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Autore: Queen of Superficial    04/07/2013    9 recensioni
«La maglia dei Kasabian, le camere da letto comunicanti con il tubo dei pompieri, la terra sotto i nostri piedi che sembrava assecondare i nostri passi ogni volta che ci muovevamo per incontrarci. Vicini, eterni, imbattibili.
Poi, la vita.
La vita spesso ha un modo suo di rivelarti le cose. Non te le dispiega davanti come un elenco, una certezza, non te le sottolinea in rosso tre volte per fartele identificare come importanti. No. Le insinua. Silenziosamente. Inesorabilmente. Piccole biglie che si incollano l'una all'altra per creare un disegno, filtrare una luce. Ti rendono edotto di quale sia la realtà, e ti dicono che non importa se quelle che hai vissuto fossero solo illusioni, purché siano state belle.»

Sequel di "Niente virgolette nel titolo". Perché? Lo sa Dio.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breve storia della Caravella Portoghese,
ovvero
“pensavo fosse una medusa, e invece era un calesse.”

 

La Caravella Portoghese è un sifonoforo della famiglia delle Physalidae.
Viene spesso confusa con una medusa, sebbene sia una colonia di 4 tipi diversi di polipi la cui sopravvivenza è possibile solo a condizione che essi restino, tassativamente, insieme.

 

------------------------------------------------------------

 

 

Colombo non ha scoperto l'America;
l'ha trovata per caso, mentre cercava qualcos'altro.”
(Io, alle 7.44 di mattina al portiere)

 

 

When there's nothing left to burn,
you've got to set yourself on fire.

 

 

La punta di un lungo bastone da passeggio in noce scavava piccoli cerchi concentrici nel terreno soffice del parco.
“Non so come mi abbiate persuaso a venire qui oggi, ma una cosa è indubbia: il clima di Londra è un omicidio premeditato al mio equilibrio psicofisico.”
Un silenzio accompagnato dai grilli e dalle fronde mosse dal vento si posò tra i presenti.
“Non riesco a camminare, in questo terriccio umido di pioggia e bava di lumaca.”
“Come la fai lunga... - intervenne una voce femminile – siamo venuti qui a prendere un po' d'aria.”
L'uomo si voltò verso l'interlocutrice, aggrottando le sopracciglia.
Una lingua di sole scintillò vivace sul monocolo che portava all'occhio destro.
“Sono abbastanza certo che ci sia aria anche fuori da Holland Park, Juniper.”
Longilinea come sempre, meno ragazzina negli abiti, e i capelli non più bianchi come il latte, Juniper Morrissey osservava un po' il vecchio amico e un po' le anatre nel laghetto appoggiata al tronco di un pino. Onde spettinate biondo grano le sfioravano le scapole.
Fleur sollevò il naso verso il cielo per intercettare la direzione di uno stormo di uccelli che vedeva poco e male.
Tutto, nell'aria di Londra, tintinnava di primavera.
Mariti, mogli, chitarre, nipoti, ricordi, canzoni, capitoli, articoli, alberi di Natale, bottiglie di birra, piogge e foglie di tè.
Una vecchia signora spingeva un passeggino verso di loro; al suo interno, si agitava un bambino paffuto con in mano una quantità di oggetti che producevano un suono assordante.
La signora e il carico si fermarono davanti a Juniper, che venne additata da un indice paffuto, e quindi annunciata: “Bissi.”
“Bliss!”
Da lontano, di corsa, scandendo meglio del bambino, qualcuno arrivava.
I capelli sempre neri, portati lunghi, che si agitavano nel vento gentile. Un maglione troppo grande, i passi che affondavano tra l'erba.
Bliss sollevò la testa e incrociò due occhi gialli, suoi vecchissimi amici, così come lo erano il viso nel quale erano contenuti e tutto ciò che lo circondava.
Ria si fermò a prendere in braccio Bingham, che le afferrò due ciocche di capelli e le tirò come i cordoni di una campana.
Liberandosi gentilmente dalla morsa d'acciaio dell'infante, guardò i propri amici:
“Avete visto Matt?”
“No.”
“Avete visto Fiorellino?”
“No.”
“Che avete visto?”
“Le anatre.”
Le anatre.
Era stata ad Huntington Beach per quasi due anni. C'erano le anatre anche lì, ma Los Angeles non le piaceva. L'unica cosa che aveva, in America, era la sua famiglia. Tutto il resto, quasi ogni altro pezzo di quell'immaginifico puzzle che era e sempre sarebbe stato la sua anima, risiedeva ancora a Londra.
“Questo bambino è veramente brutto.”
“Bliss...”
“No, dico sul serio. Brutto proprio. Però è simpatico. Magari crescendo diventerà, non so, un tipo.”
Bliss sollevò Bingham con una certa circospezione.
“Brutto forte.”, sentenziò, dopo averlo esaminato. Poi se lo mise sotto il braccio come un salame. Bingham rise, e si agitò leggermente. Bliss, dal canto suo, gli poggiò una mano in testa con fare paternalistico.
“Bisognerà insegnargli a suonare qualcosa o morirà vergine.”
Il piccolo allungò una manina paffuta e strinse forte il pugno intorno al preziosissimo noce da passeggio di Fleur.
“Creatura, lascia il bastone.”
La creatura sputacchiò aggrottando le sopracciglia.
Fleur, sempre più preoccupato, tentò di strattonare leggermente il bastone verso di sé, ma Bingham non era di questo avviso.
“Ria, rimuovilo.”
Ria, voltandosi a cercare con lo sguardo qualcun altro, cercò distrattamente di liberare il bastone dalla presa delle piccole dita. Il bambino era forte.
“Senti”, disse Fleur a Bingham, tentando l'approccio discorsivo.
“Stiamo facendo un picnic?”
“Oh, Matthew, grazie a Dio.”
“Bing, lascia il bastone dello zio Gregory.”
Lo zio Gregory, ostaggio di un improvviso tic all'occhio, stirò un sorriso innervosito.
Bingham mollò la presa e agitò le braccine verso suo padre, che lo prese in braccio e gli poggiò il mento sulla testa.
“Ti somiglia.”, affermò Bliss, sorridendo giuliva.
Ria le rifilò un'occhiataccia.
Avreste dovuto, o magari voluto, esserci; particelle nell'aria, merli in osservazione, insomma, comunque testimoni di quanto stava accadendo.
Non si erano più rivisti tutti insieme dalla festa di laurea di Ria, e quelli tra loro che si erano rivisti, si erano rivisti poco e male.
Erano come tazzine di porcellana invulnerabili al tempo.
Non un dettaglio dell'antica chimica che li legava era andato perso, non una virgola, un momento di silenzio imbarazzante, un'esitazione nella voce, un sorriso di circostanza.
“Vi odio.”, sentenziò Fleur, appoggiandosi al tronco di un sicomoro con la sigaretta tra le labbra.
“Vi odio”, ripetè mentre l'accendeva, “voi e i vostri volti, e i vostri anni, e tutti i ricordi che mi stanno soffocando di malinconia.”
“Hai rotto la minchia, Fleur.”, soggiunse Bliss, poetica, aggrappata allo stesso tronco ma dall'altra parte.
“Non sono ricordi. Sono parti. Parti di noi.”, disse invece Ria, con un sorriso.
Dominic, Chris, Fiorellino e tre vassoi da asporto che fumavano di cappuccino spinsero gli sguardi a rivolgersi verso est.
Ria si fece vicina a Matt, approfittando della distribuzione delle tazze.
“Penso che abbiamo bisogno di un momento.”
“Sì”, disse Matt, dimenticando uno sguardo negli occhi di Ria.
E, insieme, si avviarono verso il lago.

