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Autore: Mary West    08/06/2013    3 recensioni
{Dedicata a Missys ♥ Buon compleanno dear.}
Raggiunsero velocemente lo studio del direttore ed entrarono nell’esatto momento in cui Fury smise di gridare imprecazioni; il povero Harris giaceva in un angolino, rosso e palesemente mortificato. Il Capo terminò la sua angosciante ramanzina e poi rivolse un’occhiata di sbieco ai nuovi arrivati, osservando con particolare stupore l’agente Coulson.
“Cosa fai ancora qui?” gli urlò contro. “Corri a casa e preparati, il tuo volo è stato anticipato, parti fra due ore.”
Phil annuì reprimendo un sospiro di esasperazione. Rivolse un cenno di saluto a Clint e uscì dalla stanza: la sua missione era appena cominciata.

[(Pre-)Pepperony ~ accenni Clint/Coulson ~ ispirato al primo film di Iron Man con What if? e Coulson centric]
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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The employee’s tale





Phil l’aveva immaginato sin dal primo momento che sarebbe stata la missione più incredibile della sua carriera.
Aveva cominciato a lavorare per lo S.H.I.E.L.D. all’età di diciannove anni e da quel momento di missioni ne aveva avuto affidate davvero tante e alcune erano state davvero memorabili; bastava pensare a Lione e subito il ricordo di lui e Barton camuffati da orsetti a quella patetica manifestazione di ecologisti per incastrare l’assassino della cravatta riemergeva in tutto il suo scandaloso imbarazzo.
Eppure, Phil doveva ammettere che quella era una missione ancora più incredibile di Lione con Clint e che probabilmente non ce ne sarebbe stata una uguale mai più nella sua carriera.
Era seduto immobile alla sua scrivania, dopo aver trascorso un’intera nottata nel suo ufficio barricato dentro, senza neanche rispondere al telefono. Erano passate circa trentotto ore dal momento in cui era arrivato alla Base e Fury l’aveva convocato nel suo studio per comunicargli che era stato riassegnato.
Sul momento, Phil ne era stato entusiasta; non aveva mai amato la Svizzera e quel lavoro con gli scienziati di Berna si stava rivelando decisamente tedioso e privo di stimoli interessanti. Ma il panico erano subentrato appena aveva saputo la sua nuova destinazione.
Ed era tutto così incredibile, perché non c’era agente in tutto lo S.H.I.E.L.D. che non avrebbe ceduto un braccio, la pistola e anche le proprie due ore a disposizione nel Laboratorio di Analisi con la nuova Addetta ai Servizi per trovarsi al suo posto. Ma Fury era stato categorico: era necessario una spia esperta, seria, diligente e capace di trattare con persone normali e meno e tutti sapevano che nessuno era impeccabile e sempre perfetto come l’agente Coulson. E tutti erano andati dal lui, raggiungendolo nel corridoio, correndogli dietro, per stringergli la mano, congratularsi con lui e farsi promettere un dettagliato resoconto da quella che sarebbe stata la sua, sicuramente indimenticabile, esperienza. Lui aveva sorriso debolmente, stringendo nel palmo di una mano sudata il fascicolo spesso con tutte le informazioni del caso, e aveva annuito, prima di chiudersi a chiave nel suo ufficio, ignorando tutte le frecce che Barton continuava a scagliare sulla porta bianca del suo studio.
Aveva fatto riserva di caffè e aveva bevuto, letto e studiato attentamente ogni parola in quel plico fino a quando non era arrivato giorno.
L’alba stava sorgendo proprio in quel momento e il sole era ancora un’ombra pallida della luce mattutina quando la trentottesima freccia – Clint ne aveva lanciata una ogni ora – giunse sulla superficie esterna del legno bianco della porta dell’ufficio, colpendo in pieno la targhetta dorata con le iniziali del proprietario.
Phil, troppo stanco e assonnato, non si era nemmeno accorto di quell’ennesimo dardo e ne ignorò del tutto l’esistenza. Era seduto in punta sulla sedia girevole, con la camicia sbottonata, senza giacca o cravatta, e una mano fra i capelli stravolti. I suoi occhi, piccoli e rossi per il sonno e la lettura, erano ancora vitrei e fissi sul viso della sua nuova missione stampato sul tavolo.
La mente, ormai ridotta ad uno stato brado simile frittella, continuava a porsi domande inutili e insensate; ancora non riusciva a capacitarsi del motivo per cui tutti volevano quell’incarico.
