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Autore: Dani85    01/07/2013    8 recensioni
Missing Moment da "Harry Potter e l'Ordine della Fenice"
Dal testo:
E intanto Remus se ne stava ancora lì a guardarlo, la tazza di tè svuotata a piccoli sorsi.
"Te l'avevo detto che ci saresti stato male qui!"
Sirius poteva sentirla nella sua testa la frase e, addirittura, poteva sentire anche il tono da saputello con cui, se fossero stati soli, Remus l'avrebbe pronunciata, come se fosse stato ancora il prefetto dei loro quindici anni.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kingsley Shacklebolt, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
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Titolo: Old Friends
Autore: Dani85 [howilosemypower – LJ]
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Sirius Black, Remus Lupin, Kingsley Shacklebolt, Ninfadora Tonks, nomine varie
Paring: Nessuno
Genere: Malinconico, Missing Moments, Generale
Rating: Verde
Word: 3.490
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di J. K. Rowling che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Harry Potter, appartengono solo a me.
Tabella: Missing Moments [QUI]
Prompt: 01. Bambini
Note: One Shot scritta per la tabella Missing Moments del Fluff - Angst - Missing Moment - AU Challange indetto da yuma92 su EFP Forum, con il prompt Bambini.
Missing Moment dal quinto libro, abbastanza trattato nel fandom. Primo incontro con Tonks e Kingsley Shacklebolt, neo membri dell'Ordine, dal punto di vista di Sirius e Remus.
Titoli e versi iniziali da Old Friend di Simon & Gurfunkel.
Shot come sempre senza pretese se non quella di scrivere qualcosa sui Malandrini (per come li vedo io, ovvio, e per quello che di loro è rimasto), nata con l'intenzione – miseramente fallita – di essere una flash vista con gli occhi di Remus, è diventata una one shot filtrata per lo più dagli occhi di Sirius. A questo punto sospetto che, nonostante il mio viscerale amore per Remus, Sirius mi risulti un personaggio più malleabile. Insomma, il Black si lascia scrivere più facilmente XD
Due piccole precisazioni temporali: la storia si svolge più o meno all'inizio dell'estate tra il quarto e il quinto anno di Harry, quando l'Ordine si stabilisce a Grimmauld Place; per quanto riguarda Kingsley, non ho trovato indicazioni precise sulla sua età e quindi, per esigenze di trama, l'ho piazzato al primo anno a Hogwarts durante l'ultimo dei Malandrini.
Chiedo scusa per la lunga premessa, buona lettura a quanti passeranno da qui! :*

 

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Old friends
 

Old Friends


«Siamo riusciti a convincere un paio di persone, però» disse il signor Weasley. «Tonks, per esempio: è troppo giovane per aver fatto parte dell'Ordine della Fenice l'ultima volta, e avere degli Auror dalla nostra parte è un enorme vantaggio. Anche Kingsley Shacklebolt è stato un bell'acquisto: è responsabile della caccia a Sirius, e così fa credere al Ministero che Sirius sia in Tibet».
[da “Harry Potter e l'Ordine della Fenice”]

 

Old friends,
memory brushes the same years
silently sharing the same fears

[Old friends - Simon and Garfunkel]


