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Autore: AryYuna    14/06/2013    3 recensioni
Ti toccherà fare una scelta.
Una scelta. Un’altra. E sempre la stessa.”
No Tiva. No slash. Tag per la 8x21. Personaggi: Tony, Gibbs, EJ, Jeanne
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   All’inizio non mi piaceva EJ, ma riguardando l’ottava serie mi sono resa conto che probabilmente mi ero fatta influenzare troppo dall’atteggiamento che Gibbs ha verso di lei; in realtà non è affatto un personaggio sgradevole, e la sua storia con Tony… beh, ci sta. Riguardando la 8x21, quando Ziva fa quel commento (“Ti toccherà fare una scelta”) mi è scattato il parallelo con l’altra storia di Tony, quella che mi sa che sono l’unica ad aver amato davvero (ma ci sono solo Tiva fan lì fuori?) e… beh, dovevo scrivere qualcosa. Dopotutto guardo NCIS dalla prima serie, era logico che prima o poi sarei finita a scriverci qualche fanfiction, no? Hope you like it :)
   
   Un
enorme grazie - ma “grazie” mi sembra troppo poco - a FrancyChan, che non solo ha accettato di betarmi la fic in italiano e in inglese, ma mi ha dato delle correzioni precise, chiarissime, con tanto di spiegazione accanto e, come se non fosse abbastanza, è stata talmente disponibile da parlarne anche con me in chat. Sei meravigliosa, Francy!
   
   Potete trovare la versione inglese qui.

   Disclaimer: purtroppo NCIS non mi appartiene. Se così fosse, non sarei qui a scrivere fanfiction, vedreste le mie idee sullo schermo. E Tony sarebbe sposato a una ventitreenne italiana di nome Arianna. E McGee avrebbe ancora una famiglia normale (almeno lui!). E Senior non sarebbe mai comparso u_u Ma NCIS non è mio…
   
   PERSONAGGI: Anthony “Tony” D. DiNozzo, Erika Jane “EJ” Barret, Leroy Jethro Gibbs, Jeanne Benoit
   TIME FRAME: Dopo la 8x21. Spoiler di roba sparsa fino alla 10x10.
   



