Storia partecipante al CAC, Comedy Auror
Contest - Contest organizzato dal gruppo "Cercando chi dà la roba alla
Rowling [Team Harry/Hermione]"
On our way home
La sera di
Halloween è sempre una delle più gelide del mese ed è sempre stata, per me, una
festa alquanto deprecabile. Non tanto perché ricorre l’anniversario della morte
dei miei genitori, ma forse perché il primo Halloween che riesca a ricordare è
stato decisamente traumatico.
Quando ero un
bambino di appena cinque anni, zia Petunia raccontò a me e Dudley che il freddo
della notte di Halloween era necessario per permettere ai morti di uscire dalle
tombe e recarsi in città, barcollando con le braccia penzoloni, gli occhi pieni
di vermi e la bocca aperta in un ghigno, per spaventare i bambini cattivi.
Sfortunatamente (per me) Dudley fu così terrorizzato dall’idea che qualche
zombie potesse raggiungere Privet Drive, sgattaiolare nella sua camera e
afferrarlo con le sue mani viscide, che zia Petunia si corresse e alla fine i
morti sarebbero usciti dalle tombe solo per spaventare me, come esempio per
tutti i bambini. Avrei dovuto capire già allora che la mia vita sarebbe stata
un infinito susseguirsi di “Harry, sacrificati di qua, Harry, sacrificati di
là”. E tanti cari saluti alla mia tanto
agognata vita tranquilla, da persona schifosamente ordinaria.
Comunque, quella
notte, avevo troppi zombie in testa per pensare al mio futuro da agnello
sacrificale. Di conseguenza non riuscii a dormire, pensando a ciò che aveva
detto zia Petunia. Tuttavia, ritornando ora a quei ricordi, forse non era stato
tanto il racconto della zia a non farmi dormire, quanto piuttosto i biscotti
fin troppo zuccherati e le caramelle di granito che avevo ricevuto dalla
signora Figgs, mentre i Dursley portavano Dudley a spasso per la consueta
raccolta di dolcetti di Halloween. Dolcetti che ovviamente Dudley si era
cortesemente offerto di mostrarmi, confrontandoli con i miei e ritenendoli
superiori in quantità e qualità. Sai che novità.
Da quella
notte insonne, la festa di Halloween ha perso tutto il suo fascino, almeno fino
a quando non ho visto come si festeggiava a Hogwarts. Non potrei mai
dimenticare il mio primo Halloween a Hogwarts: i dolci, le decorazioni, i
dolci, i fantasmi, i dolci, il troll che per poco non mi accoppava con Ron e
Hermione… e naturalmente i dolci!
E ora, a
quasi quindici anni di distanza da quella sera, mi ritrovo nuovamente a
prepararmi per festeggiare Halloween, nonché recuperare ancora una volta
Hermione dal suo stato d’isolamento post-litigio.
Il motivo del
litigio riguarda proprio Halloween. C’è una festa stasera al Ministero.
Hermione voleva andarci a qualunque costo perché da poco è entrata a far parte
del Dipartimento e ritiene indispensabile partecipare a eventi del genere per
il suo corretto inserimento nel mondo del lavoro. Ovviamente, come suo compagno
di vita, io avrei dovuto accompagnarla. Lo sguardo che Hermione mi ha rivolto è
stato uno sguardo che mi raccomandava caldamente di acconsentire e lo sapevo
bene, l’avevo visto, avevo sentito il brivido che mi consigliava di dire “Sì,
Hermione, ti accompagno volentieri” perché altrimenti mi sarei cacciato in
grossi guai per la centesima volta. Avevo, però, percepito anche il disagio di
quell’altra parte di me, per cui, dalla fine della guerra, Halloween ha perso
tutto il fascino recuperato negli anni trascorsi a Hogwarts. La festa dei morti,
per quale motivo si festeggia la morte? Io ho visto la morte in faccia, ho
sfiorato le sue dita scheletriche, ma ne sono miracolosamente sfuggito. Altri
no, amici miei che non ce l’hanno fatta e si sono arresi fra le sue braccia
rigide e fredde. Di conseguenza, che motivo ho di festeggiare questa sera?
