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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    12/06/2013    5 recensioni
Questa storia è una AchilleXBriseide.
Ma non è solo una AchilleXBriseide.
E' tutta la storia del loro amore intervallata da pensieri di Briseide durante TUTTA la guerra.
Spero di avervi attirato.
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Estratto dal testo:
Briseide ebbe paura, quando, con un dolce bacio, l’eroe le tappò l’urlo che stava per uscire dalla gola.
E ebbe paura quando, lentamente, con mano sicura e allo stesso tempo tremante, Achille le alzò la gonna bianca.
Ma la cosa di cui ebbe più paura, quella notte, era il fatto che anche a lei quel contatto era piaciuto.
Che in fondo sia lui che lei stavano godendo.
[...]
Per la prima volta da quando era lontana da Agamennone, la sacerdotessa aveva di nuovo paura.
Ogni guerriero che vedeva bruciare sulla spiaggia, temeva fosse troiano. Provava a immaginare il suo viso, la sua voce, la sua vita prima di quella tragedia.
Avrà avuto figli? Si chiedeva. E una moglie amorevole che l’ha confortato?
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio | Coppie: Achille/Briseide
Note: Lime, Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Allora, vi avverto sin da subito che questa storia è lunghissima.
E che è una cosa vista e rivista.
E che è un abominio.
Ma credo dia una buona chiave di lettura sul loro amore e sull'amore in generale.

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“Perché hai scelto questa vita?”

 
Si chiedeva perché non avesse paura, in quel momento.
 
“Quale vita?”
 
Il grande Achille, il grande eroe, l’uomo che con una mano sola avrebbe potuto far cessare la sua permanenza sulla Terra, era lì davanti a lei.
 
“Del grande guerriero…”
 
E lei era a portata di mano.
 
“Non l’ho scelta. Sono al mondo e sono così.”
 
Ma stranamente non aveva paura.
 
“Non hai paura?”
 
