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Autore: Dira_    02/06/2013    15 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXI




 
 
And that's how the story goes,
The story of the beast with those four dirty paws.
(Dirty Paws, Of Monster and Men)


Londra, Ufficio Auror.
Ora di Pranzo.
 
Scorpius si gettò sulla sedia della scrivania prima che James riuscisse anche solo a pensare di arrivarci; saltò il conseguente sgambetto che ne conseguì e atterrò con le braccia alzate. “Vittoria!” Proclamò, mentre sotto di lui la mole canina di Donnola – era un nome bellissimo – si accomodava con un guaito altrettanto trionfante.
“Quel cane è una tua estensione o cosa? Cazzo!” Grugnì James appoggiandosi al bordo della scrivania ingollando quello che restava del suo cartoccio di Fish&Chips.
“Se vuoi ti lascio sedere sulle mie ginocchia.” Offrì magnanimo rimediandosi un gestaccio ingrato.
Succhiò distratto dal grosso contenitore di plastica colorato che secerneva una deliziosa bibita zuccherosissima, colorata e Babbana. “Mi piace questa Cherry Cola.” Decretò.
“Non dovresti neanche berla Sy, contiene caffeina.” Lo redarguì blandamente Bobby. “Non finirla tutta.”
“Ma è buona!”
“Piantatela di cazzeggiare.” Sbuffò James che si stava leccando le dita in pieno godimento alimentare. “Tra poco arriverà mio zio.”
“Parli dell’Infero…” Mormorò ignorando l’occhiataccia che gli venne rifilata mentre il Sergente Weasley si avvicinava. “Buongiorno!” Esclamò sedendosi in modo tale che Donnola non potesse sbucar fuori e lasciare bava invisibile, ma umida, sui pantaloni dell’uomo. Lo strano balletto destò qualche sicuro sospetto da come venne guardato, ma cercò di far finta di niente con il suo sorriso migliore. “Giorno delizioso, nevvero Signore?”

“Hai di nuovo bevuto caffè Malfoy?” Lo salutò con una smorfia assolutamente inadeguata data la sua sentita manifestazione d’affetto. “Cosa vi ho detto sul dargli da bere caffè?”
James fu lesto ad afferrare il bicchiere e cestinarlo, ignorando le sue accorate proteste. “Non pensavamo fosse anche nelle bibite gassate!” Si giustificò pronto.
“Sono perfettamente in me, grazie.” Replicò un po’ irritato. “A tal punto che posso far completo rapporto sul sopralluogo di stamattina!”

Il suo futuro suocero inarcò le sopracciglia ma si astenne da ulteriori commenti. “Fa’ rapporto Malfoy.”
Prima o poi ce la farà a chiamarmi Scorpius?
Chissà se lo chiamassi papà …
Nah, non se lo merita. Io ho un solo papà. Il mio.

“Il sopralluogo ha confermato l’idea che ci eravamo fatti su come Howe e Price siano venuti in contatto.” Esordì tornando serio. “All’indirizzo sull’annuncio pubblicitario corrisponde un vecchio magazzino, e secondo le rilevazioni preliminari dei Tracciatori è stato usato come laboratorio. Analizzeranno la magia ancora presente nell’aria per scoprire gli incantesimi che sono stati usati, ma possiamo già dire con certezza che sono state usate alcune barriere di livello uno per sigillare il posto.”
“Livello uno?” L’uomo li fissò perplesso. “E chi le ha spezzate?”

… ehm, già. Per quanto siamo fighi non siamo così fighi da saper rompere barriere con un livello di sicurezza simile. Son le stesse che mettono alla Gringott.
“L’agente Prince.” Si inserì Bobby. “Ha detto di aver ricevuto un addestramento da Spezza incantesimi.”
Fortunatamente il sergente Weasley non chiese ulteriori spiegazioni, limitandosi ad un cenno di assenso. “Tracce della presenza di Howe o Price?”
“Stiamo aspettando i risultati delle analisi dei Tracciatori.” Si strinse nelle spalle. “Ci han già detto che ci vorrà probabilmente tutta la giornata.”
“Bene.” Si guardò attorno. “Ma Prince?”
Eh.

Scorpius si scambiò un’occhiata con gli altri: per quanto avesse cercato di alleggerire l’atmosfera dopo la scomparsa di quest’ultimo, la reazione che aveva avuto dentro il magazzino aveva fatto preoccupare tutti. Persino James se n’era rimasto pensieroso per un bel pezzo, prima di blaterare che stava morendo di fame e che era giunto il momento di riempirsi lo stomaco di junk food.  
“È andato a pranzo.” Vedendo che la perplessità nello sguardo del mago più anziano non accennava a sfumare, anzi, si faceva diffidente, si affrettò a spiegare. “È che …”
“ … non aveva voglia di mischiarsi a noi pezzenti.” Si intromise James. “Se n’è andato a mangiare con posate d’argento in qualche ristorante sciccoso o roba del genere.” Quando tentò di protestare lo seccò con un’occhiata singolarmente seria.

Ma pensa anche di aver ragione?
Rimase comunque in silenzio, dato che non gli andava di parlare degli e sugli assenti.
Ha già problemi per conto suo, senza che la gente che pianti casini in sua assenza.
Quando l’uomo se ne fu andato però si sentì in dovere di difenderlo. “Si può sapere che problema hai? Già sono ai ferri corti, non c’è bisogno…”
“… che sappia che Prince ha avuto un attacco di panico durante un’ispezione? Hai proprio ragione.” Lo interruppe di nuovo l’altro e di colpo Scorpius capì.

Ma dai.
“Lo hai…”
“Gli ho parato il culo, assurdo, ah?” Sbuffò incrociando le braccia al petto come se dovesse difendersi da un’accusa. “Riflettici, testa vuota, cosa credi che avrebbe fatto mio zio sapendo che il crucco ha dato di matto?”  

“Se ai piani alti lo ritenessero troppo coinvolto potrebbero togliergli il caso.” Gli diede manforte Bobby. “Anzi, a dirla tutta dovrebbero.”
“Non starete esagerando? Si tratta di John Doe, è ovvio che fosse scosso!”
James sospirò. “Il pipistrello, per quanto mi sembri ancora una bestemmia, è un agente. Deve essere capace di mettere da parte le sue emozioni. Quello o che si ricordi l’Occlumanzia, perché altrimenti lo rispediranno a casa con la prima Passaporta.” Contemplò con enorme interesse i lacci delle proprie scarpe. “E non ho proprio voglia di rifare tutto da capo con un altro americano.”

Scorpius si trovò a sorridere, dandogli un lieve colpo sulla spalla con la propria. “No, neanche io.”  
“Ci credo, tu sei innamorato di quello sfigato.”
“Sei tu il mio unico amore gaio Potty.”
“Fottiti.”

“Quotidianamente.”
“Sul serio però…” Li riportò all’ordine Bobby senza riuscire a nascondere una risata. “Pensate che dovremo andare a vedere come sta? Alloggia al Paiolo Magico, potremo andarci prima che finisca la pausa pranzo!”

James, finito evidentemente il suo momento di empatia, roteò gli occhi al cielo. “Sì, e magari fargli un brodino e dargli un bell’abbraccio. È un mago adulto, Bobby, non un moccioso di cinque anni.” Sbuffò esasperato di fronte alle loro espressioni poco convinte. “Comunque a quanto mi ha detto Lils ce l’ha già una babysitter, un tizio, Michael o un nome così.”
“Milo.” Lo corresse. “L’idea di Bobby però non è sbagliata … dovremo cercare di farlo uscire, di distrarlo un po’. Questa storia di John Doe l’ha davvero messo a terra.” All’espressione riottosa che ne conseguì decise di giocar d’astuzia: solo perché un Cappello aveva deciso che la sua qualità principale era la cavalleria non significava non ne avesse altre. “E poi … l’hai detto anche tu, ci conviene che rimanga. È molto più utile di un normale agente di collegamento.”
“Grazie tante, quelli sono utili come un Bolide sulle palle!”
“Appunto. Non è una zavorra, ma una carta vincente.”
“Sì, di un Mazzo Esplosivo.” Gli fece eco riluttante, ma sospirò. “Fate come volete, io non vado a coccolarlo. Ho i miei buoni motivi.”

“Il tuo malriposto istinto protettivo verso una sorella che non vuole esser protetta?” Ghignò schivando il pugno che rischiò di arrivargli troppo vicino al naso. Fu salvato dallo Specchio Comunicante che l’altro tolse dalla tasca.
“Non finisce qui, coglione di un Malfuretto.” Grugnì James da bravo maschio alfa prima di tornare a toni umani e rispondere. “Zio Nev?” Esordì perplesso. “Ehi, bello sentirti… Che succede?” Dall’espressione che fece non sembrò essere nulla di buono. Lanciò loro un’occhiata e poi si allontanò abbastanza da non farsi sentire.
Uh? E ora cosa?
Quando ritornò aveva il cipiglio delle grandi preoccupazioni che gli solcava la fronte. “Gente, mi sa che devo allungare la pausa pranzo. Copritemi con mio zio, okay?” Disse infilandosi il giubbotto e ficcandosi senza troppe cerimonie la bacchetta nel retro della tasca.
Quindi non è una cosa del clan, se il Signor Donnola non dev’essere informato.
“Cosa c’è di tanto urgente da rischiare di farti saltare una chiappa?”   
“Teddy.” Tagliò corto scuotendo la testa ma sfilando il legno dalla tasca. “Non lo so con precisione. Poi vi dico.” Gli diede una pacca sulla spalla. “Inventatevi una scusa decente, stavolta.” Lo ammonì.
“Ehi, una diarrea fulminante è un’ottima scusa!”

