Crossover
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Autore: Furiarossa    12/06/2013    2 recensioni
The bird of Hermes is my name
Io sono un diavolo di maggiordomo, un perfetto maggiordomo ....
La sfida del secolo fra i demoni più potenti del mondo degli anime, Sebastian Michaelis e Alucard, ma soprattutto una sfida fra la famiglia Hellsing e la famiglia Phantomhive.
Hellsing e Kuroshitsuji, mistero, violenza, humor. 365 prove, una per ogni giorno dell'anno in cui i nostri personaggi dovranno affrontarsi.
Fra il comico demenziale e il terribilmente serio, esattamente come nella realtà, benvenuti al reality del secolo: benvenuti a Kuroshihellsing.
[Opere principali: Kuroshitsuji; Hellsing][Altre opere: Doctor Who, Dracula, Castlevania, Le Cronache di Narnia, Lost]
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Anime/Manga, Cartoni, Libri, Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 110

L'amico di Seras

 

L'amico Sole aveva deciso di levare le tende da un pezzo. La luna aveva fatto capolino e guardava il mondo con il suo unico occhio bianco e brillante.

Era una bella notte e il cielo non era nero, bensì di un meraviglioso blu scuro. Se un concorrente, in quel momento, avesse guardato fuori dalle finestre, avrebbe visto la Via Lattea delinearsi chiara e opalescente nel cielo, avrebbe potuto contare una ad una le stelle del cielo, le costellazioni, il Grande Carro, la Cintura di Orione. La luna non era oscurata da nessuna nuvola che coprisse il suo splendore, e lo scuro panno della notte aveva avvolto dolcemente ogni cosa.

Era una notte silenziosa, una notte in cui sembrava impossibile fare brutti sogni...

Ma c'era chi, in questo notte, riteneva impossibile dormire.

La ragazza si mosse furtivamente per la casa. Era insolito, per lei: di solito era così chiassosa... Ma le era stato raccomandato di non fare rumore, o sarebbe stato meglio non presentarsi proprio all'appuntamento.

In punta di piedi, la vampira camminò piano, più silenziosa di un topolino che sapeva di essere stato fiutato da un gatto, fino ad uscire dal raggio d'azione delle telecamere. Seras era andata di nuovo dove nessuno poteva vederla.

Tranne...

Walter spiò la figura della vampira che si allontanava alla pallida luce della luna che entrava dalle finestre che, lui, pronto e previdente, aveva lasciato con le tendine aperte proprio per questo.

«Credo che dovrebbero sapere» commentò una vocina alle sue spalle.

Walter sussultò, senza fare rumore, e si voltò verso la figura che si era avvicinata senza fare rumore.

Ciel aveva le labbra strette e reggeva in mano una telecamera. Era rannicchiato poco dietro di lui e il suo unico occhio blu aveva un colore tanto intenso da spiccare anche nell'oscurità. Sembrava che si aspettasse un colpo e lo guardava, con aria di attesa.

Il piccolo maggiordomo si stupì: non credeva che il conte sarebbe stato in grado di essere tanto silenzioso.

«Chi dovrebbe sapere?» chiese, con una voce tanto bassa da essere un sibilo, poi fece un cenno con la testa verso l'arnese che il bambino aveva in mano «E quella dove l'hai presa?»

«Questa? È una delle telecamere del reality. Questo idiota mi ha aiutato a staccarla dal supporto» il conte indicò il proprio maggiordomo, nascosto poco dietro di lui.

Sebastian non sembrò particolarmente entusiasta dell'appellativo affibiatogli dal padroncino, o di stare nella stessa missione con un altro maggiordomo. Riservò ad entrambi uno sguardo velenoso, socchiudendo gli occhi, ma non disse nulla.

Walter si diede dell'incauto: non si era minimamente accorto di essere stato seguito. Doveva stare più attento. Ma, d'altronde, se volevano aiutarlo a scoprire dove andava la Police Girl tutte le sere, era buono che fossero dei bravi stalker.

