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Autore: Swish_    13/06/2013    0 recensioni
Andrea era una ragazza semplice, senza troppi vizi o aspettative. Aveva una vita che le soddisfaceva, con una buona famiglia, un ragazzo bellissimo e amici fedeli. Ma tutto cominciò a prendere una piega diversa quando i suoi occhi incontrarono quelli di Alex, un ragazzo al di fuori di ogni regola, con fascino enigmatico e molti più segreti di quanti se ne potessero immaginare. Dopo il suo incontro, col passare del tempo tutte quelle piccole cose che le rendevano la vita così soddisfacente andarono a perdersi... A cominciare dalla rottura col proprio ragazzo, che confessò di averla tradita. Tutto questo aveva senso?
Era stato il caso... O forse in fin dei conti tutto ciò era stato per volontà di qualcuno?
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le prime luci dell’alba  s’infiltrarono oltre il vetro delle finestre. Alle 6:03 del mattino la stanza di Andrea era ancora scura e terribilmente silenziosa. Eppure per lei era come la culla di un bambino, il suo piccolo mondo. Sì, si sentiva proprio nel suo mondo lì, era l’unico posto dove poteva sentirsi serena e tranquilla, o quanto meno sé stessa.
Il silenzio dominava ancora l’intero mondo, come le ultime cinque ore, ma nonostante la quiete e il conforto datele dalla stanza, Andrea aveva ancora gli occhi ben aperti, spalancati verso il vuoto. Quella notte dormire le risultò impossibile. Come poteva smettere di pensare a tutto quello che le era capitato nelle ultime ore della sera prima?
Il viaggio in moto, il ristorante elegante, il cibo squisito, le parole di Alex, i suoi occhi ardenti… E poi la passeggiata sulla spiaggia, e le sue labbra, la sua passione, le sue mani che l’esploravano il corpo con desiderio… Andrea lo ricordava bene, come impresso nei suoi pensieri, e dovette arrendersi all’idea che quei ricordi non l’avrebbero mai più lasciata.
E poi ancora, la chiamata di Nives, la reazione imbronciata di Alex e… Quegli occhi smeraldo. L’oscurità. Il risveglio. La paura negli occhi di lui… E il suo sangue.
Chi l’avrebbe mai detto che uscire con Alessandro Conte avrebbe comportato così tanti imprevisti? Rigirandosi nel letto sotto le sue coperte-arcobaleno sorrise amaramente, ritornando a qualche ora prima con la mente.

- Cosa intendevi quando hai detto che qui era tutto tuo? -
Andrea incrociò le braccia al petto, opprimendo un brivido: il freddo dell’autunno in tarda serata cominciava a farsi sentire.
Alex sbucò fuori dalla piccola cabina gialla che poco prima avevano raggiunto, ancora a petto nudo e ora con un asciugamano bianco in mano al posto della camicia nera riposta qualche istante prima lì dentro. Inarcò un sopracciglio guardandola, per poi ritornare con gli occhi sull’orizzonte:
- Come, scusa? -
Andrea lo seguì con lo sguardo mentre lo vedeva dirigersi verso una fontanina a lato della cabina. Alzò una piccola levetta di ferro vecchio e portò l’asciugamano sotto il flusso d’acqua fresca. Era tranquillo, pacato, come se poco prima non fosse successo niente di cui preoccuparsi e lui stesso in quel momento non si ritrovasse la schiena ricoperta di sangue ormai secco… Come se ci fosse abituato.
- In che senso qui è tutto tuo? -
Alex riabbassò la leva della fontana e strizzò l’asciugamano, sempre con non curanza.
- Oh, beh. Quello che ho detto. La spiaggia è mia. -
Andrea spalancò gli occhi allibita:
- Tutta tua? -
Si avvicinò a lei tornando a fissarla con occhi spaventosamente intensi e profondi.
- Sì… - le porse l’asciugamano bagnato.
- Mi aiuti? -
Andrea sospirò pesantemente per ricacciare quell’espressione indecentemente sconvolta che aveva assunto, e alzando gli occhi al cielo si limitò ad annuire in silenzio afferrando l’oggetto in questione.