L’insulto che ne conseguì fu chiaramente meritato.
 
****
 
Se zio Nev chiamava dicendo di tornare subito a casa, ci dovevano essere almeno dieci ottimi motivi per cui doveva muovere il culo.
James schivò una fila di folletti dall’aria arrabbiata, diretto verso i Camini dell’Atrio come se dovesse correre una maratona.
Teddy.
Era ovvio che fosse per lui anche se l’amico di famiglia non aveva dato molte spiegazioni.
 
“Jam, stai lavorando?”
“Paura pranzo, zio. Dimmi tutto!”
“È Ted.”

Aveva sentito un cazzotto discreto d’ansia allo stomaco mentre ricordava che l’altro aveva trascorso la notte prima nella riserva dei Mannari. “Gli è successo qualcosa?”
“No, sta bene, però…” C’era stata una pausa in cui il viso solitamente quieto dell’uomo si era infiammato di preoccupata determinazione. “Non posso dirtelo via Specchio, è meglio se torni a casa.”

“Ma sta bene?” Aveva incalzato adesso seriamente terrorizzato. “Che gli hanno fatto?”
“Niente, ti dico.” Aveva ripetuto paziente. “Davvero preferirei se…”
“Arrivo.”

Fortuna voleva che il suo lavoro non avesse orari, sia nel bene che nel male. Una mezza giornata libera, con tutti gli straordinari che aveva accumulato, non era poi pretendere molto.

Varcò quindi l’ingresso del Camino e scandì con decisione l’indirizzo di casa: era il metodo più rapido per viaggiare, benché la Metropolvere non fosse il suo metodo preferito, dato che da lì alla Scozia i collegamenti via camino si facevano piuttosto sporchi e fuligginosi.
Ci metto meno che in moto però. Chiederò a Sy di riportarmela stasera.
Quando, sputando cenere, si trovò nel salotto di casa sua girò lo sguardo per trovare il centro dei suoi pensieri. Sospirò di sollievo quando vide che era lì, incolume e in compagnia di Neville, Hannah e una tizia asiatica con degli occhialetti dalla montatura squadrata e la generale aria di chi vorrebbe trovarsi da tutt’altra parte.
“Teddy!” Esclamò, facendogli alzare la testa di scatto.
Dall’espressione che gli rivolse, e dal colore dei capelli capì immediatamente che la situazione era uno schifo.
Cristo, dov’è il colore? Dov’è il mio blu?
“Jamie, dovresti essere al lavoro…” Mormorò prima di voltarsi verso Neville e realizzare il motivo della sua venuta. “Non avreste dovuto chiamarlo.”
“Col cazzo!” Esclamò rispondendo al posto dell’altro mago. “Sono il tuo compagno, qualsiasi cosa è successa … e ti è successa … devo saperla. Ora.”
Ted aprì la bocca, ma la richiuse subito, distogliendo lo sguardo. “Hai ragione.” Ammise piano ed era orribile sentirgli un tono così sottomesso quando aveva l’intero corpo in tensione e la mascella serrata. “Ma poi dovrete lasciarmi andare.”
“Andare dove?” Guardò i due coniugi che scossero la testa.
“Parlate.” Disse Neville con il consueto piglio pratico e saldo. “Se James ti appoggerà allora organizzeremo la cosa, altrimenti dovrai lasciar fare al Ministero.”
Ministero? Di che diavolo state parlando? Che sta succedendo?” Si voltò verso l’asiatica. “E tu chi cavolo sei?”

“James.” Lo riprese senza convinzione il compagno; era seduto sul divano come se un Incantesimo di pastoia ce l’avesse incollato ed era orrendo non sentirlo ammonire come il maestrino che era.
“Flynn Lin.” Si presentò tendendogli la mano. “Tu saresti la nostra soluzione?”
Gliela strinse. “Tanto piacere e pare di sì.” Sospirò; era il momento di prendere le redini di quella situazione se Neville non ne aveva l’intenzione.
Il che, dai, è strano. Voglio dire … è zio Nev.
Forse c’entrava qualcosa con l’aria stravolta di Ted. Decise di non arrovellarcisi troppo. “Okay, posso avere un momento da solo con il mio ragazzo?” Da come si alzarono rapidamente pareva proprio di sì e persino il suo ex Direttore, per quanto gli diede una pacca sulla spalla e lo avvertì che li avrebbero attesi ai Tre Manici, seguì la moglie con aria sollevata.
Wow.  
A quanto pareva non se l’erano sentita di gestire un Teddy in pieno rivolgimento emotivo e non poteva biasimarli dato che di solito l’altro era la quintessenza del tipo che reprimeva tutto con  un gran sorriso pacifico.
Quando si stappa è roba da maneggiare con cura.
“Ehi.” Gli sorrise avvicinandosi e accovacciandosi davanti a lui, preferendo avere una visuale completa della sua faccia piuttosto che sederglisi accanto e vederne solo il profilo. “Mi spieghi che è successo? Perché sembra un gran casino…”
“Devo andare nella Foresta.” Fu l’unica cosa che uscì dalla bocca dell’altro: doveva averlo ripetuto più di un paio di volte da come lo buttò fuori impaziente.
Uhm.
“Okay.” Annuì. “Però che i Centauri ce l’hanno ancora su con te e che potrebbero riempirti il culo di frecce  … Ronzini insopportabili, ma resta il fatto, non puoi rischiare. Se devi fare qualcosa là, posso farlo io per te.”

No.” Lo seccò con rabbia, prima di esitare forse vedendo la sua espressione sorpresa. “James, non è …” Si umettò le labbra. “Ho scoperto delle cose e…” 
“Su quel Mannaro?”
Il silenzio fu eloquente.
“Sono cose che dovrei sapere?” Gli chiese aggrottando le sopracciglia. “Non so, visto che sono il tuo compagno e che abbiano deciso di dirci tutto.”  
L’espressione anodina di Ted crollò come un castello di carte; si passò una mano sul viso e James per un momento si sentì un discreto verme ad aver spinto proprio sulla principale debolezza dell’altro.
Come sa sentirsi in colpa lui…
“Mi dispiace.” Mormorò infatti. “Non so … Non so cosa fare, ho scoperto … mi sta esplodendo la testa. Non so cosa fare.” Ripeté.
James invece lo aveva perfettamente chiaro; Ted Lupin, l’uomo che rimaneva sempre in sella alla propria razionalità senza tentennare, lo stava guardando come se avesse bisogno di sapere cosa fare e questo lo spaventava, ma non era quello il punto.
Non conta cosa provo io adesso.
Si sporse e lo abbracciò, serrando la presa finché non lo sentì ricambiare. “Ehi, la risolveremo.” Disse con convinzione. “Qualsiasi cosa sia. Però me la devi dire, altrimenti non posso sbrogliare questo casino.”
“Non può sbrogliarlo nessuno… Devo…”
“Ho capito.” Lo fermò passandogli una mano dietro il collo per appoggiargli la fronte contro la sua: era un gesto che aveva scoperto lo calmasse molto. Notò infatti un affacciarsi timido di azzurro sulle radici dei capelli. Era già qualcosa.

“Andremo nella Foresta, dovessi mettere le briglie a Magorian, te lo prometto.” Disse. “Ma parlami.”
E Ted parlò.
 
Buttare fuori tutto quello che aveva scoperto fu terrificante quanto liberatorio, specialmente perché gli occhi scuri di James seguirono il discorso bevendosi ogni sua parola senza tradire neppure un momento di incertezza o confusione.
Per un folle momento, pensò quasi che l’altro già lo sapesse. Poi lo vide passarsi una mano trai capelli e crollare seduto di fronte a lui.
“Cazzo.” Disse lentamente come in preda ad una serie di pensieri in rapida successione. Inspirò. “Okay, quindi pensi che il ragazzino si stia ancora nascondendo nella Foresta Proibita.” Riassunse.
“Non penso, lo so.” Ribatté. “Non può essere andato molto lontano, non conosce il posto ed è da solo.” Cercò di avere la meglio sul fiotto di panico e pena che lo investì. “ … se è ancora vivo.”

“Ha vissuto nei boschi con suo padre sin da bambino, no? Quindi saprà cacciare, accendere un fuoco … sfamarsi.” James scosse la testa e la sua convinzione fu un balsamo dolcissimo.
Perché diavolo non l’ho chiamato prima?
“Che sappiamo del padre?”
“Non molto. Moscardo l’ha visto di sfuggita una sola volta e ha detto che…” Forse un giorno avrebbe smesso di fare male come una pugnalata nel costato. Forse. “… che Lunastorta non aveva fissa dimora. Da quando se n’era andato dal branco viveva alla giornata, al limitare della società magica, facendo lavoretti saltuari e vivendo nei boschi quando non trovava nulla.”
“La madre?”
Ted scosse la testa. “Non ne sapeva nulla, ma Flynn mi ha detto che si informerà. Non dovrebbe essere difficile … Quante streghe farebbero un figlio con un Mannaro?” Sorrise dolente. “A parte mia madre.”
“Quindi la tizia era umana …” Schioccò le labbra. “Il bambino?”

