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Autore: SilVerphoenix    15/01/2008    13 recensioni
"E' vero quello che ha detto Malfoy? O era ubriaco?" Quegli occhi verde smeraldo la passarono da parte a parte. Non riuscì a dire niente di sprezzante. "E' vero." Harry fece per dire qualcos’altro ma lei lo bloccò. "Zitto Potter. Stanotte ho fatto già troppe cazzate, magari quella di raccontarti tutto la lasciamo per la prossima notte…" Il ragazzo sorrise. "E chi ti dice che ci sarà una prossima notte Parkinson?" Lei sbuffò. "Ma dai… Se non mi avessi voluto fra i piedi, non mi avresti fatto dormire qui stanotte, quindi ho le mie buone ragioni per credere che lo farai ancora!"
La storia si svolge dopo il sesto libro, come se si trattasse del settimo. Ho cercato di restare IC quanto più possibile, il tag OOC è dovuto alle coppie.
Ringrazio tantissimo tutti quelli che anche con una sola recensione mi aiutano ad andare avanti!!Buona lettura!..
[La storia è attualmente in revisione, non so quanto durerà l'operazione ma conto di riprenderla non appena terminate le long in corso. Grazie di tutti i bellissimi messaggi che mi avete mandato... continuerà, lo prometto!]
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Il trio protagonista, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Pansy
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
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Capitolo Uno


"Valla a prendere."
"E' nelle segrete."
"Non mi interessa. Hai sentito il Lord. Ha scelto lei. Valla a prendere."
La donna esita solo un istante, poi obbedisce. Lucius Malfoy non è tipo da contraddire.

*



Il silenzio sonnacchioso di Privet Drive avvolgeva ogni cosa, quel caldo pomeriggio di luglio. L'erbetta del prato nel parco era secca, le piante ridotte ad arbusti rachitici, e scottanti le strutture in ferro dei giochi.
Un giovane dall'aria annoiata si dondolava pigramente su di un'altalena sgangherata. Non
un filo di vento si muoveva intorno a lui e l'aria immobile era difficile anche da respirare.
Si guardò attorno con fare annoiato continuando a ondeggiare.
Harry pensava alla sua vita. Ancora una settimana, precisamente sei giorni, e avrebbe finalmente detto addio a quello squallido posto. Infatti, da maggiorenne, niente e nessuno avrebbe potuto impedirgli di lasciare i Dursley per sempre.
Su cos'avrebbe fatto, aveva già una vaga idea. Sicuramente sarebbe andato a Grimmauld Place per un po', e se l'Ordine avesse avuto bisogno di lui si sarebbe messo a disposizione. Poi, verso metà agosto, sarebbe andato a fare una visita alla Tana per festeggiare con i Weasley il matrimonio di Bill e Fleur, fissato per il 15 del mese.
Infine, avrebbe avuto due settimane per decidere se tornare a scuola o meno.
Per quanto volesse cominciare la ricerca degli Horcrux sin da subito, gli impedimenti non erano stati né pochi né di facile risoluzione.
Come era stato evidente dal primo momento, non poteva mettersi al lavoro senza la magia, e con la Traccia sulla testa, quindi doveva
in primo luogo aspettare di compiere diciassette anni .
La cosa più grave, però, era che non sapeva da dove cominciare la sua ricerca.
Hermione, dall'alto della sua saggezza, gli aveva chiaramente spiegato che senza il diploma era decisamente difficile convincere i maghi adulti di non essere solo bambini petulanti, nonostante lui fosse Harry Potter; e, comunque, la biblioteca della scuola era una delle più fornite del mondo magico. Se voleva davvero riuscire nell'impresa, avrebbe prima dovuto documentarsi e, quindi, in un secondo momento, sfruttare le informazioni trovate per raggiungere lo scopo. Ovviamente la ragazza aveva aggiunto che, qualunque decisione lui avesse preso, lei e Ron sarebbero stati al suo fianco.
E c'era un'altra cosa che dava ad Harry da pensare, e poteva essere riassunta in una sola parola: Ginny.
Dopo l'entusiasmo iniziale, aveva visto prima decrescere, e poi spegnersi il suo interesse per la ragazza; durante quelle settimane non si erano più scritti né lui aveva provato il desiderio di avviare una corrispondenza.
Chiuse gli occhi per evitare che il paesaggio che lo circondava, misero e immobile, alimentasse la sua depressione.
Constatato che il suo tentativo non ebbe un successo gratificante poiché l'opprimente calura gli ricordava con forza dove si trovasse, riaprì gli occhi.