Un'enorme teiera fischiò e sbuffò vapore come una locomotiva impazzita e Molly la mandò ad atterrare placidamente su un bel vassoio d'argento appena lucidato. Toujours pur, il nobile motto della casata dei Black, serpeggiava inciso nei due delicati manici, pomposo quanto discutibile decoro. Sirius lo trovava semplicemente ripugnante, come un po' tutta quella casa in cui era stato costretto a tornare.
Grimmauld Place come Azkaban, una prigione per una prigione. Sospirò, mentre lo sguardo vagava per la cucina affollata e si posava su Lupin. Remus se ne stava con le braccia incrociate sul tavolo e le spalle curve, l'espressione concentrata mentre discuteva con Bill Weasley. La malconcia casetta dell'amico – in cui aveva passato gli ultimi giorni – gli balenò davanti agli occhi per un istante con le sue stanze piccole e le crepe sottili nei muri, con il suo odore di tristezza e le ferite di una vita intera, consumata come Remus, consumata come lui.
Il vassoio del tè gli sfrecciò accanto alla testa in una scia di fumo leggero e profumato e planò ondeggiando al centro del tavolo, dove tazze di finissima ceramica, giusto un po' sbeccate, si disposero ordinatamente. L'argento del vassoio luccicava maligno nella poca luce della cucina con il motto intarsiato che sembrava ammiccare e minacciare, le promesse dei peggiori orrori nel riflesso di uno scintillio. Sirius strinse la tazza tra le mani – e quella vibrò nella stretta – per impedirsi di buttare all'aria il tavolo, il vassoio e lo schifo di essere un Black.
Da sopra al fumo del suo tè, Remus incrociò il suo sguardo, occhi così tanto limpidi quanto insondabili. C'era una sfumatura di avvertimento in quell'occhiata, Sirius la percepiva – e Sirius era stato felice come un bambino quando si era accorto che riusciva ancora a capire gli occhi di Remus, quei suoi discorsi fatti di silenzi e sguardi e poi, magari, di parole. Tutto il resto non lo capiva no, non ancora, troppo dolore in corpo per sopportare anche quello dell'altro, quello delle cicatrici nuove, dei capelli ingrigiti, dei vuoti che si erano riempiti fino all'orlo di solitudine.  E intanto Remus se ne stava ancora lì a guardarlo, la tazza di tè svuotata a piccoli sorsi.
Te l'avevo detto che ci saresti stato male qui!
Sirius poteva sentirla nella sua testa la frase e, addirittura, poteva sentire anche il tono da saputello con cui, se fossero stati soli, Remus l'avrebbe pronunciata, come se fosse stato ancora il prefetto dei loro quindici anni. L'uomo sbuffò contro la tazza che teneva a fior di labbra e il tè si gonfiò in minuscole bolle: non gli piaceva dar ragione all'amico, men che meno in quel caso. Quella casa, che puzzava di magia oscura in ogni suo più piccolo anfratto, era tutto ciò che aveva da offrire all'Ordine della Fenice e alla sua causa: niente combattimenti, niente turni di guardia, solo quelle quattro mura che aveva sperato di non dover più vedere in vita sua. Se era tutto ciò che poteva dare, avrebbe resistito lì, prigioniero a Grimmauld Place e pazienza se aveva ragione Remus: avrebbero fatto entrambi finta di niente. Sirius volente e Remus nolente. Il tè nella tazza di Sirius tornò a borbottare, la superficie  che scoppiettava in una sarabanda di bolle e Remus inarcò le sopracciglia.
Ma sei deficiente o cosa? sembrava dire la sua faccia e Sirius ridacchiò nella tazza, un po' del liquido che gli si infilava a tradimento nel naso. Le sopracciglia di Remus finirono risucchiate sotto i capelli spettinati della fronte.
Sì, sei decisamente un deficiente! sembrò decidere mentre l'amico tossiva come un pazzo, Molly e la Mc Granitt che lo guardavano costernate.
Sirius allontanò la tazza da sé e si ricompose, lo spettro dell'antico fascino che gli rifioriva addosso mentre rifilava un'occhiata sornione a Minerva e a Molly.
«Un piccolo incidente!» sussurrò malandrino.
Remus fu sicuro che, se solo avesse potuto, la Mc Granitt gli avrebbe urlato contro qualcosa come 20 punti in meno a Grifondoro, Signor Black!
Sirius gli strizzò un occhio e per un attimo tornarono a Hogwarts, ad uno scherzo appena fatto, al torvo rimprovero della professoressa di Trasfigurazione, alla sua impertinenza e alla sconsolata rassegnazione dell'amico. A un mucchio di altre cose perdute per sempre. Un James bambino, un paio di occhiali squadrati sul naso e un'espressione innocente che più finta non si poteva, emerse dal fondo della sua memoria e rovinò tutto. Grimmauld Place riapparve con tutta la violenza possibile tutt'intorno a lui. La fragile scintilla di vita spenta come la fiammella di una candela, un pozzo senza fondo negli occhi e la smania dell'impotenza in ognuno dei suoi gesti nervosi.