“Pare che sia un mago, ma non dà certezza che non abbia contratto la Licantropia.” Si alzò in piedi, non riuscendo più a restar seduto. “James, devo andare.”
L’altro lo imitò. “E allora andiamo. Ma non da soli.” Ad un suo accenno di protesta lo fermò con una mano. “Più siamo, meglio è. Non è più il momento di andarci piano e usare la diplomazia … non con un ragazzino a rischio.”
“Hai ragione, ma … il branco di Magorian lo vedrà come un’invasione. Sai quanto sono territoriali…”
“Magorian potrà anche far storie, ma Centauri come Fiorenzo capiranno e se non lo faranno, problemi loro. Fammi chiamare i ragazzi.”
“James…” Si vergognava a realizzare che l’operatività di James lo sorprendeva.

Come se non sapessi che l’azione è il suo ambiente naturale.
L’istinto gli gridava di lasciare tutto nelle mani del compagno più giovane ed era certo che fosse piuttosto sbagliato averne un bisogno così disperato.
Ma non ce la faccio…
Non aveva esagerato prima, quando aveva detto che si sentiva la testa scoppiare: c’erano troppe informazioni e rivelazioni troppo dure da digerire in un solo colpo. Doveva accantonarle, almeno per il momento.
Trovare Ben è la priorità.
James intanto, ignaro dei suoi pensieri, tirò fuori lo Specchio Comunicante dalla tasca del giubbotto. “Bobby e Malfuretto sono addestrati anche per questo tipo di casino e non faranno domande.” Gli mise le mani sulle spalle, e non seppe se fu per il sorriso calmo o per la presa salda che sentì molta della tensione scivolare via. “Fidati, okay? Questa roba è il mio lavoro.”
“Mi fido.” Si chinò per premergli le labbra sulle sue, in un ringraziamento che sperò fosse intuibile. “Avrei dovuto chiamarti io, non Neville. Sono stato un idiota.” Confessò.
James scosse la testa con aria rassegnata ma doveva aver captato il riconoscimento, perché gli brillarono gli occhi. “Certo che lo sei. Per fortuna ci sono io!”
Ted sorrise. “È la mia fortuna più grande.”
 
****
 
Inghilterra, Londra
Diagon Alley, Ora di pranzo.
 
La Biblioteca Magica Centrale Bathilda Bath era uno dei posti più polverosi che avesse mai visto – e per anni Hogwarts era stata la sua casa. Situata in un vecchio palazzo vittoriano come tutti gli edifici pubblici di Diagon Alley, al suo interno si snodavano dedali tortuosi di scale a chiocciola e ballatoi con file infinite di libri e pergamene. Era la prima volta che Michel vi entrava dato che neppure da bambino ne aveva varcato la soglia.
La biblioteca di famiglia ha sempre soddisfatto senza problemi ogni mia richiesta…
Non era quello il caso però: volendo consultare gli arretrati del Profeta quello era l’unico posto dove avrebbe potuto trovarli sistematicamente catalogati per anno, mese e giorno. Con passo svelto superò una fila di tavolini, dove streghe e maghi avevano il naso seppellito tra tomi e calamai; Dursley non sarebbe sfigurato in quella ingobbita schiera, pensò con un sorrisetto ironico.
Ne consegue che qui io sono fuori luogo come un Troll in un negozio di porcellane.
Si avvicinò al banco accettazione e resi, salutando la ragazza che vi lavorava che, ad onor del vero, gli lanciò un’occhiata poco impressionata. “Desidera?” Chiese con voce antipatica.
Fece la sua richiesta e quella gli squadernò davanti un modulo pinzato su una cartellina a molla. “Compili con i suoi dati e specifichi che periodo di tempo le serve consultare.” Recitò senza alzare gli occhi dal libro che stava leggendo.
Michel obbedì, un po’ seccato dal totale disinteresse che stava suscitando; a ben guardare, nessuno degli astanti lo aveva degnato d’attenzione, neppure per un’occhiata fugace al modo perfetto con cui la giacca gli ricadeva sulle spalle.
Decisamente un posto da Dursley. Mi irrita oltre misura.
Gli toccava sopportare però, dato che era l’unico luogo dove avrebbe potuto scoprire qualcosa in più su Emil Von Houten adesso conosciuto come Milo il Magonò.
Nonna me lo presentò come un piccolo prodigio … E la Gazzetta ha sempre tenuto una rubrica sulla cultura di respiro internazionale. Un articolo, un’intervista … qualcosa.
Era un’idea forse sciocca, ma l’unica che gli fosse venuta che non coinvolgeva lui, il Black Goose e una serie di incontri spiacevoli o redivivi tentativi di rapina.
Devo venirne a capo in qualche modo …
Così, qualora lui e Von Houten si fossero rivisti, non sarebbe stato in una posizione di smaccata debolezza.
Informazione è potere.
Passò la cartellina alla bibliotecaria che lesse e annuì. “Si scelga pure una postazione. Le verrà tutto Materializzato sul tavolo.”
Una manciata di minuti dopo il suo tavolino venne letteralmente invaso da qualcosa come una decina di chili di carta ingiallita. Lanciò un’occhiata alla ragazza malignamente soddisfatta. “Buona consultazione.” Flautò prima di abbandonarlo al suo triste destino.

… Bene.
Si slacciò i bottoni della giacca e si mise comodo; aveva l’intera pausa pranzo per trovare ciò che cercava.
 
Fu al decimo quotidiano che riuscì finalmente a trovare qualcosa: un trafiletto di non più di cento parole, corredato da una foto talmente minuscola da aver bisogno di una lente di ingrandimento; ma non c’era dubbio, il ragazzino che suonava, vestito nel dress-code tipico dei musicisti, camicia immacolata e gilet nero, era lui.  
La pendola sopra al banco dell’accettazione ticchettava via la sua pausa, ma Michel non alzò lo sguardo neppure una volta mentre cercava, trovava e radunava altri articoli. Alcuni ricordava persino di averli letti, nella sua innocente cotta infantile, e di averli ritagliati con cura: dovevano ancora essere a casa di sua nonna.
 
Era il 1782 quando il maestro Niccolò Paganini compose col legno e con il fuoco melodie per violino. C’è chi dice che la magia sprigionata dalle sue dita fisse risultato di sangue magico. Quel che sia, trecento anni dopo, tale magia ha graziato il giovanissimo Emil Von Houten Meinster …
[…]

Emil ha nove anni e suona abitualmente nei migliori anfiteatri delle capitali mittle-europee; prima di lui, grandi artisti si succedono sul palco, ma nessuno con il permesso dei genitori ben stretto in pugno.

«Non so bene cosa voglia dire essere un musicista prodigio … non me lo sono mai chiesto. » Dichiara, ma poi sorride come un vero monello.  «Ma se tutti dicono che lo sono, forse sarà vero.»
[…]
 
Una vita, la sua, all’insegna del violino: a quattro anni è stato ammesso col massimo dei voti al conservatorio di Lubecca, sua città natale. Emil è il più giovane violinista nella storia delle istituzioni musicali del Ministero tedesco, ma la corona non sembra appesantirlo. «Dopo mangiare e dormire, suonare è la cosa che mi viene più naturale. »
[…]
 
[…] … Questa stirpe di maghi musicisti di “sangue blu”, famosi sia per essersi esibiti di fronte a Ministri, regnanti, maghi e Babbani è rappresentata al meglio da Kuno Von Houten, padre di Emil e suo manager. «Emil è destinato alla grandezza, ad essere conosciuto in entrambi i Mondi. Non è qualcosa che ti permette di avere una vita normale? Forse,  ma mio figlio non aspira alla normalità. Nessun Von Houten l’ha mai fatto. »
 
E attorno a lui, un mondo che non si stanca di ascoltarlo ammaliato. Perché adesso Emil è in gara anche per il Premio Vitalij Vonobirsk …
 
Michel ne lesse un altro paio prima di realizzare che erano all’incirca tutti uguali: ne lodavano il talento precoce, davano informazioni piuttosto vaghe sulla sua famiglia e si lanciavano in panegirici sulle sue capacità di esecuzione.
Il Profeta ha sempre avuto un debole per i golden-boy. Basti pensare ad Harry Potter…
Passò le dita sulla carta ruvida, sospirando: come gli aveva detto sua nonna, Emil aveva avuto una carriera brillante nel piccolo mondo della musica magica.
Almeno finché non l’hanno dichiarato un Magonò.
Gli articoli infatti non andavano oltre il duemilaquattordici, anno in cui doveva aver compiuto i fatidici undici anni.
Sapeva per sentito dire – certe cose venivano sussurrate nei salotti, mai dette ad alta voce – che i Magonò di origine Purosangue venivano spesso esiliati dalle proprie famiglie, mandati a vivere in tenute remote di campagna ed eliminati dalla società come se non fossero mai esistiti.
È ciò che gli è successo?
Quel che sapeva dell’Emil attuale non era molto: gli aveva detto di chiamarsi Milo – un nome falso, evidentemente. Gli aveva anche raccontato di vivere a Boston, e poteva essere una bugia come poteva esser vero.
Lo hanno mandato a vivere in America?
Se così era, perché adesso era in Inghilterra e sembrava frequentare il sottobosco Magonò di Notturn Alley?
Era confuso. Gli articoli appena letti gli avevano confermato alcune idee che si era fatto, ma gliene avevano fatte venire in mente altrettante.
Non so ancora niente di lui.
Era frustrante. Si massaggiò le palpebre, reclinando la schiena sulla sedia e incrociando le braccia al petto mentre radunava i pensieri.
Devi farlo, non c’è scelta.
Doveva andare al Black Goose e cercare informazioni di prima mano.
 