Alex sorrise dolcemente e le carezzò con un gesto rapido una guancia col dorso della mano, a mo’ di ringraziamento, dopodiché si voltò volgendole le spalle e si accomodò leggiadro sulla sabbia, poggiando i gomiti sulle ginocchia tirate in petto, senza dir nulla.
Andrea s’inginocchiò aggraziatamente a sua volta alle sue spalle e cominciò a far scorrere l’asciugamano sulle sue scapole, così che lungo la sua schiena piccole gocce rosa di sangue dissolto in acqua cominciarono a scorrere, riscoprendo la sua pelle candida.
- Dirai qualcosa di questa sera? – il tono di Alex era spaventosamente serio.
- A chi? – Andrea aggrottò la fronte, sorpresa.
Lui sospirò lentamente, calando il capo verso terra:
- A qualcuno… - esitò prima di continuare:
- Sai, Andrea… Il fatto è che mi sono lasciato prendere così tanto da… Te, che non mi sono neanche chiesto se posso fidarmi. -
Andrea si sentì profondamente offesa. Certo che si poteva fidare, tutti si fidavano di lei!
- Puoi. Credimi. -
Alex restò in un perplesso silenzio a lungo.
- …Mi credi? -
La schiena di lui era quasi ripulita del tutto, e Andrea se ne dispiacque più del dovuto. Si accorse solo allora che guardarlo per lei sarebbe stato il suo passatempo preferito.
- Allora? Il tuo esitare mi offende! -
Lo sentì ridere.
- Sì, ti credo. In verità, l’ho sempre fatto. -
Andrea sorrise anche lei, silenziosamente, per tenere quel sorriso per sé.
- Ecco, ho finito. Mi dispiace solo che si è un po’ inumidito il tessuto, qui, dei pantaloni… - fece scivolare le sue dita sottili sulla linea rialzata della sua spina dorsale dall’alto verso il basso, carezzandogli la pelle fino al fondoschiena. Era una schiena possente e muscolosa. Andrea sentì un brivido percuoterla, e stavolta non per paura, o per l’aria fredda che ormai era arrivata.
- Non è nulla… - Alex si rialzò agilmente e si girò subito verso di lei, porgendole da vero gentiluomo una mano per aiutarla. Gli occhi gli erano divenuti due brillanti.
- Vai a sciacquarti le mani, io prendo un altro asciugamano pulito e mi rivesto… -
Andrea gli vide l’ombra di un sorriso in viso, ma lui si riguardò bene di non darlo troppo a vedere, voltandosi all’istante e rientrando nelle oscurità della cabina.
Il ritorno al Legend Pub fu più tranquillo.  Quando Alex si fermò di fronte la sua entrata dopo essersi divincolato con la sua moto ruggente tra la folla brulicante, videro entrambi Nives sgusciare all’istante dalla massa e precipitarsi verso di loro.
- Andrea! Finalmente! -
Appena Andrea scese dalla moto Nives la assalì di colpo, avvolgendola in un abbraccio caldo seppur opprimente. Un po’ le era mancata, Andrea doveva riconoscerlo. Ricambiò l’abbraccio con dolcezza, stringendola forte a sé:
- Che hai combinato tu? – le disse  con tono basso, e pieno di affetto.
- Andrea… - Alex la richiamò con tono soave e dolce.
Andrea si voltò e balzò euforica verso di lui, mollando di colpo la presa su Nives e tornando ai suoi occhi oceanici, così profondi e così affascinanti…
- Sì? -
Vide improvvisamente lo sguardo di Alex congelarsi in un secondo, fissando un punto oltre le spalle di lei. Andrea si voltò accigliata, e rintracciando il punto preciso in cui lui stava guardando, si pietrificò: era Cesare. Fermo immobile di fianco lo stipite della porta vetrata del locale, rialzato di un paio di scalini… E in quel momento, entrambi si stavano fulminando con lo sguardo. Andrea non ricordò di aver mai visto lo sguardo di Alex così agghiacciante e furente. Chiuse gli occhi per un secondo, e in quello stesso istante mutò nettamente la sua espressione, ritornando su Andrea.