 

This scar is a flack on my porcelain skin
you tried to reach deeper, but couldn't get in
now you're outside me
you see all the beauty
repent all your sins

 

L'acqua del lago si avvicinava e io facevo la conta delle mancanze.
“Alla fine avevi ragione tu. Ci è esploso tutto tra le mani.”
Aveva ragione Pluggie, più che altro, pensai.

Non innamoratevi mai di una rockstar. Spaccano i cuori come spaccano le chitarre.
Qui non c'erano neanche gli estremi per capire chi avesse spezzato il cuore a chi.
Che poi, spaccare non è spezzare. E' qualcosa di più.
Spezzare è un gesto unico, secco; spaccare, invece, è ben più confusionario. Ci vuole un impeto di rabbia, per spaccare qualcosa. Un momento in cui colpire alla cieca, ancora e ancora. Spezzare, in un certo senso, è più elegante.
“Ti ho spaccato il cuore?”
Il silenzio rispose alla mia domanda al posto suo.
Uno stormo di uccelli fece vibrare le fronde di un albero prima di librarsi in volo sopra le nostre testa.
“Io ho fatto lo stesso a te.”, disse infine.
Stava invecchiando, ce lo aveva negli occhi.
Adesso era un padre. Un uomo.
Chris era l'unica persona che potesse far risultare credibile il connubio di padre e rockstar, ma mi era ben chiaro il perché. Era un po' sempre stato l'uno e l'altro, non si era dovuto arrabattare per cucirsi addosso un altro ruolo, cercando di starci dentro il meno scomodo possibile.
“Dunque, viviamo ancora.”
Matt scoppiò a ridere.
“Ria, baby. Vedo che continuo a non essere del tutto certo di afferrare il senso di quello che dici.”
Gli sorrisi.
“E la cosa ti rassicura, in qualche modo?”
Guardò davanti a sé, poi me. “Beh. Sì.”
“Intendevo, comunque, che mi riusciva difficile immaginare una vita senza te. Mi riusciva difficile prima di incontrarti, dopo averti incontrato, nel momento esatto in cui tutto finiva tra noi, e anche dopo, quando ero con Jimmy, ad Huntington Beach, e la stavo già vivendo, quella vita. Ho passato lunghi pomeriggi dentro un divano enorme, con le gambe sulle ginocchia di Synyster, a costruire complicati algoritmi per decifrare messaggi nascosti in vecchi libri scritti in Early Modern English, a sfornare torte, e nella sera più rigida che abbiamo avuto in questi anni tutto ciò che mi è servito è stato un golfino.”
Rise.
“Inaudito.”
“Lo è.”
Mi sedetti in silenzio sull'erba e mi accesi una sigaretta. Lui prese posto accanto a me, e per un po' si lasciò guardare.
Più vecchio. Più preoccupato. Meno Manson e più biberon. Niente droghe, neanche leggere. Cercava di sorridere, e io cercavo di immaginarmelo. In due anni, niente. Neanche gli auguri di Natale. Solo, le rose al compleanno. Senza biglietto. Non sapevo neanche se fossero davvero le sue, ma mi piaceva pensarlo.
Io non avevo più maglie delle band, portavo lunghi maglioni, jeans e ballerine. Mi soffiavo sulle mani dallo smalto rosa neutro per combattere il freddo. Raramente qualcuno che non fosse Jimmy vedeva i miei tatuaggi. Il contrasto che facevo con lui, invece, ancora pieno di tatuaggi e ancora pieno di magliette di Nancy Sinatra, faceva sorridere, a Los Angeles.
Ma eravamo a casa, qui. Nel vecchio continente. Non c'erano abbastanza mandarini, bambini chiassosi e persone che parlavano una distorta lingua vagamente simile all'inglese.
“Sarei dovuta restare a Londra.”
“Saresti dovuta restare con me.”
Mi voltai meccanicamente verso di lui.
“Sei sempre bellissima. La più bella che io abbia mai visto. Anche se hai l'aria più seria, sei sempre uguale. Sempre Ria.”
“Non mi avresti mai sposata.”
Matt tirò a lungo dalla sigaretta, e guardò il nulla davanti a sè.
“Certo che lo avrei fatto.”
Sospirai.
“Certo è che, quando potevi, non l'hai fatto.”
Si alzò in piedi all'improvviso, e un vento più forte dei precedenti si impadronì delle foglie intorno a noi.
“D'accordo.”, disse, tendendomi una mano, “Partiamo.”
Risi.
“Sono serio. Partiamo. Io e te.”
Annuii, divertita.
“E dove andiamo?”
“Dove vuoi. In Irlanda.”
“In Irlanda?”
“In Irlanda. O molto più lontano, se preferisci.”
“Ok, allora Wellington.”
“Nuova Zelanda?”
“Sì.”
“Sei sicura?”
“Lo sono sempre.”
Mentivo.
Lo guardai, in silenzio, prendere il telefono, comporre un numero e dare alcune concitate informazioni all'interlocutore. Poi, si allontanò.
Ne approfittai per accendermi un'altra sigaretta. Stava scherzando? Certo che stava scherzando. Io non potevo portare via il padre a una creatura, il marito a un'altra. E non potevo andarmene senza dire una parola a Jimmy. Ma non potevo neanche andarmene dicendoglielo, lo avrei con ogni probabilità trovato in aeroporto a braccia conserte con un'ascia bifronte infilata in ciascun lato della cintura.
Tornò, spavaldo.
“Tutto risolto.”
“Non verrò a letto con te.”
“Non ricordo di avertelo chiesto. Partiamo tra cinque ore.”
“Non verrò a letto con te.”
“Mi senti?”
Chiusi gli occhi. Li riaprii.
“Va bene”, dissi, “cosa diciamo a quelli di là?”
Sorrise.
“Niente.”

