Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Rosmary    25/06/2013    58 recensioni
{La storia si è classificata seconda, vincendo il 'Premio Lady' al contest "The first time" indetto da Mary Black}
Esistono segreti impronunciabili, segreti da custodire gelosamente sino alla fine dei propri giorni. Quella notte apparteneva alla schiera di queste scomode verità e a lei venne affidato il tragico compito di celarla al mondo, per sempre.
“Sei spaventato?”
“Sono furioso.”
“Cosa stai bevendo?”
“Roba che fa dimenticare.”
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, Hermione Granger | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.







 

Terriccio e sangue



 
 
Forse si trattava solo di una stupida sensazione. Forse, quella notte, l’aria non puzzava sul serio di sangue mescolato a terriccio. Eppure, a te il respiro mancava, perché quell’odore era ormai nelle tue narici e ti stava lentamente avvelenando. Ti sentivi debole, fisicamente debole, incapace di reggerti in piedi e, allo stesso tempo, insofferente alla comodità del letto. Fu così che decidesti d’uscire dalla camera, camminando in punta di piedi per non svegliare Ginny. Percorresti silenziosa il corridoio e le scale e ancora il corridoio, sino alla porta al pianterreno. Uscisti dalla Tana come una prigioniera che, dopo anni ad Azkaban, viene scagionata. Potesti così respirare altra aria, quella che se ne stava all’aperto, lontana dagli umori degli umani, ma con amarezza constatasti che anche lì, dove non c’erano mura e sbarre, l’aria puzzava, puzzava terribilmente. Sangue e terriccio. Terriccio e sangue. C’era puzza di morte, di decomposizione, di vecchio e di stanco. Puzza di sofferenza e stanchezza. Puzzava l’aria, puzzava di tutto ciò che temevi. Boccheggiasti inutilmente, vogliosa di non soffocare, perché il desiderio di vivere in te era ancora forte. Prendesti allora un’altra decisione: allontanarti da tutto. Scioccamente, pensasti che, distanziandoti ancora di più dalla Tana, l’aria ch’eri costretta a respirare avrebbe assunto fattezze diverse. Pertanto, infreddolita dal timido vento notturno, ti dirigesti verso l’ampio terreno incolto e, solo quando fosti abbastanza lontana dall’abitazione, t’avvedesti di una sagoma che troneggiava immobile nel buio. Il tuo cuore aumentò i battiti e il tremore s’impossessò delle tue carni. Poteva trattarsi di un nemico? La razionalità scartò nell’immediato l’ipotesi, nessuno avrebbe potuto oltrepassare inosservato le protezioni dell’Ordine. Ma il buio è cattivo consigliere, il buio inganna, sibila cose, rende dannatamente sciocchi. Fu il buio, infatti, ad ordinarti di indietreggiare, calpestando ramoscelli e piccoli fiorellini spontanei, e fu sempre il buio a farti emettere un gemito strozzato, quando la sagoma si voltò verso di te.
 
“Hermione, cosa ci fai qui?”
 
“F-Fred? Sei tu?”
 
“Sei tutta infreddolita.”
 
Fu la sola risposta che ottenesti, poiché lui era impegnato a trafficare con la propria giacca, sfilandosela e poggiandola sulle tue spalle. “Grazie.”
 
“Cosa ci fai qui fuori? È successo qualcosa?”
 
“No, no, Fred, niente. Volevo solo… solo uscire,” biascicasti.
 
Non riuscisti a dirgli che a spingerti lì fosse stata la voglia di respirare. Ti sembrava una confessione troppo intima, troppo personale, che non andava fatta a lui. Notasti quanto non fosse del solito umore, quanto non vi fosse traccia di scherno o allegria sul suo giovane volto. Non osasti chiedergli perché fosse lì, in fondo, potevi immaginarlo. In silenzio, osservasti lui allontanarsi da te e tornare seduto sul terriccio forse sporco di sangue. Aveva qualcosa tra le mani che non riuscisti ad identificare. Ti sembrava d’aver violato un qualche confine, d’essere fuori posto, un incomodo che osava infastidire il silenzio di Fred. Ma, d’altra parte, non volevi tornare indietro, né potevi allontanarti ancora, così, infischiandotene delle tue stesse sensazioni, sedesti sul terriccio, poco distante dal ragazzo. Portasti le ginocchia al petto, le abbracciasti come a trovar riparo e vi nascondesti il viso.
 
