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Autore: Elos    23/06/2013    12 recensioni
Cose che Susan Bones aveva avuto il tempo di fare prima di morire: baciare Ernie Macmillan, prendere due Eccezionale e tre Oltre Ogni Previsione ai G.U.F.O., andare al Ballo del Ceppo con un vestito giallo che era uguale al vestito delle feste di sua madre, mangiare una scatola intera di Gelatine Tuttigusti + 1 e trovare la mitica Gelatina alla Caccola che tutti stavano cercando (e che, segretamente, tutti speravano di non trovare mai), farsi comprare un criceto, farsi uccidere il criceto da uno degli esperimenti di Fred e George, pomiciare in uno sgabuzzino, camminare sulle spiagge della Spagna, salvare la vita di tredici persone a Diagon Alley. [...]
Harry Potter è morto, lunga vita a Voldemort.
I Mangiamorte hanno il controllo dell'Inghilterra, e tutto quel che resta dell'Ordine della Fenice si nasconde a Grimmauld Place portando avanti un'ostinata guerriglia. Qualcosa è andato storto, ma non tutti vogliono gettare la spugna.
Esercito di Potter, il reclutamento è ancora aperto.
Partecipa all'iniziativa "24 Hours of Fun" indetta da e m m e e Geilie.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Thomas, Draco Malfoy, Neville Paciock, Susan Bones, Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Da VI libro alternativo
- Questa storia fa parte della serie 'Come (non) doveva andare'
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Questa raccolta di storie brevi nasce per le 24 Hours of Fun indette da e m m e e Geilie. Qui potete trovare i prompt(s), proposti di ora in ora dalla mezzanotte del 21 Giugno e per le ventiquattro ore seguenti.
Delle ventiquattro storie che ho scritto per l'iniziativa - ehi, non giudicate, ero chiusa in casa, io, me e sessanta pagine sul signor Joyce, avrei scritto sul dorso delle lumache se mi fosse stata data un'idea per farlo - ventuno sono state stese attorno all'universo di Come (non) doveva andare (e non saranno probabilmente chiare a chi non ha la più pallida idea di cosa si tratti, me ne scuso). Mi sarebbe piaciuto poter parlare, prima del finale della storia, di tutto quel che era successo ai personaggi secondari: quelli che non sempre appaiono sulla ribalta, ma sono lì lo stesso. Sono loro quelli che contano.
Diciassette di queste storie sono qui, adesso. Potete trovare le restanti quattro qui, scartate per una ragione o per l'altra (sono le ultime dell'elenco), e qui gli altri tre pezzetti scritti su altri fandoms.

Mi auguro che l'idea vi attiri come ha attirato me. Buona lettura!






I racconti del lungo inverno




. tutti i gusti – più uno



Prima della guerra, la gelateria Fortebraccio aveva offerto centotredici tipi di gelato diversi: i gusti tradizionali di Diagon Alley, come l'Esplozucca e la Mela Stregata, i più gettonati, il Rospociocco, il gelato al Biancospino Frizzante, quello alle Gelatine Tuttigusti+1, e, quando Florian era in vena ed era la giornata giusta, anche gli strani gusti Babbani che sapevano solo di una cosa, sempre la stessa, e che avevano colori più pallidi, un sapore più piatto, cioccolato, fragole, pesca.
Seamus ricordava i gelati di Florian. Nella sua testa, avevano tutti lo stesso gusto – che era poi quello delle estati di Hogwarts.
“Dobbiamo muoverci,” gli disse Luna, piano. E poi, ancor più gentilmente, quando Dean non diede segno d'averla sentita: “Non possiamo fare più nulla, qui.”
Seamus continuò a guardare il bancone. Nel freddo dell'Incanto Conservante il sangue si era coagulato in strani grumi e pozzanghere, colando filamentoso nelle vaschette aperte del gelato. Sembrava amarena. Se non avesse saputo che non era... sembrava amarena. Solo amarena. Sembrava innocente.
Seamus dovette schiarirsi la gola per riuscire a parlare:
“Gli avevamo detto che avrebbe fatto meglio a chiudere e ad andarsene. Gli avevamo detto che i Mangiamorte sarebbero venuti a prenderlo.”
Luna annuì.
“Abbiamo fatto tutto quel che potevamo.”
Seamus rise. Non fu una buona risata, e lo lasciò con la sensazione d'essere sporco, rovinato. Luna piegò la testa, guardandolo, gli occhi pallidi e il viso quieto e l'espressione lontanissima e aliena; ma le dita che si infilarono tra quelle di Seamus, tirandolo piano verso la porta, erano dita infinitamente gentili.
“Vieni via,” mormorò, strofinandogli il pollice contro le nocche. “Dobbiamo andare.”
Sembrava amarena. Sembrava innocente. Del cadavere di Florian Fortebraccio i Mangiamorte non avevano lasciato molto – giusto quel che sarebbe servito a renderlo riconoscibile.
Seamus andò.


. a fondo


Cominciava sempre così. Doveva essere estate: c'era l'erba verde e spessa sul dorso della collina della Tana, le spighe di gramigna ispide d'oro pallido in mezzo a tutto quel verde, e c'era il verde della pozza d'acqua dove andavano a pescare girini da bambini e c'era il cielo – e anche il cielo era verde.
Il sogno cominciava sempre così.
Nell'estate del sogno doveva far caldo, perché Fleur aveva le spalle scoperte e i piedi scalzi a mollo nell'acqua quieta, e un vestito che era bianco com'era stato bianco il suo vestito da sposa e così leggero da accendergli dentro il desiderio. Fleur era chiara e androgina e lievissima e Bill voleva passarle le mani tra i capelli, un dito sulle spalle, sulla curva dei fianchi. Fleur era anche molto incinta: non si vedeva, nel sogno, ma Bill lo sapeva. Se ne ricordava. Fleur era incinta. Il bambino – lui o lei o loro – sarebbe nato presto.
Fleur portava dei fiori sulla testa, come una corona ricchissima contro la sua testa d'argento. Papaveri, forse. Peonie rosse. A Bill piacevano, ma a Fleur no, ed era strano vederglieli addosso, perciò, strano, così strano che il sogno di Bill cominciava a scivolare giù per il pendio viscido e ripido dell'incertezza, lì dove il familiare diventava ignoto e tutte le cose sembravano fermarsi per un attimo, rabbrividire, il mondo tingersi di grigio –
– e poi una mano pallida e marcia veniva fuori dall'acqua, afferrava Fleur e la tirava sotto, e Bill poteva stare solo lì fermo e urlare, urlare, urlare, fino a quando il cuore non gli scoppiava.