Scelte



   Ti toccherà fare una scelta.
   Le parole di Ziva continuavano a tormentarlo, risuonando ancora e ancora nella sua testa come nel preciso momento in cui, mentre lei le stava pronunciando, EJ era apparsa nella saletta, alle sue spalle, per versarsi del caffè.
   Ti toccherà fare una scelta.
   Una scelta. Un’altra. E sempre la stessa.
   Ti toccherà fare una scelta.
   “L’ho già fatta, una scelta”. E ancora, e ancora. Un’altra scelta. Sempre la stessa.
   Perché doveva essere così difficile? Perché non poteva innamorarsi come le persone normali? Perché doveva esserci sempre qualcosa di complicato nei suoi rapporti?
   Parcheggiò l’auto nel garage del suo palazzo e prese l’ascensore per il sesto piano, continuando a rimuginare sull’accaduto della giornata - e sulle parole di Ziva. Ancora e ancora.
   Ti toccherà fare una scelta.
   Infilò la chiave nella toppa ed entrò nel proprio appartamento sfilandosi zaino e cappotto lì sulla porta. Iniziò a spogliarsi mentre si dirigeva nella propria camera da letto, sorprendendosi brevemente a chiedersi come una moglie avrebbe reagito allo zaino abbandonato a terra e la cravatta sul divano; ma dove un tempo avrebbe riso dello stupido pensiero, fingendo persino con se stesso che dopotutto era fortunato a non sapere cosa significasse avere qualcuno che si lamentasse del disordine, ora non riusciva a fare a meno di chiedersi se avrebbe mai provato una situazione simile.
   Si sedette stancamente sul letto. Non aveva mai portato una ragazza a casa sua prima di EJ.
   Avrebbe voluto farlo con Jeanne - chissà cosa avrebbe detto la bella dottoressa del suo letto singolo quando lei ne aveva uno a due piazze e mezzo - ma non poteva rischiare che leggesse il suo vero nome sulla cassetta della posta, o che lo sentisse dai vicini, o che trovasse il distintivo e le pistole. Così avevano finito per andare sempre da lei, ma alla donna non sembrava importare, e dopotutto alla fine erano arrivati a parlare di andare a vivere insieme.
   Le altre, invece, non le aveva portate nel suo appartamento per altri motivi; di solito erano loro stesse ad invitarlo a casa propria o - quando non lo facevano - erano facilmente convinte a prendere una camera in qualche hotel economico per la notte. Se rimorchi qualcuno in un bar a mezzanotte, è difficile che tu voglia qualcosa di più di una soddisfacente scopata, dopotutto. E le sue “fidanzate”, quelle che arrivavano a ottenere uno o due appuntamenti, erano contente di presentarlo alle proprie coinquiline e non facevano troppe storie di fronte alle sue patetiche scuse - “abito molto lontano da qui” era una delle più squallide che avesse usato ma, sorprendentemente, più di una ci aveva creduto. Forse non era l’unico ad avere problemi ad impegnarsi.
   EJ però era diversa. Con EJ c’era un rapporto alla pari, era una donna bella, intelligente, sicura, intuitiva. Non aveva creduto nemmeno per un momento alla sua recita, e questo lo aveva intrigato dal primo momento in cui avevano parlato. Aveva visto al di là della maschera, e aveva accettato il vero Tony.
   Paradossalmente, l’unica altra donna ad aver apprezzato - amato - il vero Tony era stata Jeanne, la donna con cui tutto era iniziato per una bugia.
   Ti toccherà fare una scelta.
   Di nuovo. Aveva già dovuto scegliere tra il lavoro e l’amore. E gli aveva fatto male, male da soffrirne fisicamente. Quel “no” che aveva dovuto dire a Jeanne, il dolore, l’odio nei begli occhi di lei lo avevano lacerato dentro.
   Si lasciò cadere all’indietro e calciò via le scarpe. Avrebbe voluto dormire ventiquattr’ore di fila e svegliarsi in una vita più facile, in cui non avrebbe dovuto scegliere tra la donna che amava e la sua famiglia surrogata.
   Forse il problema era lui, nessun altro al suo posto si sarebbe fatto tanti scrupoli. EJ stessa non riusciva a capire perché avesse tanta paura di Gibbs.
   Ma lui non aveva paura. Se fosse stata paura, la scelta sarebbe stata più facile. Lui non aveva paura di Gibbs: aveva paura di deluderlo, e deludere Gibbs era come avere otto anni e piangere da solo nella sua camera la mamma che se n’era andata e non sarebbe più tornata, cercando di non fare rumore perché un DiNozzo non piange; e averne undici ed essere mandato in collegio, lontano da casa e dai pochi amici che aveva; e averne dodici ed essere diseredato da suo padre perché per la prima volta non si era scusato per essersi comportato come un dodicenne; e averne venti e vedere le proprie speranze di diventare un giocatore di basket professionista infrangersi col suo ginocchio; e averne ventinove e scoprire che il suo partner era corrotto; e vedere la sua promessa sposa restituirgli l’anello di fidanzamento a un giorno dalle nozze…
   Probabilmente il problema era lui, perché a trentanove anni aveva collezionato un quasi matrimonio e una storia vera basata su una menzogna, ed era semplicemente ovvio che con EJ non avrebbe potuto funzionare. Forse era solo il modo che aveva trovato il destino di salvare EJ da lui, era chiaro che fosse lui il problema. Che lui credesse o meno nel destino era irrilevante, restava il fatto che EJ sarebbe stata meglio senza di lui. E lui non avrebbe deluso Gibbs.
   Forse.
   O forse no. Aveva deluso il suo stesso padre più e più volte, dopotutto. Come altrimenti avrebbe potuto spiegarsi le volte in cui lo aveva lasciato - dimenticato - a casa o in albergo mentre si dedicava ai suoi affari? Nessuno dimentica un bravo figlio. Doveva essere lui il problema. Le statistiche non mentivano. Avrebbe fatto meglio a lasciare EJ finché era in tempo, finché lei era viva e illesa. Se non lo avesse fatto lui, dopotutto, lo avrebbe fatto lei, prima o poi. E lui avrebbe perso tutto, la squadra, l’amore…
   Si costrinse ad alzarsi dal letto e finire di svestirsi, si fece una doccia e indossò la tuta grigia dell’OSU.
   L’indomani avrebbe troncato con EJ, per il bene suo e proprio, si disse. Ma mentre si ripeteva quelle parole, sapeva che non erano vere. Non voleva troncare. Aveva rinunciato a Jeanne, ed era stato sufficientemente devastante, non poteva farlo di nuovo, non poteva raccogliere di nuovo i pezzi della sua vita sperando prima o poi di ritrovarli tutti e di riassemblarli in modo da nascondere le crepe. Vedeva ancora quelle lasciate dalla storia con Jeanne, facevano ancora male. Non voleva aggiungere un’altra storia finita prima di cominciare, un’altra scelta che lo lasciasse spezzato dentro. Non avrebbe saputo risanare di nuovo la ferita, nascondendola agli altri. Fingere diventava sempre più difficile, recitare di fronte agli altri era impossibile se prima non riusciva a nascondere il dolore a se stesso, a convincersi che fosse sopportabile, che poteva andare avanti, sorridendo e scherzando come se nulla fosse successo.
   Non aveva fame. E comunque non aveva alcuna voglia di take-away, per cui diede uno sguardo alla boccia vuota sul tavolino nell’angolo - doveva trovare il tempo per comprare un nuovo pesciolino rosso, il suo piccolo acquario vuoto faceva tristezza, ma da quando il suo ultimo abitante era morto Tony era stato praticamente fagocitato dal lavoro - prima di sprofondare nel divano e accendere la tv, sperando in qualche maratona notturna di Magnum.
   Stava per rinunciare e decidersi ad andare a dormire quando qualcuno bussò alla porta.
   E senza accorgersene, un sorriso si allargò sul suo volto mentre andava ad aprire a EJ.
   