Le sacerdotesse, al tempio, le avevano spesso parlato di lui come un uomo crudele, vendicativo, sanguinario, irrispettoso degli dei e assolutamente negativo. Un guerriero solitario e inavvicinabile, dal cuore duro e insensibile. Un greco che non aveva nessun rispetto per gli dei in cielo o in terra.
Un essere spregevole, che nessuno voleva avvicinare e che tutti temevano, che aveva ciò che voleva e che se non lo aveva se lo prendeva da solo.
Quante mogli erano diventate vedove a causa di quella mano che ora le cingeva la vita possessivamente.
Quanti fratelli diventati figli unici a causa di quella spada che era ora lì, vicino a lui, a portata di mano.
E quante donne avevano avuto il cuore spezzato per quel corpo, ora sopra di lei, lì, bello e inafferrabile, che era stato di tutte ma di nessuno.
Ma davanti a sé, la sacerdotessa non aveva visto poi quel bruto che si aspettava di incontrare.
Come aveva pianto quando aveva saputo che sarebbe stato suo dono di guerra.
Tutto, la dolce Briseide aveva sperato tranne quello. Tutto le sarebbe andato bene, quando aveva capito che non c’era più nulla da fare ed era meglio sottostare ai greci che continuare a combattere per i ministri di Apollo ormai morti. Forse, pensava ingenuamente, i greci l’avrebbero trattata con più “gentilezza”, se si fosse consegnata spontaneamente. Aveva sentito, dalle ancelle a corte, che molti avversari di Troia che si erano mostrati disponibili a non combattere più, erano diventati prigionieri di guerra e avevano passato la loro vita in prigione. Come destino non le sembrava uno dei migliori, ma sarebbe comunque vissuta, e comunque quando i troiani avrebbero vinto la guerra, suo zio sicuramente l’avrebbe fatta liberare immediatamente.
Ma quando aveva saputo che sarebbe diventata “dono di guerra” del guerriero che più temeva e che tutta la Grecia e Troia stessa lodava, il suo cuore aveva perso un battito.
Dono di guerra non era “prigioniera di guerra”. Achille avrebbe potuto fare di lei tutto ciò che voleva. Anche strapparla dal verginale voto da cui era legata ad Apollo.
E la cosa peggiore era che l’avrebbe fatto contro la sua volontà.
L’avrebbe presa con violenza e senza chiedere permesso, e avrebbe tappato la sua bocca mentre, disperata, urlava aiuto. E forse, se si fosse rifiutata di accondiscendere a tutti i suoi desideri, il guerriero l’avrebbe uccisa, presto o tardi, senza pietà.
Dunque, che terribile destino l’attendeva.
Che tragicità scuoteva, d’un tratto, la sua vita:il sottostare a un criminale, a un nemico, a un uomo la cui anima era nera come il fondo di un pozzo…. Lei che non aveva mai fatto del male a nessuno, lei che probabilmente aveva peccato solo arrendendosi ai troiani, rovinandosi così per sempre la vita.
Come si era spaventata…
Quel terrore, aveva scoperto dopo, era stato del tutto immotivato. Perché, come lei stessa ebbe occasione di scoprire, stupita, più tardi, Achille non era affatto quell’assassino a sangue freddo che tante volte si era figurato, no.
Briseide si era ritrovato davanti solo un uomo spaventato quanto lei. Un uomo che lottava per la gloria eterna ma che nella vita non aveva mai avuto altri obbiettivi se non quello che gli uomini si ricordassero di lui per sempre.
E come lei quell’uomo era terrorizzato: terrorizzato che sulla terra non ci sarebbe mai stato, in futuro, un cantastorie che rievocasse il suo nome e le gente, intorno ad applaudirlo. E tutta quella gente avrebbe conosciuto il suo nome, sì, avrebbe ricordato il nome di Achille, e l’avrebbe ripetuto, e così, chissà, magari avrebbe raccontato di lui anche a suo figlio, e poi al figlio del figlio. E così, di generazione in generazione, il suo nome non sarebbe passato mai.
Un uomo che soffriva pene d’Inferno per ogni soldato ucciso e che si chiedeva spesso se anche lui sarebbe morto atrocemente come quelli che uccideva.
Un uomo che aveva agito barbaramente solo per difenderla e per difendere sé stesso.
Un uomo insolente col suo re, è vero, ma anche il re non era il top.
Briseide, in fondo, era stata felice di non vedere quel bruto che si aspettava, quando era diventata suo “dono di guerra”.
Achille non l’aveva violentata e non aveva mai giudicato la sua scelta di essere sacerdotessa di Apollo. Aveva accettato le sue scelte e l’aveva resa libera seppure prigioniera sua e dei suoi occhi blu.
Probabilmente il guerriero l’avrebbe lasciata andare, se glielo avesse chiesto. Le avrebbe almeno lasciato avvisare suo zio che era ancora viva e vegeta, e forse, se Priamo fosse venuto a prenderla, l’avrebbe lasciata fare.
Forse.
Ma Briseide, stranamente, non aveva intenzione di andare.
Non VOLEVA andare.
L’attrazione che tra loro si era creata per pochi, brevi secondi, era bastata a confonderla e a renderla succube di quel dolce smarrimento e di quella confusione che caratterizza gli innamorati.
Probabilmente se ne sarebbe andata presto.
Il greco non sembrava pericoloso al punto di ucciderla o di avere rapporti a forza con lei.
Sarebbe bastato così poco, ma non l’avrebbe fatto.
Briseide era debole e ferita, e lui poteva sovrastarla come voleva, e zittirla con una sola delle sue mani,e strangolarla contemporaneamente con l’altra se tentava di scappare.
Ma non l’avrebbe costretta.
Quel senso di liberazione che le aveva preso l’anima, per pochi, brevi minuti, era durato poco.
Troppo poco.
Agamennone l’aveva presa con lui con la stessa forza con cui Achille, senza però nessuna violenza, l’aveva presa con sé, Briseide si era sentita irrimediabilmente perduta.
Stavolta non c’era più “lui” che la proteggeva e che poteva darle asilo nella guerra che li stava travolgendo.
Stavolta non aveva più la certezza che nessuno l’avrebbe presa con sé e l’avrebbe fatto, senza ritegno e pudore.
La paura che provava, ogni notte, quando andava a dormire, di poter sentire il fiato di Agamennone o quello di qualche soldato, sopra di lei, era così grande che la teneva sveglia tutta la notte, e la mattina Briseide aveva due grandi occhiaie sotto gli occhi e la paura ancora nel cuore.
Quando era stata rapita da Agamennone, aveva implorato gli dei, scandalizzando addirittura sé stessa, di riportarla da lui. Briseide sapeva di essere una sciocca, e ne era assolutamente sicura, mentre implorava il divino Apollo di poter rivedere quell’uomo, di cui in fondo non sapeva niente, di nuovo, ma in quel mondo di guerra, la sacerdotessa non aveva altri approdi se non quel guerriero che aveva visto all’accampamento. Suo zio Priamo la credeva probabilmente morta, e sicuramente Ercole e Paride non sarebbero intervenuti in suo aiuto quando fuori esplodeva la guerra.
Ma da quanto sapeva, Achille aveva lasciato la battaglia solo per lo sgarbo che Agamennone gli aveva fatto portandola via da lui, e ciò bastava a renderlo, agli occhi di Briseide, l’unico punto d’appoggio nel disordine.
Certo, il suo campo non sarebbe stato il posto più adatto a vivere per una giovane sacerdotessa, ma, forse, finita la guerra, l’avrebbe riconsegnata a suo zio.
O forse l’avrebbe portata via da Troia e l’avrebbe resa una delle sue tante donne del suo “harem”.
Il terrore di quei soldati che ogni volta che le passavano davanti mandavano fischi di ammirazione era pari al terrore che provava per Achille e le sue braccia possenti, ma tra le due alternative che le si proponevano davanti, il guerriero greco sembrava decisamente migliore. Di lui sentiva, in qualche modo, di potersi fidare. Era o non era stato, forse, l’unico a difenderla?
Poi, era arrivata quella terribile notte.
Allora, Briseide aveva avuto davvero paura.
Agamennone l’aveva gettata in mezzo a quei soldati come un padrone lanciava un pezzo di pane a dei cani affamati. Potevano morderla e mangiarla a loro piacimento, e ognuno poteva avere la sua parte di godimento.
Dunque era quello che era diventata, con quella guerra: la troia di Troia.
Lei che nella vita aveva predicato il rispetto e che si era sempre tenuta lontana dalle feste solo per evitare tentazioni, ecco in che cosa la guerra l’aveva trasformata.
La merce pubblica gratis.
Un bocconcino sfizioso e invitante.
Un morso qui, un morso là…
Come sforma la guerra non sforma null’altro.
Forse, quegli uomini che la stavano stringendo in quel momento, pensava, erano stati, in una vita precedente, mariti devoti e genitori affettuosi.
Forse non avevano mai davvero ucciso nella vita e non avevano mai capito veramente come la brutalità del conflitto cambia le personalità e la vita.
Forse in una vita precedente non avevano mai palpato la carne di un’altra donna che non fosse loro moglie.
Ma una battaglia era appena finita, e c’era bisogno di dimenticare le facce degli uomini uccisi e di dimenticare, soprattutto, la paura.
Aveva provato a difendersi, sì, ma in fondo quegli uomini erano molto più forti di lei, e molto più determinati a spuntarla.
Poi…
Era arrivato lui.
E l’aveva portata via.
Le aveva salvato la vita, in quel momento.
E Briseide probabilmente non avrebbe mai ammesso a sé stessa quanto felice fosse stata quando l’aveva presa tra le braccia con un tremito di paura, come chi trasporta una merce delicata ed ha paura di romperla, e di come lei aveva goduto a quel tremito, e si era abbandonata a quell’abbraccio.
Non era stato certo gentile, questo no.
In fondo il greco era e restava un nemico.
Restava il fatto che era comunque suo dono di guerra, e che da un momento all’altro poteva balzarle addosso.
E così la sacerdotessa rimase per un po’ sulle difensive, tesa come un gatto, in attesa di un attacco che non sarebbe mai venuto.
Achille non l’avrebbe mai violentata, e in fondo lo sapeva.
Era un uomo che non aveva mai capito cos’era la vita e non aveva mai capito cos’era l’amore. Era un uomo che per la prima volta provava rispetto per qualcuno.
E per la prima volta nella sua vita, Briseide si fidava veramente di un uomo.
Quando l’aveva presa in braccio si era sentita protetta, e ora, nella sua tenda, l’odore del sangue sembrava più lontano e più inafferrabile.
Il discorso che fecero poco dopo non fece altro che riconfermarle ciò che già aveva captato prima: Achille era un brav’uomo. E lei era follemente, irrimediabilmente attratta da lui.
Come una calamita di polo positivo, il guerriero la attirava e la respingeva allo stesso tempo. Le incuteva timore ma le dava sicurezza. Gli sembrava a volte così fragile e a volte così irrimediabilmente violento. A volte avrebbe voluto toccargli i capelli con dolcezza, e perdersi nei suoi occhi, e sentiva un fuoco che la bruciava dentro di passione. Ma allo stesso tempo aveva troppa paura e si sentiva troppo debole rispetto a quell’uomo. Lei era come una statua di argilla nelle mani di un abile vasaio. Quel guerriero poteva farle fare ciò che voleva e lei sarebbe rimasta muta, perché non avrebbe saputo scegliere tra “sì” o “no”.
E così, aveva deciso di ucciderlo.
Non era stata una decisione facile, naturalmente, ma era giunta alla conclusione che era la soluzione migliore per tutti. Per lei, per lui, e per l’esercito troiano.
Lei sarebbe potuta tornare dal suo caro zio e dimenticare tutto.
Per l’esercito greco non ci sarebbe stato scampo e i troiani avrebbero certamente vinto.
E lui, avrebbe probabilmente smesso di soffrire. Sapeva dei suoi demoni e delle ombre nel suo passato, e forse quella coltellata alla gola gli avrebbe dato la libertà che tanto agognava da corpo mortale ormai stanco e solo.
L’unico problema era: ci sarebbe riuscita?
La possibilità di uccidere non le era mai stata data nella vita, e se in un primo momento, toccando il pugnale, l’aveva attratta con forza prorompente, ora, lì, con la mano tesa verso la sua gola e il cuore che batteva forte, non era più sicura di poterlo fare.
 