“Cos’hai?” chiese Fred, a cui, notasti, non importò di violare o meno il tuo confine.
 
“Niente.”
 
“Non sembrerebbe.”
 
“Te l’ho detto, ho solo voglia di stare un po’ qui,” affermasti con maggiore risolutezza, trovando il coraggio di guardare in volto l’interlocutore.
 
Lui t’osservò, come a soppesare la veridicità delle tue parole. “Anch’io,” affermò, portando alle labbra quello che aveva tra le mani: una bottiglia. “George è a letto, mamma è sveglia, sta accanto a lui. Sanguina ancora, anche se di meno. Ma sanguina, mamma gli ha già cambiato tre medicazioni.”
 
Quelle parole, pronunciate con voce roca e spezzata, ti permisero di capire, senza dubbio, cos’avesse portato Fred in mezzo al nulla. “Guarirà. Vedrai che guarirà presto.”
 
“Non guarirà mai, Hermione. Quella cicatrice se la porterà a vita, in memoria…”
 
“Del suo coraggio e della sua battaglia contro il male,” l’anticipasti, scoprendoti spaventata dalle parole che avrebbe potuto pronunciare.
 
“No,” ti guardò come se stesse guardando un fantasma. “In memoria di quanto sia stato vicino a morire.” Tracannò altro liquido e, ad ogni sorso, una brutta smorfia gli deformava le labbra.
 
“Sei spaventato?”
 
“Sono furioso.”
 
“Cosa stai bevendo?”
 
“Roba che fa dimenticare.”
 
Tacesti, comprendendo cosa stesse ingurgitando con tanta foga. Alcol. Per dimenticare, diceva lui. Dimenticare. Bastava davvero così poco? Una bottiglia di liquido alcolico e una nottata silenziosa. Bastava quello, ti chiedesti, per smettere di pensare, per cancellare l’aria che puzzava di terriccio e sangue? Non t’accorgesti del tuo sguardo bramoso, che seguiva la bottiglia. Ma se ne accorse lui, dei tuoi occhi vogliosi. Li intercettò come un bravo segugio e ti costrinse ad incrociare i suoi, di occhi.
Avevate entrambi l’aria stremata, vecchia, consumata. Non sembravate due giovani maghi con una vita da vivere. Somigliavate più a dei topi bianchi acquistati appositamente per nutrire un serpente cresciuto in cattività. Come quei topini bianchi, anche voi avevate l’innocenza tatuata in pieno viso, come loro, anche voi sapevate di non averla tutta davanti, la vita e, al pari di quegli animaletti, anche a voi toccava affrontare un nemico troppo grande. Razionalmente, sapevate di non avere scampo, proprio come un topo bianco nella gabbia del rettile. Ma voi, dannatamente umani, avevate in più la speranza. Erano giorni, mesi e forse anni, che speravate. Sperare in una soluzione, in un colpo di scena, in un aiuto. Sperare in qualsiasi cosa. Sperare di vivere. Vivere abbastanza da poter rimpiangere poco della vita. Peccato che, al momento attuale, morire avrebbe significato rimpiangere troppo. C’era ancora tanta vita in voi, e in te la voglia di vita pulsava prepotente, lottando con l’aria fetida.
Non sapevi cos’avesse letto Fred nel tuo sguardo, ma qualcosa dovette convincerlo ad allungarti la bottiglia, piena ancora a metà. Deglutisti, guardando con occhi sbarrati ciò che ti stava offrendo. Nella tua mente, l’alcol contenuto in quel vetro acquistò le sembianze d’un sensuale ladro di ricordi. Avresti dimenticato il sangue di George, il cadavere di Malocchio, che magari era già andato in pasto agli avvoltoi, il terrore di Molly, la frustrazione di Harry, la rabbia di Ron, i tuoi genitori… Avresti dimenticato tutto, tutto, per qualche ora tutti quei visi addolorati, tutta quella sofferenza, quell’intossicante puzza di terriccio e sangue, sarebbero spariti. Via. Via tutti, pensasti afferrando la bottiglia e bevendone il contenuto. Uno, due, tre sorsi, fino a ricacciarne l’ultimo sul terriccio, che, in tal modo, fu anche sporco di te.
 
