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Autore: Medea00    23/06/2013    7 recensioni
Raccolta in cui sono contenute tutte le OS che ho scritto per le Seblaine Sundays e l'iniziativa domeniche a tema, organizzata dal gruppo Seblaine Events. Tutti i rating e i generi che mi passano per la testa.
23/06: Supernatural!AU
30/06: Babysitting
21/07: Dystopic!AU
1/09: Aeroporto
15/09: Magia
22/09: Literature!AU
6/10: 4 canzoni del tuo Ipod
20/10: Raffreddore
27/10: Scommessa
17/11: Esame andato male
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa fanfiction partecipa all'iniziativa domeniche a tema organizzata dal gruppo Seblaine Events.







Vampiri.
Mai avrebbe creduto nell’esistenza di simili bestie.
Cupi cacciatori privati della loro stessa vita. Meri corpi bianchi e freddi che non sentivano nulla all’infuori del caldo sangue umano. Ogni sensazione, ogni sentimento, era morto insieme alla loro parte umana.
I loro occhi erano glaciali, macchiati di colori splendenti come il cristallo, accompagnavano un sorriso brillante, effimero; si potevano scorgere, rinchiusi come in una trincea, i due canini appuntiti e leggermente affilati, pronti ad azzannare qualunque essere del quale percepissero l’odore.
Menti brillanti, scaltri, praticamente indistruttibili, col tempo apprese che le uniche cose efficaci contro di loro erano la luce del sole e il legno di Frassino, ma comunque era quasi impossibile coglierli di sorpresa; oltretutto, col passare dei secoli, la loro forza e furbizia aumentavano considerevolmente.
C’erano delle voci che parlavano di qualche casata, o di una sorta di congregazione, nella quale si riunivano per formare una grande famiglia e, chissà, organizzare danze e balletti mentre conversavano amabilmente dell’ultima vita umana da cui avevano succhiato la loro linfa vitale.
Li odiava ancora prima di conoscerli, e quando questo accadde, la sua ira fino ad allora repressa era scoppiata come un lampo che dilania le nuvole e piomba sul terreno.
Era notte fonda.
Sebastian si era recato nel bosco seguendo la scia suggeritagli quando, ad un tratto, percepì un rumore sinistro tra gli alberi, e un odore: l’aveva sentito altre volte, era pesante ed insopportabile, acido, quasi marcio, di carne putrefatta e di morte.
Pensò subito a un qualche cadavere e si precipitò verso l’origine, quanto più velocemente le sue gambe umane lo consentissero.
Non fu il cadavere steso a terra a sorprenderlo: fu il cadavere che era in piedi.
Un ragazzo, apparentemente sulla ventina, gli occhi dorati, si ergeva dinanzi a lui con disinvoltura, e con altrettanta naturalezza si leccava le dita sporche di quello che in pochi attimi riconobbe essere sangue.
 
 
 
 
Sebastian Smythe aveva dieci anni quando venne a conoscenza dell’esistenza dei vampiri.
Era il millenovecentonovantanove, Parigi era nel pieno dei festeggiamenti, la città aveva abbandonato la routine di lavoro e monotonia in favore di cene, petardi, fuochi d’artificio e famiglie che festeggiavano felici.
Era la notte di capodanno.
Indossava un maglione confezionatogli dalla zia, un regalo di Natale, uno dei pochi che apprezzasse davvero. Era solo un bambino. L’unico suo pensiero era passare il test per l’ammissione al Junior Club di football locale. Non avrebbe mai pensato che quel giorno sarebbe diventato orfano.
Lo vide soltanto per un attimo; i suoi lunghi capelli biondi erano macchiati di sangue, insieme alle mani e a gran parte del viso. Il signore e la signore Smythe giacevano sul tappeto della loro casa, immobili, la vita che stava scivolando via dai loro corpi sempre più velocemente. Il camino accanto a loro bruciava scoppiettante, un elemento dal quale quell’essere sembrava tenersi a debita distanza; sopra di esso, erano ancora appese le calze piene di dolci in attesa del giorno della Befana.
Fuori dalla finestra la neve ammorbidiva le strade e si potevano udire i fuochi d’artificio in lontananza.
“Felice anno nuovo, l’inizio di un nuovo millennio”, Esclamava il conduttore della televisione, accesa a un angolo della stanza. “Vi auguro di realizzare tutti i vostri desideri.”
Sebastian non riusciva a fare niente. Il suo corpo era come paralizzato. Il vampiro lo guardò, e chissà per quale assurdo pensiero, forse per sazietà, forse per compassione, decise di risparmiargli la vita.
La scelta più sbagliata che potesse fare.
Quel bambino di dieci anni espresse un solo desiderio, mentre accarezzava i capelli della madre e i suoi pantaloni di ciniglia si macchiavano di rosso cremisi.
Avrebbe ottenuto la sua vendetta. A costo di impiegarci tutto il secolo successivo.
 
 
 
La prima volta che lo rivide fu in un altro continente, dodici anni dopo. Aveva attraversato l’oceano per trovarlo, ma alla fine era lì: il suo primo pensiero fu che quel mostro fosse tremendamente sensuale. Capelli biondi e ondulati; corpo freddo e perfetto. Più bello di tutti gli altri vampiri incontrati fino ad allora. Dopotutto era quella la loro carta vincente, no? Il fascino. E pensò che anche lui lo sapesse, oh, lo sapeva bene: tentò di sedurlo. Si avvicinò a lui, con un sorriso sghembo, gli occhi azzurri che fremevano per la carne, e a Sebastian venne quasi da ridere.
Non si ricordava di averlo già incontrato, dieci anni prima. Non si ricordava di quel bambino che aveva risparmiato, nel giorno della fine del mondo.
Nell’esatto momento in cui aveva estratto i canini scintillanti, gli conficcò un paletto nel cuore. E poi ancora. E ancora, e ancora.
Lo vide dissanguarsi sotto di sè, con l’adrenalina che gli scorreva lungo le gambe, le dita che formicolavano di eccitazione mentre stringevano il legno macchiato di sangue.
Lo osservò morire con un ghigno sulle labbra.
 
 
 