Questa volta Hermione
non ha capito. Non che io abbia motivato il mio rifiuto con qualche parola in
più rispetto al semplice “Non ne ho voglia, mi dispiace”. Ah sì, so come farla arrabbiare. Sono un
campione in questo. Non ai livelli di Ron, per
carità. Lui è un fuoriclasse. In passato Ron non ha
fatto altro che continuare a stabilire sempre un nuovo record nella categoria “Salto
dei nervi di Hermione”, ma in questo caso sono felice di accontentarmi della
medaglia d’argento.
In pratica
con quella mia risposta è come se le avessi rivolto un brutale “Vacci da sola”.
O almeno questo è quello che lei ha sentito. Non intendevo certo dirglielo così
chiaro e tondo. Sì, ok, il senso era quello, ma non sono proprio così stupido.
E lei non ha detto niente. Le sue labbra si sono solo ristrette, come fa ogni
volta che si trattiene per evitare di esplodere in un torrente di proteste, e
poi è sparita al piano di sopra. Due minuti dopo, sconfitta e arrabbiata, è
andata da sola alla festa al Ministero.
Tuttavia, non
appena Hermione si è smaterializzata, rimasto solo a casa, mi sono pentito
subito di non averla accompagnata. La casa è troppo grande senza di lei. Senza considerare
il lieve russare di Grattastinchi, accoccolato contro la mia gamba, caldo come un
tizzone ardente, in casa non vi è nient’altro che silenzio. Silenzio e freddo che
spaventano più della morte, che fanno riaffiorare in me la paura più grande, la
paura di restare solo. E Hermione non è qui a scacciare il silenzio chiacchierando
semplicemente con me dell’ultimo caso di cui si è occupata a lavoro, non è qui
ad allontanare il freddo con il tepore del suo abbraccio o con le sue labbra
dal sapore dello zucchero filato.
Così in un
batter d’occhio, decido di raggiungerla ovunque lei si trovi, qualunque cosa stia
facendo. Non mi cambio neanche e mi smaterializzo per ricomparire, in pochi
istanti, di fronte alla sede del Ministero.
La sala è
addobbata con zucche di varie dimensioni con le espressioni più inquietanti,
teste rinsecchite che ridono in modo stridulo, pipistrelli che volano da una
parte all’altra della sala, impigliandosi di tanto in tanto in qualche parrucca
e trascinandola con sé. Il tavolo del buffet mostra una ricca serie di pietanze
sicuramente deliziose, nonostante l’aspetto poco invitante: vi sono sandwich a
forma di dita di gigante, fagottini di cappelli di strega, fantasmini di purè
di patate, ragni enormi ed evidentemente finti le cui zampe sono diventate
spiedini di frutta…
Mi guardo
intorno per cercare una cespugliosa massa di capelli ricci, pensando a cosa
dirle quando sarò proprio di fronte a lei, e sono così preso dalla mia ricerca
e dalle mie riflessioni che sussulto quando una voce alle mie spalle mi chiama
per nome. Mi volto, ritrovandomi di fronte a… me stesso.
Bene, sono
sconcertato. Ma che dico, sono impazzito! L’uomo davanti a me ha occhiali
uguali ai miei, capelli neri e una cicatrice sulla fronte. Indossa il mio
maglione preferito. Come fa a indossare il mio maglione preferito? Me l’ha
regalato Hermione il Natale scorso. Forse è il me stesso del passato, o del
futuro. Forse viene dal futuro perché è un po’ più alto di me. Crescerò ancora
in altezza. Oh, questa sì che è una bella notizia.
Ma che sto
facendo? C’è un uomo tale e quale a me ed io penso a miei problemi di statura.
