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Autore: hanabi    21/06/2013    1 recensioni
Altra storia "gotica" (data 1989) con la pittura come protagonista: in un castello italiano, da tempi e luoghi diversi, convergono i personaggi di una tormentosa storia d'amore, desiderio e devozione per la quale tutti dovranno pagare il loro prezzo.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*



 

 

 

Marco si alzò a sedere di scatto, ansimante, sudato. Non ricordava cosa avesse sognato, ma era stato un incubo... un orribile incubo interrotto da un grido agghiacciante.

Ci volle qualche attimo perché si rendesse conto che era stata Cinzia a gridare, accanto a lui. Si agitava ancora, ad occhi chiusi, con singhiozzi animaleschi, come se stesse soffocando.

Il panico travolse Marco. "Cinzia!" gridò, e la prese per le spalle, la scosse. "Cinzia! Cinzia!"

Lei sembrava non sentirlo nemmeno. I singhiozzi si calmarono, ma gli occhi non si aprirono.

"Cinzia! Cinzia!... Rispondimi!"

Il respiro di lei si fece più lento, un ansimare lamentoso, come se si fosse riaddormentata profondamente, rituffandosi nell'incubo che l'aveva sconvolta. Marco si chiese freneticamente cosa fare, con il cuore che pareva volergli esplodere in petto.

"Amore, svegliati... svegliati, ti prego, ti prego... "

La scosse, dolcemente, le baciò la fronte gelida, la schiaffeggiò pieno di timore. Lei non reagì a nessuna delle sue azioni. Il suo corpo restò inerte, con i muscoli che fremevano lievemente. Il suo polso era leggerissimo e rapido, la corsa al galoppo di un cuore terrorizzato.

"Cinzia! Cos'hai? Cosa ti succede, Dio mio?!... "

Si accorse di aver gridato. Lottò per riprendere il controllo di sé, si costrinse a riflettere, nonostante lo spavento. Forse qualcuno aveva sentito Cinzia gridare. Qualche guardiano sarebbe venuto a controllare. Dovevano nascondersi, prima che li scoprissero... 

Al diavolo! Meglio essere scoperti e cacciati fuori che lasciare Cinzia in quello stato pauroso! Avevano bisogno d'aiuto, altroché aver paura di essere scoperti!

Si infilò frettolosamente i boxer e le scarpe di corda, corse nella loggia, si portò al parapetto e guardò giù.

Nemmeno una luce, là sotto. Solo qualche lampione. Che ore erano?

"Aiuto!" gridò, e la voce gli uscì un po' strozzata. Si schiarì la gola, riprovò, e stavolta uscì un grido stentoreo: "Aiuto!... "

Attese invano un segno qualsiasi di reazione. Tutto il paesaggio restò muto ed immoto davanti a lui, sotto la luna che cominciava a declinare.

Marco strinse i pugni, pieno di frustrazione. Riprovò. 

Ancora nulla. Erano sordi o facevano apposta? Esitò all'idea di gridare un'altra volta da lì... forse era meglio tentare di scendere, di uscire dal castello.

Sì, doveva cercare aiuto fuori da lì!

Senza pensarci due volte, si voltò ed iniziò a correre verso la fuga delle porte che si apriva davanti a lui. Non aveva bisogno di luce, la luna ne forniva a sufficienza. Varcò una soglia dopo l'altra, entrò in una sala, poi in un'altra, poi in un'altra ancora... giunse alla torre d'angolo e lì si immobilizzò, trasalendo.

Una nera figura sbarrava l'ultima porta.

Per un lungo istante, Marco non osò nemmeno respirare. Chi era quell'oscura apparizione? Il guardiano notturno? E perché restava immobile? Doveva averlo visto per forza!

Alla fine si decise e fece un passo, entrando nel fascio di luce lunare. Vide la propria ombra disegnarsi sul grigio pavimento ed allungarsi, fino alla figura oscura.