Certo, era il figlio di uno dei fondatori ed era famoso – immensamente famoso, insomma – e anche ricco, affascinante, con un fare del tutto originale e, sì, folle, andava detto anche quello; ma insomma, era Stark e per quanto Phil ci provasse, non riusciva mai a capire davvero che tipo potesse essere. Eppure aveva trascorso un’intera notte a studiare ogni cosa di lui, della sua vita, del suo passato – come se tutti i pettegolezzi che giravano su di lui alla Base non fossero stati sufficienti a fornirgli una cultura decente in proposito – ma sembrava sempre mancasse qualcosa al puzzle e quell’unico tassello perduto gli impedisse di vedere aldilà di soldi, armi e donne e scorgere la vera anima di Tony. Perso in quei confusi pensieri dovuti sicuramente all’eccesso di caffeina e di veglia, sfogliò ancora una volta le pagine relative al rapimento e rimase immobile a fissare gli occhi di quello strano verde scuro della sua nuova destinazione. Palesemente infastidito dalla mancanza di considerazione che gli era stata dimostrata nelle ultime trentotto ore, l’agente Barton replicò e la trentanovesima freccia fu scagliata contro la porta. Questa volta, Phil la sentì e sobbalzò con tanta violenza che finì dritto, steso, sul pavimento. Il tonfo pesante dovette risuonare anche fuori dall’ufficio perché la mente offuscata di Phil poté cogliere l’inconfondibile voce di Natasha prendere ad urlare frasi decisamente poco gentili al povero Clint.
Phil stava ancora cercando faticosamente di riacquistare un briciolo di dignità fisica e intellettuale quando i due entrarono nel suo studio e lo videro aggrappato al bordo della scrivania nel tentativo disperato di riprendere la sua postazione sulla sedia.
“Ehy” disse con espressione vacua, finalmente di nuovo seduto sulla poltrona alle sue spalle. “Buongiorno.”
“Buongiorno” replicarono i due e Phil notò che Natasha reggeva fra le mani un’enorme tazza fumante mentre Clint giocherellava con aria imbarazzata con il suo arco. “Stai bene?” chiese poi lei con sguardo severo e lo raggiunse dall’altro capo della scrivania, posando con decisamente poca grazia la tazza sulla superficie ricoperta di documenti e fogli di vario genere.
“Sì” rispose distrattamente Phil perché non riusciva affatto a pensare e quella era la prima risposta che gli era venuta in mente. “Per quale motivo?”
“Hai un’aria sconvolta” intervenne decisamente preoccupato Clint, che ancora stava sulla soglia imbarazzato a giocherellare con il suo arco. “Non hai dormito stanotte?”
“Barton, quanto sei idiota” rispose al posto di Phil Natasha esasperata. “Secondo te, starebbe così, se avesse dormito?”
Scosse la testa spazientita e avvicinò di più la tazza a Coulson, ritornando sui suoi passi.
“Bevi questa roba e datti una sistemata, hai bisogno di una ripresa. Tra dieci minuti riunione da Fury” annunciò prima di sparire dalla porta ancheggiando. Clint rimase nella stanza, scrutando con espressione corrucciata la soglia che la sua avvenente collega aveva appena varcato, poi tornò con lo sguardo su Phil.
“Sei sicuro di star bene?” domandò ancora ansioso e lo raggiunse alla scrivania. Phil annuì rassicurante e bevve in un sol sorso il liquido caldo che gli aveva portato Natasha; immediatamente si sentì meglio.
“Certo” disse pacato, riordinando velocemente i documenti sul tavolo. “Ho solo bisogno di una bella dormita. Dopo la riunione, vado a casa e mi riposo un po’; ho l’aereo per Malibu alle cinque di stasera. Dovrei arrivare in contemporanea con quello di Stark, domani mattina.”
Clint annuì, più tranquillo e sorrise di fronte a tanto zelo. Ecco perché Fury aveva scelto lui.
“Mandami una cartolina” gli disse più allegro. “E goditi il posto. Dicono che in California il mare sia una favola.”
“Non credo che avrò molto tempo per andare in spiaggia” replicò Phil, sorridendo a sua volta. “Ma grazie comunque. Te la spedirò per posta, spero non sia troppo tecnologico per te e il tuo arco rudimentale.”
“Oh, non preoccuparti” ribadì scettico Clint. “Sono bravo ad adattarmi. Dovresti saperlo.”
Coulson! Barton!”
La voce violenta del direttore suonò più scortese del solito e Phil si chiese cosa diavolo fosse capitato di tanto grave da scuotere con tanta energia l’animo già di sé ipersensibile del loro Capo.
“Oh, no.”
L’espressione sul viso di Clint si fece scoraggiata e Coulson ebbe un brutto presentimento.
“Sembra nervoso. È successo qualcosa?” chiese con fare rassegnato.
“Harris si è fatto beccare durante l’operazione Cena con l’ex moglie.”
“Oh, Santo Cielo, di nuovo?!”
“Già, è circa la terza volta” commentò Clint rassegnato, scuotendo la testa visibilmente contrariato. “Se continua a non combinare niente, il capo lo spedirà dritto in Groenlandia.”
Entrambi rabbrividirono, ricordando la missione che gli era stata affidata in quel gelido paese. Povero Harris.
“Sarà meglio andare prima di finire anche noi tra le foche e i pinguini” sospirò Phil, abbottonandosi la giacca spiegazzata. Clint gli lanciò uno sguardo divertito.
“Tu già sei vestito.”
“Muoviti, Barton. Niente insubordinazioni, o ti faccio compromettere.”
Raggiunsero velocemente lo studio del direttore ed entrarono nell’esatto momento in cui Fury smise di gridare imprecazioni; il povero Harris giaceva in un angolino, rosso e palesemente mortificato. Il Capo terminò la sua angosciante ramanzina e poi rivolse un’occhiata di sbieco ai nuovi arrivati, osservando con particolare stupore l’agente Coulson.
“Cosa fai ancora qui?” gli urlò contro. “Corri a casa e preparati, il tuo volo è stato anticipato, parti fra due ore.”
Phil annuì reprimendo un sospiro di esasperazione. Rivolse un cenno di saluto a Clint e uscì dalla stanza: la sua missione era appena cominciata. 
 