 

Bliss ci mise 26 minuti esatti a tornare indietro.
Aveva battuto e ribattuto il perimetro nel quale contava di trovare Matt e Ria in atteggiamenti impropri, redarguirli brevemente, e infine riportarli alla civiltà e al socialmente appropriato.
Il discorso che si era preparata era un breve saggio sulle responsabilità, sulle occasioni, sul dovere di crescere e fare i conti sulle proprie scelte.
Un po' retorico, ma tutto sommato molto bello.
Peccato solo che non c'era alcuna traccia né di Matt né di Ria; volendo, avrebbe potuto fare la ramanzina alle anatre. Così, per non sprecarla.
Ci pensò su, poi decise di no.
Ora, vedeva lo sguardo interrogativo di Dominic perforarle la fronte in lontananza.
Non si aspettavano che tornasse da sola.
Forse, avrebbe fatto meglio a non tornare affatto.
Si fermò al centro del piccolo gruppo di persone, avvolte da un silenzio sibillino.
“Dunque.”, disse.
Poi, più nulla.


Mi battevo il passaporto sulla gamba destra, freneticamente, mentre la fila per l'imbarco si assottigliava davanti ai nostri occhi.
Mio Dio, mio Dio, mio Dio, mi ricordo di aver pensato, ma tanto Dio a me non risponde mai, e quella volta non fece eccezione.
“Che te ne pare?”, mi chiese Matt.
“Un'enorme stronzata che potrebbe mettere a repentaglio il resto delle nostre vite”, era la risposta esatta.
Non dissi questo.
Dissi: “Beh.”, ma mi piace pensare di averlo sottinteso.
Una hostess cortese ci restituì le carte d'imbarco. Avrei potuto mangiare la mia e fuggire.
Non lo feci.

 

Doesn't that sound peculiar,
doesn't that hit too close to home,
doesn't that make you shiver,
the way things could have gone?

 

Cantavi.”
“Come?”
“Stavi cantando nella doccia.”
Intorno a me si dispiegava un cottage di campagna nel cuore della Nuova Zelanda, verso Wellington. L'alba dorata accendeva le finestre, e il mio cellulare, spento, mi fissava con aria di accusa dal tavolino di vetro a un lato del salotto.
Matt aveva un drink in mano ed era sul divano, leggeva qualcosa.
“Cosa cantavo?”
Abbassò il plico per lanciarmi uno sguardo carico di malizia.
“Knights of Cydonia.”
Ricordai.
“Oh, sì.”
“Ti cantavi anche la base. Da sola.”
“Mi è sempre piaciuta quella canzone.”
Sorrise.
“Anche a me.”
Avevo un asciugamano intorno al corpo, e nessuna intenzione di toglierlo dove il suo sguardo potesse raggiungermi.
“Hai acceso il telefono, per caso?”, gli chiesi dalla camera da letto.
“No.”
La risposta mi giunse molto più da vicino di dove avevo preventivato.
Se ne stava lì, sulla porta, a fissarmi impassibile a braccia conserte, con un vecchio brillio negli occhi chiari.
Mi infilai una maglia.
“Sentirti cantare mi ha riportato alla mente un matrimonio.”
“Non certo il nostro.”
Gli sorrisi, sardonica, mentre lo sorpassavo per riguadagnare il salotto. Mi rispose con un sorriso identico.
“Quello di Tom. Quello in cui cantasti
Hold the line con le bambine.”
“Già”, convenni, accendendomi una sigaretta, “le bambine.”
“Le mie bambine.”, aggiunse Matt.
“Le tue bambine, sì.”
“Come stanno?”
“Stanno bene. Trillow, Evey Zonk e un altro paio di loro hanno aperto una casa discografica. Vanno a caccia di nuovi talenti.”
“Forse ne ho sentito parlare. Come si chiama?”
Hold the line records.
Rise.
“Sì. Ne ho sentito parlare.”
Mi acciambellai sul divano, meditando sull'aurora.
“Ti mancano mai, quei tempi?”, mi chiese a bruciapelo, sedendosi accanto a me. Lasciai che mi prendesse le gambe e le poggiasse sulle sue ginocchia, in silenzio, tacendo il parallelo forse non casuale con quel che gli avevo raccontato delle mie abitudini di Huntington Beach che includevano Synyster, le gambe e i divani.
“No”, risposi infine, “Mi manco io com'ero a quei tempi, ogni tanto.”
“Eri bella.”
“Ero fuori di testa.”
“Per questo eri bella.”
“Avrei dovuto sposare te.”
“Ma non era me che amavi.”
“No, non è vero. Ti amavo. Certo, che ti amavo. Solo che nella vita è difficile non dare la giusta importanza alle precedenze.”
Sospirò.
“Certo. Jimmy.”
Oddio. Jimmy. Povero Jimmy, povero Jimmy.
“Come sta?”
“Povero Jimmy.”
“Ne ero molto geloso, ti ricordi? E a quanto pare ne avevo motivo. Altroché.”
“Era ancora mio cugino, a quei tempi.”
“Il primo caso di parentela deperibile noto alla storia.”
Mi voltai a guardarlo.
“A volte penso che lo abbiamo sempre saputo tutti.”
“Saputo cosa?”
“Tutto. La verità su me e Jimmy. Come sarebbe andata a finire tra noi.”
Mi sorrise. “E' comodo pensarla così, bambina.”
Alzai le sopracciglia. “Forse hai ragione.”
“Ce l'ho sempre.”

 

Per favore, Bliss, definiscimi ancora 'sparita'.”
Bliss sbuffava a intervalli regolari attaccata al telefono. Poco lontano da lei, a Morgue Place, Dominic subiva la stessa sorte.

“Niente, Jimmy. Sparita vuol dire sparita. - FLEUR! Tirami giù il vocabolario dallo scaffale a sinistra, ti spiace? - Aspetta, ora ti leggo la definizione precisa del Collins, così la smetti di ripeterlo come un disco rotto.”
Ma Jimmy non ritenne di dover ricevere altre spiegazioni di carattere etimologico.
“Sto arrivando.”, disse.
Lei attaccò il telefono e lo scagliò sul divano; l'apparecchio rimbalzò, e finì dritto contro le sbarre della gabbietta della pronipote del criceto Lucrezia Borgia, Caterina La Grande.
“Hai ammazzato il criceto.”, comunicò Fleur, gettando un'occhiata analitica all'animale che giaceva a petto all'aria in mezzo alla ghiaietta.
“No, è solo svenuto.”
Fleur indirizzò gli occhi ad angolo acuto verso l'amica.
“I criceti non svengono.”
“Questo sì.”
L'uomo si rimise in posizione eretta aggiustandosi il monocolo. “Pure i criceti particolari.”, commentò tra sé e sé.
“Allora”, disse Dominic, passandosi una mano tra i capelli visibilmente provato, “Ria non si trova. Matt non si trova. Quindi, devono essere da qualche parte che noi non sappiamo. Insieme.”
“Complimenti, Sherlock.”, commentò Bliss, versandosi il quinto Sheridan.
Un silenzio sinistro calò nella sala.
“Beh”, disse Fiorellino, “Io porto il bambino con me, a casa. Ho anche i miei che devono dormire. Mi fate sapere di quei due mentecatti appena avete notizie, per favore.”
Non addusse punti interrogativi alla frase.
“Che ha detto Kate?”, domandò Bliss, sul tonfo di chiusura della porta d'ingresso che vide sparire la famiglia Wolstenholme dal campo di battaglia.
Dominic si strofinò gli occhi come uno che ha la seria intenzione di cavarseli.
“Cosa vuoi che mi abbia detto? E' a Los Angeles a girare un film. Mi ha detto”, si schiarì la voce per raggiungere un tono particolarmente acuto, “siamo tutti adulti e responsabili e in grado di affrontare le conseguenze delle nostre scelte. Tornerà, torna sempre. Mando mia madre a prendere il bambino da Kelly.”
“Chi è Kelly?”
“Fiorellino.”
“Ah.”
Silenzio.