****

Scozia, Hogsmeade.
Pomeriggio.
 
Neville non avrebbe mai pensato di vedere un Lupin crollare.
Un po’ se ne vergognava; aveva assimilato la figura di Ted, un giovane professore brillante e un caro amico, a quella di Remus, figura di cui aveva cercato di seguire le orme nell’esercizio della sua professione. E non era giusto.
Ted non era suo padre. Certo, c’erano in lui lati che potevano ricordarlo a chi l’aveva conosciuto e amato: la gentilezza d’animo, la lealtà, la naturalezza con cui riusciva a stabilire un contatto con i propri allievi …
Ma c’era una forte differenza di fondo: Ted era capace di fidarsi degli altri.
Remus ha sempre avuto troppi muri per farlo.
Una particolare conversazione che aveva avuto con Harry, dopo la guerra, era stata illuminante.
 
“… Quello che ha sofferto giustifica in gran parte le scelte che ha fatto, ma rimane il fatto. Non mi scorderò mai come fosse pronto a voltare le spalle a Tonks quando ha scoperto di Teddy. Nev, Remus era un egoista.”
“Sì, forse … Ma cosa c’entra con la fiducia?”
“Non si fidava di sé stesso, dell’amore che provava per Tonks e Teddy … Li ha amati, lo credo davvero, ma non penso li abbia mai fatti veramente entrare
nella sua vita. Dopo mio padre, Sirius e Peter, non credo abbia lasciato più entrare nessuno.”
 
E forse anche in un’altra cosa Ted era diverso da suo padre.
Ted non ha bisogno che un adolescente arrabbiato gli ricordi che deve prendersi le sue responsabilità…
Hannah gli si avvicinò, distogliendolo dai pensieri per porgergli una tazza di the. “Pensi che lo troveranno?” Gli chiese. “Quel povero bambino…”
“Penso che se c’è qualcuno che possa riuscirci, sono questi ragazzi.” Replicò stringendole una spalla affettuoso. “Hanno buoni geni.”

Incredibile a dirlo, ma anche Malfoy.
Che aveva appena squadernato una grossa cartina geografica della zona spiegandola sul tavolino con aria pratica: erano arrivati da solo pochi minuti, il tempo di un saluto veloce e si erano subito messi al lavoro senza fare domande o chiedere spiegazioni.
Sempre parlando di fiducia … È chiaro che ne hanno in James.
“Okay, la zona delle caverne è questa.” Disse Scorpius cerchiando la suddetta con un colpo di bacchetta.
James scosse la testa. “È enorme, quanto saranno? Venti ettari? Dobbiamo restringere il campo. Le caverne erano vicine al vecchio letto di un fiume…”
“Qui allora.” Indicò Robert Jordan pronto. “Se vedete la conformazione morfologica…”
“Eh?”
“Potty, la traccia del letto del fiume.”
“Ah!” 

Ted aveva le braccia conserte e contemplava la cartina come se potesse parlargli ma fosse troppo maleducata per farlo. “C’era una macchia di querce secolari.” Mormorò. “Gli siamo passati affianco.”
“Okay, grande.” Bobby tracciò un altro paio di righe colorate con la bacchetta ed isolò un’area. “Allora possiamo restringere ancora …” Fece un rapido calcolo. “Sì, direi che ci rimangono circa tre ettari da controllare.”
James tentò di dire qualcosa ma si morse la lingua non appena intercettò lo sguardo del compagno. “Dai, è una passeggiata!” Scrollò le spalle riuscendo persino a suonare credibile. “Potremmo tutti tornare a casa per cena. E poi mi ricordo com’erano fatte quelle grotte, quindi, come ho detto, una passeggiata.”

Era incredibile, stimò Neville con affetto. Da quando si era Materializzato non aveva lasciato un momento il fianco di Ted, e qualsiasi cosa gli avesse detto quando erano rimasti soli era stata risolutoria, perché dopo l’altro era sembrato di nuovo pronto a ragionare.
Se all’inizio della relazione trai due aveva avuto dubbi su come si sarebbe potuta sviluppare a causa del divario di età e soprattutto di maturità, ora capiva quanto quella preoccupazione fosse stata sterile.
Jamie è maturato tanto in questi cinque anni. Sarà anche quello che ha passato con i suoi fratelli, ma credo l’abbia fatto anche per e con Ted.
“Bene.” Esclamò l’ex-grifondoro battendo le mani. “Che stiamo aspettando?”
“E i Centauri? Non per fare le pulci all’Ippogrifo, ma stiamo parlando di creature armate, veloci e un tantino territoriali.” Si inserì la giovane asiatica presentatasi come funzionario dell’Ufficio Mannari: a parte quell’intervento, comunque sensato, c’era da lodarla per non aver mai cercato di far valere la sua carica o la propria opinione. A quanto sembrava, era rimasta molto impressionata dalla reazione di Ted.

Lo siamo stati tutti … È un tipo così tranquillo. Vederlo perdere la calma è stato impressionante.
“Per questo motivo li aggireremo.” Gli rispose Bobby con la prontezza con cui si era sempre distinto anche da studente. “Potrebbero esserci sentinelle di pattuglia, ma abbiamo in tasca un paio di incantesimi di Disillusione che ovvieranno al problema.”
“Siamo Auror!” Esclamò Malfoy strizzando l’occhio a beneficio di tutti. “Siamo gente in gamba.”

I preparativi furono fatti velocemente; i tre giovani agenti erano praticamente pronti all’azione e sia lui che Ted sapevano come muoversi in un bosco.
Viviamo a due passi, non c’è neanche bisogno di cambiarsi le scarpe.
Salutò Hannah rassicurandola circa il successo della loro spedizione – l’istinto materno della sua dolce metà aveva già preso a cuore l’intera faccenda – e si avviò verso la porta, seguendo la scia energica di Malfoy e di Jordan. Passò così di fianco ai due padroni di casa.
“Lo troveremo.” Sentì dire al più giovane. “Ma promettimi che mi lascerai gestire la cosa.” Al silenzio che ne conseguì, aggiunse. “Ti fidi, no?”
“Certo che mi fido di te!” Fu la replica immediata. “È solo …”
“Solo cosa? Parla o ti prendo a calci.” Dall’espressione che fece l’altro non doveva essere una promessa a vuoto, e Neville, dovette mascherare una risata con un colpo di tosse. Decise che era il momento di lasciarli soli.

Se la caveranno. Sono insieme.
 
“… È solo che non voglio che vi succeda qualcosa.”
James roteò gli occhi al cielo. A volte era dura essere il più maturo della coppia.

Oh, Teddy, come fai ad esserlo quasi sempre? È palloso da morire.
Gli prese il viso tra le mani e lo portò alla sua altezza. Pochi centimetri più in basso, solo pochissimi centimetri, rammentò a sé stesso.
Piantala.” Scandì con decisione. “Cinque anni fa sei stato disposto a rischiare le penne per quegli idioti dei miei fratellini … Adesso lascia che ricambi il favore, okay?”
Teddy gli restituì un sorriso spoglio della patina da bravo ragazzo saldo che approntava per rassicurare il mondo di non aver bisogno d’aiuto. Lo faceva sembrare un bambino, e gli faceva venir voglia di prendere a pugni chiunque avesse osato tentare di cancellarglielo.
“ Andiamo a conoscere tuo nipote, Teddy.”
 
****

Londra, Nocturn Alley.
Pomeriggio.
 
Milo sapeva di aver fatto una stronzata quando aveva preso a calci due Magonò per salvare il maghetto stronzo, ma lo realizzò a pieno solo quel pomeriggio, quando al posto dell’entrata del Black Goose vide pararglisi di fronte un muro compatto di muscoli e tatuaggi.
L’hanno saputo.
“Posso passare?” Chiese con tutta la cortesia di cui disponeva, glissando sul fatto lo stesse chiedendo ad un energumeno che aveva nocche della grandezza di Boccino.
“Non sei il benvenuto, tedesco.” Grugnì quello in un accento così pastoso che non fu del tutto certo che non gli avesse invece detto invece tutto il contrario.
“Devo parlare con Figgins.” Non si fece spaventare: l’atteggiamento in quel genere di ambiente era tutto. Ampliò il sorriso. “Andiamo, posso sapere qual è il problema? Siamo tutti amici qui…”
“Non credo proprio.” Ringhiò l’orango. “Quello che hai mandato al San Mungo due sere fa era mio fratello.”
Oh, ops.