*

 
Stark l’aveva esasperato.
Era incredibile, proprio come aveva già pensato che sarebbe stato, perché ancora non si erano visti e lui si sentiva già spazientito dall’atteggiamento di quel ragazzino troppo cresciuto – solo fisicamente, naturalmente.
Il suo aereo era atterrato in perfetto orario, ma Stark aveva avuto uno dei suoi colpi di testa – ne aveva trovati davvero tanti, in quel maledetto fascicolo; e poi Natasha si lamentava del suo – ed era arrivato con quasi tre ore d’anticipo, convocando subito una conferenza stampa in uno stile che faceva molto figli dei fiori e se n’era uscito con quell’assurda ed inspiegabile dichiarazione. Riguardando per circa la sesta volta la conferenza registrata, Phil sospirò, profondamente provato da quella missione. Ebbe l’improvviso istinto di mollare tutto e farsi riassegnare, ma lui non aveva mai rifiutato o interrotto un incarico senza averlo portato a termine e nemmeno Tony Stark poteva cambiare questo nel suo carattere deciso e professionale. Quindi, spense la televisione e recuperò la giacca, tornando in auto e dirigendosi verso la famosa villa a Malibu.
Aveva deciso di soggiornare in un piccolo appartamento lontano dal centro, che fosse abbastanza vicino all’aeroporto, alla base navale e a casa di Stark. Presentarsi direttamente nel suo salotto non era particolarmente professionale, ma di certo era deciso e sembrava l’unica soluzione a quel caso complicato. Insomma, dopo quanto era accaduto, dubitava seriamente che Stark si sarebbe presentato in ufficio e aveva già trascorso due interi pomeriggi seduto in quella sala d’aspetto vuota e accecante in attesa di un Amministratore Delegato che nella sua esistenza si dedicava ad un milione e più di attività tranne che a quella di amministrare il suo patrimonio e il suo impero multimiliardario. Dopo quelle estenuanti ore infruttuose, era tornato nella sua momentanea abitazione stremato e aveva trascorso quaranta minuti buoni al telefono con Barton a lamentarsi dell’irresponsabilità genetica di Stark. Clint l’aveva ascoltato con pazienza e aveva concluso che, se Phil voleva davvero ottenere qualche buon risultato, l’unica soluzione era presentarsi a casa sua. Sul momento, Phil aveva guardato con scetticismo la proposta, prima di bocciarla senza pietà, ma, al terzo pomeriggio passato su quella scomoda sedia di legno, in solitudine e in silenzio, aveva vagliato tutte le possibilità e aveva concluso che l’unica rimasta fosse quella del suo caro Robin Hood. Così lo fece.
Arrivò a casa di Stark nel tardo pomeriggio, quasi verso sera, e il cielo era già scuro e stellato in quei tempi freddi. Incaricò il suo autista di parcheggiare poco lontano dal viale e raggiunse a piedi la soglia dell’abitazione. Si bloccò davanti all’entrata e lasciò che il suo sguardo scorresse sulla villa che si apriva brillante e maestosa davanti al suo volto, rimanendo incredibilmente colpito da tutto quel lusso. Passato quell’attimo di esitazione – i dubbi continuavano ad accavallarsi inconciliabili nella sua testa, insieme all’imponente voce di Fury che gli ricordava il suo ruolo e il suo dovere –, entrò.
Camminò lentamente lungo il sentiero che dal cancello conduceva alla porta di casa vera e propria e bussò. Trascorsero alcuni minuti e dall’altra parte non ci fu risposta: non un segno di vita né di aver notato la presenza di un ospite. Seccato e anche parecchio sconfortato da quell’ennesima manifestazione di disinteresse e irresponsabilità, Phil decise di fare ancora una volta di testa sua ed entrò ugualmente – avrebbe dovuto ricordarsi, poi, di rimproverare Stark anche per quello. Insomma, tre mesi di prigionia non gli avevano insegnato niente? Lasciare la porta aperta era solo la sua ultima, geniale trovata. Varcò silenziosamente la soglia e si guardò intorno.