Finiva sempre così: con la mano fradicia e morta che tirava a fondo sua moglie.

Fleur pensava che Bill dovesse decidersi a parlare con qualcuno dei suoi sogni – con Luna, magari. Luna era brava in questo genere di cose.
Bill, invece, pensava che non ci volesse Luna per spiegargli cosa il sogno significasse. La guerra aveva insegnato loro che c'erano molti modi per far finire il mondo, moltissimi, tutte le speranze infrante, i sogni bruciati, i futuri che si chiudevano e la terra che franava sotto ai piedi dei sopravvissuti.
Bill passava una mano sul ventre tondo di Fleur, la guardava dormire, respirare, ogni respiro indicibilmente prezioso.
Fa' che non vada a fondo, pensava. Lo pensava più forte che poteva. Fa' che non vadano a fondo.
Non sapeva neanche più chi pregare.


. non lo stesso peso



Erano tornati tardi ed erano tornati sporchi, e quando Molly Weasley li aveva visti arrivare con le bacchette ancora estratte e le espressioni accuratamente neutre aveva... non aveva precisamente fatto una smorfia, no, non una vera smorfia, ma aveva torto le labbra e socchiuso gli occhi ed era bastato.
Hermione pensava che se si fosse messa ad urlare, una buona volta, forse sarebbe stato meglio.
Ad Hermione non importava. Sapeva cosa dicevano nell'Ordine di lei – che la morte di Ron, la morte di Harry, l'avessero lasciata non del tutto sana, dentro, non del tutto intera, che permetterle di tirarsi dietro Malfoy avesse peggiorato la situazione, che...
“Dovresti far squadra con qualcun altro,” le disse Malfoy. Stava frugando nella loro borsa in cerca di qualcosa – probabilmente, dedusse Hermione, di un qualunque cosa che gli permettesse di non guardarla in faccia e di suonare tutto nonchalance e signorile disinteresse. “La Weasley smetterebbe di guardarti come se avessi appena pestato una cacca.”
Nella borsa c'era la Mappa del Malandrino, c'erano i libri che erano riusciti a portar via da quel che rimaneva della Biblioteca di Hogwarts, c'erano i barattoli di asfodelo in polvere che avevano ripescato dai sotterranei allagati. Greyback non avrebbe più fatto del male a nessuno: gli avevano tagliato la testa e l'avevano buttata nel mezzo di Diagon Alley, e che i Mangiamorte venissero a riprendersela, adesso, se proprio la volevano.
Greyback non avrebbe più fatto del male a nessuno. I Lestrange non avrebbero più fatto del male a nessuno. Avevano ucciso e torturato e non avrebbero più fatto del male a nessuno. Mai più.
Nella testa di Hermione, era tutto quel che contava.
E non era Malfoy, pensò Hermione, Malfoy non c'entrava niente. Non era Malfoy, era lei. Era stata lei a cambiare, il giorno in cui aveva cominciato a posare sui piatti della bilancia le vite dei sopravvissuti e le vite dei Mangiamorte e a decidere che non avevano lo stesso peso.
“Lei non può capire,” gli disse piano. “Se anche glielo spiegassi, lei non capirebbe.”
Aveva smesso presto, Hermione, di sentirsi un'assassina.


. vasi di Pandora



Ci sono vasi di Pandora che non andrebbero mai scoperchiati.
“Zanzare...?” chiese Shacklebolt. Lo chiese prudentemente: fare domande ai gemelli Weasley era sempre un'incognita. La risposta poteva arrivare sotto forma di Chiavi Perpetue così come di Dilaniograppoli. Le Chiavi Perpetue erano state un'invenzione utilissima. Anche i Dilaniograppoli lo erano stati... il genere di invenzione utilissima della quale il mondo avrebbe probabilmente preferito continuare a rimanere sprovvisto. I Dilaniograppoli tenevano fede al loro nome esplodendo in grappoli da dodici e portandosi via grossi pezzi da qualunque cosa fosse nei dintorni al momento dello scoppio. Generalmente, Mangiamorte. Dopo i Tre Giorni di Hogwarts, i gemelli Weasley avevano dimostrato di essere dotati, oltre che di un livello di creatività che avrebbe potuto essere considerato arma di distruzione di massa, anche di una mira eccellente.
“Non precisamente,” rispose Forse Fred.
“Zanzare Trasfigurate,” precisò Forse George.
“E ibridate.”
“Di metallo. Da aperte sono grosse...”
“... più o meno come un pugno. Così. In un barattolo ce ne stanno dieci, ripiegate: lanci il barattolo in una stanza...”
“... ti chiudi la porta alle spalle...”
“... e il barattolo si rompe. Le zanzare escono...”
“... e farai davvero meglio a ricordarti di chiudere quella porta. E' un passaggio importantissimo.”
“Non potremmo ribadire mai abbastanza quanto sia fondamentale.”
“Le abbiamo chiamate Vampozanzare.”
Shacklebolt si passò la Vampozanzara da una mano all'altra.
“E le avete testate?”
I gemelli si lanciarono un'occhiata vagamente colpevole.
“Uhm. Non si è trattato precisamente di un test, quanto di un incidente.”
“Vedi, nella stanza in cui le abbiamo lanciate c'era la gabbietta con il criceto di Susan.”
“Che è un criceto più leggero di un etto, adesso...”
“... dove un etto è la quantità di sangue contenuta in un criceto, abbiamo scoperto.”
La Vampozanzara era lunga come il suo mignolo. Aveva un aspetto serenamente innocuo.
“E funzionano,” disse Shacklebolt. I gemelli annuirono.
Shacklebolt prese una decisione.
“Fatene un paio di barattoli e dateli alla Granger. Va ad Hogsmeade tra due giorni, li testerà lei.”


