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Autore: chi_lamed    26/06/2013    5 recensioni
“Eppure”, pensò Luke,“c’è del buono in lui”. Esisteva, lo percepiva come una debole fiammella in balia di un uragano, come qualcosa di fragile e palpitante, ma c’era e poteva fare la differenza tra la salvezza e la perdizione, tra la vita e la morte.
Come rispondendo ad un muto richiamo, Darth Vader smise di guardare davanti a sé, cercando gli occhi del figlio.

Qualche pensiero di Luke, dal momento in cui viene portato sulla Morte Nera, agli ultimi attimi accanto a suo padre.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Luke Skywalker, Palpatine/Darth Sidious
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carezze

 
Si era rifiutato di vedere e di sentire, tranne che per lo stretto necessario alla propria sopravvivenza. Tutto il resto non esisteva più, come volatilizzato e dissolto all’improvviso: Luke non aveva badato ai soldati imperiali che sciamavano all’impazzata in cerca di una qualsiasi via di fuga, né al gigante di morte squassato dalle esplosioni e che non avrebbe retto ancora a lungo, né tantomeno all’odore acre delle lamiere che tutt’attorno fondevano per il forte calore.
Infine, si era rifiutato di cedere alla sua stessa spossatezza.
Aveva un unico imperativo: andare via al più presto possibile.
E non voltarsi indietro.
Le mani avevano sfiorato agili i comandi, la navetta s’era alzata in volo, leggera, lasciandosi poco dopo dietro di sé i frammenti di quella che era stata una micidiale macchina distruttiva e che si disperdevano come schegge impazzite. In quel momento si era concesso solo qualche misero istante di gioia e sollievo, per i suoi amici, sì, soprattutto per sua sorella, ma il nero dello spazio aperto aveva reclamato la sua totale attenzione, ricordandogli un vuoto che ad ogni istante sentiva crescere dentro di sé.
Quando la Luna Boscosa di Endor lo aveva finalmente accolto con la sua vegetazione gigantesca e lussureggiante, Luke si rese conto di non ricordare quasi nulla di quell’assurdo viaggio.
Il senso della perdita, ora che era tutto finito, ora che poteva riprendere a respirare, si fece più vivo che mai e gli si presentò in tutta la sua immane portata.
 
Non era a questo che pensavo, quando sono partito con te.
 
Furono le prime parole che gli salirono alle labbra e che avrebbe voluto dire, non appena calpestò quel suolo umido e crepitante di foglie larghe e verdi che si stendevano a terra come un infinito tappeto.
 
Non era questo che speravo, quando sono partito con te.
 
Per tutto il tempo che gli fu necessario per allestire ogni cosa, gli alberi e la notte assistettero in silenzio al suo dialogo muto con qualcuno che non sarebbe più stato in grado di sentirlo.
 
Non era questa la fine che sognavo.
 
Quante ore erano trascorse, da quando si era consegnato volontariamente all’Impero? Da quando aveva sentito un tuffo al cuore nel rivedere una nera presenza che era riuscito a chiamare “padre” senza che la voce gli tremasse e senza più temerlo, ma anzi, offrendogli il proprio perdono?
Non seppe trovare la risposta – non si impegnò nemmeno – ma si sentì comunque come se fossero passati cent’anni e tutto il peso si fosse improvvisamente posato su di lui.
 
Sbagliato.
 
Il peso sulle sue spalle era un altro.
 
Non chiese aiuto alla Forza per poterlo trasportare, si beò di quell’abbraccio che mai sarebbe stato ricambiato. Si accontentò di darlo, di stringere quel corpo inerme ancora protetto dalla pesante armatura.
 
Dovunque tu sia, puoi sentirlo?
 
Non se ne sarebbe mai staccato.
Per questo adagiarlo sulla pira fu il primo strazio.
 
Lo compose con dignità. Lisciò le pieghe dell’ampio mantello che scendeva in basso a lambire il terreno. Sistemò la maschera, tornata a coprire un volto scoperto ed amato per troppo poco tempo. Adagiò il braccio dall’arto mancante – era stata quella vista a salvarlo dal baratro del Lato Oscuro, rendendosi conto di quanto egli fosse simile a suo padre e di quanto vicino fosse a commettere il suo stesso madornale errore – sotto quello sano, pur sapendo che era artificiale anch’esso.
Quanto di umano vi era rimasto sotto quell’armatura?
Si rispose da solo.
Posò la mano sul petto, all’altezza di un cuore che non batteva più.
 
Questo.
È stato questo a salvarmi.
Ma non è bastato a salvare te.
 
Non pianse.
Il dolore era troppo.
I minuti scorrevano lenti, tutt’attorno in lontananza la foresta riecheggiava di tamburi e suoni di festa. Lui li sentì senza ascoltarli.
Fu solo quando la prima lacrima minacciò di scendere, costringendolo a sbattere le palpebre per ricacciarla indietro, che si accorse che non aveva ancora smesso di toccare quel corpo inerme.
Non riusciva a staccarsene.
Fece come fa qualsiasi figlio amorevole con un genitore che non c’è più: lo stringe una volta che nell’intenzione vorrebbe essere sempre l’ultima, ancora ed ancora, quasi lo culla, come per restituirgli le carezze di un tempo passato, per chiudere un cerchio con la vita.
 
Chissà come sarebbe stato…
 
Lui di carezze non ne aveva mai ricevute, non da quel padre sconosciuto almeno.
Però ricordava quelle che zia Beru gli regalava quasi di nascosto – zio Owen era sempre stato piuttosto burbero, ma mai cattivo – specialmente la sera, quando lo metteva a dormire ed ascoltava indulgente tutti i suoi sogni di bambino che fantasticava di diventare un pilota spaziale.
L’idea di come sarebbe potuto essere se si fossero potuti cancellare quei vent’anni, se le scelte del passato fossero state diverse, irruppe con tale prepotenza che lo obbligò ad allontanarsi dalla pira per riprendere la lucidità e per non cadere nella disperazione.
 