Stava commentando ancora una volta quanto fossero monotone e pallose le sue giornate, quando sgranò gli occhi per la sorpresa.
Scattò in piedi e il cuore prese a martellargli nel petto con forza inaudita, le orecchie furono invase da quel misto di paura ed adrenalina che ti prepara alla fuga.
Una figura avvolta in un lungo mantello nero, incappucciata, aveva appena svoltato l'angolo.
Harry strinse i pugni, ancora incerto sul da farsi: non aveva la bacchetta con se e non voleva girarsi ed esporre la schiena al Mangiamorte.
La creatura, comunque, non si mosse. Si inginocchiò.
Harry aguzzò la vista per cercare di distinguere i movimenti ad una dozzina di metri da lui.
La figura vacillò fortemente, quindi stramazzò al suolo.
A questo punto il ragazzo provò la forte tentazione di avvicinarsi nonostante una voce imperiosa nella testa gli urlasse di scappare.
Invece, a circa sette metri dal corpo riverso a terra, capì che il mantello che avvolgeva il malcapitato non era quello di un seguace di Voldemort, benché fosse scuro anch'esso: era un semplice mantello da viaggio.
Si avvicinò ancora al corpo. Si chinò al suo fianco e, piano, con il cuore che ancora non aveva smesso di battere a mille all'ora, lo voltò per vederne il viso.
A quel punto ebbe la forte tentazione di darsi un pizzicotto per controllare se stesse sognando.
La paura lasciò il posto alla curiosità e, pur non abbandonando il sospetto, decise che doveva aiutare chi in quel momento pareva davvero bisognoso.
Prese il corpo fra le braccia e, mentre il cappuccio calava rivelando quella che un tempo era stata una lucente chioma, si diresse verso il numero 4 di Privet Drive.