“Non sei abituata,” disse Fred.
 
Non era una domanda o una presa in giro. Era una constatazione. Ti tolse la bottiglia dalle mani mentre ancora tossicchiavi, infastidita dal bruciore che t’aveva avvolto, e t’abbracciò. Ancora lucida, t’irrigidisti. Non c’era confidenza tra voi e non capivi perché ti stesse abbracciando. Ma preferisti non chiedere, non quella notte, e restasti tra le sue braccia, rigida ed immobile. Ti accarezzò i capelli, ch’erano ancora legati in una scarmigliata treccia, il viso e poi ti lasciò andare, tornando a bere. Ad ogni sorso, un piccolo pezzo di lucidità si staccava da Fred. I suoi occhi erano sempre più acquosi e l’aria sempre più persa, a tratti assonnata.
 
“Hai intenzione di berla tutta?” riuscisti a chiedere.
 
“Vuoi dividerla con me?”
 
Le tue labbra s’incresparono in una smorfia. Non ti piaceva quella roba, non ti piaceva per niente. Ma era come una medicina: orrenda al gusto, letale in caso di abuso e necessaria in caso di malattie. E tu, in quel momento, sentivi d’essere malata. “Sì.”
 
A lui sfuggì un sorriso divertito. “Stavi per vomitare con tre sorsi, non voglio averti sulla coscienza!”
 
Sorridesti alla battuta e solo allora capisti che avevi un disperato bisogno di lui, del Fred capace di ridere e scherzare sempre, anche quando il mondo crollava e andava tutto in pezzi. “Sono forte, Fred, non preoccuparti.”
 
Ghignò, colpito dal tuo piglio sicuro e ti porse una seconda volta la bottiglia. Conscia dell’effetto che avrebbe avuto su di te l’alcol, non ti lasciasti cogliere impreparata, bevesti senza indugi. Ingurgitasti quella robaccia immaginando fosse medicina. Un altro po’ e tutto passa, come diceva tua madre, quand’eri costretta ad assumere farmaci per l’influenza.
 
“Basta,” impose Fred, strappandotela dalle mani. “Non fare la scema.”
 
Non ribattesti, poiché qualcosa in te stava cambiando. Potevi sentirle, le difese calare e la mente annebbiarsi. Man mano, le tue preoccupazioni si tramutarono in bolle di sapone, che un tuo dito insolente faceva scoppiare. Ridesti. Improvvisamente, nel buio, tu ridesti. Una risata cristallina, felice. Ogni bolla che esplodeva era una risata che abbandonava le tue labbra. Via. Via. Andate via. Scoppiavano i brutti ricordi, scoppiavano tutti. Diventavano acqua e poi vapore e poi nulla.
Finisti di ridere solo quando una mano ti tappò la bocca. Eri stesa sul terriccio, che, scopristi in quel momento, non era affatto sporco di sangue. Ruotasti il viso verso il chiunque ti stesse impedendo di ridere e vedesti Fred, steso su un fianco, rivolto verso di te.
 
“Smettila o ci sentiranno.”
 
Fu mera fortuna che un barlume di razionalità in te ancora ci fosse e ti costringesse ad annuire all’ammonimento del mago. Al tuo assenso, lui fece scivolare via la sua mano, liberandoti. Vi guardaste con insistenza, come se ognuno di voi volesse violare la mente dell’altro. D’altra parte, non accadeva tutti i giorni che Fred Weasley rimproverasse il comportamento di Hermione Granger, normalmente, avveniva il contrario.
 
“Tu non ridi?” chiedesti, stanca del silenzio.
 
“A me occorrono almeno tre bottiglie per ridere.”
 
“Perché non le hai prese?”
 
“Non lo so. Forse non voglio davvero dimenticare. Voglio solo dormire.”
 
“Sei ancora sveglio.”
 
“Lo so.”
 
“Perché?”
 
“Perché devo badare a te, ragazzina,” disse con sarcasmo. Ogni tanto, notasti, riemergeva la sua indole ilare. “Non posso lasciarti qui, non in queste condizioni.”
 
