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Autore: Lilith in Capricorn    08/06/2013    1 recensioni
Il giovane chitarrista rock Andy Syte è appena morto, all'età di 27 anni.
Ma non è di lui che questa storia parla, non esattamente: la sua dipartita è soltanto la prima tessera di domino che cade, colpendo indirettamente tutte le altre, in una spirale di illusioni, disillusioni, "epifanie" e riflessioni, raccontate da un coro di 5 voci, completamente diverse, ognuna con un suo diverso stile narrativo, ognuna vittima di un differente tipo di illusione.
Prima classificata al contest "Con una citazione migliora tutto!" di Niananima, con la citazione di Baricco: "Deve essere una specie di hobby: collezionare illusioni di cui non essere all'altezza."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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LA FILOSOFIA DI RUSSIA

 

05-Russia


Ascoltando i discorsi di Andy, osservandolo e vivendo ogni giorno a contatto con lui, mi sono sempre chiesta come fosse il luogo da cui ha sempre cercato di fuggire, non solo fisicamente, se capite cosa intendo: a volte, per quanto lontano si vada e per quanto a lungo ci si sposti, le nostre radici, in qualche modo, ci seguono costantemente, con passo leggero e discreto, ma sempre costante.
 
Non so quanto effettivamente Andy si portasse appresso delle sue origini, ma quello che so è che sapeva ostentare con molta maestria una facciata che non credo gli somigliasse poi molto: allegro era allegro, certo, ottimista e gentile, anche, sognatore, spirito libero, esuberante …
Tutti quelli che conoscono il suo nome e che hanno avuto il piacere di incontrarlo lo hanno sempre descritto così.
Qualcun altro – quelli che magari lo conoscevano meglio – hanno aggiunto, col tempo: ingrato, solitario, egoista, infantile, inarrivabile, incomprensibile, illuso …
 
Forse, hanno tutti un po’ ragione, ma credo che nessuno, in verità, abbia mai colto appieno la profondità dei sentimenti e della sensibilità di quel ragazzo.
Timothy e Jana, certamente, sono quelli che più si sono avvicinati alla verità: Andy, in un certo senso, si illudeva di essere intoccabile, invincibile e immortale, come se avesse tutto il tempo e la forza del mondo a disposizione.
Timothy questo l’ha capito, perché anche lui ha nutrito per anni le stesse errate convinzioni del suo amico, anche se, io credo, per motivi diversi.
 
Ecco, questa è una cosa che, a quanto pare, nessuno si è ancora chiesto – forse perché nessuno sente la necessità di chiedersela: perché Andy ha scelto di illudersi fino alla fine?
Timothy, probabilmente, è convinto che lui non fosse del tutto consapevole del gioco di illusioni creato dalla sua mente, esattamente come non ne era lui.
Jana, invece, non credo si sia minimamente posta il problema, così concentrata su sé stessa, sulla sua amara adolescenza e sul suo temperamento autodistruttivo.
 
Forse, l’unica persona che davvero ha tutti gli indizi e i mezzi per giungere alla verità è proprio Carla, sua madre, quella il cui numero di telefono tante volte è comparso sulla rubrica di Andy, senza che lui abbia mai trovato il coraggio di avviare la chiamata; quella il cui nome, per diverse notti, si è modellato sulle labbra addormentate del ragazzo; quella che ha sempre turbato la vita del suo stesso ingrato figlio, ogni singolo giorno, negandogli l’amore, il sostegno e la comprensione che ha sempre meritato e ricercato, senza mai trovare.
 
Non penso sia un caso se lui ha deciso di affibbiarmi lo strano nomignolo di “Russia”, che tanto ricorda il cognome da nubile di sua madre e che, altrimenti, non avrebbe altre spiegazioni, visto che con la Russia, io, non c’entro proprio niente: che io sappia, sono nata e ho sempre vissuto nello stato di New York, spostandomi solo occasionalmente assieme ad Andy, per i concerti.
 
Se non l’avete ancora capito, io credo che sia proprio per questo che lui si illudesse di avere a disposizione tutto il tempo del mondo e di rimanere per sempre giovane: l’idea che io mi sono fatta è che lui ne avesse bisogno, per evitare di sentirsi troppo vecchio, per non pensare che il tempo scorre per tutti, per annullare ogni scadenza e fare in modo da rendere prive di significato le parole “è troppo tardi”.
 