Un refolo di vento entrò nei corridoi, fischiò appena nel suo viaggio attraverso le sale, giunse a gelare le sue spalle nude ed a far ondeggiare il nero mantello della figura. Come se avesse atteso quel segnale, essa prese vita e si fece avanti, silenziosamente. Una corona di fini capelli arruffati brillò nella fredda luce lunare.

"Ti stavo aspettando, Bernardino... "

Quella voce... un sussurro lontano, roco, da oltre il tempo. Marco rabbrividì, ma non solo per il freddo. Chi era quell'uomo davanti a lui? Un pazzo?

O forse... forse un buontempone, che giocava a fare il fantasma del castello!

La paura di Marco si mutò in rabbia. Era quello il momento per fare quegli scherzi puerili! Due ragazzi spaventati, che buona selvaggina per una caccia ai gonzi da prendere in giro!

Avanzò verso la figura, con decisione, fece per scostarla. "Senta, lei, perché non... "

Una mano lunga, ossuta gli afferrò il polso. Sentì una fitta di gelo bruciante lungo il braccio, lanciò un grido strozzato, più di spavento che di dolore... il vento ululò con lui, disperdendosi chissà dove.

Due occhi sporgenti, vividi lo fissarono a pochi centimetri dal suo volto.

"Benvenuto a saldare il tuo debito," gli sussurrò quella voce lontana, senza che alcun alito sfiorasse il suo viso.

"Chi sei?" domandò lui con voce rotta, "Chi sei?"

"Carolus."

Marco sentì, più forte di lui, l'impulso irresistibile del terrore. I suoi muscoli scattarono con un impeto di furia, per liberarsi da quella presa, da quella presenza. Non era un ragazzo gracile, tutt'altro. Sembrava così facile... 

La figura fu inamovibile. Marco si trovò inspiegabilmente con le spalle al muro, ambedue i polsi stretti nella morsa di quelle mani di ghiaccio. Un lento dolore si unì al suo terrore, cominciò ad invadergli ogni fibra del corpo. Spalancò gli occhi senza vedere più nulla... sentì se stesso gridare, e quel sussurro penetrare nella sua coscienza.

"Tutto è compiuto, Bernardino... vieni. L'ora è venuta. L'ora è venuta... "

Marco scivolò in ginocchio, la mente piena di silenziose esplosioni, era come se qualcosa lo premesse contro veli scintillanti fatti di solo dolore, e lui li deflorasse uno ad uno... 

"Lasciami! Lasciami!" implorò, o credette di implorare. "Lasciami!... "

All'improvviso, la figura lo lasciò.

Marco si abbandonò con le spalle al muro, senza forze, senza fiato. Il dolore era cessato quasi immediatamente. Aprì lentamente gli occhi, e vide le pitture alle pareti.

Erano fresche, e vivide alla luce di una lucerna. Lontano giungevano i rumori della notte. Cani e cavalli erano nervosi sotto la luna piena.

La figura oscura davanti a lui respirava, ora. Un roco ansimare, quasi un rantolo.

"Questa è la tua ultima notte al di qua del muro, Bernardino Bembo."

Marco scosse lentamente la testa. No, io non mi chiamo Bernardino! Sono Marco... 

... e Francesco, e Ludwig, e Bogdan... una lunga catena di appellativi sorse dalla sua mente, un abisso di diversità attorno ad un'unica identità. Ed a capo di quell'abisso, quel nome... Bernardino.

Dunque io sono Bernardino Bembo... 

"Ricordi la mia minaccia, vero?"

Marco ricordava. Una mano sul petto. Un pennello tratto dalle vesti. Un brivido di paura ed orrore inspiegabile.

"Ma tu hai consumato il tuo peccato, fino in fondo. Non resta più altro da fare che completare il tuo castigo. Non sarà una semplice morte, non meritate questa misericordia. In questa notte ho convocato tutte le tue future incarnazioni... ho manipolato il tempo saldando ogni futuro in questo unico istante. Il Più Grande Architetto mi vieta l'infinito... ci sarà un futuro che sfuggirà alla mia trappola, un giorno un terremoto farà rovinare i miei affreschi ed il loro potere avrà fine. Ma fino ad allora, Bernardino, da qualsiasi futuro tu venga, sarai guidato qui dal destino... e tornerai a questa notte, nel sedicesimo secolo dalla nascita di Gesù Cristo."