“Gli hai detto che era con Ria?”
Dominic la guardò intensamente.
“Non ci ho pensato nemmeno per un secondo.”
Bliss annuì. “Saggia decisione.”
A quel punto, Dominic congiunse alcuni neuroni ed ebbe un fremito lungo la schiena.
“Non avrai mica detto a Jimmy che Ria è con Matt?”
“Mi prendi per cogliona?”

 


Più tardi, a 8774 chilometri di distanza

 

Le solite interminabili file agli sportelli degli aeroporti.
Due persone si scrutavano, a intervalli regolari, in perfetto stile film-di-Hugh-Grant.
Lui alza gli occhi, lei li abbassa.
Lei lo guarda, con circospezione, ogni volta che crede di poterlo fare senza che lui se ne accorga.
Lui ricambia, e ogni tanto i loro sguardi si incrociano, inopinatamente.
Lei si accorge, anche da lontano, che lui praticamente fuma amaro per quanto è agitato.
Lui batte il piede a terra e incrocia le braccia, stizzito. Poi fa grandi respiri e guarda di nuovo il cellulare.
Lei, che è una donna pragmatica, salta mezza fila per avvicinarglisi.
“Mi scusi, la conosco?”
“Prego?”, domandò lui, confuso.
Ma è una confusione che dura solo un attimo.
“Ah! Lei è Jimmy, Jimmy Sullivan. Il compagno di Ria!”
Jimmy si sistemò gli occhiali sul naso e diede un'occhiata più da vicino alla sua interlocutrice.
“Kate? La moglie di Matthew?”
Kate sorrise radiosa.
“Ho sentito molto parlare di lei.”
“Sì, anch'io, ma ti prego, dammi del tu.”, disse Jimmy, stringendole la mano.
“Vai anche tu a Londra?”, domandò Kate, continuando a sorridere.
“Eh, sì.”, disse Jimmy.
Kate si profuse in una smorfia buffa ma adorabile.
“Beh, spero per motivi più piacevoli dei miei.”
Jimmy sentì una strana vibrazione nell'aria. Cos'era? Ah, sì. Odore di guai.
“Che è successo?”, domandò, greve, con un mezzo sospetto inespresso nell'inconscio che ancora la sua mente non riusciva a cogliere.
“Eh, mi ha chiamato Dominic, sai, il batterista...”
“Beh, 'batterista'...”, commentò lui a mezza voce.
“...mio marito è un tipo un po' bizzarro, sai, sempre sulle sue, con le sue teorie assurde e... mah, per fartela breve, è sparito.”
Un fulmine si abbatté al di fuori del Los Angeles International Airport. La temperatura nell'open space calò drasticamente di alcuni gradi. La hostess, che stava chiamando con cortesia i due conversanti per invitarli ad avvicinarsi al banco, tacque per qualche momento.
Kate guardò Jimmy, interrogativa.
Jimmy guardò il nulla, ardendo di sacro sdegno, poi, molto lentamente, si girò verso Kate sorridendo come se avesse appena impiccato quattro bambini a un faggio.
“Questa sì che è una coincidenza. Perché ho ricevuto una telefonata anche io.”
Si fissarono, in silenzio.
“E' sparita anche Ria.”

 

Mi riscossi come da un brivido.
“Che succede?”, mi chiese Matt, premuroso.
Il bollitore fischiava sul fuoco e lui stava fallendo clamorosamente qualche esperimento culinario. Nell'aria c'era profumo di pomodoro e bruciato.
“Niente. Per un momento ho avuto una strana sensazione. Tipo un presentimento.”
Uscì in salotto, chiudendo velocemente la porta della cucina per evitare che la sala fosse invasa dal fumo dei fornelli.
“Brutto?”
“Chi lo sa.”
Qualche attimo dopo, una musica lieve mi accarezzò le orecchie.
“Non sapevo ti piacesse Elton John.”
“Infatti. Piace a te, però.”
Lo stereo suonava
Can you feel the love tonight.
Mi tese una mano, per ballare.
La presi.

 

Save tonight, and fight the break of dawn
come tomorrow, tomorrow I'll be gone.
(Eagle Eye Cherry, Save tonight)

 

 

La sera a Morgue Place prometteva maretta.
“Come pensavi di nasconderglielo, Juniper?”
Bliss si tormentava il pollice con i denti mentre Fleur la guardava accigliato; tutti e due volsero lo sguardo alla porta finestra, al di fuori della quale si alzava una grigia nube di fumo da cui ogni tanto spuntava Jimmy, gli occhi inchiodati al telefono, le mani che passavano e ripassavano dai capelli alla nuca.
Finalmente, entrò.
“Come ha potuto farmi questo?”
Bliss abbassò le braccia in un gesto di esasperazione.
“Come puoi pensare che farà qualcosa che possa davvero ferirti? Davvero?”
Jimmy la guardò.
“Bliss. Lo ha già fatto. E' chissà dove, con il suo ex. Il suo amatissimo ex. Quello che le ha cambiato la vita. Che l'ha cambiata a tutti, qui dentro.”
“Non è stato lui a cambiarla, ma loro due insieme. Ria ha lasciato ogni cosa per te. La sua amata Londra, i suoi amati amici, e un'infinità di cose che amava molto più di Matt.”
Jimmy scosse la testa.
“Proprio tu, fra tutti, dovresti conoscerla abbastanza bene da sapere che non c'era niente che amasse più di Matt, Bliss.”
“Sì, a dire il vero una cosa c'era.”
Gli si fece vicina, e lo guardò ferma.
“Te.”

 

There's one thing I want to say,
so I'll be brave
you were what I wanted
I gave what I gave
I'm not sorry I met you
I'm not sorry it's over
I'm not sorry there's nothing to save.