Gli sorridesti, distogliendo lo sguardo da lui per osservare il cielo privo di stelle. Sapevi di non essere perfettamente padrona dell’autocontrollo, quelle bolle continuavano ad esplodere e, ad intervalli irregolari, sbottavi in risatine isteriche. C’era caos dentro di te: tristezza, angoscia, rabbia, allegria e tanta, tanta voglia di vivere. Annusasti l’aria e, complice l’alcol, fosti finalmente soddisfatta nel constatare quanto non puzzasse più. Il terriccio su cui eri distesa, che t’insozzava abiti e capelli, era stato ripulito, non c’era più sangue. Niente sangue. Niente morte.
 
“Non li immaginavo così, i miei diciassette anni. Immaginavo di frequentare l’ultimo anno, d’essere Caposcuola, di avere mamma e papà a cui scrivere. Pensavo… pensavo a serate con gli amici, magari io e Ron… non lo so… Avrei voluto… tutto diverso. Invece muoiono, muoiono tutti e noi siamo solo i prossimi. Io so cos’hai pensato quando hai visto George. L’abbiamo pensato tutti: è morto, sta morendo, l’hanno colpito alla testa. L’abbiamo pensato tutti…”
 
“Hermione…”
 
“Tutti. Quando ha detto di sentirsi romano, sai, l’ho pensato anch’io, che fosse impazzito, che gli avessero danneggiato il cervello. Invece ha perso solo un orecchio. Un orecchio! Ah! Ma che c’importa di un orecchio?!” ridesti, isterica. E una bolla scoppiava. “Sì! È solo un orecchio. Perché un orecchio si può perdere. E che problema c’è! Non ha neanche vent’anni ed è sfigurato a vita, ma che importa! Sì! È vivo, ma ha perso un orecchio, ma che importa!” ripetevi, con voce sempre più stizzita, come se imitassi qualcuno. E ridevi, sbottavi continuamente in risate prive di gioia. “Invece Malocchio è morto. E so cos’hai pensato, io so sempre tutto, perché io sono quella brava, la secchiona, quella che deve avere sempre la soluzione pronta, altrimenti sono guai! Tu hai pensato meglio Malocchio che papà o uno dei miei fratelli. L’ho pensato anch’io. Meglio lui che Harry o Ron o te… meglio lui che voi. Meglio lui che io. L’ho pensato, sai?”
 
“Hermione.”
 
“Tu l’hai pensato?”
 
“Hermione.”
 
“L’hai pensato, Fred? L’hai pensato?”
 
“Sì. L’ho pensato anch’io,” ammise. Un tono stanco quello di Fred. Forse era stremato dalle tue parole. Ma tu quella notte i limiti, non li conoscevi più.
 
“Bene. Fa meno schifo pensarlo se siamo in due. Ma l’hanno pensato tutti. Meglio lui che me. Ma, dopotutto, non è che ci si possa lamentare. Alla fine è morto, è vero. Ma è uno! È morto solo uno! Sì! Festeggiamo!” altra risata, altra bolla. “L’operazione è riuscita, solo un morto. E che sarà mai?! C’è una guerra, no? Siamo tutti sacrificabili.”
 
“Hermione, basta.”
 
Ti zittisti. Il tono di Fred, contrariamente ai tentativi precedenti di interromperti, apparve categorico, arrochito dalla rabbia e dall’ostentato silenzio. Indirizzasti allora lo sguardo su di lui e notasti ch’era sempre lì, steso su un fianco, rivolto verso di te. L’osservasti: capelli, labbra, occhi, naso… tutto così giovane, tutto così innocente, tutto così sacrificabile.
 
“Mi dispiace,” sibilasti.
 
“Anch’io lo penso,” confessò dopo qualche minuto. “Tutto quello che hai detto, lo penso anch’io. Domani tornerò a fare finta di niente, ma stanotte… stanotte ho il diritto di stare male, perché George stava per morire. E io non ero con lui.”
 
“Cos’hai provato?”
 