Dio mio, sto sognando... dimmi che questo è un incubo! Dimmi che domani mi risveglierò con Cinzia al fianco ed insieme torneremo a casa, a casa!

"E lei sarà sempre con te, Bernardino. Ritroverai Beatrice in ogni tuo futuro e la condurrai qui insieme a te. Siete legati per sempre!"

Beatrice! Marco sentì dipanarsi in lui un'altra catena di appellativi... i molti nomi dell'unica donna che potesse amare. Sì, Beatrice! E anche Bianca, Helga, Maria... Cinzia... 

Cinzia che, come tutte le altre incarnazioni di se stessa, si agitava nel suo sonno diabolico... Cinzia nel suo sacco a pelo, Maria nel lettino a sospensione, Beatrice nel suo grande talamo nuziale... 

Non era forse corso via, lontano da lei, spaventato dall'averla vista in quello stato di deliquio? Non aveva gridato a gran voce nei corridoi, per chiamare la nutrice, i servi, che lo aiutassero?... Non aveva forse trovato nessuno nel castello, tutte le stanze inspiegabil mente vuote e silenziose?

Marco ricordò un racconto narratogli da Cinzia. Lao Tze aveva sognato di essere una farfalla, ed al risveglio non sapeva più se era un uomo che sognava di essere una farfalla o una farfalla che sognasse di essere Lao Tze... 

Chi sono? Sono Marco che sogna di essere Bernardino? O Bernardino che sogna di essere Marco? Sedicesimo secolo? È dunque il mio tempo? È vero che nel ventesimo secolo accadrà tutto quel che ho visto? O tutto non è che un sogno... 

"Conosco la tua paura," sorrise tristemente Baglione. "Hai chiesto a Beatrice di licenziarmi e cancellare i miei affreschi. Quel che di divino è in te riconosce in essi la tua nemesi."

Marco sapeva che era vero. Aveva fatto ciò che Baglione diceva, aveva avuto paura di lui, dei suoi deliranti dipinti.

"Sai che in queste pareti c'è l'anima di Pier Maria," continuò Baglione. "Non per lui i lacrimosi paradisi cristiani... no, un uomo come lui ha voluto un paradiso su misura, la gloria lussuriosa di un paradiso pagano. Io gliel'ho dato, Bernardino, io ho creato questo universo per lui."

Baglione voltò le spalle a Marco.

"Tu hai rubato tutto a Pier Maria Rossi, gli hai tolto la speranza, la moglie, la terra, la vita. Ma non ti è bastato, vero? Tu sai che Pier Maria è immortale, qui dentro!" Battè il pugno contro l'intonaco dipinto. "Ed allora ecco che l'universo di Zeus viene sconfitto da una colata di calce, e tu resti a ricamarci sopra la tua storia terrena di Eros, che tutto vince... " Baglione sogghignò, e ripetè: "Eros, che tutto vince!"

Si voltò di scatto, e Marco trasalì. Nella mano ossuta dalle dita sottili e tremanti c'era un pennello.

"Avete fatto i conti senza di me. Vi ho permesso di arrivare fino in fondo a tutte le malvagità che avete perpetrato. Ma non posso lasciarvi distruggere il mio universo senza difenderlo. Questa è l'ultima frontiera, Bernardino... ed in nome di tutto ciò che è santo, è qui che noi tutti ci fermeremo."

Baglione prese la lucerna e cominciò ad uscire da quella stanza, diretto verso la grande sala delle feste, l'ultima sala rimasta da completare.

Marco sentì un impulso più forte di lui spingerlo a correre dietro a quella figura lugubre, ad afferrarla per le vesti, a gettarsi ai suoi  piedi.