 

Non mi hai raccontato poi com'è andata, con Jimmy.”
“Come sempre. Con qualche piccola variazione.”
Lo sguardo di Matt saettò verso di me.
“Definisci
qualche piccola variazione.”
“Vuoi davvero parlarne?”
Tacque un momento.
“No, a dire il vero no.”
“Altro vino.”
“Sì, altro vino.”
Eravamo sotto una coperta, fuori la notte era tranquilla e stellata, e in televisione c'era un vecchio film con Vivien Leigh.
“Ma come ti è venuto in mente di lasciare Londra?”
Sospirai forte, e una morsa mi strinse lo stomaco.
Un ricordo, come uno schiaffo in pieno volto, e poi un altro, e un altro, e un altro ancora. Il mio fuoristrada nero, la sera del concerto a Parigi, una notte in terrazza, il giorno in cui ho creduto che morisse, ma non era morto, perché lui non poteva morire come tutti gli altri. Una fuga in tour, rose rosse sulle lenzuola e ridicoli cappelli a tesa larga. Tutti i progetti, le circostanze, le coincidenze, i ritardi, le attese, i bicchieri di whiskey, mio padre, i giorni in cui immaginavamo un figlio, una vita insieme, e poi le separazioni, le lettere, gli addii, e i ritorni, quelli sì, che avevano qualcosa che si piantava dentro come una lama dentro una scure.
Avvicinai il viso al suo, incerta.
La maglia dei Kasabian, le camere da letto comunicanti con il tubo dei pompieri, la terra sotto i nostri piedi che sembrava assecondare i nostri passi ogni volta che ci muovevamo per incontrarci. Vicini, eterni, imbattibili.
Poi, la vita.
La vita spesso ha un modo suo di rivelarti le cose. Non te le dispiega davanti come un elenco, una certezza, non te le sottolinea in rosso tre volte per fartele identificare come importanti. No. Le insinua. Silenziosamente. Inesorabilmente. Piccole biglie che si incollano l'una all'altra per creare un disegno, filtrare una luce. Ti rendono edotto di quale sia la realtà, e ti dicono che non importa se quelle che hai vissuto fossero solo illusioni, purché siano state belle.

Belle illusioni.”, sussurrai a mezza voce.
I suoi occhi di nuovo nei miei, con una dolcezza antica che non mi apparteneva più. Ria, pragmatica e affondata nello sconforto di giorni che uno dopo l'altro si susseguivano all'ombra di una vita che sarebbe stata la sua, se fosse stata diversa... Un po' più illusoria, meno oggettiva. Ria che avrebbe barattato il sole di Los Angeles per la pioggia di Londra senza pensarci un momento. Perché a volte neanche l'amore può tanto, sapete. Può rendere sopportabile qualunque inferno, ma non rendere le fiamme meno calde o l'aria meno soffocante. Lo sappiamo tutti che sopportare quasi mai è vivere.
Appoggiai la punta delle dita sul suo zigomo. Jimmy non aveva spigoli nel viso, e neanche nell'anima. La sua era un'anima di un altro tipo. Di un respiro infinito, immensamente più grande di qualunque altra anima io conoscessi.
Ma Matt, e i suoi spigoli, così familiari, che si incastravano così perfettamente dentro la materia soffice e filosofica di cui ero fatta io.
“Questo è sbagliato”, dissi, poggiando la mia mano sulla sua, che accarezzava la mia gamba mentre il suo viso respirava il mio.
E appena lo dissi suonò fuori luogo. Avevamo fatto solo sbagli, per tutto il tempo che eravamo stati insieme, e gli sbagli ci avevano portato una felicità immensa. Delirante.
Fu sbagliato lasciare che la sua mano mi accarezzasse. Fu sbagliato baciarlo, ancora e ancora. Fu sbagliato l'odore delle lenzuola e poi il suo, e le mani che si intrecciavano, e i soffitti che si scorgevano tra le righe, quando qualche ricordo dolce allentava la tensione, quella notte. Fu sbagliato il cielo che trovammo fuori, la mattina dopo.
L'unica cosa giusta fu, guarda caso, la meno piacevole. Quella che non mi diede alcuna felicità.
Riaccesi il telefono.


“Squilla”
La testa di Fleur si alzò dal libro e quella di Bliss dal cuscino del divano.

 

E' Jimmy.”
Matt mi guardò, infilandosi una maglia.
“Rispondi.”
Abbassai il braccio che reggeva il telefono.
“Matt...”
“Io ho un figlio e tu una vita. Rispondi.”, disse.
Il limone era amaro, ma disinfettante.
Chiusi gli occhi.
Li riaprii.
“Pronto.”

 

Ria! Dove sei?”
“A Wellington.”
“A Wellington? Per Dio.”
Silenzio.
“Mandami l'indirizzo. Vengo a prenderti.”

 

Poggiai il cellulare.
“Sta venendo qui.”
Matt sorrise.
“E' proprio da lui.”, disse.
Gli andai incontro, prendendogli le mani con le mie.
“E' stato bello.”
“Lo è stato.”
Infilai un maglione in valigia, mentre lui infilava la porta.
“E' meglio che non mi trovi qui, quando arriva.”, disse.
Ma non stava scappando.
“Matt?”, dissi, voltandomi verso di lui.
Si girò verso di me, abbassandosi leggermente gli occhiali da sole.
“Dimmi, bambina.”
“E' finita?”
Sorrise.
“Chi può dirlo.”
La porta si chiuse con un tonfo, e io restai a guardarla, con un sorriso, una sigaretta in mano e il cuore un po' da tutte le parti.


“Vengo con te.”
“Non è necessario.”
Bliss guardò Jimmy. Con lei, Fleur e Dominic si tormentavano le idee. Heathrow non era mai stato così tranquillo.
Lui li guardò tutti.
“Vado a riprenderla io.”

 

