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Autore: betabi    02/07/2013    8 recensioni
Cosa succederebbe se un Harry Potter particolarmente depresso e solo, due anni dopo la grande battaglia, seduto su una panchina in un parco pubblico di Londra vedesse apparire improvvisamente davanti a sé una cabina telefonica della polizia di un blu intenso? Cosa succederebbe se da questa cabina uscisse un uomo che dice di chiamarsi “Il Dottore” e che gli propone un’avventura nel tempo e nello spazio per ritrovare la felicità e conoscere i suoi genitori scoprendo, in incognito, come si sono innamorati?
Cosa succederebbe? Beh, questa fan fiction è stata scritta apposta per mostrarvelo!
Crossover tra Harry Potter e Doctor Who.
Buona lettura e, Geronimo!
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Alice Paciock, Harry Potter, I Malandrini | Coppie: James/Lily
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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HOW I MET MY MOTHER



  • Uno strano incontro
     
Harry Potter non poteva considerarsi un ragazzo normale. Era stato privato dei suoi genitori, aveva vissuto con dei terribili parenti, aveva frequentato per sei anni una scuola di magia e stregoneria e, come se non bastasse, aveva ucciso il più grande mago oscuro mai esistito. Roba da voler invidiare, insomma.
Eppure, Harry non era felice, non era felice per niente. Dopo aver preso un anno di pausa da tutto e da tutti, girato il mondo da solo, scoprendo comunità magica negli angoli più nascosti della terra, assaggiato pietanze più che strambe, il Ragazzo Sopravissuto era tornato in Inghilterra e si era iscritto all’accademia Auror. Ovviamente, aver ucciso Lord Voldemort concede dei privilegi, e Harry era stato preso tra il corpo di protezione magica del Ministero senza dover fare anni e anni di studi, esami e prove. Era diventato un Auror, così. Dopo otto mesi passati a lavorare freneticamente, senza sosta, senza riposo, il capo del distretto gli aveva concesso un mese di ferie per “prendere una boccata d’aria e riposarsi un po’, passando del tempo con i suoi cari”.
Il Prescelto si trovava così solo con i suoi pensieri e le sue paure. Hermione, Ron, Ginny, erano sempre con lui ma avevano già deciso da un pezzo di dimenticare tutto, di andare avanti nonostante le difficoltà e le perdite.
Harry invece, pur volendo, di andare avanti proprio non ne voleva sentir parlare. Era rimasto fermo a tre anni fa, con il cuore, con la mente, con il corpo che, a parte i dieci centimetri in più e i muscoli messi su con l’addestramento, non era cambiato molto. Harry non voleva dimenticare, ma era stanco di ricevere ogni notte la visita in sogno di tutti i morti caduti durante quella scellerata guerra, non riusciva a scavalcare tutto il dolore che da anni si portava dentro e che aveva creato tra lui e il mondo uno spesso muro invalicabile. Harry si sentiva solo, perché nessuno sembrava capirlo, non capivano il suo mal di vivere e l’angoscia che provava costantemente, giorno dopo giorno. Era difficile vederlo per strada con un sorriso e senza occhiaie, dolce dono delle sue notti insonni. Non partecipava mai alle feste in suo onore e sempre più spesso si recava nel vecchio cimitero di Godic’s Hollow per chiacchierare con i suoi genitori, come se fossero in vita e lui li andasse a trovare a casa, raccontando come andava. Harry ora più che mai sentiva la loro mancanza, l’assenza di un porto solido chiamato famiglia al quale appoggiarsi, dove poter piangere senza doversi vergognare delle lacrime, dove sentirsi protetto, amato senza condizioni. Ron, Ginny, Hermione, tutti i Weasley, Hagrid, lo amavano, ma non avrebbero mai potuto competere con quell’amore che solo i genitori sono in grado di donare. Un amore viscerale e incondizionato.
Harry portava spesso il figlioccio Teddy a passeggiare nei parchi, sperando che almeno lui avrebbe potuto vivere sapendo di poter contare su qualcuno di importante, qualcuno che per lui ci sarebbe sempre stato.
Era un caldo giorno d’agosto e Harry si trovava seduto su un’anonima panchina di uno dei parchi che visitava spesso con il figlio di Lupin, fermo a fissare il cielo sereno, i giardini nel loro impeccabile verde inglese, le famigliole che passavano distratte, felici.
Nauseato da tutta quella visione di allegria Harry stava per alzarsi quando uno strano rumore di fronte a lui lo mise in allerta. Prese la bacchetta dalla tasca aspettando vigile un’imboscata. Pochi secondi dopo il rumore cessò e, davanti ai suoi occhi strabuzzati, si smaterializzò una grande cabina telefonica della polizia, del blu più intenso che il ragazzo avesse mai visto.