"Carolus, ascolta!... Non toccheremo nulla dei tuoi affreschi... Lasciaci in pace, ed avrai tutto quel che vuoi, te lo giuro... tutto quel che vuoi!"

Baglione si fermò, posò con tristezza il suo sguardo invasato sul giovane.

E Marco rabbrividì, ma non si sottrasse a quello sguardo.

"Non puoi più promettermi nulla, Bernardino. Non ho più lussuria da soddisfare, l'ho usata per confezionare il mio miracolo. È il prezzo che devo pagare al Più Grande Architetto... devo venire con voi, devo condannare anche me stesso alla vostra stessa punizione. Ma ho accettato questo prezzo. L'ho accettato quando avete ucciso Pier Maria. Allora avete valicato il punto di nessun ritorno... perché nulla in tuo potere può restituirmi il mio signore. Non puoi più ridare a Pier Maria la vita che gli hai tolto."

Baglione giunse alla grande sala. Era quasi finita. Mancavano solo alcune figure, i lineamenti di un giovane uomo, di una donna, di un vecchio mostro.

"Ho rubato a poco a poco frammenti delle vostre coscienze, giorno dopo giorno, figura dopo figura, grottesca dopo grottesca. Tutti ammiravano la vita nei miei dipinti, e quella vita veniva da noi... era la nostra stessa vita! Il processo è quasi completato, ormai. Tra poco varcheremo la soglia di non ritorno, apparterremo a questo universo dipinto più di quanto apparteniamo a questo mondo mortale... e cesseremo di esistere quaggiù."

Il pennello si alzò, nella luce fioca della lucerna. Si apprestò a completare l'immagine di una bella donna bionda, avvolta in veli, azzannata da serpenti verdastri: una sorridente Cleopatra?

"Non ti piace il mio universo, Bernardino?... È da esso che tra poco dovrai guardare il mondo. Ti sembrerà un dipinto assurdo, visto dall'altra parte; un ammasso rutilante di mutazioni davanti ai tuoi occhi immutabili. Nel mio universo scoprirai quanto può essere strano il tempo... quanto può essere dolce la morte."

Lontano, nella notte, un urlo prolungato ed agghiacciante lacerò l'aria, il lamento di un animale sgozzato... 

"Beatrice," mormorò Marco, con un filo di voce, gli occhi sbarrati.

Gli occhi affrescati della figura scintillarono di nuova vita, fissarono Marco con un orrore che strideva accanto al sorriso immutabile.

"Beatrice!!!" urlò lui, e corse via, a perdifiato, verso la camera nuziale, senza incontrare anima viva, perso in un incubo, in un abisso di orrore, sentendo le lacrime esplodergli negli occhi... 

Nella camera lo attendeva solo il silenzio.

Sul letto non c'era più nessuno (né nel sacco a pelo, o sul lettino a sospensione). In qualsiasi presente o futuro guardasse, la stanza echeggiava il suo vuoto totale.

Istupidito, confuso, Marco barcollò fuori, si appoggiò tremando con le spalle al muro, esausto, aspettando che tutto si compisse anche per lui. Per lei, con lei, per sempre... 

Un languore, un lento senso di dissoluzione iniziò ad invadere il suo corpo. Marco si stupì davanti all'assenza di dolore. Era quasi una sensazione dolce, il lento fondersi di se stesso in uno sciame di particelle liquide che scorrevano lontano da lui, in un rivolo luminoso e sottile, una dopo l'altra, via, via... 

In uno spasimo della coscienza, si accorse di non sentire più il muro contro le spalle. Era come se fosse penetrato nella parete stessa. Con un sussulto orripilato cercò di ritrarsi, di tornare al centro della stanza. Ma non riuscì a camminare; neanche a cadere.

Restò sospeso per aria, una sensazione assurda. Dov'erano finite le sue gambe?... Un lungo nastro arricciolato in un fantastico festone, ecco cosa scendeva dalla sua vita assurdamente sottile. Pampini attorno alle sue tempie, le colonne di un tempio sulle sue spalle.