Il campanello suonò.
“E' aperto.”, dissi.
Avevo passato una giornata a fare e disfare ragionamenti che facevano acqua da tutte le parti, anche per il solo fatto che erano i miei.
Ero pervasa da una strana calma che stonava molto con tutte le cazzate che ero riuscita a fare in quattro giorni; un numero decisamente alto, considerato il breve lasso di tempo.
Facendo zapping, avevo trovato L'Avvocato del Diavolo. Vanità, il suo peccato preferito. Poi ero uscita un po' a guardare le pecore.
Poi ero rientrata in casa, e mi ero messa a rifletterci sopra. Animali molto educati. Mentre rimuginavo sugli ovini, avevo risolto di trasferirmi a Londra. Anzi sì. Anzi no. Anzi sì. Anzi no. Eccetera.
Jimmy aprì la porta con una mano, e mi guardò al di sopra degli occhiali da sole.
“Allora?”, disse.
Solo questo.
Allora.
Improvvisamente, mi ricordai perché a un certo punto avevo deciso di passare buona parte della mia vita con lui.
“Perdonami.”
Si tolse gli occhiali da sole.
“Perdònati.”, disse, “Poi ti perdono io.”
“Non sei arrabbiato?”
“Ne ho motivo?”, disse, gettando un borsone in un angolo e togliendosi la giacca. “Ci sei stata a letto?”
“Che intendi con
a letto?”
Si voltò a guardarmi.
“Ria. Fai la bimba grande.”
Aveva un'infinita pazienza, con me. Un'infinita, infinita pazienza. Un nodo caldo mi si sciolse nel petto.
“No, certo che no.”, dissi. Ed era vero.
“Allora non sono
proprio incazzato. Sono solo moderatamente disturbato.”
Mi avvicinai di poco.
“Quanto moderatamente?”
Sembrò pensarci su, e rimase fermo dov'era.
“Diciamo abbastanza. Avresti potuto dirmelo.”
Feci qualche altro passo di lato con le mani giunte dietro la schiena, guardandolo. Avevo gli occhi che sorridevano, lo so.
“Mi avresti lasciata andare?”
“Ovviamente no.”
Aprii la bocca per rispondere, ma poi la richiusi.
“Ma almeno avrei avuto voce in capitolo. Diamine, Ria, hai fatto tutto tu. Abbiamo saputo che non eravamo poi così tanto parenti, e tu hai immediatamente capovolto la questione dicendo che eravamo destinati a stare insieme. Io non ero pronto, e tu lo sai. Però non ti ho delusa. Mi aveva effettivamente sfiorato il dubbio che dirti che non me la sentivo, così, subito, di cambiare in maniera radicale tutto quello che avevamo, ma ti avrebbe ferita e non l'ho fatto. Come ringraziamento, mi chiama Bliss per dirmi che sei sparita. E che fossi sparita insieme a lui l'ho dovuto sapere incontrando accidentalmente sua moglie in aeroporto. Negli ultimi quattro giorni ho girato tre continenti, solo per trovarti. Quindi, sì. Sono moderatamente disturbato.”
Guardai a terra.
“Vieni qui.”, disse.
Corsi tra le sue braccia.
“Adesso ripeti con me: Jimmy mi ama e non devo farlo morire prima del tempo.”
“Anche io ti amo.”
“Non ti ho sentito.”
“Jimmy mi ama e non devo farlo morire prima del tempo.”
“Ok. Adesso puoi dirlo.”
“Anche io ti amo.”
“Molto meglio. E non farlo mai più. Non sapevo dove fossi e se stessi bene.”
Lo guardai, appoggiando il mento sul suo petto.
“Puoi smetterla di essere così comprensivo? Potresti arrabbiarti e basta?”
Sorrise.
“Ti piacerebbe.”

 

 

E' viva? Ha tutte e due le gambe? E le braccia?”
“Sì, Bliss, sta bene.”
“L'hai uccisa? Io l'avrei uccisa.”
“Sai che non ne sono capace.”
“Me ne rallegro.”
“Torniamo tra un paio di giorni.”
“Fate con calma.”
Bliss chiuse il telefono e si voltò verso Fleur.
“Lo sa il Padreterno se pensavo che questa volta proprio non l'avremmo scampata.”
Fleur soffiò sul caffè.
“Tutto è bene quel che finisce bene.”


La calma durò 47 ore esatte.
Allo scoccare della quarantottesima, il mio cellulare squillò. Svariate volte.
Guardai Jimmy.
Jimmy guardò me.
“Ho una sensazione.”
“Cristo, pietà.”
“Pronto?”
Ascoltai con attenzione.
“Era Bliss. Dobbiamo tornare a Londra. Subito.”
Jimmy alzò gli occhi al cielo.
“Un'altra puntata di 'Dov'è finita Carmen Sandiego'?”
“Peggio.”
“Ah, fantastico.”
Ma mi sbagliavo.
Il peggio, trattenuto da precedenti impegni, doveva ancora arrivare.

 

Those were the days of our lives
that float in the stillness of time
those days are all gone now,
but one thing remains
when I look, and I find
no pain.

 

Non siete delle persone. Siete degli untori. Degli untori di peste.”
Fleur batteva il bastone nervosamente contro lo stipite della porta.
“Gregory, smettila. Pensa al criceto.”
“Friggilo, quel criceto.”
“La buonanima della bisnonna Lucrezia Borgia trasecolerebbe a sentirti dire una cosa del genere.”
“Bliss. Per favore. E' una cosa seria.”
Ed era una cosa seria. La più seria che avessimo ad affrontare da quando avevamo smesso di viverci quotidianamente. La più logica, antipatica, inaspettata delle cose serie.
“Ripetimi ancora come è successo.”, disse Dominic, con la testa tra le mani e una tazza di caffè molto corretto davanti.
Matt se ne stava sul divano, a guardare il soffitto. Jimmy guardava lui, glaciale.
Io, invece, guardavo a terra, avvolta da una nube di angoscia e senso di colpa.
“Sono tornato. A casa c'era lei. Mi ha detto che avevo passato il limite. Io le ho risposto che mi conosce bene e dovrebbe sapere come sono fatto. Lei ha detto che c'è un confine oltre il quale non si deve mai andare, visto che sposarci e crescere un figlio è un impegno che abbiamo preso in due, indipendentemente dalla natura di ciascuno. Io le ho detto che non era successo nulla. Lei mi ha risposto che qualcosa effettivamente era successo, e cioè che avevo lasciato mio figlio senza dire una parola a nessuno di dove andassi o a fare cosa. Io le ho detto che ero certo di lasciarlo in ottime mani, altrimenti non lo avrei mai fatto. Lei ha ribattuto che non vi conosce come vi conosco io, anche e soprattutto perché ho preteso con tutte le mie forze che ciò non accadesse. Io sono stato zitto. Lei mi ha detto che avrei dovuto almeno farle delle scuse. Io le ho risposto che non ne vedevo il motivo, perché francamente la tiritera moralista mi aveva un po' urtato i nervi. Lei ha detto benissimo. Ha preso il bambino. Ha aperto la porta. La mattina dopo mi sono svegliato con il campanello che suonava ininterrottamente, ed erano alcune sue amiche, venute a raccogliere la sua roba. Io gli ho impedito di prenderla, dicendo che la questione era ancora aperta. Una di loro mi ha risposto che invece la questione, a quanto ne sapeva lei, era molto chiusa. Nel pomeriggio ha telefonato l'avvocato. Fine.”
“E' colpa mia.”, dissi, a mezza voce.
Tutti si affrettarono a rassicurarmi. Tutti meno uno.
“Sì, in parte lo è.”
“Jimmy!”, sibilò Bliss.
“No, non possiamo dargliela vinta ogni volta solo perché è Ria. Solitamente non sbaglia, e non ferisce gratuitamente. Questa volta lo ha fatto. Ed è giusto che lo sappia.”
“Lo so bene.”, sospirai, accendendomi una sigaretta.
Il criceto prese a fare Yuri Chechi appeso alle sbarre superiori della gabbietta.
“Tu la ami, Matt?”, chiesi.
“Io amavo te.”
Jimmy alzò gli occhi al cielo.
“La domanda non era 'chi amavi nel lontano 1848', mi pare.”, intervenne Bliss, preoccupatissima.
“Mi spiego. E' in nome del ricordo che ho fatto questa stronzata.”
“Abbiamo.”
“Che abbiamo fatto questa stronzata. Ma non è successo niente. Non li abbiamo traditi. Jimmy non se l'è presa.”
“Me la sono presa eccome.”
“Ma non l'hai lasciata.”
“Certo che no. E non l'avrei lasciata neanche se foste andati a letto. Non cammineresti più sulle tue gambe e ti avrei strappato le corde vocali a mani nude, ma non l'avrei lasciata. Questo chiaramente non ti assolve né ti autorizza. – specificò, girandosi verso di me - Non si può lasciare quello che ti appartiene per destino.”
“Un discorso molto bello. Che però implica due cose. Uno: che Matt e Kate non sono uniti dal destino. Due: che il problema esiste al di là dei nostri exploit di filosofia.”, soggiunse Bliss.
Il ghiaccio tintinnava nei bicchieri.
“Però era prevedibile. Cioè, preventivabile. Almeno.”, disse Dominic, rompendo il suo silenzio.
“E la mente investigativa sopraffina è di nuovo tra noi.”
“Sei acida, Bliss.”
“Non sono acida, Dominic, sono solo pragmatica.”
“Cosa facciamo?”, chiesi a bruciapelo. Tutti i seduti si alzarono in piedi, dando vita a svariati secondi di concitato chiacchiericcio a mezza bocca.
Senza farsi sentire da me, tentativo che evidentemente fallì, Jimmy si rivolse a Matt in un sussurro.
“Se l'avessi amata davvero, e intendo se mai l'avessi amata, anche solo per un secondo, non l'avresti mai messa in questa situazione.”
“Ma io amo mia moglie. E' lei che ha deciso di andarsene.”
“Non parlavo di tua moglie.”

