso Benny, balbettò qualcosa che assomigliava più o meno ad un grazie e se ne tornò a lavoro.

 

 

Alla fine aveva optato per una torta. Insomma, cos'era un compleanno senza una torta? E ci avrebbe pensato lei a prepararla, nonostante una vocina nella sua testa non faceva altro che sussurrarle sarebbe stato più sicuro per l'incolumità di tutti che la comprasse in pasticceria.
Non sarebbe lo stesso, però!
Avrebbe chiesto una mano a Wanda, la quale di certo non si sarebbe tirata indietro. Elargire tutto il suo sapere e le sue conoscenze – nonché la sua bravura – era quanto di meglio potesse desiderare.
Ripensadoci...
Lo schermo del computer alla sua sinistra cominciò a lampeggiare, attirando la sua attenzione. Era il notiziario che trasmetteva in via straordinaria. Si susseguirono così una serie di immagini, dalla foto sbiadita di due bambini che sorridevano da sopra l'altalena, ai loro genitori, tali signori Cavill (lo aveva già sentito questo nome?), che rilasciavano un appello affinché i loro bambini tornassero a casa sani e salvi.
Non ci sono piste certe su chi potrebbe aver rapito i bambini, la polizia sta...
La vibrazione del cellulare la distrasse.
«Pronto, Oliver?»
«Hai visto il notiziario?»
«Lo sto vedendo proprio adesso. Senti, Cavill non ti dice nulla?»
«I signori Cavill sono due dei tanti a cui Caleb Miles ha estorto denaro. Evidentemente, l'aver scoperto che lo stesso è tornato indietro deve averlo costretto ad adottare dei “rimedi”...»
«Pensi che i signori Cavill non abbiano detto tutto alla polizia? Altrimenti non si spiegherebbe il fatto che brancoli nel buio.»
«Penso che siano spaventati.»
«Oliver, devi fare qualcosa. I Cavill potrebbero essere solo i primi e chissà cos'altro potrebbe passare per la mente di quel criminale.»
Dall'altro capo, Felicity lo sentì sospirare.
«Hanno bisogno di te.»
Sapeva quanto era stato difficile per Oliver tornare a vestire i panni del Vigilante, da dopo la catastrofe al The Glades. La Lista, il Progetto... erano stati il suo scopo, la ragione per cui era tornato dopo quei cinque maledettissimi anni su quell'isola e che lo aveva spinto ad indossare il cappuccio e a proteggere la sua città. Ora che l'aveva persa, che alla fine di tutto aveva ottenuto solo la morte del suo migliore amico e la sua famiglia distrutta, non aveva avuto la forza di riprendere l'arco e le frecce.
A quale scopo?
Felicity sentiva sempre una morsa allo stomaco. Non riusciva a vederlo in quello stato, così smarrito e con la voglia di reprimere tutto ciò che provava. L'uomo a pezzi, che fino ad allora era riuscito a tenere nascosti i cocci, a provare di rimetterli insieme, era tornato con tutti i suoi incubi e le sue angosce, disgustato da se stesso per aver fallito miseramente e aver tradito tutto ciò in cui aveva creduto così fortemente.
Ma lei aveva insistito, aveva fatto il passo più lungo della gamba, probabilmente, ma non se ne pentiva; Oliver, seppure riluttante e per nulla convinto, aveva aiutato lei e Diggle a continuare a proteggere Starling City. Non come un tempo, ma era comunque un passo avanti. E lei sapeva, in cuor suo, che Oliver non avrebbe mai mollato veramente. Perché per quanto potesse affermare il contrario lui era un eroe.
«Ci vediamo alla fonderia. Dobbiamo scoprire dove Miles tiene i suoi ostaggi e se ha contattato i signori Cavill.»
«Cosa pensi di fare riguardo a questo?»
«A dopo... Devo fare due chiacchiere con il detective Lance.»