. tre giorni a Natale



It was 1989, my thoughts were short my hair was long
Caught somewhere between a boy and man


Più tardi avrebbe detto che erano stati due mesi complicati. La verità è che non erano stati due mesi, e che complicati non cominciava neanche ad avvicinarsi alla superficie delle cose, complicati non cominciava neanche ad intaccare l'orrore e la sensazione di terra mancante e di irrealtà, svegliarsi con i morti nel letto e dover essere fottutamente grato perché il letto era il suo, il ricordo delle notti di luna e di tutte le volte che aveva pensato con terrore che gli mancasse tanto così al diventare come loro, infetto, trasformato, al diventare Greyback.
Se gli era rimasto un incubo, era quello. Non come Greyback. Mai come Greyback. Greyback aveva pezzi filacciosi di carne tra i denti, e non era manzo, quello. A Greyback piacevano i bambini.
In quei due mesi, Remus e la Granger l'avevano rimesso insieme un pezzo alla volta, ricucendo dove si poteva e rincollando dove non c'era più niente da ricucire. Avevano cominciato dandogli da mangiare. Draco aveva avuto... altro... a cui pensare, prima, e adesso era possibile contargli le ossa attraverso la camicia, le sporgenze delle scapole come ali monche sulla sua schiena. La Granger non era già più capace di consolare nessuno, all'epoca, ed era sospettosa e cauta e infelice come un animale con una zampa in una tagliola, ma l'aveva messo a sedere e gli aveva tagliato i capelli e glieli aveva pettinati come facevano tutte le mattine con i capelli della Weasley più piccola, che non era più una persona, no, solo un corpo svuotato.
Draco avrebbe voluto poter gridare. Draco c'era ancora. Draco non era vuoto. Draco si svegliava ed era ancora una persona.
Era diventato adulto a Grimmauld Place, con la bacchetta della Granger che gli pareggiava i capelli sulla nuca, nel dicembre del 1999. Mancavano tre giorni a Natale.


. io desidero



La signora Weasley aveva detto che non era una buona idea e Kingsley l'aveva sconsigliato – grossi assembramenti in una delle zone protette dal Fidelius avrebbero potuto attrarre attenzioni indesiderate – ma Arthur aveva preso la giacca e, senza dir niente, li aveva accompagnati. L'occhiata che sua moglie gli aveva lanciato sarebbe stata in grado di incenerire un uomo da meno, ma la scorza del signor Weasley era stata costruita nel corso di lunghi, lunghissimi anni di matrimonio.
A Grimmauld Place faceva freddo anche se si era nel mezzo dell'estate, quel genere di freddo acuto, pervasivo, che era il freddo dei Dissennatori, il freddo dell'inverno che non finisce mai; ma in Cornovaglia, sotto il Fidelius, l'aria sembrava più mite, più lieve. Le nuvole si aprivano a tratti per lasciare spazio a un cielo incrostato di stelle e la nebbia non era densa come a Londra.
Hannah Abbott era venuta loro incontro ai confini della zona coperta dal Fidelius, e insieme a lei erano venuti i bambini, Mezzosangue e Nati Babbani e figli dell'Ordine, tutti quelli di cui Hannah si occupava.
Avevano camminato fino alla cima di una collina dalla quale si vedeva l'oceano. L'acqua era una distesa solo una sfumatura di blu più scuro di quella del cielo; sotto una luna pallidissima, l'erba si tingeva quasi di azzurro.
Loro si erano sdraiati tra i cespugli di ginestre; le ginestre, come i papaveri, sembravano resistere ostinatamente all'inverno perpetuo, opporsi, aprirsi spazio a gomitate dalla terra al cielo. Neville si era sdraiato a due passi di distanza da Hannah e, quando la prima stella cadente aveva attraversato il cielo, si era girato a guardarla.
Le strisce di luce che tagliavano la notte sembravano aprire un universo di io desidero, io desidero, io desidero, come semi caduti, tutte possibilità in attesa di germogliare.


. rimpianti



Cose che Susan Bones aveva avuto il tempo di fare prima di morire: baciare Ernie Macmillan, prendere due Eccezionale e tre Oltre Ogni Previsione ai G.U.F.O., andare al Ballo del Ceppo con un vestito giallo che era uguale al vestito delle feste di sua madre, mangiare una scatola intera di Gelatine Tuttigusti + 1 e trovare la mitica Gelatina alla Caccola che tutti stavano cercando (e che, segretamente, tutti speravano di non trovare mai), farsi comprare un criceto, farsi uccidere il criceto da uno degli esperimenti di Fred e George, pomiciare in uno sgabuzzino, camminare sulle spiagge della Spagna, salvare la vita di tredici persone a Diagon Alley.
Cose che Susan Bones non aveva avuto il tempo di fare prima di morire: andare a vedere il Gran Museo delle Streghe in Croazia, baciare Terry Boot, fare un viaggio in Africa, avere un bambino che avrebbe chiamato Harry, far tenere in braccio il bambino di nome Harry a sua madre e a suo padre, diventare la più grande traduttrice di testi di Erbologia dallo spagnolo all'inglese che il mondo avesse mai conosciuto, sostenere gli esami dei M.A.G.O. e diplomarsi.
L'ultima di queste cose era, tutto considerato, quella che rimpiangeva di più.