 

I don't ever wanna feel like I did that day,
take me to the place I love,
take me all the way.

 

Bliss, smettila di maltrattarmi. Guarda che anche io ho qualcosa, dentro.”
“Al netto dei litri di alcol che ti sei calato, intendi?”
Bliss e Dominic battibeccavano. Sembrava di essere tornati indietro di una vita.
La notte tardava ad arrivare, sul balcone di Morgue Place.
“Mi hai perdonata?”, chiesi a Jimmy, appoggiando la testa sul suo petto.
“Mi ricordo che a un certo punto, verso i vent'anni, ho perdonato anche Hitler. Quindi figurati te.”
“Disturbo?”, domandò Matt, appropriandosi della sdraio accanto alla mia.
“Costantemente.”, rispose Jimmy, ma sorrideva.
“Posso farti una domanda, Rev?”
Jimmy lo guardò senza rispondere.
“Come ci convivi?”
Lui guardò un po' davanti a sé, poi abbassò gli occhi sulla tazza che aveva in mano, e infine rialzò lo sguardo verso il panorama.
“Con cosa, esattamente?”
“Con il fatto che io e lei siamo stati insieme. Nel senso, fisicamente insieme.”
Jimmy guardò Matt.
“Nel senso. Abbiamo condiviso un sacco di cose, esperienze, momenti. A un certo punto, abbiamo anche pensato di morire insieme, l'uno nelle braccia dell'altra.”
“Pensavo che la domanda fosse un po' più triviale.”, dissi, a mezza voce.
Jim mi scoccò un'occhiata di finto rimprovero, poi si rivolse a Matt.
“Lei, alla fine, ha scelto me.”
Matt lo guardò in silenzio.
“Ecco, come ci convivo.”
Il mio ex tacque e volse lo sguardo davanti a sé.
“E tu come ci convivi, Matt?”
“Con cosa?”
“Con il fatto che io e lei stiamo insieme. Nel senso, fisicamente insieme.”
“Non è più un problema mio.”
“Lo è stato?”
“Per un periodo ci ho pensato spesso, sì.”
“E' strano sentirtelo dire. Sei tu il primo che si è sposato.”
Non ci potevo credere. Anche in un momento come quello, in cui avrebbe dovuto volermi solo mettere un cappio al collo, mi difendeva a spada tratta. Mi difendeva dagli spigoli.
“Voi no, invece?”
Jimmy sorrise.
“Per il momento”, disse, “non ce n'è stato bisogno.”
Bliss e Dominic apparvero alle nostre spalle.
“Sembrano i vecchi tempi.”
“Con la differenza che i tempi sono nuovi, e noi siamo vecchi.”, dissi, tirandomi a sedere.
Matt si produsse in una risata amara, si alzò dalla sdraio e se ne andò in salotto; il tintinnio del bicchiere ci informò del motivo del suo allontanamento.
“Vuole scoparti.”, disse Jimmy, prosaico, mentre si accendeva un'altra sigaretta.

 

 

Il sesso. Una realtà pungente. Ne facevamo tantissimo, da quando stavamo insieme, ma non ne parlavamo mai.
Scioccamente, una parte di me aveva pensato che le cose sarebbero riuscite molto naturali, una volta superato lo choc iniziale: così non era stato.
Eravamo andati a dormire già da un paio d'ore ormai, e Morgue Place era immersa nel silenzio. Io mi rigiravo nel letto con i pensieri che non mi davano tregua, attorcigliati addosso come brutte piante rampicanti; Jimmy, accanto a me, dormiva profondamente già da tre quarti d'ora.
Lo sapevo perché mi si era addormentato addosso, e con tutta la tenerezza e la fatica di soffocare le risate, come già altre volte era accaduto in passato, avevo mandato un messaggio a Bliss implorandola di aiutarmi.
La mia storica migliore amica, con i capelli a porcospino e mezza nuda, era entrata nella stanza producendo nessun rumore.
Perché hai la maglia di Dominic?”, le avevo sussurrato indicandole il problema, e lei aveva frustato l'aria con la mano, scuotendo la testa in un ostinato mutismo.
Di qua o di là?”
“Sì, ma non svegliarlo.”
“Ok, ho capito, tu spingi però. Delicatamente.”

Vidi che lo afferrava per le braccia e, dolcemente, cercava di scostarmelo di dosso.
Io spingevo e lei tirava, e riuscimmo alla fine a metterlo nella sua metà del letto. Ancora dormiva. Incredibile, quell'uomo.
Cristo santo, che spalle.”
“Non provarci.”
“Ma è nudo?”
“Vuoi controllare?”

Contro ogni previsione, Bliss alzò il lenzuolo con un gesto repentino e diede un'occhiata.
“Niente male.”

“Shhh!”
Ci guardammo.
“Grazie, ora puoi andare.”
“Un'altra sbirciatina-ina-ina?”
“Bliss.”
“Ok, ok. Buonanotte.”