Principino, anche tu … tempismo perfetto nel fare richieste. Sul serio.
Ti odio.
Allargò le braccia, e non reagì quando gli strapparono di mano la custodia del violino.
Non avrei dovuto portarmelo dietro … ma mi servivano delle corde nuove!
“Cos’hai in mano?”
“Non un fucile a canne mozze.” Spiegò quando l’aprirono con tozze mani sudice. “È solo il mio violino, sono un musicista.”
Il primate fece un sorriso storto. “Questo lo teniamo noi. Magari per risarcimento.”
Fottiti, sei morto.

Piuttosto che lasciare il suo primo e unico amore a quei bruti si sarebbe fatto tagliare un piede. Doveva però giocare d’astuzia. “Tuo fratello rischiava di farsi vent’anni di prigione per aver preso a calci il culo di un Sanguepurissimo…” Inarcò le sopracciglia quando vide l’altro aggrottarle perplesso. “Non te l’ha detto? Volevano ripulire un damerino che discende in linea dalla regina di Saba.” Inventò un po’ a caso.
Ma neanche tanto. Quel tipo ha la stessa puzza sotto il naso.
“Fallo passare, Shad.” Disse una voce dall’interno del locale, sufficientemente forte e d’impatto da far ripiegare il muro umano come se fosse stato Mosè col Mar Rosso.
Figgins.
Milo entrò senza troppe cerimonie: se a quel punto avesse fatto marcia indietro avrebbe sul serio rischiato una lama nel costato. O di non rivedere il suo violino.
Più o meno la stessa cosa.
Mister!” Annunciò Figgins dal bancone, agitando una pinta a mo’ di saluto. Milo tentò di nascondere il fremito d’orrore alla versione anglofona – e sbagliata – del suo cognome. “Come andiamo, biondo?”
“Bene.” Scrollò le spalle avvicinandosi. “Passavo da queste parti … ho pensato di fare un saluto.”
L’altro gli rivolse un sorriso che lo fece sembrare simile ad uno squalo: se lo immaginava, quel rosso, ad addentare la gamba di qualcuno e staccargliela di netto. “E vedere di far incazzare il povero Shad? Non l’ha proprio digerito quel tuo numero alla bottega di Swill … Prendere le difese di un Nato Babbano…” Schioccò la lingua con riprovazione. “C’è da chiedersi dove tu tenga il cuore.” Fece un cenno alla barista che gli mise davanti una pinta cremosa e scura. “Bevi, Mister … e poi rispondi.” Soggiunse con il tono tranquillo di chi ti teneva per le palle senza sforzo.

Diede un’occhiata ai tizi di prima, che ovviamente l’avevano seguito dentro. Shad aveva tutta l’aria di aspettare solo l’imbeccata del proprio capo per venire a fargli le feste.
Sorseggiò quindi obbediente. “Ho il cuore dove deve stare. Qui.” Si indicò il petto e fu sollevato di vedere l’altro sogghignare divertito. “Ma ho anche un cervello. I tuoi ragazzi hanno aggredito un rampollo Purosangue, non un Nato Babbano. Gli ho fatto un favore.”
L’informazione venne registrata dalla sorpresa che vide negli occhi dell’altro. “Hai uno strano modo di far favori, tedesco…” Osservò pacato.
“E tu hai uno strano modo di insegnare ai tuoi a distinguere i polli dalle trappole. Ma ehi, non giudico.” Replicò senza scomporsi, pregando di non aver passato il segno.

Per tutta risposta il capoccia scoppiò a ridere, esattamente come al loro primo incontro: pareva trovare la sua mancanza di peli sulla lingua esilarante.  
“Mi piaci Mister, dico sul serio.” Proferì infatti. “Se solo avessi sotto di me cervelli come il tuo non dovrei preoccuparmi di far da balia a idioti come Shad.” Gli strizzò l’occhio.  
“Grazie.” Ricambiò il sorriso. Vide poi con la coda dell’occhio l’orango alzarsi con il suo violino tra le mani. Quando, ad un cenno del proprio capo, glielo restituì, Milo tentò disperatamente di combattere il desiderio di serrarselo al petto e cullarlo.

Lo so, tesoro, è stato orribile, ma ora papà è qui.
“Sei un musicista… Violino?” Chiese Figgins con tono interessato che glielo rese immediatamente meno temibile: nessuno poteva esser veramente un pezzo di merda se amava la musica.
Beh, tranne mio padre. Ma le eccezioni esistono sempre.
“Violino.” Confermò. “Ti piace la musica?”
Questo roteò gli occhi al cielo, scuotendo la testa come se avesse appena detto una bestialità. “Non si fanno domande del genere ad un figlio d’Albione, biondo. A noi la musica scorre nel sangue!”
Non era ancora il momento di parlare di Johannes, lo capì da come l’atmosfera era ancora tesa: doveva lasciare che si rilassasse, e le chiacchiere dell’altro Magonò sembravano suggerirglielo implicitamente.
“Suonaci qualcosa!” Soggiunse infatti. “Una buona canzone e una pinta di birra perdonano quasi tutto.”
 
 
Michel inspirò per forse la ventesima volta, notando con immutato disgusto un nuovo particolare del sudicio pub di cui avrebbe dovuto varcare la soglia.
Da quant’è che non lavano le vetrate?
Sicuramente da qualche decennio a giudicare dalla patina scura causata dalla pioggia fuori e dal fumo. Dall’odore che ne veniva fuori pareva avessero anche problemi con il tiraggio del camino.
Fantastico. Dovrò bruciare i vestiti, dopo.
Era ormai in palese e plateale ritardo al lavoro e quindi poteva accendersi l’ennesima sigaretta senza sentire l’ansia di avere i minuti contati.
Piantala di fare l’idiota. Vattene, che sei venuto a fare?
Non era neppure certo che vi avrebbe trovato Von Houten. Non era certo di niente, ma stare lì non avrebbe risolto nulla.
Al diavolo …
Si mosse, perché davvero, quella faccenda stava diventando ridicola e doveva metterci una pietra sopra una volta per tutte, quando sentì una mano posarglisi sulla spalla.
Mi hanno scoperto a spiarli!
Si sentì un autentico idiota quando vide gli occhi bicolori di Nott guardarlo con aria divertita.
“Qualcuno qui ha i nervi a fior di pelle!” Esordì con l’aria di chi stava trattenendosi dallo scivolare in prese in giro ben peggiori. “Beccato.” Sillabò con gli occhi che gli ridevano.
“Va’ al diavolo!” Sbottò inelegante, dato che per l’improvvisata si era anche bruciato con la sigaretta. Tentò di riprendersi. “Apparire alle spalle della gente solitamente rende nervosi.” Soggiunse con tono più calmo.

Loki non parve particolarmente impressionato dal suo ritrovato controllo. “Ero qui da almeno due minuti, ma eri così preso dai tuoi pensieri che mi sembrava brutto interromperli …” Scrollò le spalle. “Però visto che sarei altrove richiesto…”
“Appunto.” Lo interruppe “Si può sapere cosa ci fai qui?”

Loki si posò una mano sul cuore con aria drammatica. “Pensavo fosse ovvio!” Vedendo che non recepiva, scosse la testa dolente. “Vegliare su di te come il perfetto amico che sono, no?”
“Sei una comare e sei qui solo per divertirti alle mie spalle.”
“Anche.” Convenne. “Ma pensi sul serio di riuscire ad entrare lì dentro come se fossi in un ufficio del Ministero?” Occhieggiò il suo completo in tre pezzi e la catena d’orologio che spuntava dal panciotto e scosse di nuovo la testa come se avesse a che fare con un bambino tardo. “Mike, sei un ragazzo sveglio … Per ogni porta ci vuole una chiave.”
“E tu saresti il mio lasciapassare?”

Loki non rispose subito, approntando uno dei suoi sorrisi da sfinge. “Giusto perché tu abbia un quadro della situazione … Il posto è di proprietà di Danny Figgins. È l’ultimo erede di una dinastia di Maghinò da qualcosa come sette generazioni … Ma non è perché è un figlio d’arte che controlla Notturn Alley come se fosse il suo parcogiochi …” Sospirò. “È un tipo pericoloso, persone che non gli sono andate a genio sono finite nel Tamigi … e dubito che abbiano ritrovato i corpi.”
“E perché una persona del genere non è ad Azkaban?”