Merlino, se Remus aveva ragione! Si era andato a chiudere nel posto peggiore in assoluto in cui rimanere da solo con i suoi demoni e l'aveva fatto di proposito. La piccola casa Lupin gli tornò in mente di nuovo, con i suoi spifferi di vento e le foto vecchie e ingiallite sul caminetto. Sapeva di famiglia, di amore e di coraggio, della calma di Remus e dei ricordi del bambino che era stato; troppo piccola e troppo grande tutta insieme per due come loro, imprigionati dentro una guerra che non finiva più. Grimmauld Place invece, era solo troppo grande e troppo buia per lui, un enorme buco nero. La casetta di Remus era diventata un miraggio e quella cucina fredda la sua nuova cella e lui vi aveva dato due belle mandate, chiuso a chiave chissà fino a quando.
All'improvviso la tazza di tè era fluttuata di nuovo tra le sue mani, fumante come appena tolta dal fuoco, e due zollette di zucchero vi si erano tuffate dopo un paio di acrobatiche capriole.
«Bevi!» lo incitò Remus passandogli accanto, la bacchetta in una mano e la sua tazza vuota nell'altra. «Magari senza strozzarti!» aggiunse sotto voce occhieggiando la Mc Granitt che fissava severamente lui e la tazza. Sirius la notò ed alzò verso di lei il tè, ammiccando sfacciatamente. Remus sorrise appoggiandosi alla pietra annerita del caminetto spento. Doveva ammetterlo, anche quando faceva l'idiota, Sirius lo faceva con un certo stile. Minerva, ovviamente, non la pensava così, visto la vena che le pulsava furiosamente su una tempia e si sentì profondamente tentata di affatturarlo. La mano della donna rimase sospesa a mezz'aria, frenata nella sua corsa alla bacchetta dai colpi che provenivano dalla porta d'ingresso.
Molly si fiondò fuori dalla cucina mentre Black sogghignava a Lupin, sfuggito alle ire della Mc Granitt come quando da ragazzini lui e i Malandrini venivano salvati dal cambio ora. Sotto le ferite della loro guerra, c'erano ancora loro, fatti di intesa e di complicità e di quell'amicizia silenziosa risorta dalle ceneri dei sospetti come una tenace fenice. Ci si erano aggrappati quel giorno di due anni prima alla Stamberga Strillante e Sirius sapeva che era tutto ciò – quello e Harry – che lo avrebbe tenuto a galla a Grimmauld Place. Ringraziò – una volta ancora – Silente per averlo affibbiato a Remus, lui e le sue agitazioni e i suoi malumori e la sua rabbia devastante come tante Bombarda.
D'altronde, chi se non Remus avrebbe potuto tenerlo d'occhio?
D'altronde, a chi se non a Remus lui avrebbe mai dato retta?
Avrebbero litigato nel mentre, lo sapevano entrambi, ma era il prezzo da pagare. Ci stava, avrebbero risolto poi ogni “No Sirius, non puoi uscire!” e ogni “Al diavolo, Remus!”; potevano dire di aver risolto molto di peggio.
Qualcosa rotolò nell'ingresso facendo un gran baccano, forse quel portaombrelli a  forma di zampa di troll pensò Sirius, mentre la Mc Granitt salutava quel putiferio con una smorfia di disappunto.
«Mangiamorte?» chiese Srius, la testa inclinata in ascolto, tranquillo come se avesse appena fatto una domanda sul Quidditch.
«Non penso, di solito non fanno così tanto rumore!» rispose Remus, le braccia incrociate sul petto e il segno di un sorriso sulle labbra.
«Questa però, è quella megera della mia cara mammina!» esclamò con disgusto quando il baccano fu sovrastato dalle urla e dagli improperi di Walburga Black, odiosa da ritratto esattamente quanto lo era da viva.
«Sì, avevo riconosciuto i suoi soavi toni!» confermò l'altro, il tono volutamente leggero. «Proprio deliziosa!» commentò quando gli giunse alle orecchie un insulto particolarmente volgare. Sirius ringhiò neanche fosse Padfoot e Remus si staccò dal caminetto per placcare l'amico e andare a zittire quell'essere al posto suo. Gli aveva appena stretto un braccio quando le urla soffocarono e poi svanirono restituendo Grimmauld Place al suo consueto silenzio.
«Oh be', ci hanno preceduto! Siediti!» fece Remus e spinse Sirius di nuovo al suo posto a capotavola, ignorando la tempesta che si agitava negli occhi dell'amico.
Una voce femminile, che andava di fretta e rincorreva le parole, distolse Sirius da qualunque commento avesse in mente di fare su quell'adorabile donna che aveva avuto in sorte come madre. Molly era riapparsa in cucina, le mani che stropicciavano il grembiule e l'aria sconvolta dell'aver dovuto fronteggiare la strepitante Signora Black; il marito Arthur Weasley chiudeva la fila e intanto si tamponava la fronte con un fazzoletto; in mezzo a loro stavano una giovane ragazza dai capelli di un assurdo verde alga e un uomo dalla testa lucida e le spalle larghe. Sirius li osservò con espressione divertita: erano un quadretto quantomeno singolare. La ragazza che si stava spendendo in accorate e vivaci scuse per aver abbattuto il portaombrelli svegliando così il ritratto della vecchia