«Perchè vuoi riprendere?» mormorò il maggiordomo, mentre i tre, in un muto d'accordo, camminavano in punta di piedi nella direzione in cui era svanita la vampiretta

«Ho l'impressione che dovremmo filmare ciò che succede. Ho l'impressione che dovrebbero vedere tutto» disse Ciel «i nostri compagni, ma non solo loro. Anche la regia. Dovrebbero poterlo trasmettere se gli va. È un reality: devono capire tutti i pericoli che passiamo qui e capire tutta la storia, non solo dei pezzi».

Walter annuì, trovandolo giusto. I tre erano ormai all'angolo d'inquadratura della telecamera e sgattaiolavano furtivi.

«Un'ultima domanda» Disse il piccolo maggiordomo, indicando ancora una volta l'oggetto tra le mani del bambino «Sei un vittoriano, vieni dall'ottocento, sai farlo funzionare quell'arnese?».

Quando rispose, stavolta, il conte sembrava molto meno sicuro. Analizzò ad occhio la cinepresa fra le sue dita, girandola e rivoltandola critico.

«Mi arrangerò» Concluse alla fine, con una scrollata di spalle poco convinta.

Fu in quel momento che i nostri tre eroi sfuggirono allo sguardo avido delle telecamere, inglobati dal mistero e dall'oscurità...

 

Mi dispiace, cari lettori di lasciarvi così, ma come Seras ha già precisato, le telecamere lì non sono state abilitate e non abbiamo filmati di come andò a finire. Ci scusiamo anche del fatto che è uno dei capitoli narrativi più corti di tutto il reality, ma, beh, non avendo il materiale...!

 

Ecco.

Questo sarebbe più o meno il discorsetto che farei se Ciel non avesse portato con sé una telecamera e l'avesse ostentata per tutto il tempo con Walter.

Ma abbiamo le riprese grazie al piccolo e previdente conte Phantomhive, perciò lo show deve andare avanti!

Seras si era inoltrata per una serie di corridoi che nessuno dei concorrenti aveva mai trovato o anche solo cercato di percorre. Il trio avevano con sorpresa notato che non erano affatto lontani dalla Sala Grande: erano vicini all'entrata principale, in un cunicolo che, per qualche motivo, era sempre in ombra anche di giorno, più della Dark Side: ecco perchè nessuno l'aveva mai visto.

«Qui nessuno pulisce» commentò Walter, disgustato, a bassa voce. Il suo sguardo scivolò sulle pareti dall'aspetto polveroso e unticcio insieme, con tracce di muffa. Incespicò con il piede su una piastrella piazzata male rispetto alle altre e con un urletto cercò di tenersi a muro, facendo strisciare con un fastidioso rumore di scricchiolio le unghie su un mattone scoperto.

«Sta' attento!» intimò Ciel sussurrando e acchiappandolo per un braccio. Non era molto forte, ma quella semplice presa evitò a Walter un'imbarazzante caduta. Il maggiordomo annuì, poi i tre si rimisero in marcia.

Ciel si sentiva in un dungeon e ci vedeva ben poco. Il suo unico occhio gigante era spalancato nell'oscurità e la pupilla, ora allargata, gli dava l'aspetto di quei gattini pucci che si possono trovare in giro su Internet se scrivete su un qualsiasi motore di ricerca “gatti pucciosi”.

Poco tempo fa aveva scoperto che la telecamera non era molto difficile da usare: bastava premere quel pulsantino lì e poi bastava non toccarla. Doveva ancora abituarsi a non muovere troppo le mani, altrimenti le inquadrature ballavano, e lui non voleva certo che ballassero.

Stava per dire qualcosa, forse proprio sui video ballerini, quando Sebastian alzò una mano come un vigile ad un incrocio e disse, piano «Shhh. Riuscite già a sentirlo?».

I due piccoletti si zittirono e si fermarono. Tesero le orecchie.

«Cosa senti?» borbottò Ciel, mentre Walter cercava di sentire un suono che non c'era. Non ancora.

«Ci sono due persone. Stanno parlando, signorino... una è di certo, Seras»

«E l'altra?» il piccolo conte era molto eccitato: erano vicini alla soluzione del caso!