“Ucciderai altri uomini se non ti uccido.”
 
Il suo corpo era sopra di lei.
 
“Molti.”
 
Le sue labbra sulle sue.
 
“Coraggio…”
 
E la sacerdotessa tremava come un uccellino in gabbia.
Briseide ebbe paura, quando, con un dolce bacio, l’eroe le tappò l’urlo che stava per uscire dalla gola. E ebbe paura quando, lentamente, con mano sicura e allo stesso tempo tremante, Achille le alzò la gonna bianca.
Ma la cosa di cui  ebbe più paura, quella notte, era il fatto che anche a lei quel contatto era piaciuto.
Che in fondo sia lui che lei stavano godendo.
Che quel bel corpo, steso vicino a lei, che tante volte la prendeva per lasciarla poi andare, le sembrava bello come nessun corpo che avesse mai visto.
Che, quella notte, ad occhi chiusi, con il respiro affannoso di un uccellino che lascia il nido, completamente nuda, Briseide aveva scoperto ciò che mai, mai avrebbe creduto possibile avere nella sua vita: l’amore.
Perché se non era amore quel desiderio costante di lui, e quel suo sguardo che la inchiodava e non le lasciava scampo, e se non era amore quella paura e quella meraviglia, e se non era amore avere paura che se ne andasse, allora era ubriaca.
Ma sapeva benissimo di essere lucidissima e di stare infrangendo, consapevolmente e spaventosamente cosciente, il voto di castità.
E non le importava.
Tutto ciò che voleva era lui, lì, con lei, a stringerle i capelli e a toccarle i bei seni.
E intanto lei tremava, ancora, e le sue labbra tremavano, e Achille non si fermava quasi mai. E se a volte le sorgevano sulle rosse labbra le parole “Fermati”, immediatamente le ricacciava in gola e continuava, più intensamente e nuovamente, a baciarlo e a carezzarlo.
E la mattina era esausta.
E il suo corpo sembrava non appartenerle più.
Si toccava i capelli e sentiva il suo odore impresso sulla mano, come un marchio ora presente sul suo corpo.
Era stata sua e lo era per sempre.
E aveva il suo odore addosso.
E gli occhi che così l’avevano guardato erano pieni della visione delle sue pupille blu.
E le labbra che tanto a lungo lo avevano baciato avevano ancora, impressi a stampo, i suoi dolci e caldi baci.
Briseide scoprì, con la paura e la meraviglia di una scolaretta, che l’amore era meraviglioso.
E la sera dopo ne aveva riavuto la conferma.
 