L’atrio era ampio e raffinato, elegantemente arredato con mobili fini e affatto volgari. Il colore chiaro delle pareti risultava leggero e tranquillizzante, così fuori luogo in relazione all’indole del proprietario. Superò la stanza e si diresse a passo più deciso verso altre camere, ma quella casa sembrava un labirinto e Phil ebbe la vaga impressione che la porta era stata lasciata appositamente aperta così che qualsiasi visitatore indesiderato – in altre parole, qualsiasi visitatore – potesse sperdersi per quella villa enorme e intricata, per il divertimento del padrone di casa che probabilmente si stava godendo la situazione da qualche telecamera nascosta. Sempre più esasperato dalla piega che stava prendendo quella missione, Phil si ritrovò in un altro vicolo cieco e imboccò il primo corridoio sulla destra, alla disperata ricerca di una via d’uscita, Stark e un telefono perché aveva appena preso la ferma decisione di dare una svolta alla sua carriera da persona impeccabile e mollare l’incarico. Stava appunto decidendo con quali parole comunicare la propria, drastica scelta al direttore quando la vide.
Era in fondo a quel corridoio, con la testa quasi completamente infilata in un mobile e l’aria pacata; Phil la conosceva, l’aveva già vista: era in quel fascicolo e il suo nome e il suo volto gli erano passati più volte fra le mani, ma lui non gli aveva dato peso, troppo fermo sulla propria idea che Stark non desse a lei alcun peso.
Indossava un paio di jeans aderenti e una grande felpa rossa e blu che le arrivava quasi alle ginocchia; ai piedi, calzava dei calzettoni degli stessi colori della maglia e i capelli erano morbidamente legati in un largo chignon dietro la nuca. Alcune ciocche particolarmente eversive era sfuggite alla stretta e le ricadevano delicate sul collo scoperto e sui lati del viso, a sfiorare con dolcezza le guance cremisi appena accarezzate da qualche spiritosa lentiggine. In un braccio, reggeva un tablet, mentre con l’altro era immerso nello scaffale del mobile alla ricerca di qualcosa. Finalmente lo trovò e  riemerse dall’armadio e Phil, che era rimasto immobile e sconvolto e imbambolato a fissarla, poté vederla meglio. Anche lei lo vide e i tratti delicati del suo viso luminoso si strinsero in un’espressione perplessa e leggermente preoccupata. Su quelle guance graziose, i suoi occhi incredibilmente azzurri lo guardarono curiosi e appena spaventati. Consapevole di averla intimorita, Phil assunse una posa seria e le andò incontro, sorridendole con fare rassicurante.
“Buonasera, signorina Potts” le disse cordiale. Lei rimase spiazzata ancora una volta e lo fissò sospettosa.
“Buonasera” replicò distaccata. “Scusi se glielo dico, ma lei non dovrebbe essere qui” disse con fare professionale ed era incredibilmente elegante per una segretaria beccata con jeans e felpa a casa del proprio datore di lavoro dopo le sette di sera. “Il signor Stark non aveva appuntamenti oggi.”
“Sì” rispose in fretta Phil. “Lo so. Sono un agente dello S.H.I.E.L.D., la Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division.”
“Wow” esclamò lei sbarrando quelle iridi così stupefacenti. “Certo che riempie la bocca.”
Phil sorrise incoraggiante e riprese con più serenità.
“Agente Phil Coulson. Sono stato inviato dallo S.H.I.E.L.D. per parlare con il signor Stark a proposito della sua recente esperienza. Ho cercato di incontrarlo al suo studio, ma non ho avuto fortuna…”
La signorina Potts annuì con un sorriso comprensivo e Phil pensò che era davvero una ragazza paziente per tollerare Stark da dieci anni.
“… così ho pensato di presentarmi qui.”
“Capisco” disse lei con tono altrettanto serio e professionale. “Ma vede, siamo già stati contattati dalla FBI, dal DOD, dalla CI-…”
“Noi siamo una divisione a parte” insistette Phil, sempre con lo stesso sorriso gentile sulle labbra. “Abbiamo obiettivi più specifici.”
La signorina Potts lo osservò pensierosa, squadrandolo incerta.
“Va bene” disse infine. “Potrei fissarle un appuntamento, diciamo, per… domani?”
Phil sorrise raggiante.
“Domani è perfetto.”
 