«Mi è familiare» Sebastian chiuse gli occhi, in un'espressione di concentrazione «Ma non riesco a riconoscerla, siamo ancora troppo lontani»

«Quindi non capisci neanche cosa si stanno dicendo?» sussurrò Ciel, deluso

«Esatto, signorino»

«Acc... andiamo!».

Il passo si era allungato, lo si notava dal fatto che il mondo ondeggiava ripreso da Ciel. C'era anche una specie di macchia sull'angolo in alto a destra che, quando Walter disse «Sposta il dito, che si vede nel video!», si volatilizzò misteriosamente. No, non chiamate quelli della trasmissione Mistero, la cosa nell'inquadrature era proprio il dito di Ciel.

I tre si appostarono dietro ad una colonna. Il video si stabilizzò, senza fare più volteggi.

«Ci siamo» sussurrò Sebastian.

Due figure, una davanti all'altra, stavano parlando cautamente, anche loro a bassa voce. Una un po' più dell'altra. Una decisamente di più dell'altra.

«Sei sicuro?» chiese la figura facilmente identificabile come Seras «Sicuro sicuro?»

«Ma certo!» rispose l'altra voce, quella che parlava sottovoce «Alla fine vedrai che bel lavoro!»

«E dirai tutto al mio Mastah?»

«Non se non ti comporti bene» la redarguì la seconda figura «Se ti comporterai bene, faremo vedere tutto al tuo Alucard, e lui sarà fiero di te!»

«Evviva!» Seras saltellò sul posto.

La telecamera ebbe un piccolo sussulto.

«Non ci credo» sussurrò Sebastian

«Ma che...?» Ciel era incredulo

«È Occhi a Palla!» esclamò Walter, cercando di non farsi sentire.

«Quindi cos'altro ti serve?» Chiese Seras, entusiasta

«Oh, solo un paio di altre cosette» rispose, vago, l'ometto. Era vestito in modo diverso da ieri: aveva una camicia di colore indistinguibile nel buio, ma di certo era chiara. Teneva ancora un coniglio, ma nessuno dei tre riuscì a capire se fosse l'Otto o il Quindici.

«Ehi, B...»

«No, Seras» la bloccò lui, calmo «ti ho detto di non dire il mio nome davanti ad altre persone».

Ciel, Walter e Sebastian sentirono il cuore fermarsi e il sangue gelare nelle vene.

«Posso chiamarti “Pinguino”?».

L'ometto non rispose, poi socchiuse gli occhi a palla nella loro direzione e disse «Forse non è stata una grande idea nascondersi dietro una colonna e dire che ero “Occhi a Palla”, non vi sembra?»

«Waltah-san! Ciel! Brutto maggiordomo secco!» esclamò Seras.

Per Sebastian fu un'altra stilettata dritta dritta al suo cuoricino demoniaco. Perfino la stupida vampira con il QI di un portatovaglioli smangiato lo considerava inferiore, anzi, un “brutto maggiordomo secco”.

«Ohi ohi ohi» commentò l'ometto, lasciando che il coniglio fra le sue braccia saltasse via e si allontanasse. Sebastian si sentì offeso: finiva o iniziava spesso le sue frasi con un “eh” oppure un “ohi ohi ohi” e temeva che perfino lo sconosciuto con gli occhi da gufo e i capelli da pazzo si prendesse gioco di lui. «C'era un tempo, Sebastian» continuò l'amico di Seras «in cui le ragazze avrebbero fatto la fila solo per vederti. Ora sei diventato il “brutto maggiordomo secco”. Dev'essere stato un brutto colpo, eh».

“Eh”. Aveva finito così la frase. Doppia punzecchiatina.

«Per te non c'è mai stato questo tempo, eh?» ribattè Sebastian, apparentemente calmo, anche se dentro aveva voglia di smembrare qualcuno e mangiargli l'anima proprio in quel momento.

«Non puoi saperlo» Gli rispose l'altro «Io, invece so tutto di te. So che sei caduto anche un pò in basso, rispetto ai tuoi standard. So che sei in cerca di un nuovo padrone».