“Sono ancora tua prigioniera?”
 
Il suo corpo stretto a lei.
 
“Ospite, direi.”
 
Il caldo contatto della sua pelle.
 
“A Troia l’ospite può andarsene quando vuole…”
 
I respiri che passavano tra un bacio e un altro.
 
“E allora vattene.”
 
E così, la sera, lui stava con lei.
E ogni volta, ogni volta che potevano, lo facevano, stretti l’uno all’altra, come due adolescenti incoscienti al primo amore.
Liberi e senza costrizioni, senza tempo e spazio, semplicemente insieme.
Mai sazi.
Sempre desiderosi di qualcosa in più.
E non c’era una guerra da combattere, là fuori, per Achille.
Presto sarebbero partiti.
Sarebbero andati via insieme.
E quella favola che stavano vivendo sarebbe continuata, ancora e ancora e ancora.
Sull’isola di Achille stesi sulla spiaggia stretti insieme.
Ormai, Briseide ne era certa, non aveva più costrizioni.
Suo zio la dava sicuramente per morta. E ormai Troia era un ricordo lontano, una vecchia effigie di un passato. Un passato felice, ma sempre il passato.
Ora c’era il futuro, e il futuro era Achille.
Ormai non c’era più nulla a impedirli, potevano andare!
Che andassero al diavolo, Priamo e tutti i greci! Il loro amore era più grande di tutte quelle sciocchezze.
Ma un soldato, Briseide lo avrebbe imparato a sue spese, non può sottrarsi al richiamo della guerra.
O, come era successo in quel caso, al richiamo della vendetta.
In Achille, quando aveva saputo della morte del cugino, si era riaccesa la rabbia furiosa che la sacerdotessa credeva seppellita da tempo.
E anche se lo aveva supplicato, pregato, quasi implorato di non farlo, aveva ucciso Ettore.
Aveva ucciso suo cugino.
Aveva ucciso uno dei pochi uomini che aveva amato davvero.
Aveva ucciso Troia.
Sì, Achille aveva ucciso Troia, così.
E, chissà perché, alla morte di quella effigie, Briseide si era resa conto di come era stata stupida a credere in un futuro migliore.
A credere che oltre tutte le brutture che la guerra aveva creato potesse esserci un mondo più vero, più giusto, più bello, più buono.
A credere che solo l’affetto e l’amore che nutriva per lui avrebbero allontanato Achille dal suo mondo e dai suoi fantasmi.
Che lei potesse cambiarlo.
Come era stata ingenua.
Non si cambiano i soldati.
Non si può mettere in loro a pietà, quando sono naturalmente portati per la distruzione e la vendetta.
                                                     
“Hanno ucciso tuo cugino, e tu hai preso il mio. Quando finirà?”
 
La guerra d’improvviso era più vicina al suo cuore.
 
“Non finirà mai.”
 
Il suo odio per Achille non era neanche nato. Non era capace di odiare il guerriero per ciò che aveva fatto. Nonostante lo volesse con tutte le sue forze, non POTEVA odiare l’uomo che le aveva ucciso il cugino.
Ora che l’idillio con Achille era stato rotto, d’un tratto la gravità della guerra entrò dentro Briseide con la stessa forza con cui un’onda sbatte su uno scoglio. Per la prima volta da quando era lontana da Agamennone, la sacerdotessa aveva di nuovo paura.
Ogni guerriero che vedeva bruciare sulla spiaggia, temeva fosse troiano. Provava a immaginare il suo viso, la sua voce, la sua vita prima di quella tragedia. Avrà avuto figli? Si chiedeva. E una moglie amorevole che l’ha confortato?
Avrà avuto la felicità oltre all’effimera gloria? Avrà avuto qualcosa per cui lottare?
Avrà avuto senso questo sacrificio, quando la guerra è già persa?
Piano piano, la paura diventò rassegnazione.
E la rassegnazione una triste consapevolezza: quella guerra era già persa.
E ogni soldato che bruciava sulla spiaggia un inutile sacrificio a un dio che non esisteva e a un re che non sapeva piangere per quegli uomini.
Chi lo dirà alle loro famiglie?
Chi piangerà per loro?
Hanno avuto qualcuno che è venuto al loro funerale?
Non credeva che Achille potesse vantare qualche parente che venisse al suo funerale.
Che strana la vita.
Avrebbe avuto la gloria eterna, ma nessun parente sarebbe venuto a salutarlo.
 
“Se ti ho fatto del male, non era questo che volevo.”
 