. nella buca



“Ci troveranno,” disse Alicia. Lo disse con tutta la convinzione di qualcuno che sapeva che, nel momento stesso in cui avesse smesso di crederci, cose orribili sarebbero accadute. “Sanno che siamo qui. Ci troveranno.”
Un lunghissimo momento di silenzio.
“E' strano,” disse Oliver. “E' tutto l'anno che sento freddo, faccio la doccia con l'acqua fredda, mangio piatti freddi, dormo al freddo e mi sveglio con i piedi freddi. Detesto il freddo. E adesso, invece, ucciderei per un pezzettino di ghiaccio.”
Alicia rise. La risata si interruppe a metà, perché nella fossa faceva caldo da morire, caldo da spezzare la voce e da lasciare gli occhi asciutti, le labbra secche, i vestiti zuppi di sudore. Quando la scopa sulla quale viaggiavano era stata abbattuta ed era precipitata al di sopra di un bosco dalle parti di Bristol, Oliver era riuscito ad evitare di farli schiantare al suolo; ma avevano sbattuto contro un ramo alto, e poi contro un ramo meno alto, e infine il loro volo era finito in una crepa nel terreno. La bacchetta di Oliver era stata sbalzata via e quella di Alicia era ridotta ad un moncone. Senza bacchette, senza scopa, nessuno dei due era capace di uscire da quella buca.
Alicia aveva provato: si era aggrappata alle pareti di terra, alle radici sporgenti, e aveva fatto forza e spinto e tirato; ma la gravità sembrava riacchiapparla sempre a pochi piedi dal fondo della buca, assestarle uno strattone feroce e riportarla giù. L'orlo della fossa era forse cinque metri più in alto – ma avrebbe potuto anche trattarsi di un milione di miglia. Irraggiungibile.
Oliver non aveva provato. Oliver aveva una gamba rotta e l'osso che gli sporgeva dalla coscia. Aveva perso un sacco di sangue.
Faceva troppo caldo per stare seduti vicini, ma Alicia aveva preso una delle gambe di Oliver in grembo e la stava accarezzando. Cercava di parlargli e di tenerlo sveglio: aveva paura che, se lui avesse chiuso gli occhi, non si sarebbe più svegliato.
“Formazione della Spagna.”
“Cartaya, Lebron, Garcia... Santini... Montoya, Felino, Marrero.”
“Il portiere delle Gazze di Montrose?”
“Nell'ultimo campionato, McGie.”
“Questa era facile. Vediamo... chi ha inventato la Formazione d'Attacco Testa di Falco?”
“Lo sanno anche i bambini. O'Hare.”
Alicia dovette fare una pausa per potersi inumidire le labbra. Non aveva più saliva bastante a bagnarle, ma poteva passarci sopra la lingua e cercare di ammorbidirle.
“Quanto tempo credi che sia passato?”
Oliver non rispose.
“... Oliver?”
Oliver si mosse appena:
“Uh?”
Aveva la voce stanca, impastata. Nella penombra della fossa il sangue non si vedeva bene, ma l'odore era aguzzo e opprimente, sale e ruvido e metallo.
Alicia rabbrividì. Si sforzò di non far tremare la voce:
“Quanto tempo credi che sia passato?”
Oliver mugugnò qualcosa di incomprensibile. Alicia allungò una mano e cercò di stringere quella di lui. Nella buca si crepava di caldo, ma le dita di Oliver erano gelate.
“Ci troveranno,” bisbigliò Alicia. “Ci troveranno, Oliver. Vedrai che ci troveranno.”

L'Ordine li trovò cinque ore più tardi, diciassette ore dopo che erano caduti dal cielo. Erano ancora vivi tutti e due, respiravano, anche Oliver poté essere recuperato.
Ma per la gamba di Oliver Baston non c'era più niente da fare.


. l'ultimo giorno d'estate



But the last day of summer never felt so cold
The last day of summer never felt so old


Se avevi tra gli undici e i diciassette anni, vivevi in Inghilterra ed eri un mago, l'estate per te finiva il primo giorno di Settembre, sul treno per Hogwarts, nel caos allegro ed eccitato dell'Espresso che attraversava la Gran Bretagna diretto verso nord, verso la Scozia dei laghi e delle colline verdi e scoscese. Quasi nessuno era contentissimo di tornare a scuola – tornare a scuola era tornare da Piton e dalla McGranitt, dai compiti e dal panico prima delle interrogazioni e da Gazza e le sue liste – ma tornare a scuola era anche tornare alle colazioni nella Sala Grande, alla merenda di Natale e alla neve sui prati del castello, tornare agli amici e alle partite di Spara Schiocco e al Quidditch.
Per Harry, tornare ad Hogwarts era tornare a tre pasti al giorno, alla sua scopa, ai suoi libri ed alla sua bacchetta, tornare e trovare Hermione e Ron e Ginny e Hagrid e Silente e... e...
Casa di Hagrid stava bruciando. Ci passarono accanto e Thor non si vedeva da nessuna parte e Hagrid non si vedeva da nessuna parte e probabilmente erano morti. Erano stati inseguiti sulla soglia del castello dal rombo feroce dell'Ardemonio sui piani superiori e dell'acqua che invadeva i sotterranei, dalle grida e dagli scoppi e dalla luce verde delle Avada Kedavra che schizzavano sul campo di battaglia.
Hogwarts era caduta così: in fuoco e acqua e magia.
Prima che Hermione gli afferrasse una mano e lo tirasse via, Smaterializzandosi, con il peso di Ron su una spalla e la bacchetta stretta nella mano libera, Harry si girò a guardare. Non poté farne a meno: dovette girarsi, guardare, per vedere Hogwarts che bruciava.
Non sembrava reale. Chiuse gli occhi. Non poteva essere reale.
L'ultimo giorno d'estate, ed era come essere in inverno.


. otto volante



Costruirono la giostra in un mattino di metà aprile. Piovigginava, ma non così forte da non poter lavorare all'aperto, e i bambini si erano raccolti tutti sul piazzale per guardare. Anthony Goldstein ne approfittò per far loro un po' di lezione: organizzarsi per tenere dei veri corsi sarebbe stato troppo complicato, con bimbi d'età così diverse, ma disse loro quali incantesimi stava usando per segare il legno, fissare le tavole e irrobustire le corde, come si chiamavano i fiori alla base della giostra e che piante medicinali si sarebbero potute raccogliere in quel prato.
La giostra era stata un'idea di Ernie; il rifugio alla periferia di Sleaford, nel Linconshire, era una grande casa protetta dal Fidelius, e nascosta ai Babbani fin dal Diciottesimo Secolo, che era la gemella della Westholme House. L'ultima proprietaria prima che l'Ordine se ne appropriasse era stata una vecchissima, minuscola strega che aveva collezionato bambole di porcellana e teiere. Le teiere erano state fatte immediatamente sparire – non si poteva impedire a venticinque bambini tra i tre e i sedici anni di rompere qualcosa in un posto simile – ma le bambole erano state lasciate in giro perché ci giocassero.
Nella casa c'erano sgabuzzini e stanzette e nicchie che erano luoghi fantastici per organizzare lunghe partite a nascondino, e nel grande prato recintato Ernie aveva disegnato i tracciati per giocare a Salta La Strega e a Zompabiglia. E adesso stavano costruendo la giostra.
Ad Ernie Macmillan i bambini piacevano. Sapeva che quel che stava facendo era una cosa pericolosa – custodire il Fidelius, tenere al sicuro Mezzosangue e Nati Babbani, tutti quelli che i Mangiamorte cercavano per uccidere – ma sapeva anche che era la cosa giusta. Qualcuno doveva fare le cose giuste, perché il resto del mondo sembrava aver preso una piega sbagliatissima.
Quella cosa giusta l'avrebbe ucciso, prima o poi, ma Ernie aveva imparato a convivere con la consapevolezza che sarebbe accaduto, non c'era niente che lui potesse fare in proposito, era meglio non pensarci.
Alzarono la giostra e assicurarono le corde e i sedili; e poi, molto prudentemente, lui e Anthony si sedettero ciascuno da una parte e cercarono di farla girare. La struttura perfettamente oliata non cigolò nemmeno.
Fecero salire i bambini otto alla volta, e dovettero organizzare dei turni perché non litigassero, tutti volevano salire sulla giostra, tutti volevano provare, mentre i sedili si sollevavano verso le cime degli alberi. Si levò il vento, a metà pomeriggio, e smise di piovere. Le nuvole si aprirono. Il cielo, dietro, era d'un azzurro perfetto.
Fu una bellissima giornata.