Sebastian si illuminò. Se dieci secondi fa quell'uomo era un orribile scarafaggio da schiacciare sotto un piede, ora era la scialuppa di salvataggio più efficiente della Terra e dintorni. Il demone aveva infatti scambiato l'affermazione dell'ometto, detta più che altro per fargli sapere che in qualche modo sapeva anche i suoi pensieri più profondi, in un'offerta.

«Ti sbagli» disse Ciel «Lui ha già un padrone». Forse non gli parve abbastanza incisivo o esplicativo, perciò aggiunse «Io sono il suo padrone»

«Non se rompo il contratto» disse Sebastian, con un sorriso che (stranamente e diabolicamente) mostrava i denti

«Cosa stai cercando di dire?» il conte era sorpreso dalla svolta inaspettata che la situazione stava prendendo, e questo si sentiva nel suo tono di voce.

Sebastian si voltò verso il panzerotto ripieno di menzogne (alias Occhi a Palla, Ometto Spettinato, Pinguino e tutti questi bei nomi) e parlò, velocemente, come chi si vuole togliere un peso di dosso al più presto: «Vuoi stipulare un patto con me, non è così? È per questo che guardavi dentro, nella nostra parte di Casa, questa mattina. È per questo che hai tirato in ballo questo argomento. Vuoi che io diventi il tuo maggiordomo?».

Il mondo di Ciel girava al contrario. Sebastian... non poteva rompere il contratto, no? Non era ancora tempo! Dovevano volerlo tutti e due!

«Sebastian!» abbaiò «Tu... non puoi! Non senza il mio consenso!»

«Bene!» esclamò il demone, saettando verso di lui «Allora ti conviene darmi il tuo consenso, padroncino, perchè non ti servirà più a nulla avermi intorno. Ti farò perdere tutte le gare di questo stupido reality idiota. Ti servirò in modo così pessimo che Seras sembrerà una perfetta casalinga al mio confronto. E, alla fine, ti divorerò l'anima. Cosa ne pensi, signorino?».

La voce di Sebastian aveva mutato tono, non era solo come se avesse avuto una specie di doppio timbro, ma ci fossero state note più acide, aspre, taglienti. Anche più calde, in un certo senso. Qualcosa di più inferale.

La faccia di Ciel non entrava nell'inquadratura, ma si poteva immaginare comunque. Non disse nulla, non fiatò.

«Prima che facciate qualcosa di stupido» si intromise la voce dell'ometto «Sappiate che c'è stato un malinteso».

Il gelo calò su di loro.

Le pupille di Sebastian si restrinsero nei suoi occhi cremisi e il demone, che stava a poco a poco perdendo la sua parvenza di umanità si allontanò fulmineo da Ciel sibilando a denti stretti verso Occhi a Palla

«Come sarebbe a dire, un malinteso, eh?».

L'ometto allargò appena le braccia, volgendo alternativamente lo sguardo verso un punto vuoto e il suo interlocutore, come se incrociare per troppo tempo gli sguardi lo disturbasse «Infatti, è così, si»

«No» Sebastian scosse la testa, umettandosi le labbra «Stai mentendo. Stai cercando di sminuire in qualche modo il valore del mio contratto, per salvarti l'anima. No, no, stai dicendo una bugia, perchè altrimenti non ti saresti informato così bene su di me, non sapresti il mio passato. Tu sai con chi hai a che fare, non è vero? Tu stavi cercando... stavi cercando qualcuno che ti aiutasse, qualcuno che avesse un grande potere. Stavi cercando me. Sei così disperato da mentirmi per sminuirmi e farti dare una mano da Seras. È evidente che stai cercando qualcuno che collabori con te, ed è evidente, se sei venuto qui, che vuoi me. Altrimenti non ti saresti presentato ora! Non adesso!»