 
Era passato un po’ di tempo dalla sua ultima caccia. Un mese, forse di più. Sebastian si aggiustò il colletto del giubbotto e si rassettò i jeans con un gesto rapido, per poi scendere dalla macchina sbattendo la porta con fermezza. Era un vecchio modello, Mercedes classe ottantanove, di suo padre. Si soffermò per un momento a guardarla: era ridotta un po' male. Un giorno o l'altro avrebbe dovuto dedicarle un po' di tempo per cambiare l'olio, le gomme e pulirla da cima a fondo; ma non aveva mai tempo per pensare a certe cose.
Osservò il luogo, oscurato dalle lunghe cime degli alberi, ed emise un sospiro quasi compiaciuto. Quale posto migliore, se non quello di una foresta isolata, per togliere la vita a qualche povero disgraziato?
Mentre si addentrava nella selva cercò di pensare a Nick Duval. La prima immagine che gli venne in mente fu lui, sempre con il sorriso, che aiutava Jeff con qualche omicidio misterioso; ovviamente, riguardava qualche vampiro. Era stato un grande cacciatore, uno dei migliori. La telefonata in lacrime di Jeff lo aveva davvero colpito: lo aveva chiamato nel bel mezzo della notte, stavano lavorando ad un caso, avevano seguito due piste diverse, ma Nick quel giorno non era tornato a casa.
Jeff nutriva ancora la speranza che fosse vivo, magari disperso, da qualche parte; Sebastian, invece, non vantava del suo stesso ottimismo.
Aveva sempre pensato che sarebbe stato lui il primo ad andarsene, quello da seppellire. Forse perchè ormai faceva quel lavoro da quindici anni ormai, con una lista di vampiri uccisi che superava la settantina, e per quel motivo mezzo continente desiderava la sua testa.
Doveva essere lui a morire. Questo fu quello che pensò, quando Jeff aveva riattaccato al telefono, senza più nemmeno la forza di chiedergli aiuto. Nick e Jeff stavano insieme da tanti anni, erano destinati a una vita felice; mentre lui, invece, non aveva più nessuno che avrebbe pianto per la sua mancanza.
Finalmente trovò il corpo, a qualche miglio da dove aveva parcheggiato. Forse era la lontananza, il non vedersi per lunghi periodi, il suo stile di vita fatto di hotel, solitudine e uccisioni, fatto sta che ad un primo impatto non riconobbe Nick Duval: non sembrava lui. Era dimagrito molto, il corpo esile e bianco come la neve. Avrebbe giurato di non riconoscerlo, se poi non avesse notato qualche connotato del viso a lui familiare, tipo i lineamenti delicati e i capelli castani. Fece una smorfia, vedendolo da più vicino: sul suo collo, due fori ravvicinati, perfettamente concentrici e puliti. Era stata una morte rapida e pulita. Aveva come l'impressione che tutte le persone vicine a lui fossero maledette e, dopo tanti anni, che il suo cuore vacillò. Non era certo la prima volta che ritrovava un corpo completamente esangue, ma quello era Nick, il suo collega. Il suo amico. Il suo stomaco si strinse e lui in risposta serrò i denti, assumendo una smorfia.
Quel vampiro lo avrebbe ucciso gustandosi ogni suo spasmo con estremo piacere.
Con un gesto della mano abbassò le palpebre sugli occhi vitrei, prima di sentire un rumore insolito.
Si fermò di scatto, accovacciandosi, nascondendosi fra le siepi, afferrando il paletto che teneva riparato nel giubbotto di pelle marrone.
Un vampiro. Un vampiro molto giovane, pergiunta. O almeno esteticamente: chissà quanti anni avesse, quell’essere senz’anima. I capelli erano neri e riccioli, di un taglio che non si usava più; il vento li scompigliava freneticamente, ma non sembrava curarsene. Non era molto alto, probabilmente gli arrivava alla spalla, e aveva appena finito di leccarsi la mano di un sangue caldo e invitante. Indossava dei semplici pantaloni e una camicia chiara, perfettamente immacolata. Ai suoi piedi, un altro corpo, un’altra vittima.
Ed eccolo, l'assassino, pronto a finire la sua opera, pronto a portare i corpi chissà dove, così da eliminare ogni sua traccia. Non gliel'avrebbe permesso.
Attese qualche secondo, riflettendo. Sarebbe stato facile coglierlo di sorpresa e pugnalarlo all’altezza del cuore. Di certo la prestanza fisica non gli mancava.
Tuttavia... il suo desiderio di vendetta andava oltre la semplice vittoria personale. Voleva trovarli tutti: voleva sterminarli.
E per farlo, aveva bisogno di sapere dove si nascondessero.
Si alzò in piedi, nascondendo il paletto e afferrando qualcos’altro dentro la tasca esterna, avvicinandosi a lui con passo deciso.
“Ehi.” Lo chiamò. Il suo tono non apparve dei più cordiali, ma non poteva fare di meglio. “Allontanati da lui.” Intimò, indicando con un cenno del capo il corpo ormai privo di vita.
Quando si voltò, i suoi occhi lo colpirono come se avesse appena guardato il sole.
Lo vide avanzare verso di lui, ma niente di più. Era troppo buio, troppo ventilato e, soprattutto, troppo disorientato, per poter ragionare con lucidità: si sentiva come assuefatto dopo una lunghissima corsa, come sotto l’incantesimo di un prestigiatore, l’afrodisiaco generato dai suoi occhi e dal suo sorriso caldo e gentile.
Era il potere dei vampiri, lo sapeva bene: tuttavia, adesso era come amplificato a livelli mai provati prima. E quel ragazzo sembrava così tranquillo e sereno, all’apparenza.
L’unica cosa che riusciva ad osservare con cura erano i suoi capelli folti e riccioli, che danzavano insieme alla brezza, e il suo corpo compatto, bellissimo, armonioso e sensuale.
Ma non era niente, in confronto alla sua voce.
“È una minaccia, per caso?”
Un angolo della bocca si incurvò in un sorriso mentre avanzava sempre più lentamente, e Sebastian si trovò ad indietreggiare di un passo, accentuando la vista, scrutandolo. Provocò un rumore infossato dovuto all’impatto dei suoi scarponcini contro il terreno umido.
“Non mi sembri molto minaccioso.”
“Nemmeno tu. Ho ucciso vampiri grossi il doppio di te”, Ribattè lui, ed era vero: con i suoi lineamenti dolci e la sua voce melliflua, non sembrava affatto un assassino spaventoso.
“Ma io non voglio ucciderti.”
Sebastian sussultò, con un’espressione cinica: “Non hai più fame?”
Cogliendo il riferimento, il vampiro voltò la testa verso il cadavere alle sue spalle, scuotendola appena: “Quando sono arrivato era già in fin di vita e soffriva molto. Gli ho fatto un favore.”
“Oh, certo. Immagino che ti abbia ringraziato quando hai finito, vero?”
“Non li ho uccisi io.”
E Sebastian si stupì del fatto che avesse menzionato anche Nick, ma non fece in tempo a trovare una risposta repentina che il vampiro aggiunse: “Ma la vera domanda che mi pongo è: perché tu non mi hai ancora ucciso?”
Sfoggiò un sorriso divertito e Sebastian restò in silenzio, attonito, nell’osservare quel ragazzo dal fascino indescrivibile. Lo osservava di rimando, con i suoi occhi ambrati, e lui sentì una sensazione di vuoto. Come se riuscisse a leggergli la mente. Come se fosse un semplice cacciatore alle prime armi, nelle sue mani, pronto per essere schiacciato come un moscerino fastidioso.
“Chi ti dice che voglia ucciderti?” Tentò, mentre la sua mente elaborava una strategia d’attacco. Il vampiro inarcò un sopracciglio e sospirò annoiato: “Mi credi così stupido? Se tu fossi un umano qualunque saresti già scappato urlando. Quindi, sei un cacciatore. Quindi, ancora non capisco perchè non mi hai fatto fuori.”
“Forse voglio tenderti una trappola.” Sebastian fece un passo in avanti, le mani in tasca e un sorriso sghembo, e in quel momento vide il ragazzo trasalire, come colto alla sprovvista. “Come sarebbe a dire?”
Buffo. Se solo non fosse stato bianco come un cadavere, avrebbe giurato di vederlo arrossire.
“Forse non ti voglio uccidere...” Si fece sempre più vicino, stavolta non aveva nessuna esitazione nell’eliminare la distanza tra di loro, quella tensione che aumentava il battito del suo cuore e il ritmo dei suoi respiri. “Forse voglio che tu mi morda, bevendo tutto il mio sangue.”
Gli occhi del ragazzo lo guardarono sorpresi, carichi di desiderio, di lussuria.
“Non tentarmi”, Lo minacciò, ma la sua voce era flebile, il suo corpo, con grande sorpresa del cacciatore, si ritrasse, quasi spaventato.
Non aveva mai visto un vampiro reagire così; si complimentò con se stesso per aver ribaltato in modo tanto abile la situazione.
“Che problema c’è?” Lo incitò ancora, estraendo le mani dalle tasche, strette a pugno, e allargò le braccia verso di lui. “Non ti piace quello che vedi?”
Il vampiro deglutì più volte, l’oro dei suoi occhi era scomparso quasi del tutto in favore di un castano scuro e famelico; a quanto pareva era vero che non li avesse uccisi lui, altrimenti sarebbe stato sazio. Dal suo comportamento, invece, si intuiva che non si cibasse da troppo tempo, e Sebastian era davvero troppo invitante. Gli cinse la vita con entrambe le braccia, e adesso il suo collo era proprio all’altezza delle sue labbra.
“Un solo morso”, Sussurrò contro al suo orecchio, soffiandoci sopra con il suo respiro umano, caldo, eccitante.
Tutto ciò che avvertì furono i canini del vampiro dentro di sè. Poi ci fu disorientamento, passione, desiderio e un terribile piacere; la pelle che si accapponava pervasa dai brividi, il respiro corto, il cuore che pulsava sempre di più. La sua vista si annebbiò per un secondo e fu come un orgasmo, i denti del vampiro lo stavano marchiando con forza e una parte di sè desiderò arrendersi a lui, lasciarsi andare e i gemiti, i gemiti che in quel momento desiderava emettere con voce roca e spezzata dal desiderio.
Era un atto più intimo di un bacio e molto più intenso di un amplesso.
Ma poi, Sebastian riuscì a sollevare la camicia del vampiro e lo sentì rabbrividire, ma era troppo preso dal suo sangue caldo per accorgersene veramente; con la mano ancora stretta a pugno, conficcò una siringa nella sua pelle fredda e, finalmente, si staccò da lui.
Lo guardò; come se avesse saputo sin da subito quello che aveva intenzione di fare, ma non era riuscito a resistere lo stesso.
Quando si accasciò tra le sue braccia, perdendo conoscenza, Sebastian lo resse con un braccio, mentre con l’altro andò a coprire la ferita sul collo che cominciava a pulsare.
La siringa di sangue di uomo morto giaceva a terra tra le foglie, a pochi passi dal cadavere.
 
 


 
 
 
Quando il vampiro si svegliò, come prima cosa cercò di capire dove si trovasse.
Era in una grande stanza di lusso, con tappeti persiani e quadri di natura morta appesi per tutte le pareti; per ironia della sorte, queste aveva un color rosso scuro, tendente al cremisi.
Si guardò intorno, ma i suoi occhi bruciavano ancora terribilmente a causa del veleno inflittogli qualche ora prima; come riflesso istintivo fece per strofinarseli, ma le sue mani erano pressate tra di loro con grosse catene di argento, dietro la sua schiena.
Era seduto in malo modo su una sedia di almeno dieci anni, lontano da porte, finestre e qualsiasi oggetto nel raggio di tre metri.
Quando riuscì a mettere a fuoco, tossendo più e più volte per il veleno ancora in circolo, identificò il cacciatore di vampiri appoggiato a una cassettiera.
“Credevo saresti morto. Sarebbe stata una bella seccatura.”
“Vai al diavolo”, Sbottò con veemenza, e Sebastian allora si lasciò andare a una risata liberatoria.
“Non siamo più così terrificanti, eh? Non con delle catene di argento e il veleno di uomo morto in circolo. Dicono che è come ingerire venti pasticche di LSD tutte insieme, è così? E per quanto durerà questo stato di overdose? Uno, due giorni?”
Il vampiro non rispose, limitandosi a guardarlo torvo da sotto le ciglia folte. Si divincolò cercando di liberarsi dalle catene, ma era troppo indebolito e l’argento puro bruciava come se fosse ferro rovente.
Sebastian osservò i suoi tentativi fallimentari con un certo compiacimento, ghignando e incrociando le braccia al petto.
“Si può sapere che vuoi da me?!” Lo sentì esclamare dopo almeno un’ora di esasperazione.
“Piano, piano, abbiamo un sacco di tempo. Davvero un sacco: tu sei immortale, giusto? E io non ho impegni per il week-end, quindi non abbiamo fretta. Iniziamo con le presentazioni: mi chiamo Sebastian Smythe, e di professione vi uccido.”
Il vampiro continuò a divincolarsi, sbuffando di tanto in tanto, senza dare alcuna risposta verbale.
“Allora?” Lo incitò, dopo qualche minuto. “Non mi dici come ti chiami?”
“Che ti importa?” Ringhiò.
“Mi piace sapere il nome dei succhiasangue che uccido. Così li segno in un taccuino e me li rileggo prima di andare a dormire.”
Il vampiro sembrò esterrefatto da quelle parole, lo fissò incredulo per diverso tempo, prima di maledirlo con lo sguardo e sforzarsi così tanto da rischiare di cadere dalla sedia.
“Se cadi non ti rialzo”, Lo avvisò subito. “E dimmi subito il tuo nome, se non vuoi un’altra iniezione di sangue.”
Restò a fissare il pavimento per diverso tempo, fino a quando la sua voce non uscì in un sussurro breve e timido: “Blaine. Blaine Anderson.”
Sebastian si avvicinò a lui e sorrise: “Mi piace. Te lo sei inventato per sentirti meno un mostro, o ti chiamavi così quando avevi ancora un cuore che batteva?”
“Dovevo lasciarti senza una goccia di sangue”, Rispose acido.
“Ma non l’hai fatto. A dire il vero, non mi ha dato fastidio come pensavo. Era la prima volta che mi facevo mordere, sai? Di solito non ricorrro a questi stratagemmi odiosi, mi piace conficcarvi un paletto dritto in mezzo al cuore.”
“E allora fallo.” Esclamò. “Uccidimi, e falla finita.”
“Oh, ma così è troppo facile. No, ho grandi progetti per noi due.”
Si accovacciò a un centimetro dal suo volto, con i canini del vampiro che scintillavano sotto la luce dei faretti sul soffitto.
“Sei un sadico”, Sibilò.
“Disse quello che mi ha succhiato il sangue.”
Si guardarono per un tempo indefinito, dopodichè Sebastian si alzò in piedi, facendogli l’occhiolino prima di dargli le spalle.
“Lo sai, se tu fossi stato umano, ci avrei fatto un pensierino.”
“Grazie a Dio che non lo sono allora.”
Sebastian si sorprese a sfoggiare un sorrisetto divertito, mentre con una mano andava ad accarezzarsi la fasciatura posta sul collo. Al solo pensiero di quel morso le ginocchia cominciavano a tremare ed era un’attrazione ancora più forte di prima, come se aumentasse sempre di più, minuto dopo minuto; ma con forza scacciò via quei pensieri: adesso, doveva concentrarsi solo ed unicamente sul suo obiettivo.
 