. imboscate



“Caldo da poter cuocere un uovo al sole,” propose George.
“Caldo da crepare,” ribatté prontamente Fred.
“Si muore di caldo.”
“In un bagno di sudore.”
“Sotto il solleone.”
“Vento di scirocco.”
“Calura.”
“Afa.”
“Ondata di caldo.”
Fred esitò, cercando una parola con cui poter rispondere, e Draco ne approfittò per intervenire, senza neanche girarsi:
“Canicola.”
Un momento di pausa.
“... canicola? E' una parola vera?”
“E' sul dizionario?”
“Ehi, vale se è Malfoy a suggerire?”
Mentre i gemelli Weasley si lanciavano in una borbottata discussione a proposito dell'eventuale validità del suggerimento ricevuto, Draco volse la testa verso Hermione:
“Suppongo di non poterne uccidere uno.”
Hermione aveva gli occhi fissi avanti a sé, e non sorrise:
“No.”
“Uno soltanto...? Resterebbe sempre l'altro. Nessuno riesce neanche a distinguerli, sarebbe come far fuori un doppione.”
Hermione gli fece segno di star zitto. Sdraiati nella neve per sfruttare il riparo naturale offerto da un paio di cespugli, il mondo ai confini di Hogsmeade era un luogo bianchissimo e gelido come una terra aliena, dove anche le nuvolette di fiato parevano trasformarsi immediatamente in condensa e farsi liquide, pesanti, un tormento per le labbra spaccate.
Accucciati alle loro spalle, Fred e George Weasley avevano appena stabilito che, sì, canicola era una parola realmente esistente e, no, non valeva se era Malfoy a suggerire.
“Sole a picco,” tentò Fred.
Hermione socchiuse gli occhi. Non c'era Incanto Riscaldante che tenesse contro il gelo dei Dissennatori, e attorno ad Hogsmeade i Dissennatori si muovevano in branchi. Ce n'erano a dozzine. Circa mezz'ora prima durante l'appostamento il freddo si era fatto così acuto che adesso non riuscivano più neanche a sentire i brividi; e così loro se ne stavano lì, semplicemente, con i muscoli contratti da una sequela ininterrotta di piccoli spasmi.
“La prossima volta io vado con la squadra di Paciock,” bofonchiò Draco di malumore.
Un'ombra nera uscì da Hogsmeade e si incamminò sul sentiero, e Hermione sentì un fremito di agitazione farsi strada oltre il freddo:
“Ci siamo.”
Si zittirono tutti. Un momento più tardi, la figura del Mangiamorte si fece sufficientemente vicina da poter essere riconosciuta. Draco sorrise: fu un sorriso molto, molto lento, e per nulla gradevole, come un ghiacciaio smosso.
“Oh, Rabastan,” bisbigliò. C'era una specie d'eccitazione feroce nel fondo della sua voce.
Hermione si tolse un barattolo di Vampozanzare dalla tasca e, con un lancio alto e ampio, lo tirò in mezzo al sentiero. Il barattolo si ruppe.
Mentre Rabastan Lestrange cominciava ad urlare, il ronzio delle zanzare metalliche più forte anche del sibilo del vento, tutti e quattro tirarono fuori le bacchette.


. bisogni primari



Le gemelle Patil la trovarono così: seduta sul bordo del letto, il suo vecchio baule spalancato davanti, un triangolo di stoffa lucente tra le mani e il viso rigato di lacrime. Lavanda e Calì erano state amiche ad Hogwarts. Molto amiche. Il genere di amiche che conoscono tutto l'uno dell'altra, che fanno muro, compatte, che condividono spazzole e scarpe e fermagli a forma di farfalla. Avevano litigato e discusso e Lavanda era stata gelosa della bella vita affusolata di Calì e Calì era stata gelosa dei ricci biondissimi di Lavanda, delle efelidi leggere sulla sua pelle da bambola, ed erano rimaste vicine prima della guerra e dopo la guerra e fino a Grimmauld Place.
Calì rideva molto meno spesso, ora. Lavanda portava i vestiti grigi dei Guaritori. Grimmauld Place aveva fatto questo un po' a tutti, tolto le risate, tolto i colori, perché era diventato complicato ridere ed essere lievi nei giorni dell'inverno infinito.
Non erano più vicine come lo erano state prima – strade divise, inclinazioni differenti – ma Calì vide il baule e vide le lacrime e non ci fu bisogno che qualcuno le dicesse che cosa stava succedendo. Mandò via Padma e si sedette sul letto accanto a Lavanda.
“Hai aperto il baule,” disse piano. Non era mai stata capace d'essere veramente dolce, ma dire le cose piano, quello sì, quello l'aveva imparato.
Lavanda tirò su con il naso.
“Stavo cercando un maglione.” E poi, con un piccolo singhiozzo: “Mi sento così stupida.”
Calì le aprì le dita, delicatamente: il triangolo di stoffa venne via, ed era rosa, ed era elastico, ed era il pezzo di sopra di un costume da bagno Babbano.
“Mi manca il mare,” sussurrò Lavanda. “Andavamo al mare d'estate e c'era... c'era la gente in spiaggia, e... e c'era il sole...”
Il primo bisogno dell'uomo, pensò Calì, e rabbrividì, il bisogno primario, la luce, il sole, il calore. Senza, si impazziva.
Londra stava impazzendo.
“Dovresti andare in Cornovaglia per un po',” propose. “Da Hannah.”
Lavanda scosse la testa.
“Hanno bisogno di me qui.”
“Possono farne a meno per qualche giorno,” insisté Calì, con fermezza.
Lavanda la fissò con gli occhi lucidi di lacrime, le guance arrossate:
“Ma...”
“Lavanda,” la interruppe Calì. “Siamo oneste. Non servirai a nessuno se non vai in Cornovaglia, adesso, e ti prendi qualche giorno di vacanza. Al sole. Al mare. Il mondo continuerà a girare anche senza di te.”
Era un'infelice verità – una che avevano tutti appreso presto. Il mondo continuava a girare anche senza di loro. Il mondo aveva continuato a girare dopo la morte di Silente, dopo la morte di Harry: se era sopravvissuto a quello, aveva pensato Calì, avrebbe potuto sopravvivere a qualunque cosa.
“Qualche giorno al mare,” ripeté. Lo disse con una punta in più di gentilezza. “Non c'è niente di male.”
L'espressione di Lavanda si fece orribilmente speranzosa.
“Lo credi davvero?”
Calì le sorrise:
“Portami una conchiglia.”