Si morse le labbra, trattenendo a stento le lacrime. Le bolle create dalla tua mente scoppiarono tutte insieme, provocandoti un forte dolore alle tempie. Ma resistesti, eri forte, anche se poco lucida. Ti mettesti anche tu sul fianco, in modo d’avere Fred di fronte. T’avvicinasti, strisciando sul terriccio e gli carezzasti il volto, sfiorandogli poi i capelli. Lui chiuse gli occhi al tuo tocco, chiedendoti implicitamente di farlo ancora, d’essere con lui, di condividere il suo dolore. Così la tua mano affondò sempre più in quella matassa rossa. In quel momento, nulla ti sembrò sbagliato, nulla inopportuno. Dimenticasti chi fosse lui, chi fossi tu e quale tipo di rapporto intercorresse tra voi. Quella notte, scopristi, non esigeva risposte, perché non poneva domande. S’accontentò di mettervi a nudo.
Le tue risate si placarono del tutto, ad interrompere il silenzio rimasero solo i vostri respiri. Respiri ch’erano sempre più vicini; t’avvedesti della vicinanza quando Fred riaprì gli occhi, incatenandoli ai tuoi. Vi guardaste, spaventati dalla irrisoria distanza e sorpresi della stessa. Mordicchiasti il labbro inferiore, deglutendo a fatica, temendo di respirare in modo troppo rumoroso, come se il respiro ed il suo suono potessero essere imbarazzanti.
Non capisti se fossi stata tu o fosse stato lui, ma vi baciaste. Tu che baciavi Fred. Fred che baciava te. Non aveva senso, non era giusto, non era normale. Ma quella notte nessuno di voi era normale. Quella notte, vi fu concesso d’essere due giovani che s’erano trovati.
Il bacio, dapprima superficiale e timido, tramutò in un contatto intimo, umido e pretenzioso. Sentisti le sue braccia circondarti la vita, le sue mani massaggiare la tua schiena e sollevarti dal terriccio, costringendoti a stenderti su di lui. Scopristi quanto le tue mani fossero intraprendenti, passando dai suoi capelli al suo collo e poi alle sue braccia, così forti da essere rassicuranti. Braccia che potevano proteggerti.
Avvertisti ben presto una sensazione nuova farsi largo in te, sembrava una stramba forma d’adrenalina. Era più forte, più bella, più totalizzante. Nasceva dall’angolo più intimo di te e s’espandeva a macchia d’olio, conquistando le ossa, i muscoli, gli organi, i sette strati di pelle, persino i tuoi abiti. Era una sensazione che ti faceva stare bene, che t’elettrizzava, che t’imponeva di volere di più da Fred, che ti portava a stringerti a lui, a cercare il suo calore e la sua di energia. E Fred sembrava leggerti nel pensiero, sembrava conoscere quella stramba forma d’adrenalina che t’aveva soggiogata. Scopristi che anche lui provava le tue stesse sensazioni, perché cercava te come tu cercavi lui, perché ti teneva sempre più stretta.
Non avresti saputo spiegarlo, il come, ma ti ritrovasti di nuovo a contatto col terriccio, che ancora una volta t’insozzava capelli e abiti. La giacca di Fred era a terra, lontano da voi, mentre le sue mani frugavano il tuo corpo e le vostre labbra si rincorrevano.
 
“Hermione,” ti chiamò ansante, obbligandosi a fermarsi. Non gli rispondesti, scopristi di non averne la forza. Schiudesti le palpebre però e lo guardasti. “Dovremmo rientrare,” disse deglutendo.
 
Notasti che aveva ancora lo sguardo lucido, ma era un luccichio diverso, che non sapesti interpretare. Notasti anche che aveva la fronte arrossata, i capelli scarmigliati e l’aria rapita. Non potevi saperlo, perché t’era impossibile vederti, ma anche tu avevi quell’aria e quello sguardo. Anche il tuo volto era arrossato e i tuoi capelli in disordine.
 
“Cosa stiamo facendo?” chiedesti, improvvisamente spaventata.
 
“Non lo so, ma non voglio fare qualcosa di cui potrei pentirmi domani.”
 
“Non esiste domani.”
 
“Cosa?”
 
Stanotte, Fred, fingiamo che domani non esista.”
 