 
 
I primi tentativi di farlo parlare furono del tutto inutili.
Sebastian aveva portato una sedia proprio davanti a lui ed erano rimasti così per ore, a battibeccarsi tra risposte acide e frecciatine più o meno velate, con Blaine che a volte lo minacciava di morte, a volte lo insultava, altre volte invece si limitava a guardarlo in silenzio, trasmettendogli tutto il suo odio. Ad ogni modo, non proferì una parola circa l’ubicazione del loro covo. Era il vampiro più cocciuto che avesse mai visto.
“Perchè non me lo dici e basta?” Incalzò Sebastian, quando ormai l’alba era giunta da molto, la luce del sole filtrava dalle tapparelle e Blaine la guardava come un cucciolo impaurito, rannicchiandosi su se stesso anche se i raggi del sole non lo lambivano nemmeno alla lontana.
“Se me lo dici ti ucciderò in fretta. Te lo prometto.”
“Ottimo”, Commentò, “Ora sì che ti dirò tutto.”
“Dovresti essere onorato di morire per mano del famoso Sebastian Smythe. Molti vampiri ti invidierebbero.”
“Ne sono sicuro.”
“Ehi”, fece allora lui, afferrandolo per le guance e facendolo sussultare: “Di che ti lamenti? Ti sto dando una morte da signore. Certo, contando che sei un mostro.”
Blaine lo guardò male per l’ennesima volta e, ancora, non disse niente. Sebastian cominciava seriamente ad annoiarsi.
“Va bene. Se non parli con le buone, ti farò parlare con le cattive.” Si alzò in piedi ed estrasse qualcosa dalla cassettiera che il vampiro non riuscì a vedere; fu solo quando lo vide avvicinarsi con un coltello in argento che si lasciò andare a un sospiro di sollievo, ridacchiando appena.
“Sei contento di soffrire?” Domandò Sebastian, rimasto un po’ incredulo di fronte alla sua reazione.
“Oh, no, affatto.Temevo tu avessi trovato qualche arma veramente efficace contro i vampiri, ma invece è il solito vecchio e caro coltello d’argento.”
“Che cosa?”
Senza pensarci due volte gli graffiò l’avambraccio, sgualcendo la camicia bianca, attraverso un taglio profondo ma non troppo, giusto per vedere l’effetto che faceva. Blaine guardò la ferita che si rimarginò in un attimo e sbuffò sconsolato: “Era la mia camicia preferita.”
Non era possibile.
Riprovò un’altra volta. E poi un’altra ancora. Quando ebbe constatato che, effettivamente, era del tutto inutile, scaraventò il coltello dall’altra parte della stanza, facendolo conficcare perfettamente contro una fragola di uno dei tanti quadri.
Blaine osservò quel centro perfetto e inclinò leggermente la testa di lato: “Non te la prendere. Con il coltello ci cascano sempre tutti.”
Ah, faceva anche lo spiritoso, adesso? E va bene.
Estrasse dal collo una croce consacrata, puntandogliela contro con le braccia tese. Blaine lo guardò perplesso per un secondo: “Non sono credente, mi dispiace.”
Abbandonò le braccia lungo i fianchi, completamente esasperato.
“... Non ci provo nemmeno con l’aglio, vero?”
Lo vide fare di no con la testa, trattenendo a stento una risata leggera e cristallina.
Era sempre stato convinto che quei metodi funzionassero, anche se non li aveva mai sperimentati contro nessuno, dal momento che si era sempre e solo limitato a ucciderli con il paletto in legno di Frassino. Si sentiva completamente stupido e arrabbiato, aveva fatto una figuraccia davanti a quel vampiro, adesso lo aveva preso per un novellino alle prime armi e non poteva, non poteva assolutamente permetterselo.
“Ascoltami bene, vampiro.” Si sedette di nuovo davanti a lui, a gambe larghe, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. In risposta, il vampiro lo guardò di sbieco, fingendosi disattento.
“Non potrò farti del male, ma conosco un paio di modi per ucciderti. E ti conviene parlare prima che mi venga voglia di aprire le persiane e-“
Si bloccò.
Il fiato gli morì in gola, proprio come le parole. Perchè Blaine lo stava fissando e i suoi occhi gli stavano sussurrando di farsi più vicino, di lasciarsi baciare, di avvicinare il collo alle sue labbra...
Si destò giusto in tempo per alzarsi di scatto e prendere dei lunghi respiri.
Il vampiro aveva annullato il contatto visivo guardando un punto fisso alla sua sinstra, con la testa ancora rivolta verso il quadro, gli occhi semichiusi e stanchi.
Sebastian non aveva la più pallida idea di quello che fosse appena successo, ma non doveva ripetersi.
“Stai riacquistando i tuoi poteri”, Si affrettò a dire, estraendo dal frigo un’altra siringa contenente sangue di un cadavere. Blaine la guardò con disgusto, stava per dire qualcosa ma lui gliela iniettò senza riserve; si limitò a un piccolo gemito, prima di svenire contro lo schienale della sedia.
 
 
 
Per lungo tempo, Sebastian si comportò come se il vampiro non esistesse. Passò ore a osservarlo agitarsi, scalciare i piedi contro il tappeto e sbuffare; non sembrava davvero un essere pericoloso, uno di quelli che popolava i suoi incubi tutte le notti. Se non fosse stato per la pelle diafana e i canini che si intravedevano quando dirignava i denti per lo sforzo, non sembrava affatto un vampiro.
Di tanto in tanto, puntava i suoi occhi ambrati verso di lui, ed ecco che tornava di nuovo la sensazione di smarrimento, di disagio, di malessere che lo aveva colto la notte prima nel bosco. Se solo lo avesse fissato troppo a lungo, era quasi certo di cadere nelle grinfie del suo incantesimo, e lui lo avrebbe avuto in pugno. Doveva essere cauto.
Aprì il frigo, bevve un sorso di birra dalla bottiglia in vetro. Accese lo stereo e un attimo dopo tutta la stanza ripiombò nell’eco di quella musica rock, a un rumore talmente alto da sovrastare perfino i suoi pensieri.
“Che cosa sarebbe questo rumore?” Blaine sembrava completamente infastidito; si sarebbe tappato le orecchie volentieri, se solo avesse potuto. Questo divertì ancora di più Sebastian, che abbassò leggermente l’audio soltanto per poter parlare senza difficoltà, avvicinandosi a lui senza timore.
“Non conosci i Muse, vampiro?”
Blaine scosse la testa e sembrò trattenersi dal dire qualcosa; si limitò a portare indietro la testa, con aria molto contrariata. Un ciuffo di capelli gli cadde sulla fronte, e poi chiuse gli occhi, come cercando di isolarsi da tutto quello; era davvero divertente vedere come un mostro che aveva divorato chissà quanti corpi innocenti, fosse così a disagio per della musica elettronica e chiassosa.
“Mi dispiace che le tue orecchie sviluppate non gradiscano”, Sorrise sarcastico: “Ma io adoro i Muse, spaccano di brutto.”
Blaine aprì un occhio solo, risultando veramente molto confuso: “Spaccano... che cosa?” Chiese con un sopracciglio inarcato, come se dovesse risolvere l’enigma della Sfinge.
A Sebastian stava per scivolare la bottiglia di mano, ma poi si lasciò andare a una risata cinica, posando una mano sul fianco: “Giusto: ogni tanto dimentico che hai millemila anni, e che non puoi capire il mio linguaggio, nè la mia musica.”
“Questo significa”, Ribattè Blaine, “Che nemmeno tu puoi capire la mia.” Ma dopo un secondo emise un lungo sospiro, e per un attimo sembrò uno di quei ragazzini che si lamentavano per aver usato troppo gel.
Ma no, Sebastian corresse subito quel pensiero: lui non era un ragazzino. Non era nemmeno umano.
“Ti sembro per caso così vecchio?” Lo sentì mormorare, afflitto: “Non ho nemmeno compiuto un secolo...”
“Oh, perdonami”, esclamò Sebastian. Ormai erano a distanza di un passo, lo fissava con fare sprezzante: “Quanti anni hai, ottanta?”
“Ottantacinque.” Puntualizzò con un certo infantilismo che lo fece quasi sogghignare.
“Beh, complimenti, li porti davvero bene.”
Blaine sbuffò di fronte all’ennesimo finto complimento e non disse niente, come se non avesse voglia di perdere tempo a bisticciare con un umano, soprattutto quando era legato a una sedia con catene di puro argento. Ma lui aveva appena iniziato.
“Dì un po’, come lo passi il tempo? Non ti annoi mai?” Era una domanda che gli frullava nella testa da un po’ di tempo, e non sapeva come, non sapeva perchè, uscì spontanea. Forse perchè sapeva che lui avrebbe risposto.
“Devo ammettere che, a volte, lo scorrere così lento del tempo è piuttosto fastidioso”, commentò Blaine. “Però con il passare degli anni trovi una certa routine, se così si può dire.”
“Tra un cadavere e l’altro, intendi?”
Blaine gli rivolse una lunga occhiata, come di rimprovero, e Sebastian per un attimo avvertì un brivido lungo la schiena. Quel vampiro era divertente.
“Comunque, per rispondere alla tua domanda, suono.”
“Suoni?”
“Sì. E canto, anche.”
Non ce lo vedeva proprio, un vampiro che suonava e cantava dentro le mura della propria cameretta, intento a ripetere frasi di canzoni che conosceva a memoria.
“E cosa suoneresti?” Domandò scettico. Blaine si strinse nelle spalle e con naturalezza rispose: “Tutto. Qualsiasi strumento mi capiti sotto tiro.”
“Ma non mi dire.” Ne sarebbe rimasto affascinato, se solo non provasse profondo ribrezzo. “È una dote di voi succhiasangue?”
“No. È una dote mia. Ho avuto molto tempo libero.” Tagliò corto lui, e fu così freddo, così seccato, che Sebastian decise di non continuare quella conversazione, occupandosi a finire la sua birra nel puro silenzio.
Fu un attimo. L’attimo in cui guardò Blaine negli occhi e si sentì completamente smarrito: il cuore prese a battere con una velocità impressionante, come se volesse schizzargli via dal petto.
Era come un attacco di panico, dagli stessi effetti, ma con cause diverse: adesso, invece di svenire a terra e perdere coscienza, desiderava soltanto avvicinarsi ancora di più a Blaine e farsi mordere, a lungo e duramente, sentire i suoi denti conficcarsi nella pelle e privargli di quel sangue caldo che gli scorreva nelle vene.
E non riusciva a capire: cosa gli stava succedendo? Perchè diavolo si sentiva così? Questo andava oltre i tradizionali poteri ipnotici, era più forte, più forte perfino dell’attacco di prima e stava già cominciando a perdere il controllo del proprio corpo, ma poi Blaine sorrise. E gli ordinò di allontanarsi.
Un attimo dopo, Sebastian si trovò con la schiena appoggiata alla cassettiera, e il respiro che da affaticato tornava sempre più regolare.
“Che... che diavolo mi hai fatto?”
“Non ho fatto niente.”
“Mi hai stregato. Hai usato uno dei tuoi poteri da mostro!”
“È questo il ringraziamento per averti salvato la vita?”
Non capiva.
“Ti ho ordinato di allontanarti”, Spiegò Blaine, sillabando con attenzione le parole, “Perchè se ti fossi avvicinato un centimetro di più non sarei riuscito a trattenermi.”
“Sì, e io mi ero avvicinato per colpa di qualche strano sortilegio.”
“È una cosa che trascende dalla nostra volontà”, Ammise velocemente Blaine, cercando di mostrarsi più sincero di quanto fosse opportuno: “Quando ti ho morso noi-“
Ma Sebastian gli aveva già iniettato il veleno, e Blaine svenne senza poter terminare la frase.
 