Quando l’aveva ridata a suo zio, era rimasta davvero stupita.
Che le cosa tra loro fossero già finite era ormai scontato. Nessuno dei due aveva avuto il coraggio di dirlo apertamente all’altro, ma tutto ciò che era successo tra loro era davvero troppo per poter renderli ancora felici insieme.
Ormai era un dato di fatto che non c’era più nulla del loro “grande” amore.
E anche Briseide era convinta che ciò che riteneva amore, allora, era stata solo un’illusione temporanea, un’infatuazione stupida, una pazzia che l’aveva portata al suo totale annientamento morale.
E anche se ogni tanto gli occhi di Achille si posavano nuovamente nei suoi, lei non poteva guardarli senza vedere in essi gli occhi di colui che aveva ucciso suo cugino.
Cosa ne avrebbe fatto di lei non ne aveva idea, ma era certa che comunque non l’avrebbe lasciata andare tanto facilmente.
Forse l’avrebbe portata come un soprammobile nella sua isoletta, quando la guerra sarebbe finita, e l’avrebbe mostrata ad amici e parenti come una conquista di guerra.
In fondo, non si era già preso la sua verginità? Poteva anche prendersi la sua dignità.
Ma che la riconsegnasse a Priamo, con la gentilezza e la compostezza di un reale, senza che neanche suo zio implorasse, questo non se l’era davvero aspettato.
Aveva ricominciato a pensare ad Achille come all’individuo bruto e violento che le compagne, al tempio, le dipingevano, e ogni istante che passava con lui si era trasformato in paura allo stato puro. Temeva che da un momento all’altro quelle braccia, che tante volte l’avevano stretta e abbracciata, potessero d’un tratto bagnarsi di sangue. Il suo sangue.
Perciò se ne stava calma e buona per evitare discussioni. Ma Achille non sembrava avere davvero nulla per cui avercela con lei. Le passava davanti con indifferenza e non la guardava quasi più. Ma Briseide aveva paura di lui e del suo sguardo vitreo, e di come la sua indifferenza potesse, da un momento all’altro, diventare rabbia omicida.
Perciò, quando l’aveva riconsegnata a Priamo e davanti a lei era apparso l’Achille dolce e pieno di pietà che aveva incontrato tanto (sembrava tanto) tempo prima, era rimasta davvero stupita.
E quando se n’era andata, si era chiesta, stupendosi lei stessa, se quella indifferenza non fosse, in realtà, la sofferenza repressa di un uomo troppo orgoglioso per ammettere che il sentimento che provava per lei in realtà non era affatto morto.
Si era zittita immediatamente, cercando di reprimere il fuoco che, di nuovo, impetuoso, gli era nato nel petto, improvvisamente, non appena i suoi occhi si erano di nuovo incrociati con quelli dell’acheo.
Ma, quando se n’era andata, il suo cuore, si era reso conto, aveva perso un battito per il dispiacere di dire per sempre addio all’unico uomo che avesse mai amato.
Perché, doveva ammetterlo, era amore se ancora non riusciva a dimenticarlo.
 
“Ti sei battuta, hai coraggio.”
 
Ne erano passate tante di notti senza di lui, nel castello di suo zio.
Notti tristi e senza luna, silenziose e piene di angoscia, con l’orecchio teso per prevedere un possibile attacco dei greci.
Achille aveva promesso sette giorni di pace per onorare suo cugino, ma il suo re non era altrettanto magnanimo come lo era stato lui.
E più volte Briseide aveva pensato a un orrendo trabocchetto ordito per mandare definitivamente giù Troia.
E, in effetti, era strano davvero che, per un soldato che odiava con tutto il suo cuore, Achille avesse concesso le onoranze funebri, quando non erano state concesse per ogni singolo soldato innocente ucciso.
La solitudine della sua grande stanza le toglieva il fiato e le dava l’ansia più totale. Il terrore che da un momento all’altro qualcosa potesse succedere.
Le mancava la presenza rassicurante e imponente di Achille vicino a lei, in un letto così grande che sembrava una camera a parte.
Si era interrogata spesso, nella notte, su quello che avrebbe fatto dopo la fine di quell’incubo.
Dove sarebbe andata, cosa avrebbe fatto?
Al tempio non l’avrebbero di certo voluta di nuovo, dopo ciò che era successo.
Suo zio Priamo non le aveva fatto domande, ma ogni tanto il suo sguardo muto sembrava volerla rimproverare, o forse era solo lo sguardo di un uomo sconfitto dalla vita che guarda il suo ultimo errore.
Briseide si sentiva terribilmente “sbagliata” in quel palazzo.
Tra tutte quelle crinoline e quei chitoni così ricchi di gemme e di oro si sentiva tremendamente impacciata e fuori posto.
Perché suo zio ostentava ancora quella finzione della nobiltà se, lo sapevano entrambi, la guerra era già persa e il loro potere era andato?
Forse si stava rifugiando dietro quella maschera per non far vedere al popolo troiano che dentro, in realtà, era già tutto morto.
Per le strade, quando la gente la vedeva, la additava e si girava da una parte.
Pensavano che non se ne accorgesse, ma lei ci vedeva benissimo.
E non le importava nulla se ora era diventata, grazie all’aver infranto il voto di castità, lo zimbello della città e la sacerdotessa “sacrilega”.
Un mondo stava per crollare, e nessuno l’avrebbe criticata all’Inferno.
 
“Ti voglio rivelare un segreto, una cosa che non insegnano nei templi: gli dei ci invidiano”
 