«Perchè non ora?» l'ometto socchiuse gli occhi, fissando il suo sguardo su Sebastian

«Oh, lo sai benissimo perchè!» il maggiordomo fece un sorriso che era insieme aspro e furbo «Perchè il mio padroncino mi ha appena scaricato, tradito e deluso. Perchè non ne posso più di questo stupido reality. Perchè è uno stupido moccioso umano» il dito inguantato di bianco puntò verso la telecamera «E i suoi piagnistei e i suoi capricci stanno mettendo a dura prova la mia pazienza, e il peggio è che ancora non ho finito! E quando quest'anno d'inferno sarà passato, io ancora non avrò finito!»

«Sai...» l'uomo si guardò i piedi per qualche secondo, poi tornò a fissare Sebastian «... Mi capita spesso di mentire. Talvolta le bugie sono un porto sicuro. Ma non stavolta. Sono tue teorie, Sebastian Michaelis. O forse dovrei chiamarti in un altro modo? Questo è il nome che ti ha dato il tuo padroncino, giusto?»

«Per ora sono Sebastian» sbuffò il maggiordomo «E spero di non esserlo più al più presto»

«Come dicevo, io non ho alcuna intenzione di perdere la mia anima. Io non ho bisogno di Seras, ma, se può dare una mano, perchè no?» Seras sorrise, tirata in causa, pensando che tutto ciò che il suo amico stesse dicendo fossero complimenti. Forse lo erano. Il che era preoccupante. «Non ho bisogno di tutto questo aiuto. Ti sei illuso, Sebastian, perchè speravi che io avessi qualcosa da offrirti, un contratto da proporti. Ma io...» battè le palpebre «...non ho quello che speravi. Sono qui per tutt'altra ragione, Sebastian, e non ho intenzione di legarmi a te».

Il demone sembrò perdere tutta l'aura demoniaca che aveva accumulato in quel discorso infervorato. Semplicemente, sparì. Sfumò.

«Ti odio» Disse il maggiordomo, semplicemente «Odio te come la maggior parte degli umani lì fuori. Siete vili, sporchi, mentitori. Io non mento mai. Io... è questo quello che Ciel Phantomhive mi ha chiesto. Di non mentirgli mai. E ora che cosa succede?» le labbra di Sebastian si inclinarono in una leggera smorfia «Arrivi tu. Stai cercando di manipolarmi, questo è ovvio»

«Io?» l'ometto fece un mezzo sorriso, che sparì immediatamente, insicuro, quasi avesse paura di Sebastian «Tu sei un demone Sebastian. Io sono solo un uomo. Come potrei... pensaci bene, Sebastian...».

Sebastian Michaelis chiuse gli occhi per un istante. Ci pensò, perchè doveva pensarci, e quello su cui ragionò era che, in effetti, lui era un demone: aveva ucciso molta gente ed era stato ingannato praticamente da nessuno. Perchè adesso temeva i giochetti di quel piccolo umano? Era a dir poco ridicolo!

«Chi sei?» Domandò «Perchè sei qui?»

«Quello che sono venuto a fare qui, beh, non ha assolutamente nulla a che fare con te, Sebastian. Ho stipulato un contratto con le persone che hanno ideato questo show: potrò usare la vostra casa del reality come... potremmo dire... un contenitore di stoccaggio»

«Stoccaggio? Di cosa?»

«Di tutto ciò che necessiti di essere portato e nascosto qui».

Sebastian iniziava a capire: doveva esserci sotto qualcosa di illegale. Armi. Droga. Decine di chili di esplosivo.

Il biglietto, scritto in iracheno. Seras, che parlava con quello strano uomo.

Gli autori, o le autrici, del reality, che non avevano alcuno scrupolo e che avrebbero fatto qualsiasi, letteralmente qualsiasi, cosa pur di guadagnare qualche centinaia di euro sonanti. Il maggiordomo demoniaco sapeva bene che la legalità non rappresentava un ostacolo per loro, che lo avevano già aggirato, che a loro non interessava.

«Sebastian!» Disse Ciel, improvvisamente «Hai intenzione di rompere il contratto?»