*

 
“A casa sua?”
Phil sospirò esasperato.
“Sì, Barton” replicò spazientito. “Sì, a casa sua. Me l’hai già chiesto quattro volte, la risposta non cambia.”
Dall’altra parte della linea, Clint tirò un profondo sospiro.
“Sì, signore, ma questo è un gossip assurdo” gli spiegò sinceramente colpito. “Domani farà il giro di tutta la Base… e io lo metterò personalmente in giro! Così finalmente la Ratis la smetterà di vantarsi del suo primato… questo mi farà guadagnare un sacco di punti!”
“Non capisco il tuo entusiasmo” commentò Phil perplesso.
“Oh, andiamo Coulson!” lo riprese Clint acceso. “Insomma, tutti sanno chi è Stark e tutti sanno come si comporta con le donne… con lei… lui è il suo capo e lei è così seria e professionale… insomma, sembra una davvero tosta… ed è uno schianto, naturalmente… eppure si è lasciata prendere…”
Phil roteò gli occhi al cielo, in preda all’incredulità.
“Barton, dacci un taglio” gli intimò seccato. “Non è come credi… cioè, è bella” si corresse ed era arrossito? “Ma è anche carina. Cioè, gentile, insomma. È stata così cortese con me.”
Era vero. Insomma, l’aveva visto nel fascicolo e aveva subito pensato che Stark l’aveva probabilmente scelta con estrema attenzione – non escludeva che avesse indetto un concorso sul modello di Miss Stati Uniti, magari qualcosa come Miss Stark Sitter – e aveva subito pensato che era bella. Poi l’aveva vista e aveva capito che non era bella, ma bellissima; poi avevano parlato e lei era stata così gentile con lui e aveva sorriso, con quei suoi grandi occhi azzurri, e Phil aveva deciso che non era bella, bellissima o uno schianto; era incredibile.
“Sicuro” replicò Clint convinto, richiamandolo alla realtà. “Ti ha anche aiutato ad uscire.”
Phil assunse un’espressione indispettita.
“Ci sarei riuscito anche da solo” ribatté piccato. “Cosa, sei geloso?”
Geloso?!” ripeté Clint disgustato e anche se non poteva vederlo Phil immaginava benissimo la sua faccia incredula, punta nel vivo.
“Sì” replicò convinto Phil. “Geloso.”
“Stai delirando, Coulson” ribadì Clint deciso, mangiandosi le parole per il nervosismo. “Il fuso ti ha dato al cervello. Ti ho già detto che dovresti smetterla di bere tutto quel thè, ti danneggia i neuroni.”
“Non tergiversare” replicò tranquillo Phil e un sorriso ebete gli incurvò le labbra sottili. “Hai proprio ragione, è davvero uno schianto.”
Clint ringhiò.
“Sai” riprese Phil, lasciandosi cadere sul divano del suo piccolo salotto con indosso qualcosa di comodo e caldo – checché ne dicesse Barton, lui non stava sempre in giacca e cravatta e di certo gliel’aveva dimostrato. “Ho l’impressione che Stark faccia molto affidamento su di lei.”
“Non vedo perché non dovrebbe” aggiunse Clint e rideva del punto che stava per mettere a segno. “Se fossi al suo posto, farei molto affidamento, su di lei. E probabilmente non solo quello.”
“Barton” sospirò Phil disgustato. “Mi ripugni.”
La risata rauca di Clint gli risuonò nelle orecchie.
“Cosa, sei geloso?” lo punse e traboccava di entusiasmo. Phil si schiarì la voce e lo ignorò.
“Come va laggiù?”
“Oh, come al solito” rispose l’altro. “Harris ha avuto un’altra missione, ma Fury già gli ha detto che se sbaglia anche questa, allora è Groenlandia. Natasha ha di nuovo litigato con Benson del Reparto Omicidi in Massa e ieri Rives ha beccato la Thompson e l’Addetto ai Servizi d’Analisi chiusi nello sgabuzzino al secondo piano e di certo non stavano discutendo degli ultimi risultati dei test. La telecamera est li ha ripresi e ora il video sta facendo il giro della base. Sembra una scena hard del Sarto di Panama.”
Phil scoppiò a ridere divertito.
“Be’, sarà meglio che vada” disse infine. “Domani devo essere pronto a tutto.”
“In bocca al lupo, agente.”
“Sì, crepi, crepi.”
Clint rise ancora e riattaccò.
 