. il mare d'inverno



Lo chiamano Mare del Nord. Ci sono mari più a nord di così, mari che toccano i ghiacciai eterni e mari dove il sole splende solo per tre mesi l'anno, i mari del lungo crepuscolo e della notte che non conosce l'alba, ma questo è il Mare del Nord.
Racconta una leggenda scozzese che i pescatori un tempo non imparassero a nuotare, perché i marinai caduti in acqua ci mettevano tre minuti a morire di freddo, ma un solo minuto a morire annegati...
Morti per morti, la morte più rapida era anche la più dolce.
Lo chiamano Mare del Nord. E' il mare del freddo: d'estate i tramonti sono lunghissimi, infiniti, terminano quando nei paesi dal clima più dolce già è sera. D'inverno il Mare del Nord è selvatico, è grigio, è crudele.
Il Mare del Nord è grigio e crudele da tre anni, non conosce più il sole, non conosce l'estate. Vedi le sue coste levarsi bianche e aguzze nella nebbia. I Dissennatori sorvolano le spiagge a sud di Londra; sulle coste gallesi non c'è più Auror che possa fermare i lupi mannari, i troll delle scogliere. Gira voce al Ministero della Magia francese che Colui Che Non Deve Essere Nominato abbia risvegliato un Kraken a ovest delle Orcadi.
Lo chiamano il Mare del Nord. Ad essere infiniti, oggi, sono solo i suoi inverni.


. l'estate di Neville



A quattro anni, Nonna Augusta Paciock gli aveva raccontato di Frank, di Alice, di quello che i Lestrange avevano fatto. Fino a quel momento, Neville aveva creduto che i suoi genitori fossero... che stessero semplicemente molto male. Che avessero bisogno di riposarsi, per un po', e che poi sarebbero stati meglio. Che sarebbero tornati. Non ricordava la voce di sua madre, troppo, troppo piccolo per ricordare, non ricordava se suo padre l'avesse mai tenuto in braccio. Ricordava un profumo, ogni tanto, che sapeva un po' di latte, un po' di sonno, un po' di cose dolci e lontanissime e in bilico tra il sogno e il rimpianto. A quattro anni e mezzo, Neville aveva scoperto che i suoi genitori non sarebbero mai tornati. Inutile aspettare.
A sei anni, perciò, li aveva odiati.
A nove anni, lo zio Algie lo aveva lasciato cadere da un balcone nella speranza che dimostrasse di essere un mago.
A undici anni, Neville era arrivato ad Hogwarts. Aveva smesso da un po' di odiare Frank ed Alice – per aver combattuto, per essersi ostinati, per averlo abbandonato, per essere impazziti – e Hogwarts gli aveva mostrato, semplicemente, che non sarebbe mai stato alla loro altezza. Non alla loro altezza: loro che si erano battuti, loro che erano stati grandi maghi, loro che avevano sacrificato tutto. Il loro unico figlio non ricordava il suono della loro voce. Il loro unico figlio era grassoccio e lento e inutile.
A undici anni e mezzo, quasi dodici, in effetti, Neville aveva vinto dieci punti per Grifondoro, e fatto ottenere la Coppa alla sua Casa, dimostrando a tutti – e, prima che a tutti, a sé stesso – di avere una spina dorsale, lì, da qualche parte. Sepolta sotto al grasso.
A quattordici anni, Harry Potter aveva incontrato Frank e Alice. Non ne avevano mai parlato, dopo, ma Neville sapeva, ed Harry sapeva, e Neville sapeva che Harry capiva. Neanche Harry doveva ricordarsi davvero che odore avessero avuto i suoi genitori.
A quindici anni, Neville era emerso da sé stesso senza fatica. Era grasso. Era stupido. Era lento. Tutti lo sapevano. Tutti lo credevano. A Neville non importava.
A quindici anni e mezzo, quasi sedici, in effetti, Neville Paciock ed altri cinque studenti tra i quattordici e i sedici anni di età avevano tenuto testa a un gruppo di Mangiamorte adulti – e Neville era rimasto in vita per arrivare al giorno del suo compleanno. Ad Alice, a Frank, aveva portato il ritaglio di giornale che parlava della notte al Ministero.
A diciassette anni, Neville Paciock era sceso in guerra.
L'avevano fatto tutti, ciascuno a modo suo. Anche quelli che non combattevano: erano tutti in guerra. La guerra era una cosa che ti entrava nelle ossa, nella pelle.
Neville non aveva avuto il tempo di fiorire: aveva sempre creduto che sarebbe stata una cosa graduale, un movimento lento dal fango alle stelle, attraverso i mesi, le stagioni, una questione di tempo. Ma a cambiare, aveva scoperto, non sono gli anni. A cambiare sono le persone.
Così, prima ancora di sbocciare, Neville aveva cominciato a dare frutti.