 
 
 
 
Non riusciva assolutamente a capire in che modo avrebbe fatto parlare Blaine. Erano passati tre giorni, cominciava seriamente a essere a corto di idee e quella cosa lo innervosiva non poco. Era assurdo, lui era uno dei cacciatori più temuti di tutta l’America, di tutto il mondo, perchè diavolo non riusciva a far parlare un vampiro da quattro soldi?! Era ridicolo. Era ridicolo e inaccettabile.
Stava camminando su e giù da almeno un paio d’ore quando la voce di Blaine giunse alle sue orecchie, come un gentile invito di uno spettatore che stava assistendo alla sua disfatta.
“Posso portartici io, se vuoi.”
Si fermò di scatto, a qualche metro da lui. “Di che diavolo parli?”
“Vuoi sapere il nostro covo, non è vero? Io so. Posso dirti tutto.”
La voce di Blaine era melodica, tanto eccitante quanto pericolosa. Sebastian sfoggiò un ghigno amaro e con una punta di divertimento sulla lingua sibilò: “Certo, e magari andiamo anche a farci un pic nic.”
Lo vide roteare gli occhi, le sfumature nocciola nei suoi occhi dorati erano più scure, come colme di lussuria. “Pensi di riuscire a trovarlo da solo? Tanti auguri allora. Ma non è per questo che mi hai portato qui? Non ho intenzione di dirtelo a meno che tu non mi porti con te. Posso aiutarti. Voglio aiutarti”, Scandì, lanciandogli un’occhiata. “Oppure sei troppo orgoglioso per accettare l’aiuto di un vampiro?”
Sfoggiò un piccolo sorriso, in attesa della risposta, ma sapeva bene che Sebastian non avrebbe mai accettato. Non era una questione di semplice orgoglio: riguardava l’appartenere a due razze diverse e perennemente in conflitto, il predatore e la preda, quel divertente ribaltamento delle parti che gli donava un’allettante posizione di vantaggio.
Sebastian lo scrutò scuotendo la testa, a dir poco incredulo: lo faceva veramente così stupido da permettergli di cambiare le carte in tavola?
“So badare a me stesso, ma grazie comunque.”
Blaine, semplicemente, accentuò il suo sorriso. Evidentemente si era immaginato una risposta simile.
“Permettimi un’ultima domanda”, Cantilenò, il suo tono divenuto vago e indecifrabile: “Perchè ci odi tanto?”
Ci fu un momento di silenzio, da parte di entrambi.
Il vampiro sviò lo sguardo, che giusto un attimo prima era rivolto verso il cacciatore con fare curioso, sfrontato. Sebastian, invece, si era voltato completamente, fissandolo con la mascella contratta e il respiro pesante; adesso, quegli occhi ambrati non lo intimorivano più.
Non riusciva a credere che gli avesse appena fatto quella domanda; per un momento, pensò che fosse soltanto stupido. Che avesse voluto chiedere quella cosa solo per saziare la sua odiosa curiosità, o per fare conversazione o, addirittura, per un macabro istinto a volersi affezionare alla preda prima di gustarla. Però, poi, ripensò al suo tono così enigmatico, e capì.
Voleva saperlo perchè voleva capire.
E quello non fece altro che aumentare ulteriormente l’odio nei suoi confronti.
Sebastian non rispose. Restò in silenzio per molto tempo. Le sue gambe erano abbandonate lungo la sedia, i suoi occhi si muovevano da soli, seguendo la scia dei suoi pensieri fitti, complessi. Voleva semplicemente allontanarsi da quella villa abbandonata; voleva allontanarsi da lui.
Non avrebbe proprio dovuto fargli quella domanda, ma la sua ira non era dovuta solo a quello: dentro di sè covava altri sentimenti contrastanti, come stupore, aspettativa, la consapevolezza che un tempo anche quel vampiro era un ragazzo, proprio come lui. E c’erano dei momenti, in cui incrociava il suo sguardo, che credeva lo fosse ancora.
Nessuno glielo aveva mai chiesto. Nessun vampiro, umano o cacciatore che fosse.
E neanche lui se lo chiedeva da un bel po’, ormai: cacciare era diventato un lavoro, come per qualcun altro lo era andare la mattina in ufficio o sfornare il pane.
Cacciava perchè voleva ucciderli tutti. Cacciava perchè li odiava. Li odiava perché...
Il suo cuore fu colpito da una fitta lancinante; il solo ricordare era doloroso più della fame. Dopo un momento di smarrimento, scosse la testa, alzandosi di scatto e prendendo a camminare avanti e indietro lungo la stanza. Avrebbe tanto voluto uscire da quel maledetto posto.
Non sapendo in che altro modo sfogarsi, senza nemmeno pensarci sferrò un pugno contro il muro in pietra, sfregandosi tutte le nocche; il sangue usciva copioso dalle ferite, e Blaine si limitò ad arricciare il naso emettendo un breve sospiro.
“Così ti farai del male inutilmente.”
Sebastian stava ancora cercando di cacciare via quell’opprimente ricordo quando lui, quella voce, arrivò prontamente a distrarlo: soave, eccitante, perfettamente riconoscibile.
Si voltò, lentamente. Lo guardò dapprima irato, poi, sempre più allibito.
Possibile che non si rendesse conto del grave pericolo che stava vivendo? Possibile che non si rendesse conto del fatto che gli sarebbe bastato un secondo, uno solo, e quel paletto appoggiato sul tavolino sarebbe finito dritto nel suo petto?
Ma no, Blaine non si rendeva conto. Blaine non pensava, era solo un animale che seguiva il suo istinto.
Ormai Sebastian era troppo scosso per ragionare a mente lucida, così si avvicinò con ampie falcate, stringendo la mano sanguinante.
“Vuoi sapere perchè vi odio tanto?” Proferì con un sussurro gelido, “Vuoi sapere perchè vi voglio ammazzare tutti quanti?”
Blaine annuì, con fare convinto. Non smise nemmeno per un secondo di guardarlo negli occhi.
“È da quando ho undici anni che vi do la caccia. Sai cosa significa questo? Invece di uscire con gli amici, divertirmi, come tutti i ragazzini normali, io andavo a comprare munizioni. Invece di andare all’università ho viaggiato per tutta l’America per scovarvi e trucidarvi. Uno ad uno.”
Blaine sembrò sussultare leggermente, ma lo ignorò: “Per colpa dei tuoi amichetti ho visto i miei genitori morire.”
Le immagini di quella notte giunsero come fotogrammi, accecanti, doloranti fino all’esaurimento. La mano con cui prima si era fatto del male cadde inerme lungo il fianco, sbattendo contro la gamba; voleva aggiungere altre cose, altre mille cose, ma le frasi si annodavano in gola per poi scendere giù, da dove erano nate.
Era difficile descrivere quel dolore: era camuffato dall’odio e da quello fisico, ma presenziava dentro al suo cuore pugnalandolo crudelmente. Si voltò: aveva rivelato più di quanto non volesse, e adesso sapeva benissimo di aver regalato al vampiro un asso nella manica da giocare al momento opportuno; ecco, era caduto nelle sue grinfie. Nonostante le catene, e il paletto che poteva afferrare da un momento all’altro, sapeva che Blaine aveva già cominciato a tessere la sua tela.
La risposta non arrivò subito, e questo era sorprendente: non era da lui esitare, non era nella loro natura. Si chiese quale astruso pensiero avesse covato, tale da costringere a rimangiarselo.
“Mi dispiace.”
Si aspettava di tutto. Qualsiasi risposta possibile; ma non quelle parole.
“Mi dispiace, sul serio.” Sentiva gli occhi di Blaine puntati contro la sua schiena, ma non aveva la forza di voltarsi: c’era qualcosa di dolce, nella sua voce, come la nostalgia per qualcosa di dimenticato. Le sue risposte erano sincere, dai toni malinconici.
“Di cosa?” Si azzardò a chiedere. “Del fatto che tu e la tua schifosa razza mi avete reso orfano? O del fatto che tra un secondo ti ucciderò?”
“Mi dispiace che un vampiro ti abbia privato di qualcosa a te caro.”
“Che cosa ne vuoi sapere tu”, Sbottò Sebastian, sibilando trai denti. Quel paletto a pochi metri da lui stava diventando sempre più invitante.
“Anche io ho perso qualcosa. La cosa più cara che avevo.”
Fece una smorfia, accigliato: “E sarebbe?”
“La mia vita.”
Blaine non sembrava più intenzionato a continuare quel piccolo gioco di cacciatore e preda: era come stanco, abbattuto da un pensiero noto soltanto a lui. Le sue mani, legate dietro la sedia, adesso non opponevano resistenza, ma erano adagiate contro il legno umido, le spalle leggermente più distese.
Questo vide Sebastian quando si voltò completamente, rivolgendogli tutte le sue attenzioni. Ma Blaine non lo stava guardando.
“Mi ero quasi dimenticato di quel giorno. Avevo appena compiuto ventidue anni, ero solo un ragazzino. Ero arrivato a New Orleans da poco tempo, la patria dell jazz, della mia musica. Sognavo di diventare qualcuno. Una sera un uomo mi si avvicinò, era l’essere più bello che avessi mai visto. Aveva tutta l’aria di sapere cosa stesse facendo, e io ero troppo giovane, troppo ingenuo per capirlo veramente. Mi ammaliò con una facilità disarmante.”
Rise di se stesso; dopodichè, come frustrato, si morse il labbro inferiore, con i canini che forarono la pelle morbida e pallida. Un rivolo di sangue andò a bagnargli il mento, poi il collo, fino a giungere alla camicia. Sebastian sentì il suo cuore pulsare più forte, ma si costrinse ad ignorarlo.
“Capii troppo tardi cosa stesse succedendo; cosa stessi diventando”, Si corresse dopo un secondo, e la sua voce assunse sfumature più ricercate, che andavano oltre all’emozioni pure quali malizia, rancore, seduzione, che Sebastian aveva già sentito tante altre volte.
“Quando ormai non avevo più sangue in corpo, lui mi obbligò a bere il suo.”
Era così, allora. Aveva letto molte leggende sulla trasformazione dei vampiri, ma c’erano fonti troppo diverse, troppo discordanti tra di loro: quella era l’unica verità. Si diventa vampiri soltanto perchè lo vuole un altro vampiro: un gioco sadico di un essere in cerca di una scintilla nella sua vita immortale.
“Volevo passare alla storia”, confessò Blaine. “Ora sono la storia. Dovrei esserne contento.”
Tuttavia, sul suo volto apparve soltanto profonda tristezza, mista a rassegnazione.
“Come si chiamava?”
Sebastian si accorse di aver posto quella domanda, soltanto quando la sentì scivolare sulla sua lingua. Blaine non se l’aspettava, evidentemente, dal momento che restò alquanto sorpreso e perfino intimidito: buffo. Non aveva mai visto emozioni simili provenienti da un vampiro; ai suoi occhi, lo rendeva quasi innaturale. Quasi umano.
Ci vollero diversi secondi prima che Blaine riuscisse a pronunciare il suo nome, ma alla fine ce la fece: “Jeremiah”, esalò.
Quel nome attraversò le tende ingiallite e il suo corpo contratto in un fascio di tensione.
“E... come si chiamava il vampiro dei tuoi genitori?”
“Etienne.” Rispose secco, senza la minima esitazione.
“Lo hai più rivisto?” Domandò Blaine; aveva abbassato ogni sua difesa, rivelando il suo portamento rilassato e apparentemente innocente.
“Sì.”
“Lo hai ucciso?”
“Sì”, Ripetè Sebastian, nella calma più completa. Blaine esitò per qualche secondo, prima di chiedergli quali fossero state le sue ultime parole.
Ripensò a quel giorno; lo faceva spesso. Si annidava nella sua memoria ricavandone la sensazione di vendetta, di pienezza, di felicità, che lo avevano pervaso quando finalmente aveva pugnalato il vampiro al petto. Ricordava la strada deserta di New York, il fumo che usciva dai tombini, il buio che li oscurava, gli occhi dell’assassino mentre diventavano sempre più spenti.
Era sempre stato troppo concentrato su se stesso per analizzare le reazioni dell’altro; adesso che lo fece, fu colto da una consapevolezza che lo lasciò inizialmente senza parole.
“Ha solo sorriso.”
“Ha sorriso”, ripetè Blaine, con la testa china e le sopracciglia aggrottate, come assaporandone il concetto. Non era stupito come lui; era invidioso.
Sebastian controllò l’orologio: era passata un’altra giornata.
“Tempo per la tua medicina”, Cantilenò in perfetto stile da crocerossina, e Blaine stavolta sbuffò sonoramente lamentandosi senza ritegno: “Non ho bisogno che tu mi droghi peggio di un tossicodipendente, non vado da nessuna parte. Anche se fossi nel pieno delle mie forze, con queste catene non mi muoverei.”
“Non è per le catene, e lo sai benissimo anche tu”, Disse con tono improvvisamente serio. Blaine parlò giusto un attimo prima che lo bucasse con l’ago: “Non è per il veleno in corpo che ti senti vulnerabile nei miei confronti, Sebastian.”
Fu la prima volta che pronunciò il suo nome. Quel suono gli fece venire i brividi, e lo bloccò un attimo prima di compiere l’azione.
“Abbiamo sancito un legame.”
“Un cosa?!”
“Un legame.”
“Che cazzo significa?”
“Significa che dal momento che ti ho morso la mia influenza su di te è diventata più forte, e la vicinanza fisica peggiora ulteriormente le cose”, Disse con attenzione Blaine, consapevole del fatto che quella cosa avrebbe fatto arrabbiare molto il cacciatore. “Non avresti dovuto lasciarti mordere, dico davvero.”
“Stai mentendo.” Ribattè scettico. Non poteva essere vero. Non era possibile.
“Purtroppo no. Il tuo corpo adesso ne vuole ancora e... anche il mio.”
L’ultima parte della frase la disse con un sussurro, come se non ne andasse fiero. Sebastian aveva già stretto il paletto tra le dita quando Blaine si affrettò a dire: “Non ti succederà niente.”
“No, sono soltanto dipendente da un cazzo di vampiro.”
“Non sei dipendente, ti ho morso solo una volta. Calmati.”
E, quindi, Sebastian abbassò il punteruolo di legno, senza opporre alcuna resistenza. Forse non era dipendente, ma Blaine ormai riusciva a controllare le sue emozioni con estrema facilità, e lo sapevano entrambi.
“Ti prometto”, Sancì, con i suoi occhi chiari, “Che presto sarai libero.”
Ne dubitava altamente: ormai, la luce dei suoi occhi lo aveva catturato, vincolandolo alla vita che si era lasciato alle spalle.
Ma Blaine gli serviva ancora, così, per il momento, decise di non ucciderlo.
 