Devo aver perso la testa! Ecco, questo è l’effetto del senso di colpa.
Mannaggia a me. Mannaggia a questa stupida festa! Mannaggia a-
“Harry, sono
io.” esclama l’uomo, destandomi dal mio frenetico farneticare.
Aspetta… a
guardarlo meglio, forse so di chi si tratta e questo spiegherebbe l’altezza,
infrangendo le mie misere speranze, e anche quel ciuffo di capelli rossi che sporge
da sotto la parrucca. Decisamente inconfondibile.
“Ron?”
“Sì! Che bello vederti qui, amico.”
Ron
ride e mi stringe calorosamente la mano: “Allora, ti piace il mio costume?”
“Per niente.”
“Perché no?
Il costume di Harry Potter va alla grande quest’anno!” ribatte Ron, indicando
gli altri invitati.
Passo in
rassegna tutti i presenti e mi accorgo effettivamente di una notevole presenza
di parrucche nere e occhiali tondi sul naso. Sembra un’invasione di Harry
Potter. Sono l’unico qui dentro a trovare la cosa inquietante? Lo stomaco mi si
contorce nell’addome: è proprio il genere di cose folli che non avrei mai
voluto vedere. Una follia conosciuta come Pottermania.
“Ma perché
proprio tu ti sei vestito…così?” gli domando con un gesto vago della mano.
“È presto detto. Ho sempre desiderato essere
te.”
“Ma tu sei
già stato me.”
“Sì, ma
quella sera non mi sono divertito più di tanto.”
Sospiro
rassegnato: questa dannata, eterna gelosia di Ron…
“Piuttosto,
sei da solo?” gli chiedo, cercando disperatamente di cambiare argomento.
“No, mi ha
accompagnato Luna. Guarda, è proprio lì a prendere il punch.”
Seguo la sua indicazione
e vedo Luna in piedi di fronte a un calderone enorme da cui fuoriesce vapore
verde brillante.
“Ehi, Luna,
c’è Harry!”
Lei si volta,
sorride e ci raggiunge con un bicchiere in mano, pieno di liquido verde.
“Ciao, Harry,
che bello rivederti.”
La osservo
meglio. Indossa un vestito rosso con frange luccicanti che si muovono a ogni
suo piccolo movimento. I capelli sono decorati con piume vaporose, rosse come
il vestito. Ho paura di chiederle quale dovrebbe essere il soggetto del suo vestito.
Quando si tratta di Luna Lovegood è sempre meglio restare nell’ignoranza.
“Ti stai
chiedendo da cosa mi sono vestita, vero?” mi domanda con un sorriso che
dimostra quanto sia consapevole dei miei pensieri.
Rido,
ostentando una finta indignazione: “Cosa? No, stai scherzando? Si capisce
perfettamente che sei… sì, insomma… sei…”
“Harry. –
sospira lei, divertita - Sarai ormai la trentesima persona che me lo chiede
stasera. Strano, pensavo fosse abbastanza evidente.”
Strano
davvero, certo. E Ron se ne sta lì a sorriderle con un sorriso sciocco, di
quelli innamorati pazzi, e le passa un braccio attorno alle spalle: “Mia cara,
diglielo e basta.”
“D’accordo.
Sono vestita da Schiantesimo.”
No, non le
chiederò “Cosa?”, perché ho capito benissimo. Perciò mi limiterò a dire: “Schiantesimo?”
“Esatto. È il
mio modo di celebrare questo incantesimo. Ritengo che sia piuttosto utile:
permette di sbarazzarsi del proprio nemico senza doverlo per forza uccidere.”
“Certo, mi
sembra giusto. – mi sento dire e annuisco– Un gran bel vestito, il tuo.”
“Grazie.”
Comunque!
Harry, sei venuto qua per cercare Hermione, non per perderti in chiacchere con
i tuoi migliori amici. Cerca di combinare qualcosa di buono, per la prima volta
in questa giornata.