«Mi hai chiesto di essere sincero» rispose il demone, serrando poi le labbra per qualche secondo, prima di parlare «Ebbene, io sarò sincero con te, Ciel Phantomhive. Sarò sincero con te, fino in fondo, crudelmente e fedelmente. Non so ancora se voglio rompere il contratto con te perchè non so ancora se la cosa mi converrà. Ma se è come ho pensato, e a qualcuno serve il mio aiuto, allora la tua anima non mi servirà assolutamente a nulla... si è guastata, Ciel. Tutto il tuo rancore sta svanendo in una crescita che non mi piace, in un'indipendenza che mal ti si addice. Non voglio che tu cresca, Ciel, voglio che tu rimanga quello di sempre, astioso, aristocratico, ripieno d'odio fino a scoppiare. Voglio che la tua anima abbia il sapore del sangue giovane, con il tocco acido del disprezzo, l'esecrato sapore umano del sentimento più profondo»

«Parla come mangi, Sebastian!» esclamò Walter «Non si capisce niente!»

«Mi nutro di anime, Walter. Perciò... sto parlando come mangio. Non tocco il vostro vile cibo fisico, non mi nutro di pane, latte e carne come voi. Non ne ho necessità. Non sono come te, l'hai capito o no? Non sono umano».

Il maggiordomo non parlò e abbassò lo sguardo. Non sapeva cosa dire. Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi. Quello era un Sebastian diverso da quello che lui ricordava e sapeva che non si sarebbe fatto scrupoli a picchiarlo se lui avesse detto la cosa sbagliata, addirittura, avesse stupidamente fatto dello spirito.

Così fece l'unica cosa che gli venne in mente: cambiò argomento.

Si rivolse all'ometto che osservava la scena in un modo strano, come se, dietro la maschera invariata, il suo cervello stesse girando e raccogliendo informazioni e gli disse «Quello che Seras fa per conto tuo... è una cosa pericolosa?>

«Cosa è “pericoloso” per te?»

«Beh...» Walter si ritrovò a rifletterci «Io...»
«Niente giochetti,
umano» Sebastian calcò l'ultima parola come se avesse detto una parola schifosa, con un brutto sapore, da buttare subito prima che il suo gusto ti rimanga appiccicato sulla lingua «Rispondi e basta: può danneggiare me o il mio padroncino in un modo fisico o mentale, eh?»

«No» rispose l'ometto, senza esitazione. Questa volta sostenne lo sguardo del demone, senza fare spazi tra le parole o guardarsi intorno. Sebastian aggrottò le sopracciglia e lo scrutò; sembrava cercasse di scoprire tutto, di grattare via la maschera e sapere se stava cercando di mentirgli. Non capimmo se il suo interlocutore passò o meno l'esame.

«Bene» Disse alla fine Sebastian «Allora la cosa non ci riguarda. Andiamo, padroncino. Sei così piccolo e gracile, hai bisogno di dormire». Nel suo tono era chiaramente udibile lo scherno. Ciel era orgoglioso, ma non stupido, e non rispose. Si sentiva sconfitto, confuso, tradito. E, soprattutto, aveva paura.

Il demone voltò a tutti loro le spalle, seguito dagli occhi attenti dell'uomo con il coniglio bianco, e si preparò ad andarsene, seguito da Ciel che gli trotterellava dietro mestamente.

«Sebastian» lo chiamò l'ometto.

Il maggiordomo socchiuse gli occhi e si voltò, molto lentamente «Cosa vuoi ancora?»

«Mi dispiace per il contratto. So che ora probabilmente mi odi, ma volevo solo dirti che non è l'ultima volta che ci vedremo»

«Beh, allora l'ultima volta sarà la prossima» minacciò Sebastian in un sibilo «Perchè la prossima volta che vi vedrò, messere, farò in modo che i vostri spropositati bulbi oculari escano dalle apposite orbite mentre lei è ancora cosciente. Anzi, sarà l'ultima cosa che farò dopo averla lasciata ad agonizzare con qualche buon coltello piantato in corpo, così potrà vedere come la lascerò morire dissanguato mentre lei ancora sente dolore, perchè io la starò torturando. E, chissà? Potrò vedere che sapore ha l'anima di un bugiardo». Sebastian sfoderò un sorrisone cordiale, dopodichè si voltò e camminò a passo veloce verso l'oscurità.