Quello fu un vero e proprio assenso, che spazzò via le poche remore di Fred, neanche lui completamente padrone di se stesso per opporsi del tutto a quel fiume in piena che erano le vostre sensazioni.
Quando riportò le labbra sulle tue, t’accorgesti che l’irruenza aveva lasciato posto ad una inaspettata dolcezza. E fu la dolcezza a svelarti emozioni di cui ignoravi l’esistenza. Fred ti permise di conoscerlo, mentre lui conosceva te. Eri, nei tuoi gesti, timida, insicura e spaventata, ma abbastanza folle da non pentirti di nessun atto, di nessuna concessione. Non quella notte.
Man mano, i pochi strati indossati andavano via e la tua pelle poteva sfregarsi contro quella di Fred. Il timido vento notturno lasciò posto ad una particolare afa, che s’attaccava alle carni e vi costringeva alla sudorazione. Non t’eri mai sentita a quel modo: viva e donna. Una donna consapevole d’essere desiderabile e di desiderare a sua volta. Nonostante il whisky ch’avevi in circolo, t’era impossibile non arrossire quando dita e labbra divenivano audaci. Dopo un tempo che a te parve infinito, capisti che il momento fosse arrivato. Lo capisti da ciò che stavi provando, ch’era qualcosa di sempre più forte, che ti inebetiva e ti faceva stare bene. Sentivi di poter esplodere da un momento all’altro, poiché in te v’era troppa forza, troppa energia.
Vedesti Fred deglutire più volte, come spaventato, come se fosse lui a non essere pronto.
 
“Hermione.”
 
“Fred.”
 
“Non dovrebbe essere così, non la prima volta.”
 
C’era dispiacere nella sua voce? No. Rintracciasti rabbia. Immaginasti che, se avesse avuto un briciolo di autocontrollo in più, ti avrebbe caricata in spalla e riportata indietro. Eppure, l’istinto ti suggeriva che vi volevate alla stessa maniera.
Lo guardasti ancora una volta, sorridesti e gli carezzasti il volto, posandogli un casto bacio sulle labbra. Così, senza dir nulla, lo invitasti ad unire le sue sensazioni alle tue. Fred si calò su di te, posando le sue labbra sulla tua spalla, sul tuo collo, giungendo all’orecchio e sussurrandoti che sarebbe andato tutto bene.
T’intimò di rilassarti e l’alcol, in quello, fu un toccasana, perché non eri affatto nervosa, non come avresti dovuto essere, almeno. Nel buio di quella notte, le sue mani esplorarono con delicatezza e bramosia il tuo corpo ancora una volta, facendo il possibile perché non percepissi inutile dolore. Quando ti reputò abbastanza forte, abbastanza preparata, pretese che aprissi gli occhi e che incrociassi il suo sguardo. Pretese anche che le vostre dita s’intrecciassero ai lati del tuo volto, così che le vostre mani affondassero nel terriccio. Se ne stava lì, curvo su di te, intento a rassicurarti.
 
“Andrà tutto bene.”
 
“Lo so.”
 
Le tue ultime parole, prima che il respiro ti si mozzasse in gola. Forse fu un’impressione, la tua, ma ti parve d’udire il rumore di un pezzo di stoffa che viene strappato a metà. Quel rumore combaciò con un intenso bruciore, che, a sua volta, diede vita ad una nuova e unica forma di dolore, che, al pari della stramba adrenalina, era parte di te ed in te nasceva, conquistando ossa, muscoli e pelle. Conquistando tutto di te. T’aggrappasti alle sue mani e lui ti lasciò fare, immobile, in attesa del tuo consenso. Ti baciò con dolcezza e tu rispondesti a quel bacio con trasporto. Quando lui smise d’essere immobile, fu come se assorbisse il tuo male. Più lui t’era vicino, più il dolore sembrava sopportabile. Era come se il corpo fosse cosparso di lividi e Fred li curasse. Fu come se Fred t’amasse e come se tu amassi lui.
In poco, quella nuova energia, che aveva accompagnato te e lui, esplose furiosa dentro di te, liberandoti e lasciandoti esausta, come se ogni briciolo di forza fosse andato in mille pezzi, esattamente come le bolle della tua fantasia. Ansimavi. Avevi la sensazione d’essere prossima ad un infarto. Fred s’accasciò su di te poco dopo, abbracciandoti. Solo allora, ascoltando il silenzio, ti rendesti conto che quei respiri strozzati, ch’avevano infranto il nulla, erano appartenuti a voi.
Nessuno parlò. Troppo svuotati e stanchi per parlare. Ma quando riacquistasti un mimino di lucidità, quando la puzza dell’aria tornò ad infastidire le tue narici, t’accorgesti che il terriccio su cui eri posata era davvero sporco di sangue.
Puzza di sangue mescolato a terriccio. Terriccio mescolato a sangue. L’aria puzzava di tutto ciò che temevi, puzzava di te.
 