Walburga, si zittì di colpo incrociando lo sguardo del padrone di casa. Profondi occhi scuri si piantarono in quelli grigi di Sirius e l'uomo li sostenne con qualcosa di molto simile alla curiosità ad animarlo. Quella buffa creatura era minuta e aveva il viso a forma di cuore, delicato e pallido, eppure non c'era nulla in lei che la facesse apparire fragile. Tutto il suo essere urlava la sfrontatezza e la forza della sua giovane età, con quell'improbabile colore di capelli con cui sfidava le etichette e quegli occhi d'onice con cui sembrava sfidare il mondo. Sirius trovava qualcosa di familiare in quegli occhi, ma era qualcosa che galleggiava sul fondo delle sue memorie e che non riusciva ad afferrare, sepolto sotto le macerie dei suoi anni ad Azkaban. La ragazza continuava ad osservarlo – pareva quasi lo stesse studiando per trovare risposte a chissà quali domande le stavano sbocciando in testa – e Sirius si voltò un momento verso Remus, come a chiedergli perché lei lo stesse guardando così. Lui si limitò a stringersi appena nelle spalle, mentre scostava una sedia e gli si sedeva accanto.
Un paio di colpi di tosse rimbombarono da un angolo buio della cucina e diverse paia di occhi confluirono nello stesso punto, tutte a fissare il luccichio impazzito di un qualcosa che roteava.
«Malocchio, quel coso fa davvero impressione!» esclamò la ragazza con un tono e una faccia vagamente schifati, l'attenzione finalmente distolta da Sirius.
«Tu! Sta' zitta e vieni qui!» replicò burbero Alastar Moody mentre batteva un paio di volte sul pavimento il suo bastone. La giovane sbuffò e avanzò verso l'uomo strascicando i piedi, le mani sprofondate nelle tasche del mantello. Remus avrebbe giurato che i suoi capelli avevano appena cambiato colore, infiammati per un secondo di rosso fuoco.
È un gioco di luci! Mi sono rincretinito e ho le visioni! È una Metamorfomagus!
«Be', mentre aspettiamo che arrivi Silente, vi presento i nuovi acquisti dell'Ordine della Fenice!» esclamò Arthur, gli occhiali di corno un po' storti sul naso mentre lui, Remus, ancora ragionava sulla ragazza e si augurava con tutto il cuore che la seconda delle sue ipotesi non fosse vera.
«Kingsley Shacklebolt e Ninfadora Tonks, due dei nostri migliori Auror!» stava concludendo Arthur, una mano tesa ad indicare i suoi due accompagnatori. La ragazza si lamentò rumorosamente dal cono d'ombra in cui stava discutendo con Moody, i capelli virati ad un guerrigliero rosso cupo.
«Tonks, per Merlino! Solo Tonks!» borbottò, mentre mani sconosciute si allungavano una dopo l'altra verso di lei.
«La piccola Ninfadora...» sussurrò Sirius, la scia di un sorriso nostalgico sulle labbra, quel qualcosa di familiare captato nei suoi occhi ora finalmente nitido.
«La figlia di Andromeda, un'altra Black che non ha seguito la tradizione di famiglia. Un Auror, per Godric!» rise Sirius, battendo orgoglioso una mano su quelle incrociate di Remus che, sempre seduto in silenzio accanto a lui, aveva appena ripescato dalla memoria l'immagine di una giovane donna che teneva per mano una bambina. Due buffi codini rosa shocking e Diagon Alley ricoperta di neve.
Merlino, quanto tempo era passato! Loro - lui, Sirius, James e Peter - erano ancora, solo, i Malandrini, avevano 17 anni e una vita da divorare e lei - Ninfadora - era ancora, solo, una bambina, gli anni che si potevano contare sulle dita grassocce di un'unica piccola manina e una lista lunghissima di regali per Natale.
Un'eternità dopo si ritrovavano tutti nella stessa pericolosa battaglia, combattenti senza nome e senza volto.
«Un Auror! Una Black, un Auror!» continuava a dire Sirius, una mano ossuta che continuava a battere entusiasticamente su quelle incrociate di Remus.
«Oh, ed è un ottimo Auror! Non a caso è la pupilla di Alastor!» fece una voce calma, incredibilmente profonda e rassicurante. «Kingsley Shacklebolt!» aggiunse, tendendo la mano prima a Sirius e poi a Remus che gli sorrise cortese. Ricordava di averlo intravisto qualche volta durante le sue visite – non proprio piacevolissime – al Ministero della Magia.
«Ehi, ma tu non sei uno di quelli che mi dà la caccia?»
Sirius quasi saltò sulla sedia, un lampo di sorpresa e panico negli occhi.
«In realtà, mio caro Sirius, Kingsley è il responsabile della squadra di Auror addetta alla tua cattura e, anche per questo, ci sarà utilissimo: potrà far credere che tu sia stato avvistato da qualche parte lontano da qui! Questo ci regalerà calma e tempo!» spiegò Albus Silente, apparso chissà da dove alle sue spalle.
«E ora direi di iniziare la riunione!» chiosò, lo sguardo che si faceva grave dietro gli occhiali a mezzaluna e in sottofondo il tonfo ritmico della gamba di legno di Malocchio che riemergeva dal suo angolo di ombre.