*

 
Erano quasi le cinque del pomeriggio e il loro appuntamento era fissato per le tre.
Phil sospirò, trovandosi di nuovo seduto su quella sedia, e scosse il capo, in visibile stato d’ansia. Com’era possibile che Stark potesse essere così immaturo? Insomma, lui era paziente e tutti sapevano che l’agente Coulson si arrabbiava di rado, ma c’era un limite a tutto e Stark l’aveva decisamente oltrepassato. Stava per alzarsi e lasciar perdere tutto per l’ennesima volta, quando Tony lo sorprese ancora.
Nel momento esatto in cui l’orologio a muro nella stanza d’aspetto scoccò le cinque, l’ascensore centrale si aprì e Phil rimase senza parole. Le porte metalliche si spalancarono con un tintinnio e uscì Stark, perfetto con i pantaloni di denim raffinato e il giubbino di pelle, il sorriso sicuro sulle labbra brune e gli occhiali scuri a coprirgli la vista.
“Salve agente” lo salutò allegro non appena lo vide. “Coulson, non è vero? È un piacere conoscerla. Bene, vogliamo entrare? Abbiamo un appuntamento.”
Certoche avevano un appuntamento e ben due ore prima, avrebbe voluto aggiungere Phil piccato, ma l’esperienza gli aveva insegnato a trattenere le risposte scortesi in simili situazioni, così represse l’istinto di prendere a calci Stark e lo seguì nel suo ufficio. Proprio come la sua casa, era arredato con gusto impeccabile e illuminato dalla luce che penetrava dalle ampie vetrate che sostituivano le pareti dietro la scrivania.
Phil raggiunse il centro della stanza e prese posto su una sedia imbottita, mentre Stark si sedeva dall’altro lato, squadrandolo con espressione indecifrabile, come in attesa di qualcosa. Phil avrebbe tanto voluto che si levasse quegli occhiali per poterlo guardare negli occhi e scoprire finalmente quel tassello mancante che continuava a lasciare incompleto il suo puzzle.
Consapevole che toccava a lui e che le sue aspettative erano destinate a cadere nel vuoto, l’agente sospirò profondamente e fece per parlare; proprio in quell’istante, la porta si aprì ancora e qualcuno entrò nella stanza.
“Buongiorno, agente.”
Phil si voltò di scatto e si sentì subito consolato quando vide di nuovo il sorriso gentile e luminoso della signorina Potts diretto a lui. Ricambiò titubante e annuì, mentre lei raggiungeva la scrivania, assolutamente impeccabile nel suo completo scuro elegante. I suoi occhi azzurri si spostarono in direzione del suo datore di lavoro e sollevò appena le sopracciglia in un’espressione scettica. Phil spostò lo sguardo dall’uno all’altra, senza capire cosa stesse succedendo; era come se stessero parlando e lui si sentiva escluso da una discussione a cui non sarebbe mai stato capace di partecipare. Stark emise infine un sospiro di rassegnazione e si levò gli occhiali da sola e il giubbino di pelle, rimanendo solo con la camicia azzurra.
Phil si morse il labbro inferiore per impedire ad un sorriso compiaciuto almeno quanto l’uomo che gli stava davanti gli incurvasse la bocca. Non sapeva per quale motivo, ma aveva la netta impressione che la signorina Potts fosse l’unica a cui Stark fosse disposto a dare retta.
“Dunque” cominciò finalmente, molto più rassicurato dalla presenza della ragazza nella stanza. “Signor Stark, sono l’agente Coulson dello S.H.I.E.L.D., la Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division.”
“Cavolo, vi servirebbe un nome nuovo.”
Phil sorrise e continuò.
“Volevo incontrarla per parlare con lei di quello che ha recentemente vissuto. Vede, la società di spionaggio che rappresento è interessata alla sua nuova condizione” continuò serafico e con la coda dell’occhio vide i due scambiarsi un’occhiata complice. “E anche quello che essa rappresenta, per lei e per le persone che la circondano.”
Certo che sarebbe stato inutile aggiungere altro – aveva capito fin troppo bene che Stark aveva colto il significato delle sue parole – Phil attese. Il suo sguardo calamitò per la prima volta su quello dell’uomo e trovò finalmente il tassello mancante.
Gli occhi di Stark erano quanto di più incredibile avesse mai visto nella sua vita.
Avevano un taglio elegante, raffinato, intelligente, terrificantemente affascinante; erano di una castano particolare, un delicato color nocciola con striature di verde smeraldo. Appena lucidi, erano pieni di tutto: coraggio, determinazione, forza, dolore, energia, panico e qualcos’altro che Phil non riusciva a denominare e che compariva solo quando guardava la sua assistente. Quegli occhi gli trasmettevano una consapevolezza incredibile – avevano vissuto – e improvvisamente si sentì invaso da una sensazione di forza assurda.
“Agente” esordì Stark. “So perché è qui e so perché i suoi superiori sono interessati a… come ha detto?, la mia nuova condizione. Ma vede, io non credo che influirà su nient’altro che sull’operato della mia azienda e non capisco in quale modo la cosa possa interessare allo S.H.I.E.L.D..”
Aveva parlato con tono serio, tranquillo, deciso e Phil pensò che dietro a quegli occhiali c’era davvero un mondo da scoprire.
“Signor Stark, lei forse ancora non se ne rende conto, ma il congegno che ha costruito potrebbe procurarle molte inimicizie” tentò di farlo ragionare.
“Non è la prima volta che mi procuro qualche nemico” ribadì lui serafico.
“Qui non si tratta di concorrenza in affari, signor Stark. Lei è in pericolo e non è il solo. Anche i suoi collaboratori lo sono. Come lei, potrebbero subire drasticamente le conseguenze di quello che è diventato.”
“Io non sono diventato nessuno” rispose lui freddo e sembrava quasi sulla difensiva.
“Forse non se n’è ancora accorto” disse Phil con un sorriso triste. “Ma lei è già un’altra persona.”
 

*

 
“Non posso credere che abbia davvero detto questo.”
Clint sembrava sconvolto.
“Insomma, adesso che ha messo su quell’uomo volante di ferro, non può mica pensare che la gente lo lascerà in pace? Ci sono in mezzo un milione di interessi.”
“Non lo pensa, infatti” rispose Phil tranquillo. “Non per davvero. Ha solo bisogno di un po’ di tempo per accettarlo.”
“Ma è davvero come dicono?”
Phil esitò.
“No” rispose dopo qualche istante. “Vuole sembrare forte e privo di scrupoli, ma non lo è. Cioè, forte sì, ma non privo di scrupoli. Deve aver sofferto tanto. E poi” esitò ancora, “tiene molto alle persone.”
Non era una sua sensazione, Phil ne era certo. Stark aveva alle spalle una storia fin troppo nota e non era affatto felice; nei suoi modi di fare – nei suoi occhi – Phil aveva visto così tanto e c’era tanto affetto – amore? – per le persone attorno a lui. Phil sapeva che sarebbe stato per loro che avrebbe accettato la sua nuova vita e il suo nuovo se stesso.
Stava appunto per spiegare a Clint i motivi di quella sua convinzione, quando il cellulare gli squillò e lui lesse un messaggio appena arrivato.
Stane è alla sezione 16, Pepper è in pericolo. Ci vediamo lì.
Phil non sapeva chi fosse Pepper, ma non ebbe bisogno di porsi molte domande per capirlo. Un sorriso fiducioso gli illuminò il viso e parlò.
“Scusa Clint, devo lasciarti. Credo che Stark abbia qualcosa da dirmi.”
 