 
 
 
Ormai era notte fonda, e Sebastian stava guardando un programma molto noioso sulla tv via cavo, mentre Blaine si limitava ad osservare i quadri delle pareti. Non si parlavano da ore; gli unici rumori presenti erano il canto dei grilli intorno alla casa e i denti di Sebastian che sgranocchiavano una mela.
“Puoi cercare di essere un po’ meno rumoroso?” Si lamentò Blaine, roteando gli occhi al cielo: “Sto cercando di riposarmi, qui.”
Sebastian a quel punto si voltò. Decisamente, le frasi di quel vampiro erano molto più interessante della televisione.
“Mi prendi in giro?”
“No.”
“Tu dormi con gli occhi aperti?”
“Non ho detto che dormivo, riposavo, è ben diverso.”
“E perchè?”
“Perchè io non dormo. Non se non ho la mia bara e la terra della mia terra natia.”
Restò talmente sorpreso da quella risposta che scoppiò a ridere per due minuti abbondanti, con Blaine che lo guardava sempre più scettico e accigliato.
“Che cazzata è, questa?”
“Non è che l’abbia scelto io”, Mormorò strofinando le scarpe contro il tappeto, come per stiracchiarsi i muscoli delle gambe.
“E quindi non dormi da quattro giorni?”
“Non è un vero problema. Non abbiamo la concezione del sonno come voi.”
“Oh, mi scusi, vostra grazia.” Sebastian ormai era completamente divertito dalla piega che stava assumendo quella conversazione, e si alzò in piedi per avvicinarsi un po’ di più a lui, cercando qualcosa di intelligente da chiedergli. Non era una cattiva idea scoprire le abitudini dei vampiri, e nessuno gliele aveva mai rivelate prima, visto che di solito non li lasciava parlare granchè.
Addentò pensieroso la mela e, come illuminato, gliela indicò.
“Che succede se la mangi?”
“Niente.”
“Che significa niente?”
“Significa che non esplode nè si trasforma in cenere, come potresti pensare tu. Semplicemente, non sento il gusto del cibo. Di nessun piacere terreno, in realtà.”
“... Oh.” Commentò. Non se l’aspettava. “Ed è vero che vi potete trasformare in nebbia?”
Blaine sembrò ancora più incredulo di lui, guardandolo attonito e dicendo: “Chi l’ha inventata questa?”
Sebastian si strinse nelle spalle, ed era divertito, anche se non dovesse esserlo.
“Non pensavo ci fossero così tante bufale sul vostro conto.”
“Più di quanto immagini. Però una cosa è vera: non possiamo tagliarci i capelli.”
“Che cosa?” Esclamò, scoppiando a ridere, e perfino Blaine rise insieme a lui, scuotendo lievemente la testa: “Se li tagliamo il giorno dopo, al nostro risveglio, sono come prima.”
“Insomma se hai un taglio di merda quando vieni morso è la fine.”
“Diciamo di sì”, Ridacchiò Blaine, e colto dal momento aggiunse: “Ed è anche vero che non ci riflettiamo negli specchi.”
“Certo, come potreste?”, Sebastian incrociò le braccia al petto, compiaciuto: “Si dice che gli specchi sono il riflesso dell’anima, no? Ma se voi non avete un’anima non potete riflettervi.”
“In realtà è proprio tutto l’opposto.” Sentenziò, e adesso era talmente serio che Sebastian si ammutolì per un momento, nel quale Blaine disse: “Un vampiro è un’anima dentro un corpo immortale. Per questo, con il passare degli anni, creiamo dei poteri psichici, perchè l’anima si fonde sempre di più con il corpo. Diciamo che se gli uomini vivessero così a lungo diventerebbero come noi.”
Sebastian restò a guardarlo per lungo tempo, non sapendo bene cosa dire. Gli era passata perfino la fame.
“Quindi più anni avete e più siete potenti?”
“Esattamente. Per questo non sono così forte”, Ammise, senza nessun dispiacere, ma semplicemente constatandolo come un dato di fatto.
Si sedette di fronte a lui. Fu un gesto talmente naturale e sovrappensiero che non ci fecero caso, nessuno dei due.
“Non so come fai. Io non resisterei, nelle tue condizioni”. Ovviamente, si riferiva all’essere vampiro. “La cosa peggiore secondo me è non poter invecchiare. Non puoi dire di aver vissuto il giorno più bello della tua vita perchè... perchè la tua vita non ha fine. È raccapricciante.”
Il suo disgusto verso quella razza non si era affatto dissipato. Non importava quanto Blaine gli avesse rivelato parti di quel mondo a lui sconosciute; non importava quanto si fosse aperto con lui. Non contava niente: avrebbe continuato a ucciderli, fino all’ultimo rimasto.
Eppure ci fu un momento, quando lo sguardo di Blaine divenne più schivo, le sue labbra che cercavano di mascherare una smorfia, in cui qualcosa, dentro Sebastian, lo portò a porgergli delle scuse.
“Non volevo offenderti. Lo so che non l’hai voluto tu.”
Blaine annuì piano, come prendendo atto delle sue parole.
“No, hai ragione tu. Sono un mostro.”
Non lo era.
Era un ragazzo che aveva subito un destino terribile, molto più terribile del suo; respirava, sorrideva, parlava, esattamente come lui, e tutto ciò che li differenziava era... un cuore.
Quello di Blaine non batteva ormai da tanto tempo; ma, forse, bastava quello di Sebastian, dal momento che batteva forte per entrambi.
“Sicuro di non volere una mela?”
Blaine a quella domanda, pronunciata con tono un po’ strafottente, sfoggiò un piccolo sorriso ed ecco, adesso tutto era tornato alla normalità.
Perchè Sebastian odiava i vampiri. Ma Blaine?
Odiava Blaine?
 