. nessun luogo è sicuro



Toglie alle membra lasse il suo riposo
Il timore de’ lampi, e tuoni fieri
E de mosche, e mosconi il stuol furioso.


Doveva essere successo in agosto. Doveva essere successo in agosto, perché Molly ricordava che era stato uno degli ultimi giorni di estate – l'ultima estate che avrebbero avuto da quelle parti – e che il tempo era stato caldo e asciutto per più d'una settimana, ma adesso pioveva. Aveva cominciato al mattino e continuato nel pomeriggio, e al tramonto il cielo era stato di un grigio scuro come il piombo, pesante, carico di nuvole e tuoni. Ad ogni fulmine, tutta la Tana era sembrata riempirsi di luce. Il vento umido aveva portato l'odore della terra, delle foglie bagnate, dei gerani sulla veranda. Era un buon odore. A Molly Weasley la pioggia piaceva.
Ginny stava studiando in soggiorno. C'erano poche possibilità che Hogwarts riaprisse a settembre – ma all'epoca nessuno avrebbe potuto immaginare quel che i Tre Giorni di Hogwarts sarebbero stati, nessuno aveva pensato che la guerra sarebbe durata così a lungo, infinitamente, trascinandosi mese dopo mese fino a quando i mesi non erano diventati anni, nessuno avrebbe potuto immaginare che Ginny...
Molly aveva ascoltato la penna di Ginny scricchiolare sulla pergamena e si era sentita meglio. Arthur era al Ministero, Ron era con Harry, Bill era al sicuro, forse, Charlie in Romania, se non altro, lontano, lontano da lì, Fred e George Merlino solo sapeva dove e Percy... be', Percy. Percy probabilmente stava bene. Percy probabilmente se la sarebbe cavata.
E Ginny era lì con lei, sotto i suoi occhi, dove poteva guardarla e vederla e sentire la sua penna scricchiolare.
Al principio, Molly non si era accorta di niente. I tuoni avevano coperto il rumore delle Smaterializzazioni e la pioggia quello dei passi, e gli scricchiolii delle assi sulla veranda, be', aveva pensato fosse il vento. E' il vento. Solo il vento.
Poi aveva sentito Ginny urlare, ed aveva capito, ed era tardi per capire, ma Molly aveva tirato fuori la bacchetta lo stesso ed era andata in soggiorno e...

E c'erano i Mangiamorte.

Se Molly era sopravvissuta, se Ginny era sopravvissuta, era stato solo perché non si erano aspettati nessuna resistenza; avevano pensato ecco due streghe sole, ecco due donne isolate, e si erano detti ecco il momento buono.

Ginny ne intrappola uno con una Maledizione Gambemolli, e quando il Mangiamorte cade a terra gli molla un pestone sulla mano, spezzandogli il polso e la bacchetta. Il Mangiamorte urla. La bacchetta di Molly traccia un cerchio perfetto nell'aria e quello più vicino alla porta cade a terra stringendosi la gola, strangolato. Ginny balza dietro al tavolo, per ripararsi, e con uno Schiantesimo lancia la libreria a schiantarsi addosso al suo aggressore. Il tavolo esplode. Ginny strilla, qualcuno lancia una Cruciatus. Molly gira la bacchetta e pronuncia un incanto pensato per potare le piante, solo le piante, e il Mangiamorte comincia a urlare e ad agitare le braccia, maledizioni lanciate ovunque, alla cieca, perché non ha più il naso, gli manca un pezzo d'orecchio, un occhio strappato, sangue ovunque. Non riesce più a puntare la bacchetta contro Ginny, in queste condizioni, niente più Cruciatus. E' tutto quel a cui Molly pensa. Niente più Cruciatus. Non a Ginny. Uccidili tutti.
L'Impedimenta di Ginny manda un Mangiamorte alla carica a schiantarsi con la testa nel tavolinetto di fronte al divano.
Una Avada Kedavra su quello accanto alla finestra, la luce verde riempie la stanza ed erano anni che Molly non la usava, l'Anatema che Uccide, aveva dimenticato che colore avesse, l'impressione di essere sporca, macchiata, svuotata... Una Maledizione le passa così vicino al braccio da lasciarle sulla pelle la sensazione di essersi ustionata, e Ginny punta la bacchetta nella direzione giusta e il Mangiamorte si affloscia a terra. Non è morto, dice Ginny. Non è morto. Ha le labbra pallide, l'espressione vecchia. Non è morto.
Il Mangiamorte rimasto senza faccia piange ancora, afflosciato accanto alla porta, e Molly gli passa accanto: uno Schiantesimo più tardi, nessuno piange più.
Prendi le tue cose, tesoro, dice Molly a Ginny. Prendi tutte le tue cose. Ce ne andiamo.
Andiamo dove? chiede Ginny.
Molly guarda il vecchio orologio dei Weasley. Le lancette sono tutte su Pericolo Mortale, tutte, tutte. Quella di Ron è così dagli ultimi giorni di giugno, e quella di Charlie lo è spesso – è il lavoro che si è scelto – ma ora anche le altre... anche le altre...
Nessun posto è sicuro. La Tana non è più sicura.
Andiamo a Grimmauld Place, dice Molly. Da tuo fratello, tesoro. Vai a prendere le tue cose.

Doveva essere successo in agosto. Quando chiudeva gli occhi, adesso, Molly ricordava ancora il rombo dei tuoni lontani, il vento. Il tamburellare della pioggia, come il ronzio di un immenso sciame.
Aveva pensato di stare mettendo Ginny al sicuro. Nessuno avrebbe potuto prevedere quel che sarebbe successo dopo. Nessuno.
Nessun luogo era più stato sicuro.