 

*


Silente era andato via con la stessa rapidità con cui era arrivato, sparendo nel pozzo di buio che era il corridoio senza fare il minimo rumore. Bill Weasley aveva fatto evanescere tutte le carte che ingombravano il tavolo sotto lo sguardo vigile della madre che, intanto, aveva mandato un paio di grosse padelle a sfrigolare sul fuoco per improvvisare la cena.
Sirius, invece, era mollemente abbandonato sulla sedia, i gomiti poggiati sul tavolo e una luce di febbrile attesa nello sguardo. Muoveva nervosamente una gamba, impaziente, e Remus gli assestò un piccolo precisissimo calcio alla caviglia.
«Datti una calmata o queste settimane ti uccideranno!» lo avvertì, gli occhi che scorrevano gli appunti che aveva preso durante la riunione.
«Perché non può venire subito qui?» ribatté Sirius, il tono implorante di un bambino viziato.
«Perché lo sai che più tempo passa dai Dursley e più Harry è al sicuro! Verrà qui quando sarà il momento! E poi, tra la casa da pulire e i ragazzi Weasley in giro, vedrai che il tempo passerà in fretta!» spiegò Remus, con l'aria di uno che ripete un discorso fatto già mille e mille volte.
Black sbuffò frustrato, il viso che affondava imbronciato tra le mani e Kingsley rise.
Entrambi gli uomini lo guardarono, un po' stupiti e un po' incuriositi.
«Scusate, è che anche a scuola facevate così! Tu e James facevate un sacco di domande – alcune stranissime eh –, e Remus rispondeva. Sempre. E quando non riuscivate a ribattere a quello che diceva, mettevate su un broncio contrariato finché non riuscivate a trovare una domanda ancora più scema di quella che avevate fatto già!» raccontò Shacklebolt, il gorgoglio profondo di una risata a scuotere le ultime parole.
Sirius lasciò cadere le braccia lunghe distese sul tavolo, spaesato. La scena appena raccontata dall'uomo gli era perfettamente familiare: capitava spesso a Hogwarts, magari subito dopo la Luna Piena, quando Remus era troppo stanco per una delle loro scorribande per il castello, che lui e James - lui e James, gli occhi acquosi di Peter soffocati a viva forza - gli si incollassero facendogli qualunque domanda gli passasse per la mente. Gli facevano compagnia e cercavano di coglierlo impreparato su qualcosa: mai che ci fossero riusciti.
«Ma eri a scuola con noi?» gli chiese stupito, l'onda dei ricordi calda come lo era stato il fuoco della loro sala comune in quelle serate.
«Ma certo, Shacklebolt! Primo anno Grifondoro quando noi eravamo all'ultimo!» si intromise Remus, una piccola e scalcagnata agendina infilata in una tasca della veste. L'uomo annuì sorridendo.
«Esatto! Io ero un bambino al suo primo anno a Hogwarts, ammaliato da qualsiasi cosa fosse là dentro. Le scale che cambiavano, i ritratti che parlavano, i fantasmi, la professoressa Mc Granitt che faceva lezione trasfigurata da gatta, il cielo stellato della Sala Grande: era tutto strabiliante. E voi... voi be', eravate i Malandrini! Eravate una specie di istituzione per noi del primo anno!» concluse Kingsley, mentre giochicchiava con l'anellino d'oro che portava ad un orecchio.
«Wow! Eravamo un'istituzione, Moony!» ghignò felice Sirius, un piccolo pugno cameratesco assestato al braccio dell'amico.
«Mmm, fossi in voi non lo direi davanti a Minerva! Credo che lei ci definirebbe in tutt'altro modo!» ridacchiò Remus, un'occhiata di sottecchi alla loro vecchia professoressa, dritta come un fuso sulla sua sedia, impegnata in una serrata discussione con Moody.