“Buongiorno, Hermione. Ti vedo stanca, mia cara, hai dormito poco?”
 
Lo sguardo della signora Weasley, quella mattina, ti scrutava dubbioso. Nascondesti il volto dietro la tazza che avevi tra le mani. “Poco, sì. Pensavo al professor Moody,” mentisti. Fortuna che Molly trovò convincente la tua motivazione e non indagò oltre. Quando lei uscì dalla cucina e tu calasti finalmente la tazza, t’avvedesti di Fred, in piedi e in pigiama, intento a guardarti.
 
“Ciao.”
 
“Ciao.”
 
Per la prima volta, ti parve impacciato, come se sentisse il bisogno di dirti qualcosa, senza però averne il coraggio. Fu quando calasti lo sguardo che avvertisti il suo corpo dinanzi al tuo. Non avevi ricordi vividi della notte appena trascorsa. C’era molta confusione nella tua mente, come se questa rifiutasse di ricordare perfettamente. Ma dei momenti erano limpidi. Sapevi cos'era accaduto e, forse, sapevi anche perché.
 
“Ce l’hai con me?” chiese Fred.
 
“Perché dovrei?”
 
“Perché non dovevo essere io.”
 
Incrociasti il suo sguardo e, rapido, un flashback di qualche ora prima t’annebbiò la vista. Sbattesti le ciglia più volte, come a cacciar un insetto. Sapevi d’essere arrossita, potevi intuirlo dalla sorpresa apparsa sul volto di Fred e dal suo irrinunciabile sorriso sghembo. Anche lui non aveva ben chiara la dinamica della notte trascorsa, anche lui, come te, aveva solo qualche tassello a disposizione.
 
“Non è colpa tua,” riuscisti a dirgli. Ormai avvertivi il bisogno di scappare da lui e dalle sensazioni che suscitava in te.
 
Fu così che mettesti via la tazza di latte e t’avviasti verso il corridoio. Ma due braccia forti, che potevano proteggerti, che t’avevano amata, si serrarono intorno alla tua vita, facendo cozzare la tua schiena contro il petto di Fred. Calò le labbra all’altezza del tuo orecchio, proprio come aveva già fatto.
 
“Voglio solo che tu sappia una cosa,” lui parlò e tu percepisti dei brividi assalirti. “Non so perché è successo, né ricordo ogni cosa. Ma ricordo quello che ho provato e posso giurarti che non mi sono mai sentito tanto coinvolto.”
 
“Fred… ti prego,” biascicasti, voltandoti verso di lui.
 
“Promettimi che quando la guerra sarà finita…”
 
Se finirà.”
 
“Promettimi che torneremo laggiù,” alludeva al terriccio sporco di sangue, lo sapevi, “con una bottiglia di whisky, in piena notte.”
 
“Perché?”
 
“Perché ci siamo salvati a vicenda.”
 
Lo baciasti. Senza alcol, senza buio. In pieno giorno e senza curarti che qualcuno, Ron compreso, potesse entrare in quella cucina e vedervi. Ti aggrappasti a lui ancora una volta e lui fu nuovamente la tua ancora, che ti stringeva a sé. Quando quel bacio terminò, v’accorgeste che aveva il gusto di promessa.
In effetti, quella notte, Fred salvò la tua anima dallo sconforto e dalla cruda depressione. Quell’energia ch'aveva scatenato in te riuscì a farti sentire viva, a mostrarti che eri giovane e che avevi il dovere morale di essere al mondo. Quella notte avevi amato Fred in modo completo e totalizzante, come non avresti mai amato nessun altro. Quanto alla promessa, la onorasti: quando la guerra terminò, tornasti su quel terreno incolto, dove l’aria non puzzava più di terriccio e di sangue. Avevi una bottiglia di whisky con te, ma Fred non c’era e non sarebbe mai arrivato, lo sapevi e l’aspettasti comunque, tutta la notte.

   
 
Leggi le 58 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Rosmary