Allora comprese, e la sua anima urlò d'orrore.

Il suo corpo era fluido, e nel contempo cristallizzato in una forma statica, impossibile da muovere. Si dibattè, e si trovò improvvisamente congelato su di una smisurata piattaforma, in una posa di danza pirrica, il peso osceno di seni femminei che ondeggiavano senza mai ricadere.

"Carolus! Carolus!!!"

Era dall'altra parte, ormai, prigioniero delle pareti. Scivolò incorporeo da una figura all'altra, folle di desiderio di muovere quelle membra fatte di colore ed intonaco. Ma tutto era inamovibile attorno a lui... 

Percepì Beatrice condividere la sua fuga, ne incontrò gli occhi in una cariatide simmetrica alla sua, non li sopportò. Avrebbe pianto, ma poteva un affresco versare lacrime?

Baglione diede un ultimo tocco alla figura. Un Antonio trafitto da una daga si contorceva guardando un teschio. Sentì il dipinto accendersi di vita, seppe che Bernardino era lì, colmo di orrore, a fissare per un tempo senza significato quel teschio sbiancato... 

Forse il teschio di Pier Maria?

La mano di Baglione era diventata un fantasma nella notte. Il pennello pesava, sempre di più man mano che il suo volto si disegnava sull'intonaco. Alla fine cadde, e gli occhi del vecchio mostro sulla parete fissarono alteramente il mondo, con nuova forza.

Quando la luna tramontò, i servi udirono un ultimo, stentato risolino, un sussurro lontano, come portato dal vento che non soffiava affatto. Erano le parole di San Paolo.

"O morte, dov'è la tua vittoria?"

 

 

 


 

 

Quell'unica notte fu seguita da molte mattine, sparpagliate in tutti i futuri.

In una di quelle mattine, nell'anno 1983, il guardiano del castello di Torrechiara chiamò i carabinieri.

C'erano due sacchi a pelo in una stanza del castello. Una macchina fotografica, uno zaino, dei vestiti, dei documenti.

Ma dei ragazzi proprietari di tutto questo, nessuna traccia.




 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

POSTFAZIONE
 

Nel 1983 visitai il castello di Torrechiara, vicino a Parma (reso poi famoso anche dal film “Lady Hawke”) e ne rimasi debitamente colpita. Qualcosa in me germinò, ma non avevo assolutamente idea di cosa fosse.

Nell'autunno 1989 scrissi a valanga questa storia, dopo un'altra visita al castello e qualche frammentaria informazione storica su di esso. Naturalmente i personaggi sono inventati, anche se realmente esistiti. Pier Maria Rossi era un capitano degli Sforza che ebbe una storia esemplarmente adultera con Bianca Pellegrini da Como, signora regolarmente sposata. Lei consenziente, scapparono tutti e due a Torrechiara e Bianca divenne la castellana. Fu immortalata sulle pareti della camera nuziale da un pittore di seconda categoria, Benedetto Bembo. Costui veniva da Brescia ed era specializzato in Madonne Con Committente Inginocchiato (le proporzioni dei corpi umani erano ridicole, ma le vesti ed i mantelli erano tracciati con squisita perfezione!) Fece qualcosa di meglio con la bella Bianca, accompagnando la sua effigie con il ritratto di Pier Maria nei panni del bel cavaliere, e con la mappa dei feudi in loro possesso. Più tardi il castello passò nelle mani dei Farnese che chiamarono da Roma un pittore quotato nel campo delle grottesche, Cesare Baglione.

Tante cose ho inventato, ma non gli affreschi di Baglione: sono stati loro, con la loro inquietante caoticità, la loro apparente mancanza di logica (che suggerisce forse misteriose verità?) a colpirmi tanto ed a spingermi a scrivere questa storia. Da quel momento in poi non ho più potuto guardare le decorazioni "grottesche" senza provare l'inquietudine che spero di aver saputo descrivere.

Ah, PS: c'è anche caso che Cesare Baglione sia un mio lontano antenato.

  
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