“Ad uno come quello non serve una bacchetta per evitare il Wizengamot.” Sospirò. “Mio buon Mike, credimi se ti dico che dietro quelle decrepite porte c’è un mondo di cui non sai niente. Non puoi entrarci e basta.”
Si morse le labbra: l’amico aveva ragione, si stava comportando in modo avventato.
Che diavolo mi prende? Tutto per un ragazzo…
Forse Al ha ragione, dovrei prendermi una vacanza.
Decise di tentare di mantenere almeno una facciata di credibilità. “Cosa mi consigli di fare allora?”
Loki, per una volta, sembrò piuttosto serio. “Se vuoi avere informazioni su quel tuo Magonò, lascia che sia io a parlare. Ho fatto affari con Figgins e siamo più o meno in buoni termini. Mi rispetta per quanto uno come lui può rispettare un mago.” Si strinse nelle spalle. “Ma se vuoi far da solo…”
“No.” Sapeva quando fare un passo indietro ed era quello il caso: Nott conosceva quel mondo come mai lui avrebbe fatto e rifiutare il suo aiuto per orgoglio sarebbe stato stupido. “Va bene. Proviamo a modo tuo.”
 
****
 
Scozia, Foresta Proibita.
Pomeriggio.
 
La foresta poteva anche essere luminosa.
James se ne rese conto quando dovette schermarsi gli occhi con una mano per l’ennesima volta, dato che le fronde mosse dal vento lasciavano filtrare lame di luce dall’alto, abbacinandoli.
“Almeno non piove.” Commentò Scorpius. “Ma in questo posto non c’è segnale manco a morire, né per il cellulare…”
“Ovvio, eh.” Gli fece notare Bobby. “Siamo in mezzo al nulla tecnologico.”
“ … né lo Specchio Comunicante.” Concluse. Alle loro espressioni sgomente si strinse nelle spalle. “Siamo anche nel bel mezzo del nulla magico. Credo che siamo i primi maghi a metter piede in questa parte del bosco da … uh, secoli?”

James non rispose, guardando il profilo del viso di Ted che camminava accanto a lui: era silenzioso come una tomba e con un’espressione così determinata che probabilmente se gli si fosse parato davanti un Centauro se lo sarebbe mangiato vivo e ne avrebbe sputato le ossa.
Non che non potesse capirlo: l’istinto naturale di protezione che si poteva avere verso un bambino si era adesso mischiato a quello del sangue.
Perché Ben è suo nipote.  Per le mutande di Merlino … è suo nipote davvero.
Teddy aveva cercato, sin dall’infanzia e neppure troppo segretamente, una propria famiglia. Nessuno gli toglieva dalla testa – per quanto fosse un pensiero un po’ meschino – che l’interesse tenace che aveva sviluppato per Victoire fosse stato dovuto al fatto che sua cugina avrebbe potuto dargli dei figli.
Cosa che tu non potrai mai fare, manco volendo. E non vuoi. Urgh.
C’era però una parte di sé, microscopica ma presente, che gli ricordava quando quello fosse comunque un difetto.
Perché sei sexy e tutto quanto, ma non potrai mai dargli quella roba che desidera da quando ha capito che non era la norma non avere mamma e papà.
Grande. Momento depressione.  
Inspirò, e sforzò una smorfia amichevole quando Scorpius gli allungò una pacca sulla spalla.
“Come stai?” Gli chiese stupendolo.
“Bene. Non sono io l’ospite d’onore oggi.”
“Lo so.” Si strinse nelle spalle. “Ma Potty, sei quello che viene subito dopo.”
Eh?
Non ebbe il tempo di pensare alla frase dell’altro che notò come il terreno stesse cominciando a diventare familiare: ricordava infatti una serie di radici dalla forma strana, come un paio di massi che formavano una sorta di cavità naturale nella roccia.

Ted gli si affiancò, guardandosi attorno e annuendo. “Sì, è qui.” Parve leggergli nel pensiero.
La giovane funzionaria del Ministero, che era rimasta in fondo con Neville, li raggiunse allargò le narici come se annusasse un odore sgradevole. “Si sente ancora odore di Centauri…”

“Odore?” Le sopracciglia di Bobby rischiavano di sparire tra l’attaccatura dei capelli. “Stai … annusando?”
“Problemi, dolcezza?”
“No, no!”
Ted di nuovo non replicò, ma le labbra strette in una fessura parlavano per lui e James realizzò che non sarebbe riuscito a ricucire i rapporti con il branco di Magorian, Fiorenzo compreso, non in tempi brevi almeno.

Hanno ucciso il suo fratellastro …
Non se la sentiva però di condannare completamente le azioni dei Centauri: al posto loro di frecce ne avrebbe scoccate due, per esser sicuro di aver messo a terra il tipo.
Fratello o meno, voleva farlo fuori.
L’equazione dal punto di vista del compagno non doveva essere così semplice.
Che poi…
Remus aveva avuto un figlio da una donna del branco di Greyback: questo bastava ed avanzava per far casino nella sua testa. Non riusciva ad immaginarsi in che stato fosse quella dell’altro.
Non era però il momento per far domande o vagliare ipotesi.
È il momento di agire, cazzo.
“Andiamo.” Disse facendo cenno a Scorpius e Bobby. “Ci dividiamo. Adesso che c’è luce dovrebbe essere più semplice muoversi.” Si voltò verso Neville e la ragazza. “Io, Teddy e Malfuretto prenderemo la sponda destra del greto, voi con Bobby la sinistra. Per iniziare cerchiamo nelle vicinanze … poi espanderemo il raggio di ricerca.”
Neville approvò con un cenno della testa. “Nel caso uno di noi veda una sentinella Centauro lanci tre scintille rosse dalla bacchetta. Dobbiamo evitare lo scontro diretto ad ogni costo.” Ed era maledettamente serio. A James dispiacque dato che era ovvio che la situazione tesa con il branco lo amareggiasse: lui e Fiorenzo erano colleghi e amici e non doveva essere semplice bilanciare quello con l’affetto che provava per Ted.
A volte si devono fare scelte … e qualunque prendi, fa schifo comunque.
Che cazzo di situazione.
Era suo dovere, quindi, tirarne fuori il meglio possibile.
 
 
****


Londra, Notturn Alley.
The Black Goose.

 
Suonare il tema di Smooth Criminal – successo Babbano passato alla storia – e arrangiarlo per un gruppo di ceffi pieni di birra gli era costato una grossa prova di coraggio, ma a quanto sembrava la sua temerarietà era stata ripagata da una selva di grugniti e battiti di mani allegri.
Beh, almeno un po’ di orecchio musicale lo hanno.
“Complimenti, Mister.” Esordì Figgins con un sorrisetto molto più umano e meno disposto a far seguire un balenare di lama. “Ci sai fare con quel violino!”
“Uno dei pochi pregi che ho, oltre ad un bel visino.” Rispose a tono, strizzando l’occhio ad un paio di tipiche ragazze da bar, visto che questo imponeva la recita. Fece scorrere le dita sulle corde dello strumento. “Ma sono aperto anche a qualcosa di più tradizionale, se volete.”

“Suona Dacw 'Nghariad!” Esclamò il tipo di nome Shad, eccitato come un bambino. Se si evitava di guardare la dimensione dei suoi pugni faceva quasi tenerezza. “È la mia preferita!”
“Non dar retta allo scozzese, suona Greensleves!” Tuonò un altro seguito da un coro di assensi.
“Vincono gli inglesi.” Constatò placido Figgins dando una pacca al grosso Shad che esibì uno stupefacente broncio da bambino di cinque anni.
Milo chiese quindi che gli accennassero il motivetto e quando l’ebbe ascoltato un paio di volte, in più gradi di stonature, si fece un’idea generale e le dita presero a suonare la melodia.
Certe canzonette mi hanno permesso di riempirmi la pancia per anni…
Non è la prima volta che mi salvano anche il sedere.
Preso a godersi le espressioni mesmerizzate del suo pubblico – ah, la musica -  si accorse troppo tardi che due uomini erano entrati nel locale e si erano diretti verso il bancone. Fu quando identificò uno dei due che per poco non sbagliò nota.
Il maghetto stronzo?!
Lineamenti esotici intrappolati nel rigore britannico di un completo tagliato su misura: era Michel, non c’era dubbio.
Che cazzo ci fa qui?
Era in compagnia di un belloccio alla sono-stravagante-quanto-irresistibile, dai lunghi capelli ricci e l’aria compiaciuta di un gatto che si era mangiato la cena de padrone e nessuno dei due aveva l’aria di esser lì per bersi una birra. Maghetto Stronzo poi lo notò, e dall’occhiata che gli lanciò sembrava quasi che fosse lui il motivo della sua comparsata.
Eh, no. Non osare avvicinarti!
Se Figgins o Shad avessero fatto due più due le cose avrebbero potuto farsi imbarazzanti. Molto.
Per fortuna, occhiata o meno, l’altro decise di rimanere alle costole del suo accompagnatore mentre questi ordinava da bere con la disinvoltura del cliente abituale.  
“Ehi Figg, vecchio mio!” Si rivolse infatti al capoccia con familiarità.
“Nott.” Lo salutò il rosso stringendogli la mano. “Un po’ che non ti si vede in giro … Ho sentito dire che eri in Spagna.”
“Che devo dirti, volevo sapere se le scogliere di Dover erano ancora bianche¹…”

Figgins lo fissò perplesso. “E di che cavolo di colore dovrebbero essere, scusa?”
È una poesia.
La sua condizione diventava pesante sopratutto quando notava la mancanza di conversatori stimolanti. Nessuna battuta da taverna, per quanto arguta, avrebbe mai potuto rivaleggiare una poesia citata nel giusto contesto.