I suoi sentimenti per lui si facevano sempre più confusi col passare delle ore, dei minuti, dei secondi.
Se da una parte il suo cuore batteva ogni volta che vedeva un carro acheo passare davanti al palazzo, la sua mente le diceva disperatamente di non cedere come aveva fatto in precedenza.
Si sentiva terribilmente attratta e terribilmente respinta verso di lui. Avrebbe voluto raggiungerlo al campo ma nello stesso tempo si sentiva troppo ostile verso l’uomo.
L’amava? L’aveva mai amato?
Non lo sapeva e non ne aveva idea.
Forse ciò che aveva provato era stato solo una scappatella passeggera, qualcosa che aveva provato per sfuggire ala brutalità della guerra.
Una distrazione, un piccolo svago per dimenticare che fuori la gente moriva.
Sì, probabilmente doveva essere stato così, era impazzita per tutto ciò che aveva visto: i ministri di Apollo uccisi, degli uomini che la volevano violentare, un guerriero che la salvava marchiando un altro soldato…
Probabilmente la pazzia si era impadronita di lei, in quel momento in cui anche lei aveva ricambiato il bacio di Achille.
Ma Briseide si conosceva bene, e sapeva di non essere una donna che faceva le cose “tanto per fare”. Non si lasciava dominare da un sentimento come la pazzia, e aveva una mente razionale e precisa. Non era avventata e non lo era mai stata. Ciò che aveva fatto, l’aveva fatto con molta imprudenza, sì, e leggerezza, ma in un certo senso non aveva permesso all’acheo di violentarla.
Era stata lei stessa consenziente, e lo sapeva bene, e lucida fino all’ultimo istante, sicura di ciò che voleva e di ciò che voleva fare.
Non era stata la pazzia a dominarla, no.
Eppure Briseide era stata sicura, fino al giorno prima, di non volersi mai concedere a nessun uomo e di essere solo una casta servitrice di Apollo.
Servitrice di un dio che adorava e pura fino alla morte.
E ora si ritrovava sempre più distante da un dio che non capiva e che non voleva punire i colpevoli, colpevole lei stessa di aver rotto un giuramento e di essere sporca e impura.
Come era arrivata a quel punto?
C’era davvero qualcosa, nella sua testa, che non era la pazzia, ma che le aveva fatto fare tanti gesti stupidi e irrazionali?
Perché aveva fatto ciò che aveva fatto?
Perché non era rimasta al suo posto di umile serva ed era diventata concubina?
Perché non aveva rifiutato, quando poteva rifiutare?
Forse non era stata una scappatella passeggera.
Forse qualcosa era nato, nel suo cuore e le era penetrato fin dentro l’anima, dove ora, forte e determinato, bruciava e corrodeva tutto ciò che intorno c’era.
Debole e sola, si aggirava per il palazzo come un’anima in pena, osservando come la guerra aveva trasformato anche suo cugino in un uomo silenzioso e docile.
Spesso saltava i pasti perché non riusciva più a guardare negli occhi suo zio, che, invece, imperterrito, la scrutava con una pena infinita.
Le faceva male vedere la sua vita e i suoi cari ridotti a quel modo, tutto per colpa di uno stupido acheo che si era preso suo cugino.
Ma allo stesso tempo, il suo desiderio più forte, in quel momento, era stare con quell’acheo, trovarlo, parlargli, e rivedere quegli occhi blu che l’avevano stregata fin dal primo momento.
Ogni tanto, quando era chiusa nella sua camera, stesa sul suo letto con gli occhi fissi nel vuoto, Elena arrivava e si stendeva vicino a lei, ugualmente fredda e indifferente.
Tra le due donne era nato un legame che, anche se non fatto di parole o di gesti, era comunque forte e solido.
Forse, accomunate dal comune destino di un amore che le aveva sconvolte, si appoggiavano l’una all’altra con fraterna comprensione.
Sta di fatto che, se Briseide voleva, ogni tanto uscire, Elena usciva con lei.
E se lo sguardo della prima si posava per lunghi istanti sulla spiaggia, l’altra le stringeva le spalle e con un fievole “andiamo”, la strappava da quella vista.
Il pensiero di Achille era fisso nella testa di Briseide come un chiodo, e più tentava di cacciarlo via, più quel chiodo si ficcava nel suo cervello e le faceva scoppiare la testa.
Il dolore, dopo poco, divenne straziante dolore e un’aura di sofferenza prese a circondare la giovane troiana, un tempo così vispa e vivace.
Il suo fisico diventava asciutto per i pasti saltati, e il suo viso scavato.
Gli occhi si ingrandivano ogni giorno di più, e i suoi vestiti erano spesso grigi o in tinte scure.
Briseide si guardava allo specchio e quasi non si riconosceva più: era davvero lei?
Quella Briseide che aveva fatto battere il cuore di tanti troiani con la sua bellezza?
Dov’era corpo così bello che tutti lodavano con malcelata malizia? E le sue curve che tutti lodavano e guardavano di sottecchi? E quel seno poco accennato che la faceva sembrare ancora più desiderabile?Quel sorriso che la illuminava tutta e la rendeva luminosa?
I suoi occhi e il suo viso da piccola, bambina innocente?
Dov’erano quei tratti che Achille aveva amato?
Il suo animo si risollevò, dopo la crisi dei primi giorni, e Briseide riuscì a convivere con il suo dolore e i suoi interrogativi martellanti.
Riprese a mangiare e a indossare tinte più chiare e dolci.
Tuttavia, dentro di sé, qualcosa era cambiato.
Da bambina incosciente e ingenua, era divenuta ora un’adulta.
E da adulta ragionava, parlava e si comportava.
Non diceva quasi nulla, ma ciò che diceva era misurato e docile.
Si vedeva poco nel castello, ma quando c’era, era sempre ad aiutare e a parlare con Elena.
Nei suoi occhi non brillava più la luce infantile dell’ingenuità, ma una luce più profonda e più “vera”: la luce della ragione e della rassegnazione.
La guerra l’aveva cambiata e per sempre sarebbe rimasta così, lo sapeva.
Presto tutto sarebbe finito, e lei sarebbe rimasta quella che era ora.
Non c’era un ritorno e non c’era un altro modo.
Con la fine della guerra, lei non sarebbe tornata la bambina che suo zio ricordava.
 