* * *

Lentamente, per evitare di peggiorare il mal di testa che l’aveva svegliata, Pansy aprì gli occhi.
Il letto morbido sul quale sentiva di giacere poteva significare solo una cosa: l’avevano trovata. E riportata a casa, o a Malfoy Manor. Era più probabile questa seconda opzione, visto che il materasso non era sicuramente quello del suo letto.
Con la morte nel cuore si guardò intorno, ma si stupì dell’arredamento babbano: certo non era un’usanza di Draco Malfoy, né di suo padre!
Niente nella stanza in cui si trovava lasciava intuire che appartenesse ad un mago, tranne forse la gabbia vuota sulla scrivania, ma poteva anche essere appartenuta ad un qualche uccello adesso defunto, aveva sentito che i Babbani allevavano pollame in casa per poi farne succulenti arrosti… un’usanza barbara, come tutte le altre, d’altronde.
Con molta cautela si mosse, per scendere giù dal letto. Sul comodino trovò una caraffa ed un bicchiere e subito decise di placare la sete che le rendeva la gola arida. Sulla stessa scrivania, vicino alla gabbia, c’erano un bacile ed una pezza: Pansy pensò che probabilmente il Babbano che l’aveva soccorsa si era preso cura di lei, e contemporaneamente si chiese per quanto tempo fosse rimasta incosciente.
Decise di esplorare la casa nella quale si trovava, così uscì dalla stanza e si ritrovò in un pianerottolo che dava l’accesso ad altre tre camere chiuse e davanti ad una scala, che pensò di scendere.
Il piano di sotto era più grande, c’erano una cucina ed un salone dignitosi per la casa, ma comunque miseri in confronto al lusso al quale era abituata.
La sua attenzione fu attirata dalla scatola che nel salone emetteva suoni e immagini. Entrò nella stanza, ma si bloccò di colpo, appena vide che c’era qualcuno. Un qualcuno sdraiato su un divano, addormentato, con un pezzo di plastica in mano sul quale stavano tanti bottoncini colorati.
Il buio di quell’ora della notte le impedì di riconoscere immediatamente chi fosse quel qualcuno, ma quando un immagine della scatola multicolore illuminò con più chiarezza il viso del ragazzo, ebbe un sussulto.
Con il cuore in gola per la sorpresa e lo spavento, indietreggiò e, come accade in ogni scena del genere, urtò lo spigolo di un tavolino che subito rispose con una serie di cristallini rumori di oggettini che tintinnano.
Ciò bastò perché Harry si svegliasse.
La vide subito. “Ben tornata nel mondo dei vivi!” esclamò, quasi con sollievo
“Potter??!” Riuscì solo a biascicare lei.
“Fino a prova contraria…”
“E che diavolo ci fai tu qui?!” Pansy reagì con forza calcando il tono aggressivo della domanda.
“Temo di doverti fare la stessa domanda, perché vedi, io ci vivo qui…” Rispose lui con una calma invidiabile.
“Certo,
solo gli animali potrebbero stare in un porcile del genere!” soffiò cattiva la ragazza.
“Senti Parkinson, io non ho voglia di litigare con gente della tua risma a quest’ora della notte! Mi sei svenuta ai piedi e non potevo lasciarti in mezzo alla strada. Adesso che a quanto vedo ti sei ripresa, non ti tratterrò certo qui! Pertanto, se vuoi dirmi che ti è successo, potrò aiutarti, altrimenti vivo lo stesso.” Rispose lui, altrettanto stizzito da quei modi vergognosi.
Gli era sembrata così fragile quando l’aveva raccolta per strada… ma era sempre la stessa velenosa serpeverde.
A quelle parole, lei reagì con uno sbuffo sarcastico. “Non sono mica scema. A che pro dirti cosa mi è successo, procurarti un nuovo argomento per riderci su con i tuoi amichetti? No grazie, non mi va che le mie cose le sappia tutta la scuola!”
“Ma fammi il piacere! Questo tipo di atteggiamenti da serpe non mi appartiene, semmai è proprio di quelli come te!” sbottò furioso Harry.
“Ti senti come parli? Ma chi credi di essere, dall’alto di quella che credi perfezione? Tu non porti dietro neanche le scarpe, a noi Serpeverde!”
“Ecco, perfetto, non è mia intenzione portarvi dietro alcunché, quindi siamo tutti d’accordo!” Sbraitò il Grifondoro.
Si sentiva decisamente colpito dalla reazione di quella ragazza. Pensava che i Dursley in quanto a maleducazione fossero imbattibili, ma evidentemente c’era qualcuno che riusciva a raggiungerli, se non superarli.
“Adesso mi hai veramente rotto!” Sbottò a quel punto la Parkinson. “Me ne vado!”
“Prego, quella è l’uscita!”
Pansy si mosse nella direzione indicata dal ragazzo con andatura altera, aprì l’uscio e venne investita da un’ondata di calura e senza neanche una parola in più si sbatté la porta alle spalle con tale forza da rimbombare in tutta la casa.
Harry sedette, ancora mezzo sconvolto dall’ineducazione della gente, e riprese il telecomando. Cambiò annoiato canale, cercando di levarsi tutta quella sceneggiata dalla testa. Una telenovela? A quell’ora della notte? Assurdo, possibile che non ci fosse un programma decente?
Scorse rapido televendite e rivelazioni scandalo delle star hollywoodiane, ma non ebbe modo di concentrarsi molto a lungo. ll campanello trillò.
Un po’ perplesso, andò ad aprire non ricordando di aver ordinato pizze a domicilio,o altro. Pensò poi che era ancora presto per la consegna del latte.
“Non fare quella faccia Potter…è che non so come rintracciare la McGrannitt, Lupin o un altro di loro, e quindi mi servi…”
“mi” aggiunse mentalmente facendosi da parte, servimi
La fece rientrare.
“Mi verranno a prendere domenica sera, potrai parlare con loro quando arriveranno per me..” le disse tranquillo richiudendo la porta.
“Domenica sera? E che giorno è oggi?” Probabilmente la Parkinson si rese conto di non avere idea della durata del suo sonno.
“Giovedì notte…cioè ormai venerdì mattina direi… Beh puoi tornare a casa e venire qui domenica, no?” Propose a quel punto il Grifondoro.
“No che non posso dannazione…” Sbraitò lei tirando un pugno al muro più vicino.
“Va bene, puoi restare qui." Si sorprese a dire lui. "Il problema sarà quando torneranno i miei zii, sabato mattina…” disse poi, mostrandosi più gentile di quanto lei si meritasse per la piazzata di poco prima.
“I tuoi zii?Vivi con i tuoi zii?”
“Certo, pensavi che questa casa fosse mia? Non vedi che è tutto Babbano?” Sbuffò ironico lui.
Al che la Parkinson fece una faccia schifata. “Babbani?!”
Harry rise. “Hai l’aria di non averne mai incontrato uno!!”
“Infatti! E non ci tenevo ad annoverarla fra le mie esperienze!” Annuì scandalizzata la serpe.
Lui era sconvolto. “Davvero non hai mai incontrato un Babbano?”
“Ovvio.”
Il Cercatore scosse allibito la testa, quindi uno sbadiglio gli salì alle labbra. “Senti Parkinson, sono le quattro e mezza del mattino e ho sonno. Questo è l’ultimo giorno di quiete prima del ritorno dei simpaticoni e me lo voglio godere, quindi ti saluto perché voglio dormire…”
“Potter!” La voce della ragazza lo bloccò al quarto scalino. Lui si voltò e inarcò un sopracciglio. “E io dove dormo?”
“In camera dei miei zii. Se ti serve qualcosa, prendi pure dal mio armadio. Non sarà il tuo genere di vestiti ma è roba pulita. A domani!”
Lei si guardò scandalizzata attorno, poi, come se fosse circondata da una mandria di esseri schifosi, si affrettò a seguirlo al piano superiore.