 
 
 
Erano passati cinque giorni, e ormai il vampiro giaceva su quella sedia fissando un punto vuoto. Sebastian non riusciva nemmeno più a farlo parlare, e quando lo faceva, emetteva dei suoni disconnessi privi di alcun significato.
Sembrava come avvelenato, perfino più debole di quando gli faceva le iniezioni. Quel giorno ebbe un crollo, come uno svenimento, e quando abbassò la testa di scatto Sebastian si alzò in piedi, resistendo all’impulso di avvicinarsi.
“Che ti prende?” Intimò, non risultando, però, tanto minaccioso quanto sperato.
Di nuovo, l’ennesimo silenzio, e si trovò a stringere i pugni nella frustrazione più totale.
“Si può sapere che hai? Non ti azzardare a morire. Non mi hai ancora detto dove si trovano i tuoi compagni.”
Blaine borbottò qualcosa con tono soffiato; aveva l’aria di essere molto stanco, affaticandosi perfino nel dire quelle semplici parole.
“... Che hai detto?” Fece il cacciatore, avvicinandosi giusto di qualche passo, tendendo bene le orecchie in modo da non perdersi nessuna vibrazione dei suoi sussurri.
“Ho sete.”
Oh.
Sebastian poteva percepire la sua sete da quei due piccoli fori che pulsavano a sincrono con il ritmo del suo cuore.
Era quello, allora. In effetti, lui in quel tempo si era cibato grazie alle scorte della dispensa, ma non aveva affatto pensato a quel dettaglio piuttosto importante. Se non si fosse nutrito al più presto, sarebbe morto di fame? Può farlo?
Ma poi, gli venne un’idea: forse, procurandogli del cibo, gli sarebbe stato debitore. Forse avrebbe parlato.
Tornò un’ora dopo con una sacca di sangue simile a quella usata negli ambulatori, colma fino all’orlo, dal quale spuntava un tubicino che in passato doveva essere appartenuto a qualche flebo.
“Che... che cosa...?”
Blaine alzò i suoi occhi neri come la pece, trovando difficoltà perfino nell’aprirli. Sebastian si accovacciò di fronte a lui e fece per infilargli il tubicino in bocca, trovando un’insolita resistenza.
“Bevi.” Ordinò allora, ma Blaine scosse la testa, assomigliando a uno di quei bambini adorabili che facevano i capricci con i propri genitori.
“Fin quando starai con me non toccherai una goccia di sangue umano nemmeno per disinfettargli la ferita, quindi accontentati di questo e bevi. Subito.”
Non fece in tempo a bere un sorso che lo aveva già sputato a terra, con Sebastian che non sapeva se mandarlo a quel paese o ucciderlo seduta stante.
“Sangue di cervo”, Piagnucolò, come se avesse appena sentito la cosa più disgustosa sulla faccia della terra.
“Preferisci morire di sete?”
“Sì.”
Dio, quanto era cocciuto.
“Muoviti”, fu l’unica cosa che pronunciò con voce roca e intimidatoria, e allora Blaine strinse gli occhi e trattenne il fiato, mandando giù la sacca sorso dopo sorso.
Quando finì, i suoi occhi non sembravano più così spaventosi, e aveva assunto un aspetto vagamente normale; certo, per gli standard di un vampiro.
“Visto che non era così male?”
Blaine assunse tutti i tipi di smorfia possibile e dichiarò: “Penso che potrei vomitare.”
“Oh andiamo, non poteva essere così male”, enfatizzò prendendolo in giro. Blaine però non aveva nessuna voglia di ridere, lo perforò con lo sguardo e disse soltanto: “Oltre a darmi la nausea per ore, il sangue di animale non mi fa tornare per niente in forze.”
“E il mio sì?”
Non rispose e lo guardò male, come se avesse appena domandato l’ovvio.
“Il tuo sangue mi farebbe diventare più forte. Per via del legame.”
Avrebbe dovuto essere disgustato o spaventato; in realtà, provò una sorta di piacere intrinseco celato in quella piccola verità.
“Mi dispiace, ma è proprietà privata.” Battè le mani entusiasta, alzandosi in piedi e buttando nel cestino la sacca vuota.
 
 
 
 
 
Dopo una settimana di insuccessi decise che quella notte sarebbe tutto finito; in un modo o nell’altro.
Sebastian era stanco, non dormiva da giorni; l’unico riposo che si concedeva era quello dettatogli dal suo corpo quando scivolava nel sonno contro la sua volontà, mosso dalla stanchezza eccessiva, e ogni volta che lo faceva si svegliava di soppiatto e puntando il paletto verso qualcosa di invisibile. Ma non succedeva mai niente di nuovo, e Blaine era sempre lì, su quella sedia.
A volte era perso nei suoi pensieri. Altre volte, lo guardava come se potesse sentire i suoi.
Parlavano più spesso di quanto fosse opportuno, ma non potevano farci niente: erano entrambi soli, e annoiati, senza niente da fare tranne condividere storie e sensazioni. Così, Blaine raccontò parti della sua vita che pensava di aver rimosso, e Sebastian piano piano cominciò a conoscere la parte umana di lui, quella che non credeva potesse esistere.
Ed era così facile, conversare con Blaine, chiedergli della sua vita, dei suoi interessi, come se fosse giusto farlo.
I due fori rossastri del collo erano ancora ben visibili e non accennavano a scomparire: Blaine una notte gli rivelò che non sarebbero spariti, non fin quando lui era in vita. Era come il simbolo che sigillava quel legame non voluto, che stava crescendo sempre di più.
Ma al tramonto dell’ottavo giorno, Sebastian decise che se Blaine non volesse parlare, allora, avrebbe taciuto per sempre.
“So cosa vuoi fare”, Disse Blaine al suo cacciatore, squadrandolo con i suoi occhi scuri: non erano più ambrati, nè era rimasta alcuna traccia di verde o castano. Adesso erano completamente ambrati e splendenti, senza nessuna ombra.
Afferrò il paletto di Frassino, avvicinandosi a lui lento e calcolatore.
“Fallo”, gli disse soltanto. “Dovevi farlo dal primo momento che mi hai visto in quel bosco. Fallo e basta.”
Giusto; anche quella volta Blaine gli aveva chiesto di morire. Non esplicitamente, ma lo aveva capito dal tono sorpreso della sua voce quando si era reso conto che non sarebbe successo.
Così, Sebastian si trovò a parlargli, per l’ennesima volta; forse, quella fatale.
“Perchè?”
Gli aveva fatto molte domande, in quei otto giorni. Ma non si era mai posto quella più ovvia, più naturale.
“Perchè se non lo fai,” Rispose Blaine, “Ti ucciderò.”
Avrebbe tanto voluto vederlo provare.
Una voce nella sua testa continuava a dirgli “Avanti, sfidalo”, mentre le dita affusolate allentavano la presa da quel paletto. Un’altra, invece, continuava a rispondere al richiamo del suo padrone, desiderava soltanto lasciarsi bere e addentare.
“Non ti credo. Avresti potuto uccidermi in qualsiasi momento, sfruttando il tuo ascendente su di me.”
La risposta non arrivò, e proprio per questo fu una risposta più che eloquente.
“Quindi dimmi perchè.” Incalzò Sebastian, i suoi occhi verdi che adesso incrociavano i suoi senza avversione. “Perchè stai facendo tutto questo? Perchè vuoi lasciarmi vivere?”
“Perchè sei l’unico che può ucciderlo.”
Blaine si mosse sulla sedia come se si fosse appena scottato, ma Sebastian incrociò le braccia al petto: “Chi?”
“Lui. Jeremiah. Tutti quanti.”
Adesso capiva.
Aveva tutto un senso logico ed elementare, era così palese: Blaine era stato morso da un vampiro anni fa; era solo, nessuno si era mai scomodato a cercarlo; si trovava da solo su una scena del crimine che non era sua: stava cercando qualcuno. Odiava la sua natura, più di quanto Sebastian avesse mai fatto; odiava i suoi stessi simili.
Era così ovvio che fosse in cerca del suo Creatore, e Sebastian lo aveva catturato prima che potesse raggiungerlo.
Voleva che lo uccidesse, proprio come aveva ucciso l’assassino dei suoi genitori.
“Lo farò. Lo ucciderò, ma devi dirmi dove si trova.”
Blaine percepì quelle due parole come un giuramento solenne. Si voltò, gli occhi lucidi, mossi da sentimenti contrastanti.
“Te lo dirò, ma io vengo con te.”
“Non mi fido di te.”
“Senza di me non potrai mai trovarli.”
Era vero.
Non ragionò quando lo fece. E Blaine non capiva, lo fissò per tutto il tempo, fino a quando non lo vide aggirare la sedia, mossa mai fatta prima, e aprire il pesante lucchetto delle catene con una chiave tenuta in tasca fino ad allora.
E così, in un attimo, Blaine era libero.
Poteva scappare. Poteva ucciderlo.
Si alzò in piedi reggendosi a malapena, e Sebastian continuava a essere dietro di lui, riusciva a percepirne il respiro, il battito pesante. Fu come se lo avesse messo alla prova; lo stava testando, non sapeva nemmeno lui come, fatto sta che adesso poteva scegliere, la morte o la vita.
E avrebbe tanto voluto bere il sangue di quel cacciatore così avvincente.
“Finalmente libero, eh?”
Sebastian sfoggiò un ghigno compiaciuto mentre il vampiro si massaggiava i polsi doloranti, con le gambe che dovevano ancora stabilizzarsi e il corpo indolenzito dal troppo poco movimento. Era incredulo, aveva creduto di passare il resto della vita in catene, mentre adesso lui...
“Non sono libero.”
Gli rivolse un sorriso sincero ed era molto, molto bello.
“Ma grazie.”
“... L’ho fatto solo perchè mi sei debitore, e quindi adesso sei costretto ad aiutarmi.” Disse Sebastian.
Ignorò il suo cuore che pompava freneticamente.
Ignorò il suo istinto che lo pregava di gettarsi tra le sue braccia.
Blaine annuì immergendosi nei suoi pensieri, per poi voltarsi verso il paletto adagiato sopra la cassettiera: “Dovrai insegnarmi a uccidere un vampiro.”
“Sarà un piacere”, Sogghignò lui. “Un vero piacere.”
 