«Sì, per esempio catastrofi era una delle sue definizioni preferite! Voi, voi siete delle catastrofi!» scoppiò a ridere Sirius, in un'improbabile imitazione della donna. E la sua risata si alzò chiassosa come uno dei latrati di Padfoot.
«Questo, se non sbaglio, lo disse dopo la nostra quarta punizione in un mese, al nostro quinto anno!» precisò Remus, le dita che tamburellavano leggere sul bordo del tavolo.
«Eh, che gran risultato quello! Ci credo che eravamo delle vere istituzioni per dei poppanti del primo anno!» fece Sirius, mentre si dondolava sulle gambe posteriori della sedia.
«Be', non solo per le punizioni. Eravate brillanti e tra di voi c'erano sia un Caposcuola che un Prefetto Grifondoro: eravate spesso in mezzo a noi primini ed era bello, perché non ci guardavate come bambini che non capivano nulla!»
Kingsley scosse di nuovo le spalle, un po' sconvolto da se stesso e dalla facilità con cui stava raccontando del sé bambino e di quei ragazzi osservati con gli occhi della meraviglia.
Sirius atterrò sulle quattro gambe della sedia con un piccolo tonfo secco e si scambiò con Remus uno sguardo carico di nostalgia e rimpianti.
Molly fece apparire davanti a loro tre bicchierini pieni per due dita di quello che doveva essere Whisky incendiario, arrivata a proposito per alleggerire l'atmosfera improvvisamente appesantita.
Remus la ringraziò con un sorriso accennato ed i suoi occhi incontrarono per un attimo quelli di Ninfadora, attenti ed indagatori come se avessero un migliaio di domande a cui dare ancora una risposta. Su quel posto, sull'Ordine, su di loro, su Sirius, questo non lo sapeva.
«Mmm, cosa ha detto Silente? Che tu puoi scegliere il posto in cui farmi avvistare?» riprese a parlare Sirius, l'alcol che gli impastava la bocca. L'Auror annuì.
«Accetti suggerimenti?» chiese ancora, cospiratore come il Sirius dei ricordi di Kingsley.
«Be',» l'Auror si grattò distrattamente la testa lucida, «non vedo perché tu non possa scegliere dove fare il latitante!»
«Benissimo! Remus? Si potrebbe avere uno di quei così rotondi con i paesi disegnati?» chiese infine all'amico, le mani che sfregavano tra di loro.
Lupin sospirò stancamente e dopo un elaborato movimento di bacchetta, il bicchierino che prima era stato pieno di Whisky, ora era un perfetto e rotondissimo mappamondo. Sirius gli assestò un paio di gioiose manate e quello prese a girare velocemente sul proprio asse.
«Vuoi scegliere tu, piccola Ninfadora?» domandò a voce alta, il mappamondo alzato sopra la propria testa a dominare l'intera cucina.
«Tonks!» lo corresse immediatamente lei, i capelli ancora rossi, ora di una interessante sfumatura ramata.
Sirius agitò di nuovo il mappamondo verso di lei, ignorando sfacciatamente ogni sua protesta. Tonks si trascinò fino al tavolo e vi saltò su, accanto a Remus, abbattendo in un colpo solo due sedie.
«Ops!» ridacchiò lei, i capelli rosa e il sorriso argentino di quella bambina di 4 anni della Diagon Alley innevata che Remus aveva ritrovato nei suoi ricordi.
Sirius, al suo fianco, ridacchiava scuotendo i capelli, il mappamondo che gli ballonzolava tra le mani e qualche vecchio ricordo che gli annebbiava gli occhi.
Come le due facce di una stessa medaglia, Remus e Sirius – con le impronte degli stessi anni scivolati addosso, con cicatrici e guerre e paure e memorie uguali e diverse – se ne stavano lì, a farsi rimettere insieme dalla presenza rassicurante di Kingsley e dagli occhi pieni di vita di Tonks. Per ritrovare almeno un po' di quei bambini che erano stati anche lì, in quel buco nero che era Grimmauld Place, in quella guerra che li stava consumando.

 

Fine

  
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