* * *

Il primo giorno di convivenza, ossia venerdì, trascorse stranamente tranquillo, probabilmente perché entrambi i ragazzi occuparono quasi tutto il tempo dormendo.
Venerdì sera Harry ebbe però la malaugurata idea di accendere la Tv.
“Come funziona? Cos’è?” Chiese allora Pansy, entrando nella stanza.
Lui provò per qualche minuto a costruire frasi inframmezzando i termini ‘etere’,‘pixel’, ‘immagini riflesse’, ma senza molto successo. Quindi rispose che, come lui non l’aveva mai saputo, lei avrebbe dovuto accontentarsi. Era una magia da Babbani.
Comunque, avendo capito che premendo i bottoncini colorati sulla scatoletta di plastica nera si potevano cambiare immagini anche stando sdraiati sul divano, la Parkinson sequestrò il telecomando e il dominio della televisione passò nelle sue mani.
Uno sconfortato giovane si diresse allora in cucina e preparò un paio di toast, alcuni dei quali pose poi sul tavolino davanti alla ragazza augurandosi che avrebbe trovato il tempo di mandare giù qualcosa tra uno spot pubblicitario e l’altro.
Alcune scene del nuovo shampoo pubblicizzato dall’attrice sembravano averla rapita.
Lui scelse invece di andare a letto: l’indomani sarebbero tornati i Dursley e non voleva farsi trovare dormiente, quindi aveva deciso che si sarebbe alzato presto per riassettare la casa e avrebbe poi aspettato il loro arrivo.
Così fece.
Quando scese di sotto e vide il divano vuoto si rallegrò che la sua ospite avesse avuto il buon senso di andare a letto, anche se non voleva sapere a che ora questo fosse avvenuto.
Fece una veloce colazione, rimise a posto quello che era rimasto in giro dalla sera prima, avvedendosi di non lasciare tracce della presenza di un’altra persona.
Durante l’assenza dei padroni di casa non aveva stravolto l’abitazione stile uragano, anzi aveva fatto in modo di essere il più ordinato possibile, così non aveva molto lavoro da sbrigare.
Verso le dieci si lasciò cadere sul divano godendosi la pace che presto avrebbe fatto fagotto e lasciato quella casa, chiedendosi quando la Parkinson si sarebbe svegliata. Non gliene sarebbe fregato nulla dei suoi ritmi, semplicemente avrebbe dovuto parlarle prima dell’arrivo degli zii. Loro non dovevano sapere che in casa c’era un’estranea, o li avrebbero sbattuti fuori entrambi.