   EJ dormiva, rannicchiata per metà sopra di lui a causa del poco spazio offerto dal letto singolo. Lei non aveva mai fatto commenti sull’insolita misura del letto - se perché ne avesse compresa la ragione o perché avesse preferito non dire nulla non ne era certo - adattandosi senza problemi a farci l’amore e a dormirci. Non credeva ci fossero molte donne che avrebbero reagito allo stesso modo.
   Rimase steso ad osservare il soffitto, il regolare respiro di EJ che gli solleticava i peli del petto a fare da sottofondo ai suoi pensieri che, ancora una volta, tornavano alle parole di Ziva.
   Ti toccherà fare una scelta.
   La sua scelta era lì, addormentata accanto a - sopra di - lui. Ma era una scelta che faceva male, perché farla comportava perdere tutto ciò che aveva e quello che, a guardarlo bene, era il rapporto più lungo che avesse avuto in vita sua. Gli veniva da ridere: Tony DiNozzo, donnaiolo per professione, non era mai stato con la stessa donna per più di qualche mese - con l’eccezione dei tre anni con Wendy e del troppo tempo trascorso sotto copertura con Jeanne - ma aveva passato quasi undici anni al fianco di Gibbs, un’impresa che non era riuscita a nessuno prima. A pensarci bene - e questo era ancora più inquietante - anche Gibbs era stato in squadra con lui più a lungo di quanto fosse stato sposato con le sue ex. Improvvisamente si ritrovò a sperare che il rapporto con Shannon fosse durato più a lungo.
   Ma pensare alla prima moglie di Gibbs non era mai una buona idea. In un momento si ritrovò catapultato a quell’orribile giorno in cui, quasi cinque anni dopo aver lasciato Baltimora col cuore spezzato da due persone che aveva creduto tenessero a lui, aveva visto l’uomo a cui guardava come ad un amico, un mentore - e qualcos’altro a cui decisamente non voleva pensare in quel momento - prima saltare in aria, poi finire in coma, svegliarsene privo di memoria e infine abbandonare la squadra, dopo aver rivelato di aver mentito a tutti loro da quando li conosceva riguardo la sua prima moglie e sua figlia.
   Dio, faceva male. La gente credeva facilmente alla sua recita, accettava senza farsi problemi l’immagine che proiettava del superficiale Peter Pan sicuro di sé al punto da risultare arrogante. Tuttavia, chi si prendeva il disturbo di guardare oltre sapeva che era solo una recita: Tony DiNozzo non era l’immaturo spaccone dietro cui si nascondeva, la sua sicurezza era solo una facciata, creata negli anni - troppi anni - per proteggersi. Gli era difficile arrivare a fidarsi della gente, fidarsi per davvero. Poche volte aveva dato la sua fiducia a qualcuno e ogni volta era più difficile della precedente. L’ultima era stata a Baltimora, e ne era uscito talmente malconcio che ci aveva messo mesi prima di rilassarsi abbastanza da mostrare al suo nuovo capo qualche scorcio del Tony nascosto, e anche allora erano momenti brevi e lontani tra loro, spezzati dal susseguirsi di nuovi membri nel team che rendeva impossibile legare per davvero. L’arrivo di Kate prima, e di McGee poi, aveva dato una qualche stabilità alla squadra, ma aveva anche rinforzato le sue difese: meno persone avessero visto dietro la maschera, meno possibilità avrebbe avuto di restare ferito di nuovo. La morte di Kate aveva confermato la teoria.
   Ma Gibbs c’era sempre stato e gli aveva dimostrato che ci teneva.
   Fino all’esplosione. Fino alla scoperta che in realtà non si era mai fidato abbastanza di nessuno di loro, che in realtà aveva sempre mentito, pretendendo contemporaneamente che loro fossero sempre sinceri con lui.