*

 
“Ancora non posso credere a tutto ciò.”
“Non è successo niente... solo un po’ di confusione. Insomma, quante storie per qualche granello di polvere e un paio di vetri rotti…”
Qualche granello di polvere? Un paio di vetri rotti?”
“Ma sì, tesoro. Insomma, una bella tinteggiata e tutto torna come prima…”
“Tony, forse ci sono un paio di passaggi ancora non ben chiari…”
“Pepper, tranquilla. Ho tutto perfettamente chiaro, ma se mi guarda così, sarò costretto a saltarle ad-…”
“Buongiorno” disse Phil con un sorriso.
“-ddd… a darle le spiegazioni che cercava” concluse Stark con un sorriso soddisfatto. La signorina Potts, come sempre bellissima e impeccabile con quel vestito nero corto – molto corto – e i capelli lisci, sciolti sulle spalle, rivolse uno sguardo gentile all’agente e tornò ad occuparsi del viso del suo superiore, rossa in volto.
Phil rimase a fissarli divertito, piuttosto compiaciuto del momento in cui aveva scelto di abbandonare il suo posto dietro la porta da cui aveva avuto la possibilità di cogliere la prima parte della conversazione.
“Dunque, signor Stark” cominciò con il suo tono cordiale, “le ho preparato il suo alibi. Lo legga.”
Tony afferrò perplesso i fogli che gli stava porgendo e ne lesse il testo con aria insoddisfatta.
“Mhm…” commentò.
“Lei era sul suo yatch. Ci sono cinquanta dei suoi uomini a confermarlo” proclamò Phil tranquillo.
“Già” replicò Tony, abbandonando i fogli a se stessi. “Forse sarebbe meglio dire che eravamo solo Pepper ed io… non trova?”
Phil si morse il labbro inferiore per non ridere e si godette appieno l’espressione compiaciuta della signorina Potts mentre lei e Stark si guardavano complici dopo lo strappo appena più forte del cerotto sulla fronte di lui.
“Signor Stark, è andata così” disse poi.
“Ma quella storia della mia guardia del corpo? Non le pare piuttosto fiacca?” insistette lui. Phil sorrise di più.
“Stia tranquillo, questo non è il primo rodeo” lo rassicurò pacato.
“E Stane?”
“Ce ne stiamo occupando” aggiunse. “Lui è in viaggio. I piccoli arei hanno un pessimo primato nella sicurezza.”
Si rivolse alla ragazza e le sorrise gentile.
“Ancore qualche minuto.”
Lei annuì e lo raggiunse sulla porta prima che uscisse.
“Agente Coulson!” esclamò incrociando le mani. “Volevo solo ringraziarla. Per tutto.”
Phil la osservò con espressione affettuosa e dovette ammettere a se stesso che era davvero un peccato che qualcuno avesse visto quel sorriso prima di lui. Anche se forse, rifletté sardonico, non sarebbe stato giusto condannare quella povera ragazza ad un stalking a vita da un pazzo maniaco con l’arco e le frecce.
“Per questo ci siamo, signorina Potts. Sentirà ancora parlare di noi” le promise serafico.
Lei sorrise divertita.
“Dello Strategic Homeland…
“Lo chiami solo S.H.I.E.L.D.” le disse infine e, dopo averle lanciato un ultimo sguardo, uscì. Rimase sulla soglia, in attesa che Stark facesse la sua uscita e poteva sentire la sua voce petulante anche da lì.
“Forse lo credo anch’io che non sono Iron Man.”
Un sospiro di esasperazione precedette la risposta altrettanto decisa che non tardò ad arrivare.
“Lei non è Iron Man.”
“Forse è così. Be’, diciamo che se io fossi Iron Man, avrei di certo una ragazza che conosce la mia identità. Lei avrebbe un esaurimento nervoso a forza di temere la mia morte, ma sarebbe fiera, sarebbe orgogliosa dell’uomo che sono diventato, sarebbe in continua lacerazione cosa che la renderebbe… mhm… ancora più pazza di me” concluse e anche senza vederlo Phil poté sentire il suo imbarazzo anche da lì. “Mi dica che non pensa mai a quella sera.”
“Quale sera?” replicò lei e sembrava fare uno sforzo immane per non cadere in quella follia.
“Lo sa.”
“Intende quella sera?” chiese stupita. “Quando abbiamo ballato e siamo andati sul terrazzo e poi lei è andato a prendermi da bere…”
Phil si domandò se non fosse il caso di tapparsi le orecchie e prendere a cantare Jingle Bells a squarciagola.
“… e mi ha piantata in asso lì?”
“Mhm” muggì Stark. “Ecco, sì.”
“Immaginavo” replicò lei e dopo un secondo tornò zelante e professionale come sempre. “C’è altro che posso fare per lei, signor Stark?”
“No, è tutto, signorina Potts” ribadì a disagio.
Fu con soddisfazione che Phil lo osservò uscire dalla stanzetta e raggiungere il centro della sala; in un angolino nascosto, la signorina Potts lo scrutava pensierosa.
Phil pensò che era davvero idiota. Stark, naturalmente.
“Dunque” esordì davanti alla platea e l’agente pregò che si attenesse ai suoi preziosi fogliettini. Lui e Clint ci avevano perso quasi sette ore; in realtà, lui ci aveva perso sette ore, Clint era rimasto con lui solo per poter prendere in giro dal vivo il suo senso di responsabilità. “So che ci sono molte disquisizioni su quello che è successo la notte scorsa… ecco, io vorrei dire che… insomma, io… io” biasciò confuso e guardò i fogli, prima di lasciarli cadere sul tavolo, sconfitti. “Io sono Iron Man.”
Immediatamente, il mondo esplose e Phil con lui. Guardava Stark senza fiato e pensava.
L’aveva accettato; per le persone che amava.
L’agente scosse la testa e un sorriso rassegnato gli incurvò le labbra sottili, mentre scrutava la signorina Potts ricambiare lo sguardo di Stark e non c’era ironia, sarcasmo o altro genere di idiozia genetica in quegli occhi color nocciola. E Phil lo vide: era il tassello che stava cercando e a cui non riusciva a dare un nome; era il riflesso di qualcuno, radioso e splendente, ed era il motivo per cui Stark si stava caricando sulle spalle il peso del mondo e aveva accettato di essere un uomo migliore.
L’immagina raggiante di Virginia Potts scintillò come una stella in quelle iridi dai riflessi smeraldini e Phil lesse tutta quella perfezione nell’anima finalmente completa e piena della sua destinazione.
Sorrise di nuovo e capì che, ancora una volta, aveva avuto ragione sin dall’inizio; quella era stata senza dubbio la missione più incredibile della sua carriera e non vedeva l’ora di rinfacciarlo a Barton. 