Un’ora dopo cominciò ad agitarsi. Pansy non era ancora scesa e i Dursley potevano arrivare da un momento all’altro.
Alle undici e mezza capì che non poteva più aspettare, così salì di sopra con l’intento di svegliarla. Aprì la porta della stanza degli zii e notò che c’era molta luce: evidentemente, la ragazza riusciva a riposare anche con le finestre aperte.
Lei stava accoccolata all’estremo del letto più lontano dalla porta, addormentata in posizione fetale. Ad Harry sembrò piccolissima: la sua corporatura esile appariva ancora più fragile a causa della maglietta che aveva preso dal suo armadio e dei larghi pantaloncini.
Qualcosa attirò la sua attenzione: su parte delle gambe di lei vide dei lividi e gli stessi sul collo. Pensò che durante la sua fuga da casa, della quale ancora non capiva il motivo, doveva averne viste di brutte.
Improvvisamente, e senza motivo, il Grifondoro non ebbe più questo gran desiderio di svegliarla. Piuttosto le si avvicinò e delicatamente la prese fra le braccia portandola poi in camera sua. Qui la adagiò sul letto e subito tornò nell’altra stanza, rimettendo ogni cosa come la zia l’aveva lasciata. Quindi scese di sotto e preparò una colazione completa, che posò accanto al letto dove giaceva la Parkinson.
Stava per tornare di sotto quando la sentì muoversi e stiracchiarsi.
“Buongiorno, Parkinson. Mai sentito dire che chi dorme non piglia pesci?” la salutò.
Due voci risposero in contemporanea.
“Potter che diavolo ci faccio nella tua stanza??”
“Potter sei ancora a casa, dannato ragazzo?!”
“Cacchio!” Esclamò in preda al panico Harry, sentendo i passi dello zio per le scale. “Presto ficcati qui dentro!” Aprì l’armadio e fece segno alla ragazza di entrarci.
“Ma scherzi?Io…” Obiettò confusa lei.
“Vuoi incontrare la McGrannitt? Allora obbedisci!!” Appena
riuscì a richiudere le ante dell’armadio, la porta si aprì e apparve la gargantuesca pancia dello zio, e subito dopo lo zio stesso.
“Allora sei ancora qui?”
“Zio sai che potrò andarmene solo da maggiorenne, ovvero domani.” Rispose il bambino sopravvissuto.
“Io e tua zia speravamo che al ritorno dal viaggio fossi già sloggiato, ma a quanto vedo non la finirai mai di deluderci.”
Ad Harry salì in bocca una rispostaccia ma si trattenne. In quel momento, in cui per fortuna lo sguardo dell’uomo si era spostato all’esterno della stanza, si udì uno starnuto. Svelto Harry si portò una mano alla bocca e fece finta di essere il colpevole. “Scusa, zio!”
“Se sei raffreddato non scendere o l’attaccherai anche a noi!” Vernon si allontanò subito di qualche passo.
“Dirò a Petunia che sei ancora qui, così non dovrà salire a controllare.” E con queste ultime parole se ne andò.
Il ragazzo aprì subito l’armadio e ne uscì Pansy con un eccesso di colpi di tosse. “Ma quanta polvere c’è là dentro?!”
“Bene Parkinson, hai appena incontrato il tuo primo Babbano.” disse divertito lui.
“Babbano? Era un Babbano, quello?” Alla faccia che fece, Harry scoppiò a ridere.
“Sì, mio zio, come avrai capito…”
“Pensavo che per rivolgerti a te così dovesse essere un buon mago, e invece…scopro che anche i Babbani sanno trattarti come meriti…” Esclamò con una punta di cattiveria la Serpeverde.
“Ah ah molto simpatica… Parla piano che non devono sentirti.”L’avvertì ancora lui, preoccupato che al piano di sotto l’avessero udita.
“E perché non dovrebbero?” La ragazza alzò di parecchio il tono di voce, maligna.
Harry l’afferrò per un polso. “Ma sei scema? Vedi che se ti sentono, ci sbattono fuo…!”
Dovette fermarsi. Pansy lo guardava con gli occhi colmi di lacrime e divincolando il polso gemeva “Lasciami…Lasciami…LASCIAMI!!”
“Zitta!” La bloccò tentando di calmarla, prendendola per le braccia. Al che la ragazza sotto il suo sguardo allibito cominciò a singhiozzare forte, cercando al contempo di unire la frase ‘non mi toccare’, e ripetendola fino allo stremo.
La Parkinson si lasciò cadere a terra e, raggomitolata, continuò a singhiozzare e a mormorare la sua cantilena.
Harry era pressoché sconvolto, non sapeva che fare. Al massimo della confusione, decise di uscire dalla stanza e lasciarla lì, sola, perché si calmasse.