 
A due settimane dall’inizio della caccia, Sebastian incontrò un suo caro amico: Hunter. Lui era l’enciclopedia vivente di qualunque cacciatore; conosceva i movimenti di tutti i più grandi gruppi di vampiri ed era in grado di trovare informazioni in un tempo invidiabile.
L’unico problema a quella piccola capacità innata, era che si facesse pagare molti soldi; e non lavorava mai per persone di cui non era in debito.
Ma per sua fortuna Sebastian una volta gli aveva salvato la vita con un branco di vampiri nell’Illinois, e allora, quando finalmente riuscì a mettere da parte l’orgoglio, decise di andare a fargli visita.
Hunter si era trasferito in un altro stato, dopo gli ultimi avvenimenti; aveva smesso di cacciare e stava cercando di ricostruire la sua vita.
“Sebastian!” Fece le scale di casa a due a due e lo abbracciò come un amico che non avrebbe mai pensato di ritrovare; subito dopo, però, il suo sguardo s’incupì, incrociando il volto freddo di Blaine.
“E lui?”
“Hunter, tranquillo.” Gli passò una mano sulla spalla, facendo un cenno verso di Blaine: “Lui è dei nostri.”
“Un vampiro dei nostri? Sebastian, ti sei completamente rincoglionito?”
“Sta dalla nostra parte ti dico.”
“Sebastian quello è un vampiro.” Sputò trai denti, con l’odio che aumentava sempre più in fretta: “Merita soltanto una morte lenta e il più dolorosa possibile.”
“Beh, non ha tutti i torti.” Commentò Blaine facendo spallucce. Sebastian lo guardò torvo bisbigliandogli: “Oh sì bravo, dagli pure ragione, lo vedo ancora troppo convinto.”
“È impossibile che si convinca solo grazie a qualche tua parola ricamata. E poi sei negato a convincere le persone.”
Hunter guardò quei due ragazzi che bisticciavano come una coppia di fidanzatini e non ci poteva credere, davvero, quello era un incubo, adesso si sarebbe svegliato e sarebbe tornato tutto alla normalità, non era vero?
“Bene”, Ribattè Sebastian, “Allora proponi tu qualcosa, genio.”
“Propongo che io aspetto fuori, e tu mi fai sapere quando hai trovato le informazioni che ci servono.”
“No fermi tutti, che diavolo sta succedendo qui?!” Hunter alzò le mani al cielo in piena esasperazione, mentre Blaine faceva per uscire dalla porta d’ingresso trattenuto per una manica da Sebastian.
Tu hai perso completamente il senno, voi due dovreste tentare di uccidervi a vicenda!”
I due ragazzi si guardarono per diverso tempo. Poi, contemporaneamente, si rivolsero a Hunter e dissero: “Ho bisogno di lui.”
Forse non erano le parole adatte, troppo facilmente fraintendibili per chi dovesse ascoltarle, ma Hunter si limitò a fissare prima l’uno e poi l’altro, prima di sospirare.
“Entrate. Dio maledica l’Illinois.”
 
 
 
La ricerca dei vampiri portò a una serie di reazioni a catena.
Come prima cosa, Blaine e Sebastian viaggiarono insieme città dopo città, dal momento che dopo i due omicidi il gruppo aveva migrato chissà dove disperdendo completamente le loro tracce. Parlarono con cacciatori, visitarono case, incontrarono una lunga lista di vampiri, alcuni per sbaglio, altri, perchè si erano messi in mezzo al loro obiettivo.
La prima volta che Blaine uccise un vampiro fu un mese dopo la partenza; Sebastian era alle prese con due, cercando di mantenere le distanze e, allo stesso tempo, tenere cara la pelle; quando uccise entrambi commise il grave errore di abbassare la guardia e asciugarsi la fronte con la manica della maglietta.
Il terzo comparve alle sue spalle con i canini affilati e pronti a colpire. Si accorse della sua presenza solo quando sentì le sue urla e il rumore del legno che si frantumava contro la carne; Blaine aveva il fiato corto, gli occhi spalancati e increduli, gli tremavano le mani.
“Stai bene?” In un attimo fu da lui e i fori del suo collo pulsavano terribilmente. Blaine continuava a guardare il corpo ai suoi piedi e poi... sorrise.
“Sì. In realtà io mi sento... soddisfatto. Felice.”
Chi l’avrebbe mai detto.
 
 
 
Dopo due mesi di caccia senza sosta e momenti in cui il loro traguardo sembrava sempre più irraggiungibile, finalmente, li trovarono.
Erano nascosti nell’Ohio, in una vecchia villa di una cittadina completamente disabitata. Erano tutti scappati, ormai, dopo i primi titoli dei giornali che riportavano notizie di misteriosi morti e scomparse.
Era esattamente il posto in cui si aspettavano di trovare un gruppo in fuga e, sinceramente, non erano mai stati così vicini alla vittoria come allora.
Blaine guardò Sebastian con un’innato sorriso sulle labbra, conscio che tra qualche ora sarebbe finito tutto, avrebbe finalmente ucciso l’essere che lo aveva ridotto in quello stato e che, ancora più meschinamente, lo aveva allevato fino alla più completa alienazione di se stesso.
E Sebastian odiava quel vampiro, lo odiava quanto aveva odiato Louis e sognava il momento in cui finalmente gli avrebbe conficcato quel paletto nel cuore.
Chiamarono in soccorso tutti i cacciatori più esperti d’America: Hunter, Jeff, Noah Puckerman, Sam Evans, e molti altri che Sebastian conosceva soltanto di nome.
Agirono di notte; nessuno doveva commettere un passo falso, non erano ammessi errori, non quella volta. Se qualcuno di loro sarebbe morto, non se lo sarebbero perdonati.
 
I vampiri erano circa una ventina, tutti incredibilmente forti e agili. Erano sparsi per tutta la villa, così fu più facile ucciderli, piuttosto che concentrarsi contro un unico esercito molto più potente; era quello il vero punto debole dei vampiri, l’assenza del lavoro di squadra.
Gli umani collaborarono con astuzia e determinazione, fino a quando non uccisero quasi tutti i vampiri godendosi dei loro spasmi mentre si accasciavano inermi al suolo.
Sebastian aveva perso Blaine nella battaglia, ma sapeva bene che sapesse cavarsela più di lui.
 
 
Non riuscì a trovare Jeremiah, però, fino a quando non raggiunse l’atrio della villa circondato da quadri ottocenteschi e drappeggi di velluto morbido.
La descrizione di Blaine coincideva perfettamente; non poteva sbagliarsi, era lui.
“Ti ho trovato, finalmente.”
Strinse con più forza il legno di Frassino, senza muovere nessun muscolo.
“Buonasera a lei, gentile esca.” Fece subito Jeremiah, imitando il gesto di togliersi il cappello e dondolandosi diverito. Aveva gli occhi vitrei, la risata cristallina, danzò graziosamente verso di lui.
Sebastian allungò il suo sorriso, deglutendo.
“Oh, Sebastian.” Mormorò cantilenante. Il ragazzo puntò repentinamente il paletto contro di lui ancora prima che finisse di parlare.
“Avvicinati, coraggio”, Intimò, cercando di essere il più controllato possibile.
Lui, in risposta, si fermò di colpo, sbigottito, osservò prima l’umano e poi la sua arma, e un ghigno misto a malvagità e compassione riempì il suo pallido volto. Sfiorò leggermente il ruvido legno del paletto e, il secondo dopo, con un movimento quasi fulmineo, questo si stritolò sottomesso alla forza crudele della sua mano.
Sorrise di nuovo, in modo più ingenuo.
“Dovrebbero farli più resistenti di così.” Cinguettò fingendosi dispiaciuto. “Altrimenti il cacciatore non riuscirà a liberare Cappuccetto Rosso.”
Non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando.
“Oh, non essere sorpreso, lo spettacolo è già cominciato. Prego, prenda posto assieme agli altri ospiti.”
Con l’altra mano indicò delicatamente la parte dell’atrio oltre le loro spalle. Sebastian non riusciva a vederla bene a causa della penombra: accigliò lo sguardo, quando gli parve vedere qualcosa di conosciuto, e corse verso di quello senza esitare un secondo di più.
Si fermo di scatto, una volta lì.
Di fronte a lui si presentava una landa di cadaveri.
“Di fronte a quello spettacolo raccapricciante,” Esordì il vampiro, il tono assente, da narratore, mentre si avvicinava sempre di più al cacciatore assumendo un’aria compassionevole. “Il nostro eroe sentì un brivido freddo corrergli  lungo la schiena. Proprio qui.” Cantilenò sfiorando il giubbotto del ragazzo, tracciando un percorso dalla base del collo fino ai reni. Il freddo del suo calore corporeo lo fece effettivamente rabbrividire, e questo aumentò ancora di più il suo divertimento, che proseguì incalzante.
“Sentendo le fredde dita del vampiro, il battito del suo cuore accelerò di colpo, e stringendo i pugni pensò che gli avrebbe davvero fatto molto comodo, un’arma.”
Era semplicemente impietrito. Quel vampiro aveva letto perfettamente i pensieri dentro la sua testa.
“Che c’è, Sebastian?” Domandò allora: “Sei sorpreso?”
Notando l’assenza di risposta, levò gli occhi al cielo, trovandosi di fronte a lui in un battito di ciglia e afferrandolo per il colletto.
“Ci sono tante cose che non sai di noi. Tipo che vi stavamo osservando da tempo, come un narratore in attesa della sua scena. Aspettavamo che Blaine tornasse.”
Abbozzò un sorriso. Tirato, malvagio, assetato di sangue. “Ma continuiamo la storia. Siamo arrivati al punto in cui, il lupo cattivo si mangia la nonnina-“
Qualcosa colpì con forza il corpo di Jeremiah, e Sebastian cadde a terra con un tonfo sordo. Si accovacciò istintivamente, cercando di recuperare almeno metà dei suoi sensi, giusto in tempo per vedere Blaine afferrare il vampiro per la spalla e un braccio, spingendolo a terra con uno scatto brutale.
Il paletto rotolò a terra per l’impatto, ma i due vampiri continuarono a lottare, cercando l’uno i punti deboli dell’altro, ma Jeremiah era molto più forte: afferrò il braccio di Blaine stritolandolo senza il minimo sforzo, conficcando i denti nella sua carne e assaporando i suoi gemiti di dolore.
Sebastian provò una fitta lancinante all’altezza del collo che lo frastornò tanto da privarlo del respiro per un attimo, come se fosse appena stata risucchiata tutta l’aria dai polmoni.
Quando Jeremiah si staccò da lui, non riuscì a resistere: si portò subito la lingua alla bocca, mosso da un’inebriante desiderio; leccò piano, con accortezza, gustandosi goccia dopo goccia il sapore del suo sangue.
Scatenò qualcosa di irrecuperabile. Sebastian fu mosso da un istinto sconosciuto persino a se stesso, guadagnando la forza per alzarsi e arrivare alle sue spalle.
Gli perforò il cuore con il paletto di Blaine, conficcandolo fin dentro alle ossa.
Mai sottovalutare la forza di un essere umano.
 