Il Prescelto si alzò in piedi, sentendo una serratura girare e pronto a scattare contro il nemico. Dalla porta della cabina uscì un uomo sulla trentina. Indossava una camicia con delle bretelle, un papillon e un paio di pantaloni blu. Ritrovandosi sul marciapiede si guardò intorno prima di notare il ragazzo che lo fissava attentamente.
«Ciao, molto piacere. Sapresti dirmi in che anno siamo? C’è stato un problema durante l’atterraggio».
Harry guardò lo sconosciuto con diffidenza e curiosità allo stesso tempo, c’era qualcosa in lui che emanava sicurezza e dolcezza. L’apparenza inganna si disse mentalmente Harry prima di rivolgersi allo sconosciuto con un tono duro e aspro.
«Chi diavolo sei? Come hai fatto ad apparire dal nulla con quella cabina?» disse con la bacchetta puntata verso il petto dell’uomo.
Lo sconosciuto sorrise «E quel bastoncino cos’è, serve per il sushi?» disse, prendendo dalla tasca dei pantaloni uno strano cacciavite che s’illuminò di luce verde emettendo un rumore metallico e con il quale l’uomo sondò il corpo del ragazzo, per poi avvicinarlo alla testa e leggere qualcosa sul dorso dell’oggetto, visibile solamente a lui.
«Aaah!» esclamò contento l’uomo, facendo sobbalzare di spavento Harry.
«Ma certo, sei un mago! E quella deve essere la tua bacchetta, vero?» disse, scandagliando con l’attrezzo anche la bacchetta magica di Harry.
«Eh già, è proprio una bacchetta magica. 11 pollici, agrifoglio, piuma di Fenice. Sbaglio? Oh no, io non sbaglio mai. Bene, mio giovane mago! Sapresti dirmi in che anno siamo?»
Il Prescelto era sotto shock, chi era quello sconosciuto apparso dal nulla che, con quello strano oggetto aveva capito la sua natura di mago e il nucleo della bacchetta? Era un mago anche lui?
«Non sei un babbano, vero?» chiese il ragazzo allo sconosciuto.
«Babbano?  E cosa vorrebbe dir.. Aah, certo! E’ il modo in cui chiamate i non-maghi, non è così? No, si può dire che non sono un babbano, ma neanche un mago. La mia magia è molto diversa dalla vostra, molto più potente» rispose quello con semplicità
«E cosa sei allora?» domandò Harry che, ormai, non capiva più niente di quella strana conversazione.
«Cosa sono? Chi sono? Semplice, io sono.. il Dottore» rispose quello cercando di avvicinarsi all’orologio di Harry. Il ragazzo però lo strinse e gli puntò la bacchetta alla gola.
«Il Dottore? Ti chiami il Dottore? Cosa vuoi, chi sei, perché sei qui?» disse premendo la punta sempre più nella pelle dell’uomo.
«Calmo ragazzino, non voglio farti niente di male. Mi chiamo il Dottore, il Dottore e basta e, se mi dici in che anno siamo e togli quell’affare dalla mia gola sedendoti su questa bella panchina, forse potrei raccontarti qual cosina in più»
 Il Prescelto, titubante, lo lasciò andare e scivolò sulla panchina. Cosa gli interessava sapere chi era quell’uomo? Se fosse stato pericoloso degli Auror avrebbero già percepito il suo arrivo e lo avrebbero avvisato. E poi, se avesse voluto ucciderlo, tanto meglio, non aveva molto da fare lì.
«Allora Dottore, oggi è il 13 agosto del 2000. Come mai t’interessa tanto?» chiese Harry semplicemente, aveva capito ormai che a fare le domande non era lui, ma quello strano uomo che diceva di chiamarsi Dottore.
«Vedi mio caro..» iniziò l’uomo.
«Harry, mi chiamo Harry» concluse il Bambino Sopravissuto.
«Bene. Vedi mio caro Harry, tu sei un mago, sai bene che esistono cose fuori dal comune e quindi non ti sarà difficile credere a ciò che sto per dirti. Il mio nome è il Dottore, o meglio, ho un vero nome, ma nessuno a parte il sottoscritto lo conosce. Ora, io sono un Signore del Tempo e quella» disse indicando la cabina telefonica «quella bella bambolina sexy è il mio TARDIS, una macchina che viaggia nel tempo, guidata da me ovviamente. Stavo viaggiando verso una galassia distante milioni di anni luce dalla terra ma una tempesta spaziale mi ha portato qui, il mio TARDIS deve essere stato attratto da qualcosa di particolare, da una forza magica straordinaria, una persona speciale. Forse un qualche eroe di guerra, che ha salvato il mondo o robe del genere.. Tu sai chi potrebbe essere? » chiese il Dottore dopo essersi spiegato.
Harry arrossì violentemente, odiava essere al centro dell’attenzione, odiava essere lodato per cose in cui aveva avuto una grandissima dose di fortuna e di buoni amici, odiava dover dare spiegazioni, odiava raccontare la sua storia.
L’uomo notò le sue guance colorate e disse «Non dirmi che questa fantomatica persona è seduta vicino a me!» rise.
Harry lo guardò sbuffando, e si costrinse a dire la verità «Esatto Dottore, ti presento Harry Potter, il Ragazzo che è Sopravvissuto, il Prescelto, il Salvatore. Pff, tutto quello che vorrei è essere un semplice ragazzo, senza questa stupidissima cicatrice in fondo, con due genitori alle spalle, una guerra mai combattuta».
Il Dottore lo osservò attentamente e non ebbe bisogno di usare il suo cacciavite per capire quanto era grande il dolore che quel ragazzo covava dentro da troppo tempo. Gli mise una mano sulle spalle e lo incitò a parlare.