“Per caso… ehm…
sì, avete…ehm…”
“Visto Hermione?”
conclude Ron, salvandomi dal mio improvviso nervosismo.
“Ehm…sì.
Proprio lei.”
“Credo sia al
tavolo con Arthur Diggory. Sembra che la stia coinvolgendo in un’importante
conversazione di lavoro…”
Finalmente
intravedo la mia cespugliosa massa di capelli preferita e sorrido fra me. Non
sembra proprio che il signor Diggory la stia coinvolgendo; in effetti, sta
parlando solo lui. Hermione ascolta e strano ma vero, pare proprio che non stia
ascoltando il suo capo. Sembra invece che stia viaggiando molto lontano con la
mente e la mia speranza è che stia andando verso casa, dove pensa che io mi
trovi adesso, che stia tornando da me per fare pace.
“Problemi,
eh?” esclama Ron.
“Giusto un
po’.”
“Cos’hai
combinato?”
“Perché
dovrebbe essere colpa mia?” esclamo e sono certo di avere un cipiglio fin
troppo evidente sul viso.
“Perché sei
venuto qua a fare pace con lei. – risponde lui con il tono di chi la sa molto
lunga - È sempre colpa tua, se tocca a te correre dietro a Hermione.”
“Se devo
essere onesto, non credo sia tutta colpa mia, ma… stare in casa da solo era
terribile.”
“Ah sì, l’ha
fatto di nuovo, eh?”
“Cosa?”
“Sì, dai, hai
presente quando discuti con Hermione e né tu né lei avete intenzione di
prendere anche solo in considerazione l’opinione dell’altro? E poi lei si
limita a scrollare le spalle e dire ‘Fa’
come vuoi’, che però implica, in effetti, che tu non possa fare come vuoi, perché devi fare quello che lei
vuole?”
Deglutisco.
“Oh… sì,
immagino che sia andata così.”
“Beh, quello è
solo il suo modo di insinuare il senso di colpa nel punto più profondo della
tua anima, come i semi di zizzania che crescono lentamente, ma numerosi
soffocano tutte le piante buone. Allo stesso modo il senso di colpa ti divora e
alla fine ti costringe a raggiungerla per chiederle scusa!”
“Ah sì, proprio
quello.”
Sospira: “Ecco.
Vedi, Harry, ci sono passato anch’io. Queste cose le so, dammi retta. Non è
neanche colpa sua, poverina, non lo fa apposta. È solo che è più forte di lei.”
Ron si sta
atteggiando come gran sapientone delle manie di Hermione e la cosa mi dà
alquanto sui nervi. D’accordo, sono stati insieme, ma ora Hermione è la mia
ragazza. Così non posso proprio fare a meno di rivolgergli il mio sguardo più
truce da ora basta!
E Ron, che ha
imparato ad afferrare quando il troppo è davvero troppo, si blocca e si
schiarisce la gola: “Quindi… sì, dicevamo. Hermione lì. Tu qui. Ci vediamo
dopo, Harry!”
Ron afferra
il braccio di Luna e la trascina il più lontano possibile. Bene, non mi resta
che farmi coraggio e affrontare Hermione. Dopotutto non è la prima volta che mi
tocca chiederle scusa e implorare il suo perdono.
La guardo di
nuovo, seduta al tavolo, mentre giocherella distrattamente con uno strano
oggetto che, nonostante gli occhiali, non riesco a riconoscere.
Inspiro
profondamente. Sono pronto, devo solo fare un passo in avanti e poi un altro
ancora e, sì, un altro ancora fino ad arrivare al tavolo di Hermione. E poi lei
mi guarderà, sorpresa di vedermi proprio qui ed io comincerò a parlare prima
che lei abbia il tempo di aprire la sua bocca per chiedere “Che diavolo ci fai
qui, Harry?”.