“Credevo fossi un bruto”
 
La prima cosa che fece quando seppe della vittoria di Troia e di tutti i dettagli della morte atroce dei greci, fu chiedere a Paride se tra i morti appestati fosse presente anche Achille.
Suo cugino aveva aggrottato le sopracciglia e non aveva risposto.
Probabilmente, pensò Briseide, si era chiesto cosa mai potesse interessare a sua cugina dell’uomo che per intere notti l’aveva, nella sua visione, violentata.
E di quella preoccupazione verso Achille, si stupì anche lei.
In fondo, quell’uomo era stato l’uomo che ora aveva ridotto a un fantasmino lei e suo zio. Era l’uomo che le aveva strappato via la vitalità e l’aveva trasformata in angoscioso silenzio. Era l’uomo che, senza se e senza ma, l’aveva resa schiava del suo corpo.
Era l’uomo che, sebbene fosse difficile ammetterlo, le aveva rovinato la vita.
Ma, nonostante tutto il male che quell’uomo le aveva dato, doveva anche ammettere che le aveva dato anche momenti di inebriante felicità.
Ricordava ancora, nel suo letto, abbracciata al cuscino, quegli attimi fugaci in cui era stata sua, e quando da fuori non arrivava nessun rumore, e quando, al freddo, stretti l’uno all’altra, era il loro respiro a riscaldarli.
Gli attimi in cui, così vicini e lontani, la sua felicità era stata gioia piena.
Se Achille era morto con quei soldati, forse era la cosa migliore per tutti.
Ma non per lei.
 
“Non mi devi temere, Briseide. Sei l’unica troiana che può dirlo.”
 
Era a letto quando era successo.
Quella notte Priamo l’aveva salutata con un bacio e con la promessa che nessuna battaglia avrebbe disturbato il suo sonno quella notte.
Ma nonostante quella promessa, e il sollievo di non dovere più passare le notti terrorizzata dall’idea di Troia distrutta, Briseide, stesa al buio, sola e immobile, era triste.
Avevano vinto. Era tutto finito. Si poteva ricominciare da capo, ora.
Lei avrebbe dimenticato, prima o poi, Achille, e, ricostruito il tempio di Apollo, sarebbe tornata ad amministrare riti e a svolgere quei compiti che non aveva avuto tempo di svolgere. Era stata una stupida a pensare che non l’avrebbero più voluta: lo scandalo si sarebbe placato col tempo, e a lei non importava essere additata a vita.
Suo zio si sarebbe presto ripreso e suo cugino avrebbe trovato la felicità con Elena.
Tutto sarebbe tornato alla normalità.
Tutto stava tornando alla normalità.
Ma dentro di sé, Briseide sapeva che nulla era più come prima e mai sarebbe tornato come prima.
Al contrario di suo cugino, che dietro a un’ apparente maschera di tranquillità, nascondeva un dolore immane, e che tentava di ricostruire ciò che non c’era più, la sacerdotessa era consapevole che ormai era irrecuperabile ciò che con la guerra avevano perso: non solo un cugino e un fratello, ma anche la propria allegria e la vivacità che da sempre contraddistingueva la città di Troia.
Come avrebbero trovato, ora, il coraggio di festeggiare, quando migliaia di soldati erano morti?
Come avevano trovato, i cittadini, il coraggio di festeggiare, se il sangue dei loro fratelli ancora bagnava, a pochi chilometri di distanza, la spiaggia una volta candida di Troia?
Chi avrebbe trovato il coraggio di nascondere un simile dolore?
Dentro di sé, Briseide si sentiva come morta dopo quella guerra.
E il sonno non arrivava a obliare tutto ciò che di brutto ricordava.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, la sacerdotessa si ritrovò straordinariamente vicina ad Achille e si chiese come il guerriero poteva sopravvivere a tutto ciò che aveva visto e a tutti quelli che aveva ucciso.
 
“Questo momento non tornerà mai, e tu non sarai mai più bella di così…”
 
Appena aveva realizzato cos’era successo, era corsa, disperata, davanti alla statua di Apollo che era al centro della città.
Quante cose che vide, in quei pochi chilometri che percorse dal palazzo…
Bimbi gettati dalle mura, uomini uccisi senza pudore, donne violentate senza ritegno.
Torri bruciate, case rase al suolo, l’odore del fumo sempre più forte e acre.
Arrivò alla statua del dio con le lacrime agli occhi.
Si inginocchiò con la servilità di una serva devota, e pregò con la forza di una donna disperata.
E, straordinariamente, la presenza ad Apollo, che tante volte era stata inutile e quasi insopportabile, in quei giorni, divenne straordinariamente conforto e protezione. Come cullata tra le braccia del dio, Briseide si mise a piangere senza ritegno, abbandonandosi completamente alla libertà che il dio le concedeva.
Pianse per i suoi cari.
Pianse per i giovani troiani.
Pianse per quelle donne e per quei mariti, che ora, dietro di lei, morivano a migliaia.
Pianse per sé e pianse per Achille.
Pianse perché si vergognava.
Pianse perché, in fondo, quel dio non poteva scendere sulla Terra e proteggerla davvero.
 
“Va tutto bene…”
 
E di nuovo, lui.
Di nuovo per lei.
L’aveva salvata.
L’aveva strappata dalle braccia di un uomo che, senza rispetto e con la brutalità che la guerra, aveva imparato, dà, stava per prendere quello che era stato solo dell’acheo.
Quando l’aveva rivisto, il suo cuore, lentamente aveva ripreso a battere, come se, nei suoi occhi e nelle sue braccia che, pure, tanto tempo prima, le avevano fatto paura, avesse visto la salvezza, finalmente.
Allora… C’era speranza. C’era un altro mondo oltre quella guerra e oltre quella vita.
C’era davvero un altro modo di vivere e c’era un futuro diverso dalla fredda vita di corte.
C’era lui, per lei.
Ed era lì per accoglierla.
Avrebbero ricominciato insieme, sì.
Sarebbe andato tutto bene.
La stava prendendo tra le sue braccia.
Era tornato.
Era tornato per lei.
Era il suo dio arrivato in terra a salvarla.
 
“Tu mi hai dato la pace in un mondo di guerra.”
 