Udii il lieve clack della porta che si richiudeva, e mi voltai a percorrergli la linea dei tatuaggi che aveva sulla schiena con la punta dell'indice.
Sospirai.
Silenziosa, mi avvicinai al suo orecchio.
“Jimmy.”, dissi piano.
Nulla.
“Jimmy. Amore. Svegliati.”
Un lieve grugnito.
“Svegliati.”, sussurrai di nuovo, baciandogli dolcemente più volte la guancia e mordendogli piano il lobo.
Si mosse, agitandosi un poco.
“Svegliati...”, dissi, mentre la mano correva giù per la sua schiena, fino a sfiorargli la base, dove c'erano quelle due piccole, perfette fossette.
Tirò leggermente su il fianco, in un gesto involontario, e io insinuai la mia mano tra la sua pancia e il materasso.
“Jimmy...”, sussurrai ancora contro il suo orecchio, a mezza voce.
Jimmy finalmente si svegliò.
Aprì gli occhi su di me, intontito dal sonno, e disse, soave: “Piccola. Si può sapere che cazzo vuoi?”
Difficile dimenticare che, prima che amanti, eravamo stati cugini. Per tanto di quel tempo che, cosa volete, certe abitudini sono dure a morire.
Sbuffai, sorridendo.
“Niente. Dormi.”
Gli poggiai un lievissimo bacio sul naso e lui si girò dall'altra parte, con un vago “mah”.
Non si era accorto di nulla di tutta la mia pantomima pseudo-sensuale.
Afferrai le sigarette dal comò, galleggiando tra il divertito e l'offeso, infilai un grosso cardigan e uscii dalla stanza, diretta al terrazzo, a fumare.
Sul terrazzo trovai Matt, insonne, a contemplare Londra.
“Sostiene Jimmy che tu voglia scoparmi.”, lo salutai, andando scherzosamente a colpirgli una spalla con la mia.
Matt proruppe in uno sbuffo ironico che era l'anticamera di una risata.
“E lui? Lui vuole scoparti?”
Accesi la sigaretta, e mi voltai.
“Scusa?”
“Vi ho sentiti, prima. Avete la finestra aperta.”
Ah, già.
“Detesta essere svegliato quando dorme.”, commentai, lieve.
“Anche da te? Mi sembra fantascienza.”
“Vedi, Matt, per oltre vent'anni siamo stati cugini, e le vecchie abitudini sono dure a morire.”
Lui si strinse nelle spalle.
“Forse sareste dovuti rimanere così. Buoni amici e basta. Come eravate prima.”
Un altare di domande mi si fracassò nel petto.
“Non sai quante volte ci ho pensato. Ma io lo amo, Matt.”
Matt alzò le braccia.
“Mai detto il contrario.”, disse.
Calò un silenzio di piombo.
“Non volevo essere scortese, bambina.”
“Ma tu sei scortese, Matt. Lo sei sempre stato. Scortese e inopportuno. E menefreghista. E stronzo.”
Silenzio.
“Il guaio è che spesso hai ragione.”, aggiunsi, fissando la brace della sigaretta con noncuranza. Forse era il momento di iniziare seriamente a drogarmi, per rendere tutto più sopportabile.
Ci eravamo lasciati in odore di lieto fine, e ci ritrovavamo in odore di tempesta.
Ma lo amavo? O mi ero aggrappata a lui per fuggire da quell'uomo enigmatico e imprendibile che avevo di fianco? Di tutti i rapporti altalenanti e mediamente catastrofici che avevo avuto con gli uomini, quello con Jimmy era senz'altro il più puro e appagante. Fin quando eravamo stati cugini. Fin quando dei confini indipendenti da noi ci avevano definiti e contornati dentro un legame, costringendoci con disarmante naturalità ad ammazzare gli istinti inadatti ad esso, e nel contempo risparmiandoci il disturbo di dovergli trovare un nome noi, a quel sentimento.

A che pensi, bambina?”
“Alle promesse che la vita ti fa e puntualmente non mantiene.”
“Non era mia intenzione mandarti in crisi sui tuoi sentimenti per Jimmy.”, disse, prendendo un sorso di tè ormai freddo.
Lo guardai a quarantacinque gradi, e poi me ne tornai a osservare le luci degli edifici.
“Oh sì che era tua intenzione.”
Gli diedi un affettuoso colpetto sulla spalla.
“Troveremo tua moglie, vedrai.”, dissi, e mi avviai da dove ero venuta.
“Ria.”
“Sì?”
“Abbiamo sbagliato tutto?”
Sorrisi. Mi strinsi nelle spalle. E me ne andai.

 

When the going gets tough,
the tough get going.

 

 

 

 

 

Allora.

 

Ciao.
Scusate.
Senza prenderci in giro, nonostante il titolo evocativo, strutturato e pregno di significati allegorici, sappiamo tutti che chiameremo questa storia “Niente virgolette nel Sequel” perché ormai ci conosciamo da anni e non è che siamo lì a raccontarci le favole.
Volevo dirvi un paio di cose su questo sequel.
So benissimo che la fine di Niente Virgolette ha lasciato molte di voi con l'amaro in bocca. (“Ma come?! E finisce con Jimmy?! Ma che è?! Licenziate gli sceneggiatori di Beautiful!”)
E' comprensibile: la storia, come sogliono dire le famiglie nobiliari di certi paesi di madrelingua fiamminga, “finisce a merda e comunque rimane proprio appesa, incompiuta, flambé, insomma”.
Avete ragione.
In realtà questa telenovela mi si è dispiegata in testa nel momento esatto in cui ponevo fine a Niente Virgolette, dunque mi accingevo a strutturare la mia vita in una serie propagatoria di relazioni alquanto dubbie perpetrate dai miei neuroni fusi.
Può veramente finire tutto, like, forever, tra Matt e Ria? E i dubbi? E tutto quello che c'è stato? Spazzato via da un mezzo evento? Mah.

 

[Io penso che abbiano avuto paura, a un certo punto. L'uno dell'altra, e di quello che avevano insieme. Così, in un guizzo di memoria attiva di Matt, vanno in Nuova Zelanda, come dei rincoglioniti. Ma è una finta, le responsabilità e gli impegni che si son presi con altre persone li annegano. Ora c'è Kate. Tenuta lontana dal giro di amicizie di Matt dal suo stesso marito, perché sono cose che non la riguardano, che non devono toccarla. Perché lì, in quel giro, c'è Ria Montague, che una volta, in ospedale, fu addirittura Ria Bellamy.
Ma lo sappiamo bene noi che non è finita finché non finisce.]

 

C'è un missing moment, in Niente Virgolette, che è: cosa accade esattamente dopo la proposta di matrimonio di Matt?
Quel missing moment verrà dispiegato ampiamente qui, nel corso della storia, che dovrebbe durare tutta l'estate perché il caso vuole che, nell'ameno eremo ionico in cui mi ritirerò in congedo momentaneo dalla razza umana tutta, ci sarà la connessione ad internet.

In una parola, sono tornata.
Fatevi sentire.
Q.


 

   
 
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