«Ti va di raccontarmi la tua storia, Harry?» gli chiese gentilmente e il ragazzo si sciolse, sentiva, nel profondo, che di quello strano uomo saltato fuori dal nulla poteva fidarsi, sentiva in lui un’aurea di bontà che lo circondava, sentiva che condividevano la stessa, triste, solitudine e così raccontò.
Gli raccontò di Voldemort, delle sue folli idee di conquista del mondo, della prima guerra, di tutti i morti.
 Gli raccontò dei suoi genitori, quelle persone buonissime che avrebbe tanto voluto conoscere e di cui aveva sentito parlare da Remus e Sirius, i loro amici. Gli raccontò dei Malandrini, degli Animagus, del fatto che avevano iniziato a frequentarsi durante il sette anno, di tutto ciò che sapeva su di loro, che gli mancavano come un mutilato avverte la mancanza di un arto. Gli mancavano più di tutto e di tutti e la vendetta non aveva assopito quel bruciante desiderio di vederli, di abbracciarli.
Gli raccontò dei suoi zii, degli anni d’inferno che gli avevano fatto passare e della gioia che aveva provato sapendo di essere un mago.
Gli raccontò degli anni a Hogwarts, gli anni più belli della sua vita nonostante gli innumerevoli incontri con il Signore Oscuro,  della nostalgia che provava per la sua scuola, per non averla potuta godere fino in fondo.
Gli raccontò dei suoi amici Ron e Hermione, della famiglia Weasley, di Hagrid, di Sirius e poi di lei, la ragazza che amava, unico spiraglio di luce in quella sua tristezza, Ginny.
Gli raccontò della sua guerra, quella che aveva vissuto come protagonista e che aveva visto morire tantissime e innocenti persone.
Gli raccontò del senso di vuoto che lo affliggeva, del dolore, della solitudine, della mancanza di voglia di vivere, della depressione.
Gli raccontò tutto, senza mezzi termini, senza finzioni, senza vergogna, senza freni. Gli mise la sua vita in mano e non se ne pentì neanche un istante, perché il Dottore l’aveva ascoltato attentamente, aveva parlato nei momenti in cui la sua voce si incrinava, aveva poggiato la mano sulle sue spalle con discrezione e nei suoi occhi non aveva riscontrato la pietà che accumunava tutti quando raccontava la sua vita, vi aveva trovato consapevolezza e fratellanza, la certezza di sapere che lui sapeva, sapeva cosa si provava a perdere tutto e tutti, sapeva come si ci doveva sentire con quel vuoto sullo stomaco.
Il Dottore lo guardò alla fine del suo discorso.
«Tranquillo Harry, io lo so cosa si prova, lo so bene. Viaggio da 900 anni e ho visto tante di quelle persone morire, tutta la mia razza, la mia famiglia. Ho dovuto lasciare i miei amici, le persone cui mi sono affezionato e girare l’universo da solo, convivendo con la tristezza che tormentava i miei poveri due cuori. Io so cosa si prova» gli disse prima di saltare improvvisamente in piedi, facendolo sobbalzare e tendendogli la mano.
«Ed è per questo amico mio che ti offro un’occasione più unica che rara. Vieni con me, viaggiamo nel tempo e torniamo alla Hogwarts degli anni ‘70, la Hogwarts dei tuoi genitori!» propose entusiasta.
Harry lo guardò perplesso, non gli era piaciuto poi molto viaggiare nel tempo l’ultima volta.
«Ma Dottore, viaggiare nel tempo è pericoloso e qualcuno potrebbe riconoscerci, potremmo distruggere qualcosa. Però.. nello stesso momento.. se Codaliscia morisse i miei genitori potrebbero.. » iniziò a vaneggiare.
L’uomo lo interruppe precipitosamente «Fermo, fermo, fermo! Noi non uccideremo nessuno! Mi dispiace dirti Harry che la morte dei tuoi genitori è un punto fisso della storia, un punto che non può essere cambiato, modificato o alterato altrimenti il tempo si autodistruggerebbe. Io non ti propongo di cambiare la storia, dare una mano alla battaglia o salvare vite, perché non possiamo. Io ti propongo di avere l’opportunità di conoscere i tuoi genitori, diventare loro amico, passare tempo insieme a loro e recuperare quello perso. Ti offro un’occasione che non ricapiterà mai più, ma non posso permetterti di viaggiare con me se il tuo scopo sarà vendicarti» lo ammonì.
Harry lo guardò seriamente negli occhi, cercando di riordinare i suoi pensieri attraverso un filo logico e sensato. Stava davvero per entrare in una cabina telefonica con uno sconosciuto cui aveva raccontato tutta la sua vita per tornare indietro nel tempo e conoscere i suoi genitori  17enni?
Pensò ai suoi amici, alle persone cui sarebbe mancato.
«Quanto staremo via?» chiese al Signore del Tempo.
Lui rise, allargando le braccia «Tutto il tempo che vuoi! Giorni, mesi, anni. Eppure anche se passassimo decenni nel passato io potrei riportarti esattamente in questo parco, durante il 13 Agosto del 2000. Allora, ci stai?»
Il Prescelto ascoltò rapito e sorrise.
«Partiamo».
 