Si sentirono i passi che risuonavano forti nel corridoio buio.

E insieme a quelli, le voci sempre più deboli dei tre che discutevano.

«Puoi andare, Seras. Hai fatto un buon lavoro, ma ora è il momento che ti riposi per la Grande Prova»

«Certo, B...»

«No, Seras»

«Giusto!»

«Questa “Grande Prova” è pericolosa?»

«Ancora una volta, cos'è “pericoloso” per te? Comunque avrai tempo di giudicare da te, molto tempo...»

«Senza offesa, signor Occhi a Palla, ma io non voglio essere coinvolto in queste cose..»

«Spegni la telecamera, Ciel».

In quel momento, il conte si rese conto che aveva lasciato l'arnese che aveva in mano a registrare. Premette un tasto, che sperò fosse quello giusto, e lo schermo si oscurò.

 

Quella notte, Walter fece un sogno davvero molto strano. Nel suo sogno, era nel cortile interno, con i suoi bianchi fiori ondeggianti. Nell'insieme era tutto tranquillo, ma per tutta la durata del sogno fu accompagnato da una spiacevole sensazione di cattivo presagio.

I concorrenti delle precedenti edizioni del reality, gli Altri Concorrenti, erano tutti radunati insieme a lui ed erano seduti vicino al muro rovinato che gli era rimasto tanto impresso nella memoria. Davanti a loro c'era Occhi a Palla. Continuava a parlare, divagava, parlava di libri, di doveri, di tante cose. Parlava loro della Grande Prova, dicendogli che forse era pericolosa, ma tutto dipendeva da come loro la vedevano. Se loro pensavano che fosse pericolosa, forse lo era. Parlava loro delle bugie, che a volte erano un porto sicuro. Parlava loro di come fosse facile avere un bonus, se sai a chi rivogerti. Parlava loro del fatto che, anche se non hai bisogno di aiuto, a volte il bonus può essere solo una cosa positiva. E nel, frattempo... si, gli stava preparando da mangiare.

Per Walter, nel sogno, era una cosa del tutto normale. Non solo che Occhi a Palla gli facesse da cuoco, ma anche tutta la situazione in generale.

Occhi a Palla continuò a parlare, fino a che non arrivò il suo strano coniglio bianco. Curiosamente, saltellò deciso proprio verso Walter e gli saltò sul petto.

In quel momento, il maggiordomo si svegliò. Conigliomane, il suo animaletto domestico, gli russava addosso, una calda palla di pelo raggomitolata su di lui.

Walter si mise a riflettere, a pensare, nel buio della notte. Richiuse gli occhi stanchi, ma il suo cervello continuò a lavorare.

Sapeva che spesso i sogni non hanno un senso, ma lui, a volte, si divertiva a trovargliene uno, e rifletteva su quello che aveva appena fatto. Il coniglio sul suo petto si contorse appena. Anche Occhi a Palla, quello strambo tizio, ne aveva uno. Sembrava anche conoscere piuttosto bene la casa del reality, visto che era riuscito a trovare il corridoio-sempre-all-ombra, a capire dov'erano tutte le telecamere e disattivarle. Sembrava che la conoscesse bene come... come se ci avesse vissuto, ecco. Sembrava anche a suo agio lì dentro, visto come ieri si era presentato e ci era passato allegramente.

Aveva l'aria di uno che ne ha passate tante, di uno che se la sa cavare perchè ne ha viste di peggiori. Di uno che aveva affrontato tante prove. Di uno che era uscito da un inferno in terra, o forse che era stato proprio all'inferno.

E, mentre Walter boccheggiava incredulo, la rivelazione lo colpì come uno schiaffo.

Credeva proprio di avere appena trovato un significato al suo sogno di quella notte.

Occhi a Palla era uno dei concorrenti... era uno dei concorrenti della vecchia edizione del reality!

  
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