* * *

Pansy Parkinson non era mai stata una debole. Ne aveva sopportate di cose, trattamenti brutali fisici e morali.
Molti suoi compagni Serpeverde pensavano che il padre la picchiasse, come era normale per loro, ma si sbagliavano. Non era suo padre a picchiarla, lui la amava, la proteggeva quando poteva.
Era sua madre.
Lorelai era la donna più fredda e cattiva che Pansy avesse mai conosciuto e, purtroppo, la sua mamma.
Certo, la bellezza la doveva proprio a quella donna, della quale aveva preso i tratti del viso, che con gli anni si erano affinati, e gli occhi. Anzi, in molti le scambiavano ancora per sorelle. Ma tutte le lacrime che aveva versato accucciata fra le braccia del padre non si potevano contare, e sulla bilancia non valevano quanto il viso d’angelo che aveva ricevuto come compenso.
Un giorno aveva l’aveva trovata a letto con Nott, mentre suo padre era in viaggio in America, e aveva pensato che da quel momento avrebbe potuto ricattarla, ma la donna, con un gelo paragonabile solo a quello dell’uomo che giaceva nudo avvinghiato a lei, le aveva intimato “Non ti conviene, bambina, o Oscar chiederà il divorzio e io avrò l’affidamento…non ti conviene, bambina.”
L’unico al quale aveva avuto il coraggio di confessarlo era stato Draco. Draco, con i suoi occhi dolci, Draco con le sue braccia forti, Draco con il suo calore rassicurante. Probabilmente lui era la persona più importante della sua vita.
Pansy Parkinson stava pensando a tutte queste cose quando il Grifondoro più pulitino e perfettino del mondo entrò nella camera.
“Stai meglio?” Le chiese.
“Potter, se lo dici ad un’anima me la paghi.” Affermò lapidaria allora la ragazza, ottenendo uno sbuffo in risposta.
“Parkinson, come vuoi che te lo ripeta ancora? Non mi interessa dirlo a nessuno, non mi interessa spettegolare su di te!”
“Ah già dimenticavo che a te non interessa niente che non sia te stesso!” Lo aggredì subito la ragazza. Sapeva di non avere motivo di essere acida, ma non riusciva a frenarsi.
“Ma smettila…non mettermi in bocca parole che non ho detto… Ti ho portato qualcosa da mangiare.” Harry le lanciò un panino e una coca. “Non posso fare di meglio, li ho presi comunque ad un buon bar. Se i miei zii si accorgessero che manca qualcosa...”
Pansy lo interruppe e sollevò la coca dicendo “Che cos’è?”
“Coca cola… E’ buona ed è analcolica, un po’ come la Burrobirra” La vide stappare la lattina e assaggiare diffidente il liquido frizzante.
“Nacque come rimedio per il mal di testa, sai? Poi si accorsero che non aveva alcun effetto terapeutico ma un ottimo sapore…”
“Si, non è male!” Rispose allora Pansy, con la bocca ancora piena. Quando vide il suo interlocutore alzare interrogativamente un sopracciglio, si infastidì. “Beh? che c’è adesso?”
“Non credevo avresti mai detto una cosa simile...di un cibo Babbano intendo! Mi sei sembrata quasi…normale!” Harry la guardava dritto negli occhi in un modo che la mise a disagio.
“Se una cosa è buona, è buona punto e basta. Mi dai il libro di Pozioni che non ho finito il tema?” Chiese cercando di cambiare argomento.
Il Grifondoro le porse la sua copia del libro. Non volendo più avere niente a che fare con il Principe Mezzosangue, aveva nascosto nella Stanza delle Cose Perdute quella versione, e ne aveva ricomprata un’altra.
Il pomeriggio stranamente trascorse con le teste dei due ragazzi chine sulle pergamene. Avendo capito che potevano sfruttare lo studio per la convivenza pacifica avevano unito l’utile all’…utile.
Lo strillo di zia Petunia che informava il nipote che era pronta la cena li interruppe. “Appena si addormentano vedo di portarti qualcosa da mangiare.”
La ragazza annuì senza smettere di copiare il paragrafo che aveva sotto gli occhi.
Fu con enorme sorpresa che al suo ritorno, Harry la trovò addormentata, la testa poggiata sul libro, la penna ancora fra le dita.