Doveva lasciarlo andare, nonostante fosse straziante quanto una sconfitta.
Doveva farlo e non tanto perché egli era un jedi, ma perché era suo dovere di figlio.
 
Sopra le fronde degli alberi il cielo blu notte fu illuminato di lilla ed amaranto e furono centinaia di scintille quelle che volarono ovunque, spegnendosi infine lontane in un ultimo baluginio dorato. Erano fuochi d’artificio, erano segni di festa per la fine di un’era e per la morte del tiranno.
Come era stato per i tamburi che continuavano incessanti, vide quello spettacolo senza guardarlo veramente. Non gli riuscì di gioire nemmeno un po’ per la vittoria ottenuta, pur avendone tutto il diritto. La foresta non se la prese per questo. Rispettò quel dolore filiale attutendo gli echi lontani con un corale stormire di fronde.
 
Chissà come sarebbe stato…
 
Scosse la testa.
Il momento era giunto.
Il terzo e decisivo colpo al cuore fu quando le fiamme avvolsero la pira.
Il silenzio e la notte nella radura furono riempiti di crepitii e di bagliori che danzarono la loro macabra danza di addio.
 
Non era questa la fine che desideravo per te.
 
Il fuoco iniziò a lambire il mantello.
Luke strinse i pugni, le braccia adagiate lungo i fianchi, gli occhi che volevano imprimersi ogni particolare di quel che vedevano per non dimenticarlo mai, per ricordare il sacrificio di un uomo che aveva salvato un’intera galassia.
 
Avrei voluto dirti tante cose…
… e tu mi avresti raccontato…
 
Non pianse.
Non sempre il dolore si esprime con lacrime.
 
Avrei tanto voluto conoscerti davvero.
 
Mai come in quel momento tutto quel che egli aveva sentito dire su suo padre gli appariva troppo poco, insufficiente a colmare la sua sete di conoscenza verso un uomo che gli era stato datore di vita.
Invece tutto quel che gli rimaneva erano una nera armatura ed una impenetrabile maschera, così triste a vedersi nel suo profilo lucido ed austero.
Era poco.
Troppo poco.
 
Le fiamme aumentarono d’intensità e Luke stette immobile ad osservare il corpo di Anakin Skywalker venire abbracciato dalle vivaci e cangianti lingue di fuoco. Riflessi rosso ed arancio illuminarono gli occhi del giovane jedi, regalando bagliori impalpabili alle sue iridi azzurre.
Tornò a guardare la maschera, unico spiraglio attraverso cui gli era riuscito d’incontrare un’umanità recuperata al costo della propria vita.
Una maschera triste, perché aveva celato sotto di sé, rinchiudendolo, colui che era stato solo una vittima tra le mani dell’Imperatore, il vero carnefice.
 
Siamo riusciti a guardarci negli occhi… almeno questo.
Solamente questo.
 
Poi fu solo il fuoco, che imponente si levò in alto, avvolgendo completamente la pira e nascondendo ogni cosa alla vista.
Luke rispose a quel’irrequietezza con la completa immobilità, fino a quando non si spensero anche le ultime scintille con cui il leggero vento della sera aveva giocato per farle volare un po’ più in alto del solito, come per eguagliare i bagliori artificiali che coloravano il cielo di variegate tonalità.
 
Quando tutto tornò buio il primo passo fu mosso come fosse un automa, come se il suo stesso corpo non gli appartenesse. Così fu per il secondo ed anche con il terzo. Al quarto egli si rese conto della direzione che stava prendendo e ritornò presente a se stesso.
Non si voltò, non volle vedere il vuoto che ora c’era nella radura, temette che lo avrebbe poi ritrovato anche dentro se stesso.
 
Parecchi passi più avanti la brezza della notte scese di nuovo a giocare con le foglie degli alberi, la cui cima si perdeva alta nei cieli.
Fu un fruscio che sembrava quasi un sospiro corale, come se l’intera natura avesse respirato di sollievo. Quell’eco rimbombò dentro di lui, quasi una voce lontana e mai conosciuta.
Forse era solo suggestione, così credette e cercò di convincersi.
Ma la brezza della notte scese anche a scompigliare i suoi capelli.
E non si sbagliò, no, quando gli sembrò una delicata carezza che andava a posarsi sulla sua fronte e ne scostava leggiadra i capelli biondi.
La assaporò tutta, dal primo all’ultimo istante.
 
Quando il vento si divertì a scuotere un po’ più forte le fronde degli alberi, Luke alzò gli occhi.
Ed oltre il viola e l’arancio, il giallo ed il turchese, l’oro ed il rosso del fuochi d’artificio, oltre essi egli vide finalmente le stelle lontane ed il colore del cielo.

***

Angolino autrice: basta, se continuo a limarla finisco per impazziare.
Devo imparare anch'io a lasciar andare le mie storie, così come ha fatto Luke.
Non so se essere felice per questo finale che sono riuscita a scrivere o se disperarmi: al di là delle spade laser, al di là della galassia lontana, al di là anche di un nero mantello, qui dentro c'è parecchio di me stessa, più di quanto io sia propensa ad ammettere. E me ne sono resa conto mentre scrivevo il dialogo muto di Luke.
Chi mi conosce, capirà.
Per chi non mi conosce - e siete la maggior parte - spero di essere riuscita almeno a costruire una storia decente: sono disponibile per consigli e suggerimenti.
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui,
Chiara
  
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