Sì, insomma, io credo che se lui si comportava in quel modo, come un eterno ragazzino, come una sorta di Peter Pan, era proprio a causa di sua madre e del fatto che non aveva saputo insegnargli ad amare, nel modo più semplice e naturale: amandolo a sua volta.
Penserete che sia una conclusione banale e un po’ troppo freudiana, ma vi assicuro che, spesso, nulla è più vero e sfuggevole dell’ovvio.
 
Una palese e inconfutabile dimostrazione della mia teoria sta nel suo profondo e disperato bisogno di amore e della sua disarmante incapacità di donarne a sua volta: ho visto tantissime ragazze entrare dalla sua porta, fermarsi per un po’ e poi fuggire via, inevitabilmente; ho scorto dispiacere e delusione sostituire affetto e fiducia negli occhi di Timothy troppe volte; ho osservato le lacrime di Jana, così calde e vergini, solcare le sue guance, mentre Andy solcava i suoi pensieri; io stessa, spesso, sono stata dimenticata e trascurata da lui, ma, a differenza di tutti gli altri, non gliene ho mai fatto una colpa: credo che nessuno lo abbia mai conosciuto – e di conseguenza capito – meglio di me.
 
Non so perché, spesso, alla gente piaccia parlare e confidarsi con quelli come me: credo sia per via della nostra stessa natura che ci spinge, inevitabilmente, alla riservatezza e al silenzio, al mistero e alla pazienza.
Andy si rivolgeva spesso a me, quando non sapeva più dove andare o non aveva più nessuno a cui sentirsi vicino – sempre che lui si sia mai sentito davvero vicino a qualcuno.
 
Ho sempre sospettato che lui si ritenesse indegno e non meritevole di amore, convinto che nessuno lo avrebbe mai voluto per quello che era: un eterno bambino, lunatico e un po’ distante, nonostante apparisse sempre così allegro e spensierato, in pubblico.
Una persona, insomma, molto più complessa e triste di quanto non sembrasse.
E credo anche che questa convinzione l’avesse internata al punto tale da farla completamente sua, spingendosi a sabotare consapevolmente le sue ultime relazioni, convinto che non avrebbe mai potuto avere il tipo di felicità di cui necessitava.
 
Credo che Jana, sotto molti punti di vista, sia molto simile ad Andy: l’unica differenza sostanziale tra i due è che lei non si preoccupa affatto d ostentare una felicità che, in realtà, non prova, ma si mostra al mondo per quella che è, senza veli e senza imbarazzo.
Non la conosco da molto, anzi, ma proprio come Andy mi fa molta pietà.
 
Non conosco molto bene nemmeno il professor Aaron Kelly, ma da quel poco che so e che ho potuto scoprire di lui, credo che sia un po’ l’opposto dei due fratelli: non ho dubbi che sia in grado di amare – anche se ad un primo approccio non si direbbe – anzi, mi sembra addirittura che il suo bisogno di dare amore sia molto più forte ed importante del bisogno di riceverne.
Chissà, forse è proprio per questo che Jana lo attrae tanto intensamente.
 
Solo dopo aver conosciuto la madre di Andy, comunque, ho davvero capito perché – nonostante tutti i suoi problemi irrisolti con lei – lui abbia deciso di fuggire dalle sue stesse radici: se paragonato a quello di Carla, il bisogno d’amore di Andy è grande quanto un granello di sabbia.
Non credo di aver mai conosciuto una persona più fragile e “sull’orlo” di lei, tanto che mi aspetto solo di vederla cadere giù da un momento all’altro: penso che, ormai, abbia raggiunto un profondità tale che le sarà impossibile risalire dall’abisso di sé stessa.
Il ragazzo, semplicemente, aveva paura di essere trascinato in quello stesso pozzo senza fine.
Che la sua fuga sia stata utile o meno, produttiva o meno, giusta o meno, non importa. Non più.
 