“Praticamente passo più tempo a vederla con gli occhi chiusi che aperti… Meglio, così non sputa sentenze…!” Si trovò a pensare il ragazzo, e mentre completava il tema di Trasfigurazione assecondò la melodia che per chissà quale motivo gli era presa a risuonare in testa.
“I could stay awake just to hear your breathing, watch your smile while you are sleeping, while you're far away and dreaming... I could spend my life in this sweet surrender...I could stay lost in this moment forever...”
Harry si bloccò di colpo. Si era reso conto solo in quel momento di cosa stavano dicendo le parole della canzone, e, sorridendo per l’ironia della sorte, smise di canticchiare per concentrarsi definitivamente sull’ultimo concetto.
Mise l’ultimo punto al secondo rotolo di pergamena e guardò l’orologio: segnava le 23:53. Pochi minuti e sarebbe stato maggiorenne! Per la prima volta nella sua vita non vedeva l’ora che passassero, questi minuti, perché arrivasse la mezzanotte di quel benedetto 31 luglio. Perché, per la prima volta nella sua vita, aveva di che aspettarsi da un compleanno. La maggiore età. Il poter lasciare i Dursley. E ovviamente, neanche altre ventiquattr’ore e avrebbe rivisto Ron ed Herm!
Meno ansioso era invece di incontrare Ginny. Che diamine le avrebbe detto? La sua unica speranza era che passioni assopite si risvegliassero nel trovarsela di nuovo di fronte, ma ci sperava poco.
Con un sussultò la Serpeverde saltò su a sedere.
“Fatto un brutto sogno?” Chiese distratto il ragazzo, lo sguardo perso fuori dalla finestra, gli occhi concentrati nel distinguere la sagoma stagliata contro la luna che tendeva a farsi più grande via via che si avvicinava.
“Sì. Ma vederti una volta aperti gli occhi mi fa rimpiangere l’incubo di poco fa… Che c’è fuori?” Pansy si avvicinò e vide insieme a lui un grosso gufo fulvo planare nella loro direzione.
Harry aprì la finestra e permise alla bestiola di entrare, sciogliendo la pergamena dalla sua zampa. La lettera gliela indirizzava Lupin, che gli faceva gli auguri e al contempo lo informava che sarebbero stati lì, lui e la scorta, per le cinque del successivo pomeriggio.
Lui passò l’informazione a Pansy, che l’accolse gioiosa.
Ancora un istante di pace e poi la camera si trasformò in un serraglio. A turno un gufo bruno, un piccolissimo rapace che venne riconosciuto come Leotordo, un barbagianni e, sopra tutti loro, la bianca e fiera Edvige si accalcarono contro il destinatario.
Le lettere erano di Hagrid, di Tonks, di Ron e di Hermione.
Alla fine di quest’ultima, due righe colpirono il Grifondoro.
“Ehi ciao, sono Ginny. Innanzi tutto, AUGURI! Ti scrivo qui in fondo approfittando della lettera di Herm perché non c’erano altri gufi disponibili.. So che lì le cose vanno bene se no ci avresti scritto…Ci vediamo presto, ancora buon compleanno.”
Senza badare alle proteste della Parkinson per il casino provocato dal viavai aviario, Harry rilesse più e più volte quelle poche parole. Stranamente, nessun riferimento alla loro relazione. Nessun riferimento a niente, per essere precisi.
“…e che indecenza che piombino tutti insieme!! Mi vuoi dare retta per piacere?!?”
“Parkinson, perché dovrei?” Rispose ancora soprappensiero. “Quando darai un taglio alle lamentele e dirai qualcosa di interessante, vedrò di prestarti attenzione.”
“Spiegami almeno perché tutti questi gufi in una volta, se in questi giorni non hai ricevuto neanche la Gazzetta del Profeta!!” Sibilò furiosa lei.
“Ah niente…sono auguri…” Fece evasivo Harry.
“Auguri? E per cosa di grazia?” Domandò ancora.
“Compleanno..”
“Oggi è il tuo compleanno?” Continuò Pansy.
“Si…”
“Quanti?” Chiese, dandosi poi della stupida, considerando che erano allo stesso anno di scuola.
“17”
“Auguri.”
“Grazie.”
Silenzio.