Allora le
dirò che mi dispiace, che mi sono comportato da idiota, che avrei dovuto
spiegarle perché non volevo accompagnarla a questa dannatissima festa e che se
non vuole più rivolgermi la parola ha tutte le ragioni del mondo, certo, ma non
può farlo perché senza di lei sono perso. Sono sempre stato perso senza di lei.
Le dirò
tutto, senza lasciarle il tempo di interrompermi con le sue proteste e i suoi
sguardi di trionfo, glielo dirò e poi lei mi perdonerà, mi perdona sempre
perché sa che sono un idiota. Lo sanno tutti, che sono idiota.
Sì, ormai
sono un esperto. Almeno, dovrei essere un esperto.
Dovrei…
Allora perché
è sempre così maledettamente difficile fare il primo passo?
E poi
Hermione si volta verso di me, mi guarda, sorpresa, e si alza. Mentre si
avvicina, noto che indossa un camice bianco e riconosco l’oggetto che stringe
con forza in mano: è uno di quegli strumenti di tortura usato dai dentisti, uno
strumento appuntito e ricurvo, a forma di uncino che s’insinua tra i denti e si
conficca nella gengiva e tu stringi i braccioli della poltrona per non
sobbalzare e rischiare di tranciare le dita del dottore.
Ma perché sto
pensando alla mia ultima visita dal dentista?
Perché le mie
stupide gambe mi hanno abbandonato?
Ora sarà lei
che comincerà a parlare, senza lasciarmi il tempo di dire neanche un misero ma. Ora sarà lei che riverserà la sua
rabbia contro di me, urlandomi che le ho fatto fare brutta figura con il suo
capo, che tutti ora pensano che io sia snob e di conseguenza deve esserlo anche
lei, se sta con me, quando invece sappiamo benissimo entrambi che non è affatto
così.
Eccola, si
avvicina sempre di più, le sue labbra sono dischiuse, pronte per far uscire
tutto ciò che passa nella sua testa. E l’orripilante strumento di lavoro è
sempre lì, nella sua mano. Oh, perché doveva essere figlia di due dentisti? Non
poteva nascere in una famiglia di fiorai? Posso sempre smaterializzarmi e
tornare a casa. Sì, grande idea, così poi lei mi odierà a morte per tutta la
vita.
Al diavolo
tutto, sii uomo, Potter! È il tuo
destino, giusto? Quello di sacrificarti per il bene degli altri… Lo hai fatto
per l’umanità intera, perché non dovresti farlo per la donna della tua vita?
Chiudo gli
occhi con forza. Eccomi, Hermione, sono qui, immolato su quest’altare, pronto
per lasciarmi trafiggere con quell’arma assassina.
“Harry.”
Il tono
stranamente pacato mi fa aprire gli occhi lentamente. Sta sorridendo.
Perché sta
sorridendo? Ho qualcosa di strano sul viso? Qualcuno mi ha lanciato una
Caccabomba che sta per scoppiarmi addosso?
Tuttavia mi
accorgo che non m’importa molto. Perché proprio adesso, Hermione ripone
quell’oggetto terrificante nella tasca del camice e prende entrambe le mie
mani, le stringe e il suo sorriso si allarga ancor di più.
“Andiamo a
casa, Harry.”
Potrei
chiederle ancora cosa è successo, perché non mi chiede il motivo della mia presenza
a questa festa, perché vuole tornare a casa, così serena, senza farmi una
scenata, senza ascoltare le mie scuse, le mie ragioni, il mio infinito amore
per lei. Potrei chiederle un sacco di cose, ma non lo faccio e torno a casa
insieme a lei.
Perché
Hermione lo sa.
Perché
Hermione sa sempre tutto.
Bene, dopo secoli sono tornata a
scrivere una Harmony… J
Grazie a kiki2604 e mamogirl che hanno betato la
storia. Grazie a Lights per il banner.
E grazie al fantastico gruppo “Cercando
chi dà la roba alla Rowling [Team Harry/Hermione]”.
Alla prossima
Kia85