Quando Achille era morto, la confusione aveva riconquistato la sua testa con la stessa potenza con cui l’acqua entra in una diga.
Dopo la sua morte, di nuovo Briseide si chiese cosa ne avrebbe fatto della sua vita.
Cosa sarebbe successo, ora che l’unico che avrebbe mai potuto aiutarla a farsi una nuova vita era morto?
Cosa sarebbe successo, ora che l’unica ancora di salvezza che aveva avuto nella sua vita se n’era andato.
Cosa sarebbe successo, ora che era completamente sola?
Con Paride non c’era quasi comunicazione: la guerra li aveva separati come null’altro avrebbe potuto separarli.
Andromeca la ignorava completamente, completamente presa dal suo dolore per il marito, quasi indifferente anche verso il suo stesso figlio.
Elena provava a starle vicina come meglio poteva, ma sapeva benissimo anche lei che il male di aver perso l’amato era troppo forte per poter essere davvero consolato.
Briseide si sentiva svuotata dentro di una parte del suo cuore, sola e senza più nulla per cui lottare. La sua testa era continuamente pesante e il suo corpo come intorpidito dalla stanchezza e dalla tristezza.
Il suo corpo tornò a diventare sempre più esile e il volto sempre più scavato. Troppo spesso rifiutava anche semplici porzioni di cibo e bevevo poco.
Sentiva il suo corpo lontano dalla terra, mentre l’anima batteva sul suo esile torso per uscire fuori.
La sensazione di dolore che si sentiva dentro era qualcosa di indescrivibile e terribile. Era come se lentamente qualcuno le stesse mangiando tutti gli organi vitali, e lei, immobile, lo lasciava fare.
Con il tempo, il dolore divenne semplice confusione, e Briseide tornò a chiedersi quale era stato il sentimento che l’aveva davvero legata all’acheo.
Per lei Achille era stato la luce dopo la tempesta, il punto di salvezza, un’isola nel mare nero della guerra.
Tra loro due si era instaurato un rapporto così intimo e profondo, che ancora Briseide ne portava i segni.
Fu dopo molto tempo e un’attenta analisi interiore, che Briseide capì, finalmente, di essere stata per Achille, prigioniera e non prigioniera.
Era stata lei stessa ad acconsentire perché il suo amore entrasse in lei, ma allo stess tempo era stata terribilmente legata a quel corpo così bella.
La sua libertà era nulla con Achille. Non esisteva. 
Se era vero che lei stessa aveva permesso all’acheo di essere sua, lui stesso l’aveva costretta, forzato, obbligata ad essere sua.
Perché loro due si appartenevano, e quell’appartenenza andava oltre l’attrazione carnale e oltre i confini di vita e morte.
Il loro amore era esistito, ne era sicura, ora.
Il loro amore era stato quel perfetto connubio di anime che solo tra persone incompatibili come loro due poteva esserci.
Lei non gli aveva mai negato l’amore, ma lui l’aveva a sua volta resa dipendente dal suo corpo e dai suoi baci.
Ciò che ora restava, ora, di quell’amore, era solo un ricordo e una Briseide sfigurata.
Non aveva idea di cosa voleva fare e di chi voleva essere, dopo quella guerra.
Ma Achille era riuscito a darle la forza e la risoluzione, la fiducia nel domani, la fiducia per gli uomini e non solo per gli dei.
Sapeva di averlo amato e di essergli appartenuta, ma non aveva idea del perché gli fosse appartenuta, precedentemente. Ora lo sapeva.
Perché l’acheo era riuscito, in misura straordinariamente pari, a costringerla a un’azione a cui lei non avrebbe mai acconsentito e allo stesso tempo a farle dire “sì” a cose che non aveva mai voluto.
E si rese conto per la prima volta che lei non era mai stata né dono di guerra né prigioniera di Achille.
Poteva andarsene quando voleva, e il guerriero l’avrebbe lasciata andare.
Ne era sicura, l’avrebbe fatto.
Pur di vederla felice, l’avrebbe lasciata andare, lontano da lui, senza contare la sua soddisfazione.
Ma allo stesso tempo, Briseide non POTEVA andarsene.
Perché, sebbene Achille l’aveva resa indipendente, lei non poteva, non VOLEVA lasciarlo.
O meglio, poteva desiderare di lasciarlo, ma in cuor suo sapeva che non l’avrebbe mai fatto.
Era sua, ormai.
Lui l’aveva, con gentilezza e con mano ferma, indirizzata verso l’amore vero e verso la vita.
E perciò, lei era stata al tempo stesso, prigioniera e non prigioniera per lui.
E in fondo al cuore, sapeva che lui era sempre lì con lei.
 

Remember, when your dreams have ended, 
Time can be transcended, 
Just remember me 

I am the one star that keeps burning, so brightly, 
It is the last light, to fade into the rising sun 

I'm with you, 
Whenever you tell, 
My story, 
For I am all I've done 

Remember, I will still be here, 
As long as you hold me, in your memory, 
Remember me 

 
E questa era la mia fic su Troy.
Adoro questa coppia e progettavo da quando ho rivisto il film di farci una ff.
Ma mai, MAI avrei creduto di poterci scrivere un "libro".
Letteralmente, questo è un libro.
E' tutta l'Iliade vista da Briseide.
Sì, forse non proprio, ma ci siamo.
La mia chiave di lettura di questa coppia è questa.
Come nel titolo viene detto, Briseide è e non è una prigioniera di Achille, perchè è legata a lui ma allo stesso tempo distante.
Le parole alla fine sono della canzone di Troy, "Remember".
Che dire? Ci stava.Se volete che metta l'avviso OOC, ce lo metto.
  
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