* * *

Trema. Trema di dolore. Trema di freddo.
Lì sotto c’è freddo, nelle segrete. E c’è buio. Un buio fitto e freddo e cattivo. Freddo. Tutto sembra freddo.
Una luce gelida illumina il corridoio e la porta si apre. Entra qualcuno che, con una voce fredda come tutto il resto, dà un ordine imperioso. “Alzati, bambina.”
“Papà…” esala senza fiato lei.

“Tuo padre non c’è, bambina. Se n’è andato, e anche tu stai andando via.” Un braccio si serra sul suo polso destro e la alza di peso. E’ molto forte, quella donna. La trascina semicosciente fuori dalla cella, su per le segrete.
La ragazza era convinta che niente avrebbe mai potuto più scaldarla, ma deve ricredersi. Avverte il calore delle fiamme di un camino, e la presa di sua madre viene sostituita da una più forte che, stringendola per le braccia, la porta con se dentro le fiamme urlando qualcosa. Pansy è troppo incosciente per captare quelle parole. La tiene su soltanto quella presa.
E’ fredda, quella presa.


* * *

La Serpeverde dagli occhi blu si svegliò di soprassalto con le guance bagnate di lacrime e la fronte umida di sudore. Tentò di calmarsi con un bicchiere d’acqua, ma le tremava la mano e qualche goccia le scivolò sulla maglietta di Harry che indossava. Il cuore le batteva con intensità tale che le venne difficile anche deglutire. Come in preda al panico, uscì dalla stanza e, dimentica della prudenza, non curandosi del pericolo di essere vista dai padroni di casa, scese le scale e si fermò solo una volta giunta in salotto.
Non sapeva di stare cercando qualcosa, ma lo trovò.
Harry, sdraiato sul divano in una posizione molto simile a quando l’aveva visto la prima sera, dormiva sereno. Pansy si avvicinò e sedette su quello stesso divano. Il respiro le era tornato regolare. La mano, un po’ incerta, si levò e piano si avvicinò ai capelli spettinati del ragazzo. Si avvicinò, ma non arrivò mai a destinazione.
Pansy scattò in piedi come se si fosse resa conto solo in quel momento di ciò che stava facendo. Si diresse alla porta. Sulla soglia, si bloccò un attimo.
Si concesse di lanciare un ultimo sguardo alle sue spalle e, adesso serena, tornò al piano di sopra, nella camera che il ragazzo gentilmente le aveva ceduto.
Sdraiandosi di nuovo a letto, abbracciò il cuscino e inspirò il profumo di pulito che la avvolgeva. Lei si sentiva sporca, colpevole, infima, ma quel profumo la cullò dolcemente in un sonno senza sogni.

* * *

Note dell'autrice:
Ecco il primo capitolo!Voglio ringraziare tantissimo Nyssa per la grande collaborazione e Keira per avere le pensate più geniali che mi danno le idee migliori :P fatemi sapere che ne pensate, il prossimo capitolo l'ho già scritto e arriverà domani!Baci,
Silver

  
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