Il ragazzo di nome Nott non parve irritato quanto lui dalla mancanza di ricettività del suo interlocutore, perché scrollò le spalle. “Giusta osservazione.” Fece una pausa e non fu una sua impressione, lo sguardo scivolò con malizia da lui all’amico.
Che cavolo…
“Mio buon rosso, son qui per l’eccellente birra che spillate ma anche per proporti un affare che, sono certo, non potrai rifiutare.”
Ma questo tizio parla solo per citazioni?

Che fosse così o meno, sparì nel retrobottega portandosi via metà della banda di Figgins.
Milo si trovò così a pochi passi in linea d’aria dal tipo che gli aveva quasi inimicato la sua stessa gente.
E dannazione, è sexy come l’inferno.
La soluzione migliore era fingere che non ci fosse; si diresse quindi verso il tavolo doveva aveva posato quello che rimaneva della sua pinta, ma fu fermato senza troppe cerimonie; non doveva essere abituato ad essere ignorato.
“Suoni il violino.” Iniziò con il tono di una constatazione.  
Si strinse nelle spalle. “No, gli faccio prendere aria.”
Il mago serrò le labbra, ma non colse la provocazione. “Da quanto lo suoni?”
Ma che domanda è?
La sua sorpresa dovette essere evidente, perché Michel – già, era quello il suo nome – incrociò le braccia al petto con imbarazzo. Il che lo rendeva molto meno mago e molto più umano.
Sì, ma rimane Maghetto Stronzo. Ricordatelo.
“Hai intenzione di rispondere?” Lo incalzò con tono antipatico. Ma era nervoso.
Evvabbeh.
“Da quando so tenermi in piedi.” Rispose togliendo con un gesto leggero un batuffolo di polvere che si era depositato sulla ghiera. “Perché?”
“Perché mi ricordo di te, Emil.”
Se gli avesse tirato un pugno in faccia sarebbe stato meno sorpreso. E avrebbe sentito anche meno dolore. I tempi di reazione però erano gli stessi perché fu certo di essere rimasto a bocca aperta come un cretino per almeno una manciata di secondi.

Riprenditi, testa di cazzo.
Il panico lo rimise in carreggiata. “Cavolo, va bene che abbiamo scopato solo una volta… ma addirittura sbagliarmi il nome…”
“Emil Von Houten Meinster.” Ripeté come se non l’avesse sentito. “Eri il piccolo prodigio musicale del Ministero tedesco, ed io ho avuto il privilegio di ascoltarti in Francia, anni fa.”
Milo vuotò quello che rimaneva della sua pinta: aveva un sapore schifoso.

E non perché è diventata tiepida. Era già piscio.
“Mi sa che mi hai confuso con qualcun altro. Sai quanti tedeschi studiano il violino?” Fece una smorfia. “È praticamente lo strumento nazionale … Ed io non sono mai stato un prodigio. Certo, a meno che suonare canzonette sconce per gente ubriaca non sia da considerarsi prodigioso, nel qual caso sono un re.”
“Non prendermi in giro.” Gli rivolse un sorrisetto saputo. “Hai troppo controllo sul tuo strumento per essere un suonatore da bettola. Oltre al fatto … ” Indicò il violino. “ … che ciò che suoni vale da solo la proprietà di questo posto.”  

E dovevi vedere su cosa potevo mettere le dita prima.
Chi l’avrebbe mai detto comunque … Chiappe d’oro ne capisce di musica.
Non che avesse importanza.
Deve comunque farsi i cazzi suoi.  
Fece un fischio per attirare l’attenzione degli altri avventori. “Signori e gentili damigelle … Avete sentito. Il Signor mago gradisce la mia musica! Ne facciamo altra?” Ricevuti i doverosi e sguaiati plausi, si rivolse poi all’altro, scimmiottando un tono lamentoso. “Se il signor mago vuole sentire qualcosa, il povero suonatore sarà felice di accontentarlo.”
Intonò quindi un motivetto tzigano allegro quanto fastidioso, con rabbia e senza precisione, perché no, non era un maledetto genio, il passato era passato e nessun figlio di puttana aveva il diritto di scavare nel suo.
A posteriori si chiese sempre cosa gli fece cambiare idea: forse fu l’espressione di delusione sul viso del mago che diede un potente calcio al suo orgoglio o forse furono gli incitamenti che sentì per una canzone che non valeva uno zellino e che detestava suonare …
Fatto sta che stoppò il maldestro motivetto da festa di campagna e attaccò Paganini.  
Di colpo gli parve quasi di sentire le corde del suo violino ringraziare mentre sentiva il corpo più leggero e le dita più spedite. Le variazioni, le armoniche, la diteggiatura funambolica …
È questa la mia musica. È questa.
Quando concluse si rese conto che l’intero locale era piombato nel silenzio e che Michel era rimasto di stucco.
Sì, la voce di un violino fa quest’effetto. Specie se suonato come se dovesse costarmi la vita.
Ops.
Scrollò le spalle. “L’ho capito dalla faccia … sei un tipo da classica, vero?” Chiese più che altro per salvare la faccia.
… Ne valeva la pena?
Forse. O forse no. Ad ogni buon conto il suo orgoglio di artista era stato salvaguardato e a questo doveva plaudire.
Il mago non gli rispose, ma sorrise e per la prima volta da che lo conosceva sembrò sincero. “Lo sapevo.” Mormorò. “Sei tu.”
Non poteva più negare, non di fronte all’evidenza. “Sì, wow, fantastico, mi hai scoperto. Notizia dell’ultima ora … a nessuno frega un cazzo.” Ripose il violino e chiuse la custodia con uno scatto secco. “Aver scoperto che fine ho fatto non è una notizia da prima pagina. Forse un trafiletto nella pagina di cultura del vostro Profeta, se ti va bene … Non sono stato certo un Harry Potter.”
“Non sono un giornalista, sono…” Si umettò le labbra e per Faust, se erano piene, morbide e del tutto peccaminose. Ricordava bene quanto erano state a sud del suo personale equatore.
Ehi, no, a cuccia laggiù!

C’era qualcosa di karmico nell’aver voglia di sbatterlo sul primo tavolo disponibile quando non era il momento né il luogo adatto.
Almeno, a differenza di quanto è successo la sera della festa di quel tizio, lui non s’è accorto di tenermi per le palle.
Dall’espressione cauta e sincera che aveva dipinta in volto dubitava lo stesse ripagando con la stessa moneta. Pareva piuttosto concentrato sulla scoperta appena fatta.
“Immagino non ti ricordi di avermi conosciuto …”
“No, dovrei?” Si rendeva conto di comportarsi da perfetto stronzo con un ragazzo che, almeno fino a quel momento, era stato gentile.
Ma ehi, chi semina vento…
L’inglese lo guardò storto ma mantenne, glielo doveva riconoscere, una certa cortesia. “Non capisco perché tu debba essere così sgradevole.”
Perché prima che scoprissi che ero il Meraviglioso Emil tu lo sei stato con me, anche quando ti ho salvato le chiappe rischiando di esser etichettato come un traditore.
Per esempio.
“Perché .” Richiamò l’attenzione del barista scuotendo la pinta vuota. Aveva bisogno di un altro buon litro se voleva continuare quella conversazione. “E comunque, neanche tu sei stato uno zuccherino con il sottoscritto.” Si stampò in faccia un’espressione di puro panico. “Oh mia Morgana, ho toccato uno sporco Magonò con il mio pisello!”
“Mi dispiace.” Si stava davvero scusando con lui? Ne fu stupito perché stavolta il tono della frase era intriso di autentico dispiacere. “Mi sono comportato …” Esitò e dovette ingoiare un discreto quantitativo di orgoglio maghesco dall’espressione che fece. “… in maniera riprovevole. Come mi sembra di averti già detto, non reagisco bene quando vengo preso di sorpresa.”
“Immagino che esserti scopato un Magonò sia stato sorprendente, sì.”

“Potresti smetterla?” Ribatté con rabbia. Non si poteva dire che non avesse un bel caratterino: l’educazione da damerino doveva di solito tenerlo a bada, ma premendo i tasti giusti non c’era strumento che non cantasse con le sue reali tonalità.
“No.”
Emise un verso spazientito. “Vorrei solo avere la possibilità…”
Era stufo. Era stata una giornata stancante e a casa – sempre che una stanza ammuffita si potesse considerare tale – lo aspettava un altro mago pieno di paturnie e problemi. Non aveva quindi voglia di immergersi in una parte della sua vita che aveva seppellito a fondo per la sua stessa sanità mentale. Neppure per il ragazzo stupendo che aveva di fronte.