 

 

«Novità?»
Oliver si era materializzato alle sue spalle, in mano teneva ancora il cellulare con cui contattava il detective Lance.
«Dopo qualche imprecazione e voglia di lanciare uno degli schermi per aria, sono riuscita ad ottenere i tabulati telefonici di Miles.»
Digitò sulla tastiera, mente Oliver la raggiungeva e poggiava i palmi delle mani sul tavolo.
«Queste sono le chiamate che ha effettuato e ricevuto nelle ultime dodici ore,» gli riferì lei. «E tutte verso un unico numero. Ho cercato di rintracciare la posizione dell'altro cellulare e pare si trovasse poco fuori la città. Ho controllato la mappa e lì in zona ci sono degli edifici abbandonati. Da quello che ho letto, dovevano costruirci un complesso e il progetto non è andato in porto. Potrebbe aver portato i bambini lì.»
«C'è un solo modo per scoprirlo,» disse Oliver, sottovoce.
«Riprendiamo le vecchie abitudini?»
Felicity dovette frenare il suo entusiasmo e sperò che Oliver non si fosse accorto del suo sorriso soddisfatto.
«Felicity, ne abbiamo già parlato.» Oliver aprì la cassa in cui teneva il suo travestimento. «Anzi, non parliamone e basta.»
Lei si alzò e si fermò alle sue spalle, con le braccia incrociate sotto il seno.
«Ne sei sicuro?»
E lei? Lei era sicura di voler iniziare quel discorso? Felicity non era così ingenua da pensare che le cose si sarebbero sistemante facilmente. Riuscire a far aprire Oliver era un'impresa troppo grande anche per lei, ma non poter fare nulla per aiutarlo la faceva stare molto peggio.
Oliver indurì la mascella e per un attimo Felicity temette l'avrebbe mandata al diavolo.
«Non sono quello che tu credi io sia.»
«Lo vedremo,» rispose lei con tono di sfida. «E ora salviamo quei bambini.»

 

 