 
 
Blaine giaceva immobile.
Il tetto rovinato e aperto che faceva trapelare la luce della luna e quella pioggerella fastidiosa che pungeva terribilmente, facendo abbassare la temperatura di diversi gradi. Una gamba era distesa e l’altra piegata ma traballante; una mano accarezzava il petto scosso dai sussulti, mentre la destra poggiava a terra, con il palmo della mano rivolto verso il soffitto. Fissava il cielo stellato sopra di sè emettendo lunghi e profondi respiri, con pazienza, uno dopo l’altro.
In un secondo Sebastian fu accanto a lui e gli prese il viso tra le mani, ignorando il sangue che cominciava a scivolargli lungo le dita, o il tremore che lo divorava da dentro le viscere.
Blaine per un momento sembrò non vederlo; poi, mentalmente, lo chiamò.
“Sebastian”, Riuscì a dire, con un sorriso che sciolse ogni sua barriera, i suoi occhi ambrati si stavano spegnendo, diventando sempre più grigi.
“Blaine.”
Pronunciarono l’uno il nome dell’altro. Erano i suoni più belli che avessero mai sentito.
“Un’altra volta...”, sussurrò Blaine, e i suoi occhi erano così lucidi, scossi da un pianto che non era in grado di fare uscire: “Nessuno mi chiamava così da tempo...”
“Blaine.” Ripetè Sebastian, in sussurri. “Blaine, il sangue-”
“Mi ha morso.”
Il cuore di Sebastian perse qualche battito.
“Mi ha morso”, Ripetè tra un colpo di tosse e l’altro, e Sebastian non voleva che finisse così, non voleva che Blaine diventasse parte della sua vendetta. Blaine era un vampiro, sì, ma era buono, non gli aveva fatto del male anche se avrebbe potuto, lo aveva aiutato, avevano parlato, ascoltato, riso, perfino quando non era opportuno.
Blaine era un vampiro. Ma era anche l’unico che riusciva a fargli battere il cuore.
“Ti rimetterai”, Sussurrò, abbassando una mano lungo la schiena e cercando di stringerlo ancora di più, “Starai bene, non è vero? Non puoi morire.”
Ma Blaine lo guardò, e sapeva bene cosa significasse quello sguardo. Forse, era l’unica regola dei vampiri di cui Sebastian conoscesse già l’esistenza.
“Colui che dà la vita ha anche il diritto di toglierla.”
“No. No, no, non è giusto.” Disse allora, con la voce spezzata, la ragione che era sparita da qualche parte, insieme al suo sangue freddo.
“Sebastian, devi farmi un favore.” Mormorò Blaine. Intuì immediatamente cosa volesse chiedergli e no, non esisteva, per nessuna ragione al mondo.
“Ti prego.”
“Blaine, non posso ucciderti.”
“Ti prego. Voglio che sia tu.” Condusse una sua mano sopra la sua, sopra al paletto di Frassino con cui Sebastian aveva terminato la vita dei suoi fratelli. La strinse con delicatezza.
“Non posso ucciderti.” Ripetè più forte.
“Sì che puoi.”
Quando pianse, asciugò tutte le sue lacrime.
“Non voglio.”
Blaine si trovò a sorridere, per la seconda volta, e più il suo sguardo si addolciva, più il cuore di Sebastian supplicava di non farlo, di non essere pronto.
“Possiamo cacciare i vampiri insieme.” Propose incerto, accarezzando la sua mano fredda, come quella pioggia pungente. “Puoi aiutarmi.”
“Io sono un vampiro.”
“No, tu sei diverso.”
Quando urlò, combattè tutte le sue paure.
“Sebastian”, Tossì; “Sono esattamente come quelli che hai ucciso.”
Era diverso. Era diverso. Continuava a ripeterlo tra sè e sè, mentre cercava la sua mano per intrecciare le dita alle sue. Erano successe troppe cose, che nemmeno il tempo poteva cancellare.
“E se non mi uccidi tu, adesso, io morirò lo stesso. Sono troppo debole per rimarginare una ferita del mio Creatore-”
“Non morirai, intesi? Tu devi solo metterti in forze, devi... devi bere il mio sangue.” Esordì, come colto da una rivelazione improvvisa; Blaine si ritrovò a spalancare gli occhi incredulo, stringendo con più forza la mano di Sebastian.
“No.”
“Ti prego, mordimi. A me sta bene. Lo voglio.”
“No, non sai quello che vuoi.”
“Sì invece. Lo voglio più di ogni altra cosa.”
E fu talmente grande, come rivelazione, che Blaine socchiuse gli occhi emettendo un gemito di dolore, più psicologico che fisico; sbattè la testa contro l’erba fresca e non aveva il coraggio di guardare Sebastian, non ora che il legame era troppo forte, non ora che il suo corpo bramava sangue.
Il paletto che adesso si trovava stretto trai loro palmi venne sollevato a mezz’aria in un attimo: un tempo troppo breve per un umano. Abbastanza lungo per un vampiro.
Quando Blaine fece per conficcarselo sin dentro al suo petto, per Sebastian fu come se il suo cuore si spezzasse due volte; lo bloccò con uno scatto repentino, a metà dell’azione. Lo vide spalancare gli occhi e cercare di desistere alla presa. Era combattuto.
“Sebastian, vattene via.”
“Mordimi.”
“Vattene via...”
Ma lui fu più testardo, e più tenace: si chinò completamente su di lui e i fori erano lì, in bella vista, insieme al loro legame ormai inesauribile e a quell’istinto di sopravvivenza che portava i vampiri all’autoconservazione.
E gli occhi di Blaine si fecero più scuri, mentre si avvicinava a lui e si appropriava di ciò che era suo, sin dal primo momento che lo aveva visto.
 
 
 
Quando avrebbe dovuto avvertire la sensazione di lacerazione, dolore, passione e indescrivibile piacere, Sebastian si trovò ad aprire gli occhi come destandosi da un lungo sogno, pur essendo stato completamente sveglio.
Aveva appena assistito ad un’allucinazione, dettatagli da quegli stessi fori che adesso stavano svanendo, lentamente. Era stato l’ultimo appello della sua anima, mentre salutava quella a cui era legata.
Perchè Blaine non lo aveva morso. Non lo aveva trasformato in vampiro.
Il paletto che nella visione era riuscito a bloccare era dentro al suo torace, il sangue che copriva le sue mani rigide come pietra, strette alle sue.
Era una ferita che non si sarebbe rimarginata. Un dolore troppo reale.
Era stato Blaine: era entrato nella sua mente. Lo aveva ammaliato e trasportato in un’altra dimensione, regalandogli quell’ultima scintilla di speranza, di gratitudine.
Non voleva che assistesse al momento in cui, intrecciando le dita alle sue, si era pugnalato al cuore; perchè lo aveva fatto tramite lui. Perchè non c’era altro modo, non c’era mai stato.
Ma nella realtà, il soffitto della tenuta era perfettamente solido e resistente; non pioveva, non c’erano le stelle, l’atrio di quel grande salone era vuoto, grigio, banale.
Non era riuscito a salvarlo. E avrebbe voluto, così tanto.
Blaine lo stava fissando con quegli occhi grandi, espressivi. Erano così belli.
Sorrideva: le labbra leggermente incurvate verso l’alto gli suggerivano che fosse felice, libero. Lo erano entrambi, come promesso.
In silenzio, sollevò il braccio con gesti lenti: voleva accarezzare il viso dell’unica persona che avesse mai pianto per lui.
E Sebastian, lui, piangeva.
I fori sul suo collo non c’erano più. Come Blaine.
Gli tenne la mano per tutto il tempo.
 
 
 

 
But you still have all of me.

 
 
 

 







Angolo di Farina


1) Buona Seblaine Sunday! Chiaramente il titolo è riferimento alla canzone che trovate nel link. Che è bellissima, devo dire.
2) Appena la mitica beta è disponibile mi correggerà il malloppone e lo riediterò con le correzioni. Nel frattempo, spero di non aver commesso troppi orrori.
3) Questa OS non è un Crossover con i libri di Anne Rice, nonostante ci siano delle somiglianze con l'ideale di vampiro, dal momento che lei stessa fa riferimento a delle leggende e culture a cui posso attingere anche io. Inoltre, in questa OS ho aggiunto il fattore che i vampiri possono essere uccisi dal proprio creatore attraverso un morso, o tutta la questione del legame stabilito dal morso, così come ho introdotto l'argomento cacciatori di vampiri etc. Questa NON è una fanfiction su quella saga, ma su Glee, attraverso un Alternative Universe a sè stante, quindi vi sarei grata se non segnalaste la storia come inappropriata. E' una semplicissima AU sui vampiri. Grazie.
4) ... Sì. Lo so. Io che scrivo angst? Lo so. Lo so, non dite niente. E ora la finisco qui perchè non voglio fare delle note chilometriche. 

Fra

 
 
 


 
 
 
 
   
 
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