. previeni



Dean Thomas era stato cresciuto in una famiglia assolutamente Babbana. Sua madre, le sue sorelle, il suo patrigno, cugini, zii, nonni, tutti molto Babbani. Dean aveva una squadra di calcio del cuore e un gusto di gelato preferito – Babbano – e guardava i cartoni animati, la domenica mattina, sdraiato sul tappeto del soggiorno.
Sua madre aveva tenuto in casa una libreria fornitissima: le piaceva leggere, le piacevano i classici. Le piacevano le edizioni economiche, quelle piccole, con le copertine morbide, che si potevano tenere in tasca, abbandonare in bagno, lasciare sui davanzali delle finestre. Uno dei ricordi più nitidi dell'infanzia di Dean erano i dolorini di schiena che venivano a chi si addormentava sul divano solo per svegliarsi con uno dei libri di sua madre incastrati tra le costole e i cuscini, lì dove lei l'aveva lasciato.
Dean era entrato ad Hogwarts ad undici anni: troppo presto per avere una vera cultura Babbana, troppo presto per arrivare a qualcosa più complicato di Roal Dahl e della vaga consapevolezza che esistesse qualcuno che si chiamava Shakespeare, e che forse aveva scritto tragedie. Hogwarts era stata piena di libri interessanti – nessuno dei quali Babbani – e Dean aveva avuto altro da fare in quegli anni: il Quidditch e le scuole e le ragazze. Altro da fare.
Aveva cominciato a leggere solo una volta arrivato a Grimmauld Place; dopo l'inizio della guerra, dopo la morte di Harry, di Ron, dopo i Tre Giorni di Hogwarts e dopo che le sue sorelle, che sua madre, erano sparite da qualche parte assieme a Fleur Delacour. Probabilmente erano al sicuro. Sicuramente erano più al sicuro di quanto non lo fosse lui.
Aveva cominciato a leggere – e a leggere quel che i Babbani avevano scritto – quando leggere aveva iniziato ad essere una forma di ribellione. Stavano cercando di soffocare i Babbani. Stavano cercando di annientarli: li annientavano con il freddo, con la violenza sottile, con i Dissennatori. Stavano trasformando la Gran Bretagna, le strade erano vuote, nebbiose, non era mai estate.
Dean aveva cominciato a prendere libri nelle biblioteche, a togliergli agli scaffali delle case in cui trovavano famiglie di Babbani morti, distrutte, dove i Mangiamorte erano passati; ai Babbani non sarebbero serviti più, aveva pensato. Lui, invece, lui li avrebbe conservati.
Aveva cominciato con Swift e Shakespeare, poi Milton, Coleridge – ricordava Coleridge, la copertina, le dita di sua madre sul titolo e sul nome – e ancora Joyce, Spenser, Wordsworth, Kipling e Beckett, Wilde.
Il mondo dei libri, finché i libri duravano, sembrava migliore di quello vero.

Tra le pagine di Peacock aveva letto un giorno che vi sono due ragioni per bere. La prima: per calmare la sete. La seconda: quando non hai sete, per prevenirla.
Era come una frase da niente. Quando ci aveva ripensato, gli era sembrata una frase importantissima.
Ci sono due ragioni per bere, ci sono due ragioni per uccidere. Avevano cominciato ad uccidere quand'era cominciata la guerra, e non avevano ancora smesso. Ci sono due ragioni per uccidere. La prima: la vendetta. Hai sete, calmi la sete, cerchi vendetta, per vendicarti. Hermione Granger doveva uccidere per questo. Certe volte, dava l'impressione fosse solo per questo.
Ci sono due ragioni per uccidere. La seconda: quando non hai niente da vendicare, per prevenire. Dean non era certo di avere qualcosa da vendicare – ancora – ma camminava accanto a Luna. Le teneva la mano. Aveva la sensazione, certe volte, d'essere tutto ciò che continuava ad ancorarla a questa terra.
E perciò, previeni, si diceva.
Previeni.

Ci sono due ragioni per bere, ci sono due ragioni per uccidere.


. ding dong



Lasciarono i resti di Rodolphus Lestrange ad Hogwarts perché i Mangiamorte potessero trovarli, ma Bellatrix... be', Bellatrix no. Bellatrix no, aveva detto Neville. Voldemort a Maeshowe giocava con i vivi e i morti e tutto quel che c'era nel mezzo, e nessuno voleva correre il rischio di ritrovarsi Bellatrix... in una qualunque forma... in giro, di nuovo, pazza e crudele e spaventosa, fatta della stessa materia degli incubi.
Portarono il cadavere di Bellatrix Lestrange sul una spiaggia isolata tra Dover ed Hastings. Avevano pensato di tornare in Cornovaglia – ma poi si erano detti che, no, sarebbe stato sbagliato, c'erano i bambini in Cornovaglia, la Cornovaglia era un posto sicuro, felice. Nessun cadavere di mostro in Cornovaglia.
Fecero una pila con un mucchio di legna secca, trasfigurandola dagli arbusti e dalle sterpaglie che trovarono sulla spiaggia, e ci misero un cerchio di pietre intorno perché la cenere rovente non si spargesse in giro.
La gente cominciò a Smaterializzarsi lì da Grimmauld Place solo un paio di minuti più tardi: anche quelli che non avevano partecipato allo scontro ad Hogwarts, anche quelli che nemmeno avevano saputo, prima, che ci sarebbe stata battaglia. Hermione pensò che era pericoloso permettere a così tanta gente di affollarsi in un posto non protetto – e poi pensò che quella era Bellatrix, e che era morta. Ding dong, la strega è morta, la strega è morta. Ding dong.
Dovevano vederla bruciare. Dovevano vederla sparire, per essere certi che non sarebbe più tornata.
La misero sulla pira improvvisata e cominciarono, un Incendio dopo l'altro. Bellatrix bruciava, e il fuoco degli incantesimi si alzò verso il cielo, nella notte, e sapeva di carne carbonizzata, grasso ed ossa, scricchiolava e scoppiettava ed era disgustoso, liberatorio, e dava la nausea, ma la strega era morta. In un certo senso, fu come una festa.
Quando non ne fu rimasto molto, solo cenere e qualche osso annerito, presero la cenere e la sparsero in mare, presero le ossa e le seppellirono con cura, sotto la sabbia, dopo averle Trasfigurate in sassi.
E che Voldemort venisse a cercarsele, adesso, se proprio ci teneva.





Note: Brevissimamente. Per tutte le citazioni, rimando ai prompts segnalati sulla pagina dell'iniziativa. Il ding dong viene dalla versione del 1939 de Il mago di Oz. Ascoltare l'allegra canzoncina scrivendo la storia è stato... inquietante a dir poco.
Sperando che questa piccola raccolta non vi abbia lasciati delusi, vi invito a buttare un occhio alle storie che le altre autrici (gli altri autori?) hanno scritto per l'iniziativa. Vi assicuro che nel mezzo c'erano delle vere delizie.
  
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