   L’insicurezza era tornata; Tony era stato sul punto di mollare, di trasferirsi di nuovo. Nuova città, nuovo dipartimento, come aveva fatto con Peoria, Philadelphia, Baltimora… era rimasto nel District fin troppo a lungo - quasi cinque anni contro i due di media degli altri dipartimenti… ma non lo aveva fatto. Era rimasto per la squadra, ed era rimasto perché nonostante tutto l’NCIS era stato diverso per lui, e una parte di lui si sentiva persino in colpa ad avercela con Gibbs dopo quello che doveva aver passato: come poteva lui, che delle sue maschere aveva fatto la sua identità, avercela con qualcuno perché aveva mentito riguardo una cosa così devastante come perdere una moglie e una figlia in quel modo? Aveva aggiunto un nuovo strato al muro che lo separava dagli altri, un nuovo livello di maschere ed era rimasto, aveva raccolto ciò che Gibbs gli aveva lasciato, aveva guidato la squadra in sua assenza e gliel’aveva rispettosamente riconsegnata quando era tornato, senza fare storie, tornando al suo vecchio posto e dedicandosi all’incarico segreto del Direttore Shepard, ignaro di cosa gli avrebbe portato.
   Sospirò, rendendosi conto che il treno di pensieri lo aveva ricondotto a Jeanne. Era giusto, dopotutto. Il cerchio si chiudeva. Le ferite si riaprivano perché non si erano mai chiuse per davvero, e Tony sapeva che ormai non si sarebbero più sanate. Poteva cercare di coprirle, di nasconderle agli altri, ma ormai non bastava più nemmeno quello.
   Tornò a guardare EJ che dormiva beatamente con la testa poggiata sul suo petto, ignara dei pensieri che lo tormentavano.
   Ti toccherà fare una scelta.
   Perché Ziva? Perché devo scegliere? Tu hai scelto tra l’NCIS e Ray?
   La mia squadra. E le mie regole.
   Aveva improvvisamente voglia di prendere qualcosa a pugni. Perché Gibbs gli faceva questo? “Il mio fedele San Bernardo” lo aveva definito una volta, e sapeva che mezzo ufficio aveva preso a definirlo così alle sue spalle, quando si dedicava alla malevola attività del pettegolezzo e toccava alla squadra di Gibbs essere l’argomento del giorno; sapeva che molti di quelli che non avevano mai lavorato con lui credevano che l’ex Marine lo tenesse in squadra solo perché gli piaceva avere un cagnolino ubbidiente che non si stancava mai di essere preso a calci, che tornava a prenderne altri, e sbavava per avere il più piccolo riconoscimento anche quando questo era preceduto e seguito da altri calci. Perché altrimenti un uomo duro e pragmatico come Gibbs avrebbe accettato nella sua squadra un ragazzino troppo cresciuto che passava il suo tempo libero - e non solo - a fare scherzi idioti ai suoi colleghi e a flirtare con qualunque cosa avesse una gonna?
   Chiuse gli occhi per un momento, chiedendosi se Gibbs non la pensasse davvero così, e li riaprì di scatto dicendosi che no, non era possibile, e non poteva osare nemmeno pensarlo per un secondo.
   La mia squadra. E le mie regole.
   Io dipendo da te.
   E perché improvvisamente sembrava sbagliato stare lì, steso nel suo letto troppo piccolo, nudo, con la donna che il suo capo gli aveva proibito di frequentare? Si sentiva… in colpa. Come se in fondo stesse tradendo Gibbs. Ed era stato tradito troppe volte per non sapere cosa significasse - per non sapere quanto male facesse - per voler infliggere una cosa simile all’uomo che gli aveva dato un posto dove andare quando il mondo gli era crollato addosso, ed era stato al suo fianco in ogni momento in cui aveva avuto davvero bisogno di lui - gli aveva ordinato di non morire, cazzo!
   Ma in quel momento EJ si mosse nel sonno, e niente sembrava più così netto, il senso di colpa scemava e tutta l’insicurezza era ancora lì.
   Ti toccherà fare una scelta.
   Lo so, Ziva.
   Non ti invidio.
   Nemmeno io, Ziva.
   Come aveva detto a Tim quella mattina, era tutto più facile prima che arrivassero EJ e la sua squadra. Gibbs era il capo dell’MCRT di Washington, lui era il suo Primo Agente Operativo, il suo fedele San Bernardo che, nonostante sembrasse passare tutto il suo tempo a fare il cretino, era comunque un bravo agente tenuto in alta considerazione dal suo capo, e l’unica preoccupazione legata alla regola numero dodici era come flirtare senza impegno con Ziva mentre insieme prendevano in giro McGee o con quest’ultimo correggeva i modi di dire che lei sbagliava tanto spesso.
   Era tutto più facile.
   

   
 
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