“Di fare cosa?” Scosse la testa. “Se ti eri preso una cotta per me, come un altro milione di maghetti felici di avermi tra le loro fila, ti devo deludere … Quella persona non esiste. Tanto piacere, sono Milo, un Magonò.” Gli tese la mano quasi sbattendogliela addosso e Merlino, se avrebbe voluto picchiarlo. Che diritto aveva di venire lì e parlare del suo passato? 
Il mago lo guardò confuso, quasi non si fosse aspettato quella reazione: pareva esserci rimasto male.
Ma cosa sperava?  
Il momento patetico fu per fortuna interrotto da Figgins che rientrò con un gran vociare, chiedendo che la sua sete venisse spenta con una parola in slang che non capì ma che significava probabilmente birra.
Questo parve riscuotere l’altro, che distolse lo sguardo dandosela a gambe senza un’altra parola.
Ah, ho vinto!
Era frustrante non sentirsi un vincente.
Quando se ne fu andato assieme al tipo ricciuto, quest’ultimo gli si affiancò, passandogli un braccio sulle spalle. “Beh, cos’è quel muso lungo?” Chiese. “Un maghetto t’ha fatto la bua?”
Storse il suo miglior sorriso storto. “Non direi. Ho la pelle più dura di così.”
Ciao, sono Milo, un Magonò.
 
****
 
Scozia, Foresta Proibita.
 
Ted non riusciva a dar retta alle persone attorno a sé; sapeva che doveva ascoltare James e i suggerimenti accorti di Neville, che in quei boschi aveva camminato e imparato ben prima di lui. In coscienza, si rendeva conto che il suo modo di reagire non era funzionale a ciò che stava per fare.
Non riusciva a importargli.
La ricerca di Ben era l’unica cosa che lo teneva lontano dalle rivelazioni che erano conseguite alla conversazione con Moscardo. E funzionava, quindi non gli interessava esser razionale in materia.
James accanto a lui balzò su uno sperone di roccia, indicando una fenditura dove una persona sarebbe potuta passare agilmente. “Non è una delle entrate che abbiamo controllato?”
“Sì.” Convenne mentre Scorpius sbuffava e li raggiungeva pulendosi le mani sporche per l’arrampicata.
“Ci dividiamo?” Propose questo guardandosi attorno. “Perché di posti in cui nascondersi ne ho visti parecchi salendo.” Si grattò la nuca. “E non è che rischiamo molto, a star da soli, credo … Si tratta di un bambino, no?”
“Potrebbe essere un Mannaro.” Gli fece notare, perché al di là dei suoi personali sentimenti in materia rimaneva pur sempre suo compito avvertirli del pericolo. “Anche se non è Plenilunio, il suo morso avrebbe comunque degli effetti.”
“Sì, ma non mi farebbe trasformare, vero?” Si informò con aria inquieta e Ted ricordò di colpo come Lucius Malfoy fosse morto.

Ucciso da Greyback. Un Greyback trasformato.
La presenza di Scorpius era di colpo molto meno scontata e per questo cercò di sorridergli: una prova simile di lealtà poteva e doveva accantonare i suoi problemi. “Hai presente Bill, il padre di Louis?” Ad un cenno di assenso continuò. “Fu morso da Greyback quando era ancora in forma umana, e non si è Trasformato. Il morso porta ad una forma completa di Licantropia solo durante la luna piena…”
“In compenso ti viene una gran voglia di carne al sangue!” Gli strizzò l’occhio James, dandogli una pacca sulla spalla. “Non dirmi che te la fai sotto, Malfuretto.”
“Molto, ma fingerò di non voler strillare come una ragazzina.” Replicò l’altro tentando un tono scherzoso. Gli riuscì piuttosto bene. “Comunque, è un bambino. Dobbiamo trovarlo.” Concluse con tono definitivo.

“Grazie Scorpius.” Lo disse perché quel ragazzone non aveva mai avuto tutti i riconoscimenti che si meritava.
Meno della metà se si considera che si è infilato volontariamente nei casini di questa famiglia…
Scorpius ricambiò con  un cenno della testa e un vago rossore compiaciuto sulle guance. “Beh, io vado a destra!”
James, quando fu il momento di separarsi, lo afferrò per un braccio. “Andrà tutto bene.” Gli mormorò serio e fu quasi tentato di crederci; quando abbandonava l’attegigamento da bulletto di periferia mostrava al mondo intero come fosse in realtà una delle persone più affidabili che conoscesse.
“Lo so.” Lo baciò perché anche se non era appropriato data la sua situazione – tra l’altro, erano in bilico tra rocce friabili – ne aveva un disperato bisogno. James parve intuirlo da come afferrò un pugno di stoffa della sua camicia per tirarselo contro.
“Preferisco questo grazie a quello di Malfuretto.” Ghignò sulle sue labbra prima di lasciarlo andare. “È più personale. Che non ti salti in mente di darlo ad altri!”
Non poté fare a meno di sorridere e tirargli uno scappellotto.
Si separarono e Ted accese la propria bacchetta in Lumos mentre l’oscurità della caverna lo avvolgeva. Non ricordava di esserci entrato, ma era pur vero che la morfologia del posto non era degna di nota. Si spinse a fondo e contò di aver percorso almeno un centinaio di metri prima di notare, sulla parete, un segno che non pareva fatto dalla natura: pareva esser stato fatto con un sasso sfregato con forza.

Qualcuno voleva esser certo di non perdersi in mezzo a questi cunicoli…
L’istinto gli diceva che doveva trattarsi di Lunastorta: difficilmente i Centauri avrebbero potuto inerpicarsi fin lì, ed erano gli unici altri esseri della foresta a poter maneggiare degli utensili.
“Ben?” Chiamò, sperando che il bambino fosse nei dintorni e si fosse semplicemente nascosto sentendolo arrivare. “Mi chiamo Ted, sono …” C’era un modo per presentarsi che fosse adeguato? Dubitava. “ … un amico.” Si risolse a dire. “Non devi avere paura, vengo …” Ignorò la fitta che sentì calciargli lo stomaco. “… vengo da parte di papà.”
Prima di morire ha detto il nome di suo figlio. Ha cercato di dirmi che non era solo, e che il suo bambino aveva bisogno di aiuto.

Ed io non l’ho capito.
Un rumore lo allertò, ma invece di alzare la bacchetta, come istinto gli suggeriva, la ripose; la prima cosa di cui un bambino Licantropo avrebbe avuto paura avrebbe potuto esser proprio quella.
Fece un paio di passi verso l’origine del suono. “Ben?” Chiamò di nuovo e svoltato l’angolo si trovò di fronte a quello che aveva tutta l’aria di essere un accampamento di fortuna, ricavato in una rientranza tra due pareti di roccia. Contemplò quindi i rimasugli di un falò, ormai braci fredde che sorreggevano un calderone pieghevole per una persona, uno zaino di montagna che giaceva in un angolo e due pagliericci di foglie dall’aria umida.  
Il cuore perse un battito quando vide che uno dei due era occupato.
Si accovacciò a terra, e anche se l’istinto lo portava a cercare il contatto con il corpicino esanime, controllò prima il battito del polso. Un’ondata di sollievo lo investì quando lo sentì pulsare, forte e presente. Ben – era così che si chiamava l’ultima parte della sua famiglia – al tocco emise un lieve lamento, più simile ad un uggiolio che al pianto di un bambino.
Merlino, non può avere più di cinque anni…
Controllando che non avesse ferite che sconsigliassero uno spostamento, lo prese tra le braccia e tentò di non crollare rovinosamente quando sentì le manine cingergli il collo istintivamente. “Ehi Ben.” Mormorò ignorando le lacrime. Erano ore che premevano per uscire e le lasciò finalmente libere. “Sta’ tranquillo … ora sei al sicuro.”

 

****
 

Note:

Angst, lo so. Ma date tempo al tempo. Se non altro, adesso Milo è stato stuzzicato nei punti giusti.
(E anche l’orgoglio di Mike)

E c’è di mezzo un cucciolo di Licantropo! :D 
(Che starà bene, promesso.)
Prossimo capitolo, avverto, molti feels Lily/Ren. Mi prendo una pausa da loro e subito mi mancano. Sono i miei bimbi disfunzionali.

La cover del capitolo stavolta non è opera mia (e si vede): è stata fatta dalla meravigliosa Gaea. Grazie girl! :D

Questa la canzone del capitolo. La trovavo adatta ai pezzi nella foresta e poi, ohi, è figa.

Ho scoperto un doppelgaenger di Milo: David Garrett. È pure tedesco. Se non sapete chi è, vergognatevi mentre ascoltate la sua versione di Smooth Criminal.
La scena del cambio tra musica tzigana e Paganini è presa spudoratamente dal film Le Concert. Anche qui, rimediate se non l’avete ancora visto. Dico sul serio.

Per quanto riguarda le canzoni richieste dai Maghinò, ecco Dacw 'Nghariad (There is my sweetheart) e Greenslevees. Mentre la prima è una canzone tradizionale scozzese (come scozzesi sono Shad e Figgins) la seconda è una famosissima ballata inglese di cui sono state fatte zilioni di versioni. Quella linkata è quella che suona Milo.
 
1. Loki cita una famosa poesia di Rudyard Kipling, chiamata ‘The Broken Men’, e le strofe finali a cui fa riferimento son queste (tradotte malamente dalla sottoscritta): “Oh, Dio! Uno scampolo di Inghilterra — per accogliere la nostra carne e sangue — per udire il traffico roboare | Ancora una volta lungo il fango di Londra! | Le nostre città di onor sprecato  —Le nostre strade di piacere perduto! | Come sta il vecchio Lord Warden? | Le scogliere di Dover son ancora bianche?”
  
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