 


 































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E ce la fece appena in tempo. *Si ferma affannata e si asciuga la fronte prima di schiantare al suolo stanca morta*.
Sapevo che avrei postato tardi questa shot, ma dovevo assolutamente farlo oggi.
L'ho scritta tantissimo tempo fa, l'Estate scora, pensate - *oooh* - ed è stata in assoluto la prima pre-Pepperony che ho scritto nella mia vita. A rileggerla adesso, mi sembra un po' ingenua e stranetta - spero non sia troppo dolce o OOC, soprattutto per quanto riguarda Tony -, ma le sono comunque affezionata - diamine, oramai ha un anno *sbatte gli occhioni commossa* - e ci tengo non solo per il suo essere la mia primissima one-shot lunga o con accenni slash (ora sconvolgo tutti: quando la scrissi, non ero per il Clint/Coulson, avevo letto solo una storia in proposito, però, e avevo pensato che erano carini quando litigavano. *Bombardatela pure, è pazza*), ma anche per il protagonista. All'epoca, ero ancora straconvintissima che Phil fosse morto e volevo scrivere qualcosa per lui; il suo ruolo nel primo film su Iron Man mi aveva sempre intrigata così ho deciso di trascrivere la storia a linee generali dal suo punto di vista, inserendovi un paio di strategici What if? - il primo incontro con Pepper, il primo incontro con Tony e la mancata presenza alla conferenza. A parte quello, ho cercato di tenermi quanto più fedele alla trama originaria, inserendovi la storyline di Phil e Clint - personalmente, non so se stiano insieme o meno in questa storia. Fate un po' come vi pare. XD.
Che altro aggiungere? Quale dritta di comprensione: 

[1]: le notizie sul passato di Phil sono frutto della mia fantasia; 

[2]ci sono svariati riferimenti al film in questione. Non li cito uno per uno, sono certa che li abbiate colti tutti; 
[3]Harris, la Thompson, Rives, la Ratis, Benson sono personaggi frutto della ia immaginazione. Per sapere qualcosa in più su alcuni di loro, vedere il Progetto - tra l'altro, questa è stata la prima volta che ho scritto di loro e di Harris in particolare *-*; 
[4]il Sarto di Panama è un film spionistico Pierce Brosnan e Geoffrey Rush; 
[5]la presenza di Pepper a casa di Tony dopo il rapimento, benché siano ancora solo colleghi di lavoro, è giustificata, almeno nella mia testa, dall'idea che, dopo tutto quello è successo, Pepper abbia pensato di poter stare un po' più vicina a Tony e dubito che a lui dispiace *ASD*.

Non c'è nient'altro da dire se non che questa storia è dedicata alla dolcissima Missys in onore del suo compleanno. Mi scuso tanto per il ritardo, ma è stata una giornata tremenda, ma volevo assolutamente pubblicare questa storia, a cui sono enormemente affezionata, per te, a cui sono ancor più affezionata. Grazie di cuore per tutte le tue parole splendide e il tempo dedicato e le risate meravigliose che mi fai fare. ♥ Spero con tutto il cuore che tu abbia trascorso una giornata indimenticabile e ti auguro che possa viverne un altro milione altrettanto meravigliose. *-* E spero che questa sciocchezzuola senza senso ti risulti gradita oggi. ** Averti conosciuta è uno dei tanti motivi per cui amo follemente questo posto. 
E allora taglio qui perché mi imbarazza da morire parlare di sentimenti e perché per oggi vi ho scocciato anche troppo. XD. Alla prossima!
Un bacione a tutti, 
Mary. 

   
 
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