- Vieni qui, treasure. – la sua espressione di nuovo calda e suadente, anche più di prima. Le sorrise con malizia, mentre lei gli si avvicinava con fare affascinato, lasciandosi incantare dalla sua bellezza. Le afferrò il mento con le dita e le rialzò il viso verso il suo.
- Fatti salutare… - sussurrò piano.
Andrea s’immobilizzò. Lui chiuse gli occhi e attirò le sue labbra tiepide alla bocca di lei, baciandola con innata passione per un arco di tempo lunghissimo; poi la lasciò andare e con sguardo vittorioso e odiosamente presuntuoso tutto dedicato di traverso a Cesare, che intanto si pietrificò riducendo gli occhi in due piccole fessure taglienti, lasciò il viso di Andrea con delicatezza.
E’ mia, adesso.” pensò,sorridendo malignamente.
- Ci vediamo domattina, tesoro. - tornò poi a dirle con tono suadente.
Levò abilmente la frizione e sparì tra la folla, mentre Andrea completamente incantata lo seguì con lo sguardo finché poteva, con occhi lucenti e un sorriso infantile appena accennato.
Andrea fu felice e riluttante allo stesso tempo di tornare sul pianeta Terra e ritrovare il volto di Nives curioso e sconvolto.
- Io e te abbiamo molto di cui parlare, signorina! -
Andrea non riuscì a trattenere una sana e sincera risata. Era sconvolta, sì, confusa e ancora un po’ stordita per tutti quegli avvenimenti delle ultime ore… Ma era felice. Felice per davvero.
Vedendola ridere a quel modo Nives si animò a sua volta, facendole risplendere il volto con uno sfarzo di felicità. C’aveva visto giusto, allora, Alex potrà davvero guarirla dalla solitudine che si era creata. Almeno lei, ci sarebbe riuscita. A pensarci Nives si riempì l’animo di gioia. Dopotutto, però, c’era qualcosa in lui… Che a Nives proprio non garbava. Quel sorriso così avido e maligno che qualche istante prima Alex aveva diretto a Cesare, lei lo aveva visto bene, e le fece venire i brividi dal terrore. Era quasi… Demoniaco, spaventoso. Doveva parlarne con Andrea? O forse con Daniel?
- Oh, Nives… E’ stato tutto così… Surreale! - gli occhi di lei erano vivaci e sfavillanti come non mai. Le considerazioni negative di Nives avrebbero aspettato, Andrea era troppo felice in quel momento.
- Su, su… Poi mi racconti. Hai idea di che ore sono? E’ la mezza! -
- Oh, merda. -
- Ecco! Ti sei dimenticata del coprifuoco che i tuoi ti avevano dato! In ritardo di un’ora e mezza! Riccardo ci sta aspettando, dai. Sbrighiamoci… -
- Ma, Lorenzo…? Dan… -
- Lorenzo se n’è già andato via da un pezzo… -
- E con chi sei rimasta tu? -
- Oh Andrea! Ma quante domande fai? Andiamo che è tardi! -
Sentendo il tono impaziente di Nives, Andrea non ebbe il coraggio di insistere. Comunque aveva molte altre cose nella testa in quel momento, quindi decise di non pensare più a nient’altro e di limitarsi a seguire l’amica lungo la strada.
Quando raggiunsero la macchina Nives ancora non aveva smesso di sbraitare, diventando sempre più nervosa man mano che passavano i minuti quasi peggio di quanto lo fosse Andrea. Riccardo nemmeno era del suo umore migliore, borbottando imprecazioni e sfrecciando con la sua Mercedes tra le strade ormai deserte del paese.
Sarà arrabbiato per il mio ritardo?”  il rimorso del senso di colpa le divorò lo stomaco.
Come per la cosiddetta ciliegina sulla torta, il rientro a casa fu ancor più disastroso, dovendo sopportare lo sguardo assassino di sua madre che l’attendeva da ben due ore oltre la soglia. La sua figura in penombra nel salotto le fece prendere un colpo.