 
 






 
Betabi’s corner
Salve! Si, si, si, lo so che avrei dovuto aggiornare anche un’altra long ma non mi sentivo più ispirata mentre questa che ho appena iniziato trabocca di idee  che la mia testolina sta fabbricando celermente.
Che dire? Amo Doctor Who, amo Harry Potter, amo scrivere. Cosa fare di meglio durante l’estate se non scrivere una bella long sulle mie passioni? L'idea per questa fan fiction mi è arrivata vedendo un post di una ragazza su tumblr

(http://jamespotterstolemyknickers.tumblr.com/post/54265476607/au-when-harry-continues-to-doubt-his-parents). Tranquilli se non conoscete il Dottore, cercherò di spiegarvi tutto passo passo, raccontandovi un po’ anche la sua storia (non pensate che io sia tutto questo pozzo di scienza per quanto riguarda Doctor Who, lo seguo da pochissimo).
Spero di avervi incuriosito almeno un po’ e, tranquilli, aggiornerò o cercherò di aggiornare presto, almeno una volta alla settimana. Per qualsiasi chiarimento o curiosità, non aspettata altro e chiedete, mi fa sempre piacere sapere quello che pensate.
Detto questo ringrazio chi passerà a leggere, a lasciare una recensione o altro, mi renderete davvero felice!
Salut.

 
  
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