Una cosa che ho notato – oltre al fatto che il luogo dal quale Andy tentava di fuggire non è altro che una spirale di desideri infranti e necessità mai appagate – è che nessuno sembra aver minimamente dato peso alla mia presenza: non sono comparsa nemmeno per un istante né nei pensieri, né nelle parole della gente che mi vive intorno.
 
È una cosa strana: anche in America mi succedeva sempre, con tutta quella gente così concentrata sul proprio ritmo, sui propri impegni, sulle proprie ambizioni e così poco attenta agli altri, in tutti i sensi.
Ma New York è una città grande, così lontana e culturalmente diversa dal piccolo paese natale di Andy, che mi ero aspettata qualcosa di diverso.
 
Invece, credo di non essermi mai sentita più ignorata e invisibile in tutta la mia vita: qui, forse, la gente è ancora più concentrata su sé stessa di quanto non lo sia nella Grande Mela – bah, nessuno la chiama più così, ormai.
Nessuno sembra mai avere un po’ di tempo per me – lui, invece, ne trovava quasi sempre – ma solo per sé stessi, per la propria vita, i propri dolori, i propri fallimenti, le proprie frustrazioni, i propri pensieri …
 
Sono stata a casa di Carla per mesi e lei non mi ha quasi degnata di uno sguardo e Jana, figurarsi, non si è minimamente accorta della mia presenza, neanche durante i tre giorni che ho trascorso alle cascate, nella casa sull’albero, assieme a lei, curiosa di scoprire cosa avrebbe fatto: la gente si sente libera di fare tutto quello che vuole, davanti a quelli come noi, non gli sfiora neanche mai la mente l’idea di cosa pensiamo noi di loro.
Forse, perché ci credono stupidi, privi di sensibilità umana e comprensione.
 
Non lo so con certezza, non me lo sono mai chiesto.
Quello che so è che ho trascorso ben tre giorni accanto a Jana, senza che lei mi notasse; ho visto il professore arrivare tutto trafelato, urlando disperatamente il suo nome all’acqua scrosciante, mente io lo chiamavo, più forte che potevo, dicendogli: «Eccola, è qui, sciocco! Non la vedi?».
Ma lui non l’ha vista, non finché lei stessa non è sbucata dalla finestrella della casetta, sussurrando: «Sono qui.»
 
Lo trovo estremamente fastidioso questo comportamento degli esseri umani, ma, purtroppo, non posso farci niente: sarà meglio che mi abitui al più presto, perché dubito che troverò un’altra persona così sensibile e attenta a me come Andy, una di quelle che mi parlano e, addirittura, si confidano con me, come se io potessi rispondergli nella loro lingua.
 
Ma, con l’apparato fonatorio che la mia specie si ritrova, non posso farlo e mi ritrovo, perciò, a dover scendere a patti con questa realtà, nel rapportarmi con gli esseri umani, esattamente come questi ultimi, nel rapportarsi con la vita, devono scendere a patti con la loro stessa natura, che li spinge a collezionare illusioni di cui, poi, non si rivelano all’altezza, quasi fosse una sorta di ironico, triste hobby.
 
Comprendo perfettamente le loro ragioni, ma non le condivido affatto: insomma, perché farsi mille problemi?
Perché crearsi illusioni e ambizioni troppo elevate, per poi cadere e soffrire inevitabilmente?
Perché non lasciarsi tutto il dolore e le esperienze negative alle spalle, andando avanti e provando a cercare la felicità nelle piccole cose?
Perché tormentarsi nel desiderare cose impossibili, quando è sufficiente un buon pasto abbondante e una lunghissima, bella dormita, per stare bene?
 
Mah, forse il problema sono io che sono troppo poco evoluta per capire, proprio come dicono loro, e magari hanno anche ragione.
Ma sapete che vi dico? Se vivere come un essere umano è davvero così complicato, preferisco vivere secondo la mia filosofia: preferisco essere la semplice gattina bianca che sono, rilassata e disinvolta, piccola e poco evoluta, in grado di trovare il piacere con poco, muta e incapace persino di portare ad una conclusione vera e propria questa strana, triste storia complicata, priva di un finale.


Ringrazio tutti quelli che hanno recensito o messo questa storia tra le seguite e le ricordate e anche tutti i lettori silenziosi che l'hanno seguita fino alla fine.

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