- Sai che ore sono? -
La signora Pietrosa in vestaglia e bigodini era una donna sulla quarantina ancora sorprendentemente affascinante, sinuosa sotto i riflessi dorati della seta, visibili in penombra dalla luce soffusa di una piccola lampada poggiata su un tavolino di vetro al centro dell’elegante salotto che accoglieva ogni ospite; era magra e slanciata, dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Andrea era sempre stata certa che in America sarebbe stata sicuramente una tipica capo cheerleader super corteggiata, alla sua età. Se ne sentiva pienamente orgogliosa ogni volta che si fermava ad osservarla.
Scattò lo sguardo verso l’orologio a cucù che regnava la parete alla sua destra. Era un po’ difficile vederci bene l’ora, ma dopo aver strizzato gli occhi per lo sforzo Andrea ci riuscì lo stesso, anche se con una certa fatica.
- L’una… - sibilò, sconfortata.
- Complimenti, nuovo record personale! – sbuffò la signora Pietrosa animatamente, sventolando una mano sottile e ben curata.
- Una di queste sere non ti vedrò più arrivare, ne sono pur certa… - scosse la testa, mentre la sua voce divenne sempre più bassa e amara come la sua espressione sofferente. Chiuse gli occhi e le voltò le spalle, e Andrea notò con rimorso i suoi bigodini agganciati male. Non ci sarà riuscita per il nervosismo, ne era sicura.
-Vai in camera. – continuò, dopo un veloce sospiro.
- Sei in punizione. Niente uscite serali fino a nuovo ordine. – e senza aggiungere altro, scomparve nel buio oltre le scale a ventaglio di marmo che si aprivano in fondo alla stanza.
Oh, magnifico! Stupendo!

Il suono del proprio cellulare la fece balzare e Andrea rinvenì dai suoi pensieri. Era la sveglia: nove e mezza.
Già!? Ma come?”
Si rialzò di colpo dal letto, gettò di lato le coperte e si precipitò verso lo specchio. Quella mattina sarebbe dovuta passare da Nives alle dieci per riprendersi un libro scolastico.
Dannatissimo greco. Dannatissimo orario!”
Dopo svariate imprecazioni e quindici minuti d’affanno, Andrea era già sorprendentemente pronta: chioma ribelle come al solito, trucco leggero con un accenno di matita e lucidalabbra, e addosso una leggera camicetta aderente con fantasia quadrata bianca e nera, felpa rossa aperta a tre quarti di manica, e jeans scuri con tanto di Converse rosse.
Si precipitò come un razzo giù per le scale, salutò freddamente sua madre al piano di sotto intenta a farsi un caffè in cucina e sgattaiolò fuori dalla porta il più velocemente possibile.
- Alla mezza ti voglio qui! – la voce stridula della signora Pietrosa raggiunse Andrea anche dalla parte opposta della casa, a porta schiusa.
- Sìììì! – rispose lei, alzando gli occhi al cielo mentre chiudeva la porta di casa, sbigottita.
Frattanto però che era intenta ad attraversare il vialetto di pietra del suo  giardino, per raggiungere il piccolo cancelletto grigio che la separava dalla strada, sentì di nuovo il suo cellulare squillare.
- Ohh, diamine! – affrancò con la serratura del cancelletto, lo aprì e se lo chiuse alle spalle, poi tirò freneticamente il telefono fuori dalla tasca posteriore dei jeans e controllò: un nuovo messaggio.
Andrea aggrottò la fronte e sfiorò lo schermo:

“Non sai cosa ho dovuto fare per avere il tuo numero! Sei contenta? Ce l’ho fatta.
Sono fuori il tuo vialetto… Per caso. Ti va di farti un giro con me?”

Andrea si ritrovò con la bocca spalancata senza nemmeno accorgersene, mentre il rombo del motore di una motocicletta invase l’aria dell’intero vialetto soleggiato. Alzò lentamente lo sguardo dallo schermo del cellulare e si voltò alle sue spalle.
Ed eccolo lì, a cavallo della sua Ducati, che giocava sull’acceleratore.  E la stava guardando, con un sorriso smagliante. Alex.
Chiudi la bocca, cretina.
   
 
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