Se avesse camminato avanti e indietro ancora per molto, avrebbe scavato un solco. L'attesa la stava divorando e Oliver non accennava a dare segni di vita.
Oddio, e se gli fosse successo qualcosa?
Sapeva che avrebbe dovuto chiamare Dig, anche se si trovava fuori città con Carly e Andy Jr. e non sarebbe rientrato prima dell'indomani mattina. Cosa si faceva in questi casi? Si chiamava la polizia? Avrebbe dovuto contattare il detective Lance? Forse Oliver l'aveva già fatto.
Si lasciò cadere sulla sedia girevole e si prese la testa fra le mani. Doveva racimolare tutta la razionalità che aveva in corpo e darsi una calmata, se non voleva esplodere. Avrebbe intercettato le comunicazione via radio della polizia, si decise.
Lo scatto della serratura della porta sopra di lei la fece balzare in piedi e in un attimo si precipitò verso le scale.
«Oliver, sei...» Il suo sguardo si posò sulla spalla destra, dove la casacca verde presentava un lungo strappo. «...ferito. Cosa è successo?»
«I figli dei Cavill stanno bene, la polizia è intervenuta, alla fine.»
Oliver si trovava di fronte a lei e sembrava stanco, ma con tutta la voglia di minimizzare la sua ferita che stava sanguinando in modo preoccupante. Felicity si accostò quel tanto che bastava per sfiorargli la spalla ferita e constatare i danni.
«Sembra davvero brutta. Ti accompagno al pronto soccorso, diremo che... sei caduto su una cassa di birra.»
Oliver le afferrò il polso.
«No,» disse, e si scostò da lei, fino a raggiungere la cassettiera in cui teneva tutto l'occorrente per eseguire un'operazione chirurgica coi fiocchi. Un momento...
«Oliver, non avrai intenzione di chiedermi ciò che penso tu voglia chiedermi di fare, vero? Perché la mia risposta è no. Assolutamente. No.»
Lui sembrò aspettarsi quella risposta, e non ne parve colpito. «Diggle non c'è. Devi farlo tu,» disse con un tono che non ammetteva repliche.
«Mi pare di averti detto, una volta, che non avevo più intenzione di giocare al dottore con te.» Trattenne il respiro, mentre si rese conto di aver portato a galla una figuraccia che avrebbe tanto voluto dimenticare. «Perché il mio cervello è contro di me?» si chiese sottovoce.
Oliver aveva tirato fuori nel frattempo garze, disinfettante, ago e filo e si era appoggiato ad uno dei tavoli, con una tranquillità (o così sembrava) che a lei non apparteneva.
Felicity capì di non avere altra scelta. Scosse il capo e si avvicinò a lui.
«Bene. Vediamo di togliere questa casacca. E la maglietta. Non che muoia dalla voglia di vederti mezzo nudo e sanguinante, eh.»
Lui abbassò veloce la cerniera e aiutandosi con la spalla sana si sfilò parte della casacca. Felicity rimase immobile per qualche secondo, disorientata, prima di rendersi conto che avrebbe dovuto dargli una mano: non era il momento di fissarsi su pensieri poco opportuni. Allungò una mano e afferrò un lembo della giacca, sfilando piano la parte strappata e sporca di sangue. Oliver serrò la mascella e trattenne a mala pena un gemito.
«Scusa,» disse lei, mortificata.
«Non preoccuparti.»
Toccò anche alla t-shirt nera che teneva sotto, della quale si disfecero senza troppi intoppi (a parte il millesimo di secondo in cui aveva registrato “Oliver.” e “Senza maglietta.”).
«Tu sei assolutamente sicuro che debba essere io a cucirti? Perché sei ancora in tempo per rinsavire e cambiare idea.»
La ferita non sembrava molto profonda ed era messa meglio di quanto avesse supposto, ma la preoccupazione per quello che poteva combinare (tipo cucire la parte sbagliata, affettarlo, ridurlo peggio del suo tacchino il giorno del Ringraziamento...) la faceva desistere con convinzione.
«Felicity, mi fido di te. Fallo anche tu,» rispose lui stanco.
Fece un respiro profondo e prese ago e filo.
«Ascolta, unisci i due lembi di pelle e comincia a cucire dall'esterno verso l'interno e cerca di lasciare il medesimo spazio tra un punto e l'altro.»
«Esterno, interno, stesso spazio. Okay,» deglutì lei. «Okay,» annuì tra sé e sé.
Si posizionò alle spalle di Oliver e con mano tremante mise insieme i due bordi.
«Andrai bene. Non avere paura.»
Forse era stata la voce ferma e dolce di Oliver, che ebbe un effetto provvidenziale, a farla iniziare e a tranquillizzarla, perché Felicity seguì alla lettera le istruzioni che le aveva dato. Concentrata sul suo lavoro, una piccola ruga aveva fatto capolino all'attaccatura del naso e gli occhiali le scivolavano, ma non osava distrarsi. Il respiro regolare di Oliver, che avvertiva sotto le sue mani (...davvero lo aveva pensato? Davvero?), la rassicurava e lui non sembrava soffrisse troppo.
«Sicuro che non ti faccio male?» bisbigliò lei, incerta.
«Ho subito molto peggio.»
Felicity represse un brivido, a quelle parole. Sapere cosa lui avesse affrontato negli ultimi anni la spaventava, a volte. La spaventava quello che c'era dietro alla facciata del playboy, dell'uomo che aveva costruito un muro, tenendo fuori tutto il resto intorno a lui, e i mostri che aveva lasciato sull'isola non erano scomparsi del tutto. Ma in quell'anno insieme, aveva imparato a conoscere ciò che stava dietro alle sue maschere, lavorando a fianco a lui, durante le nottate trascorse tra l'apprensione e il senso di vittoria e rivalsa nei confronti del male che soffocava Starling City e aveva capito che non poteva lasciarlo solo.
«Uhm, credo di aver finito. La buona notizia è che la cicatrice si mimetizzerà insieme a tutte le altre. La brutta è... che non tengo mai la bocca chiusa.» Scosse il capo. «Sei autorizzato a trafiggermi con una delle tue frecce,» continuò, mentre gli porgeva uno specchietto. Oliver, con qualche difficoltà, si esaminò la spalla.
«Hai fatto un buon lavoro. Ci hai preso la mano,» scherzò lui.
«No! No. Non pensare di farti squarciare ancora e soprattutto quando manca Dig. Te lo proibisco,» rispose Felicity. Prese delle garze e le applicò alla ferita, per poi allontanarsi e lavarsi le mani.
«Felicity.»
Si avvicinò lentamente a lui, ancora rimasto appoggiato al tavolo e scoperto dalla vita in su. «Credo di doverti ringraziare.»
«Per cosa? Per aver rischiato di trasformarti in uno scolapasta?» ridacchiò, per stemperare la tensione che avvertiva senza un motivo ben preciso.
«Per avermi ricordato che questa città ha ancora bisogno di aiuto. Ma non sono un eroe, Felicity.»
«Quello che hai fatto, quello che fai e sicuramente farai ancora – ne sono più che certa – rientra nella definizione di eroe, credimi.»
Così dicendo, gli posò una mano sul braccio istintivamente, e Oliver la coprì con la sua, grande e forte, che le bloccò il respiro, così come i suoi occhi azzurri e limpidi che sembravano volessero leggerle dentro. E lei sentiva il cuore battere e pulsare nelle orecchie, lo stomaco attorcigliarsi... e ancora quegli occhi.
«Oliver...»
In un attimo si ritrovò le labbra incollate alle sue. Fu come una carezza dolce, delicata, e Felicity pensò che i fuochi d'artificio le fossero esplosi al centro del petto. Rispose al bacio, il suo corpo aderiva perfettamente a quello di Oliver, che la stringeva tra le braccia forti e accoglienti. Oliver pretese di più e con la lingua le sfiorò il contorno delle labbra, che Felicity schiuse un secondo dopo, smaniosa di approfondire quel bacio che tante volte aveva immaginato e che non si avvicinava minimamente alla realtà.
Non si accorsero del tempo che era trascorso (un minuto? Tutta la notte?), fino a quando non si staccarono per riprendere fiato.
«Oh,» fece Felicity, incapace di articolare una frase di senso compiuto.
Oliver doveva trovarsi nelle stesse sue condizioni, perché neanche lui osava proferire parola.
Che imbarazzo.
Felicity fece di tutto per non incrociare ancora il suo sguardo, tanto che si soffermò sull'orologio che teneva al polso: era passata la mezzanotte da qualche minuto.
«Beh. Buon compleanno, Oliver,» sussurrò alla fine.
Lui rimase sorpreso per un secondo, poi distese le labbra in un sorriso.
Dio, che voglia di baciarlo di nuovo...

 

 

***

 

Si erano ritrovati in tarda serata al Big Belly Burger e Carly aveva da poco servito la torta preparata per l'occasione. Felicity aveva portato un paio di palloncini che aveva appeso sulla finestra di fianco al loro tavolo.
«Tra poco non sarà più il tuo compleanno, amico, ma meglio tardi che mai, no?» scherzò John, rivolto ad Oliver che sedeva accanto a lui. Di fronte a loro vi era Felicity, in un vestitino arancione, e i capelli sciolti sulle spalle. Non aveva parlato molto, quella sera, ma aveva l'aria serena e spensierata.
John afferrò la coca e la alzò per fare un brindisi. «Ad Oliver.»
«Ad Oliver,» lo seguì a ruota Felicity.
Sorseggiò contento la sua bibita, mentre sottecchi osservava lo scambio di sguardi complici dei suoi due amici. 






Note:
Una montagna di caramelle a chi è riuscito ad arrivare fino a qui! :D
Questa ennesima Olicity è stata scritta per la challenge Un bacio tira l'altro - Arrow  con - ovviamente (?) - il bacio n. 15 Un bacio per il compleanno
Ho sempre voluto scrivere di Felicity in azione e finalmente l'ho fatto. Beh, non ha fatto molto ma spero di infilarla in qualche altra missione u.u (non appena mi sarò documentata). 
La storia si svolge quasi un anno dopo la catastrofe al The Glades e, come il caro Marc (produttore) ha detto in qualche intervista, Oliver vivrà i mesi successivi senza una vera e propria ragione di continuare ad essere il Vigilante e che il cammino per diventare un eroe è ancora luuungo. Felicity e Dig però sono sempre al suo fianco e non escludo avranno un ruolo determinante in tutto ciò.
Ci sono, inoltre, vari riferimenti alle altre mie due Olicity e in cui potrete trovare Benny e Wanda. Qui e qui
Spero sia stata di vostro gradimento. ^_^ 
Grazie mille e a presto! 

 

   
 
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