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Autore: LoveJulie    07/07/2013    4 recensioni
La vita di Catherine è ipoteticamente perfetta. A quasi trentanni ha un bel lavoro come giornalista, una casa a Londra centro. Ma dentro di lei non è felice. Si sente sola, non ha una vera e propria famiglia e vorrebbe un ragazzo al suo fianco. In più, le manca terribilmente quello che un tempo era il suo migliore amico: Zayn Malik.
E se potesse tornare indietro e sistemare la sua vita? E se questa possibilità le venisse data da Jas, quella che un tempo era la sua migliore amica? Cosa succederebbe?
Dal capitolo uno:
«E ti ricordi Jas, quando volevi fare la chiromante?»
«In realtà, io faccio la chiromante.» Ammise lei tranquilla. Io rimasi senza parole. Fu lei a riaprire bocca. «Diciamo che è un lavoro part-time. E sai un’altra cosa, Cathy? Sono riuscita a perfezionare la mia famosa formula.»
«Intendi quella per viaggiare indietro nel tempo?» Le chiesi curiosa.
«Esattamente. Non l’ho ancora testata, ma sono sicura che funzioni. Ho solamente bisogno di una “cavia”.»
Mi lasciai andare ad una risata scettica. «Lo sai vero, che è impossibile viaggiare indietro nel tempo? È fantascienza. Cose del genere si vedono solo nei film.»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo due.
 
Quando riaprii gli occhi lentamente, riconobbi immediatamente il divano del mio salotto, regalatomi dai miei genitori il giorno del trasloco. Era di pelle color mogano, incredibilmente morbido e spazioso. Sembrava fosse appartenuto alla mia famiglia da generazioni ormai, e per non spezzare questa sorta di tradizione, era passato anche a me.
Prima di guardarmi attorno, aspirai l’odore di pelle del divano, che stranamente mi faceva tranquillizzare, fin da quando ero piccola.
Qualche secondo più tardi, fui trapassata dal ricordo della sera prima. Ricollegai il mal di testa e il vuoto di memoria alla birra che avevo bevuto assieme alla mia amica, anche se non mi sembrava di averne bevuta così tanta.
Era strano, perché non rammentavo assolutamente nulla della serata. I miei ricordi erano rimasti bloccati alla cena assieme a Jas. Poi, nient’altro.
Sospirai profondamente. Perché diavolo ci tenevo così tanto a tornare indietro alla mia adolescenza? La risposta mi venne spontanea.
Ciò che mi mancava di quel periodo era Zayn. E Brody, credevo.
Chiusi gli occhi un’altra volta, ed iniziai a massaggiarmi le tempie con gesti circolari, sperando di farmi passare il dolore alla testa, dopodiché mi misi lentamente seduta sul divano, senza concentrarmi su ciò che mi stava intorno.
Non appena prestai attenzione a ciò che mi circondava rimasi di sasso. Non ero in casa mia. Mi guardai attorno con gli occhi sbarrati, e la prima cosa che pensai fu che avevo davvero esagerato con l’alcool, così tanto da essere finita in casa di uno sconosciuto.
Mi alzai lentamente, continuando a osservare ciò che mi circondava. Ero finita nella casa di qualcuno che dovevo ammettere, aveva davvero un gusto orrendo in fatto di tende. Nonostante fosse tutto avvolto nella penombra, intravedevo un tavolino color legno che aveva al centro un vaso di rose gialle; ai lati di un camino rustico, vi erano due piccole librerie, contenenti moltissimi libri rilegati e qualche piatto d’epoca.
Ma ciò che davvero stonava col tutto, e che purtroppo era molto visibile, erano le tende, di una strana gradazione di cioccolato e impreziosite da ricami color oro, che parevano appena uscite da un palazzo dell’Ottocento. Mi avvicinai a esse, guardandole stranita. Mi sembravano molto familiari, ma non riuscivo a ricordare esattamente dove le avessi viste prima. Nella mente mi balenò l’idea di essere finita nella casa di qualche mio ex ragazzo, ma scacciai immediatamente quel pensiero dalla testa, più per paura che fosse la verità che per altro.
Mi ributtai sul divano, e dopo un’attenta riflessione, decisi che sarei scappata da questa casa, senza dire niente a nessuno, per evitare figuracce e situazioni imbarazzanti. Mi alzai e camminando in punta di piedi mi diressi verso la porta della stanza, passando davanti al camino. Su un piccolo ripiano posto sopra di esso, notai uno specchio riccamente intarsiato, e lanciai un veloce sguardo al mio riflesso, per poi continuare a dirigermi verso la porta. Per un attimo vidi il riflesso di una ragazzina. Mi fermai e corrucciai la fronte, poi tornai indietro ad osservarmi di nuovo.
Allo specchio rividi una ragazzina di non più di sedici anni, con lunghi capelli castani, occhi scuri e le tipiche lentiggini che mi avevano accompagnato per tutta l’infanzia e buona parte dell’adolescenza, e che ogni tanto - soprattutto durante l’estate - ricomparivano.
Quella allo specchio ero io, a sedici anni.
O. Mio. Dio. Fu la prima cosa che pensai, indietreggiai, inciampando rovinosamente sul tavolino di legno posto in mezzo alla stanza, poi urlai a pieni polmoni; un po’ per lo spavento e un po’ per il dolore che mi ero procurata al sedere nella caduta. Fui presto raggiunta da una donna di circa quarant’anni, che entrò nella stanza e mi guardò stupita. La riconobbi all’istante. Era mia madre. Assieme a lei c’era un’altra donna, che identificai subito come Camille, la sua amica francese. Stringeva una sigaretta tra l’indice e il pollice con la solita eleganza e armonia, e nel frattempo guardava la scena divertita.
Lei e mia madre erano amiche fin dalla mia nascita. Tutti i miei ricordi d’infanzia riguardanti Camille erano collegati al fumo di sigaretta al sapore di liquirizia, alle riviste di moda e soprattutto al suo marcato accento francese.
«Che cosa è successo, Catherine? Perché hai urlato?» Chiese in tono apprensivo e preoccupato mia madre.
Inizialmente non le risposi. Avevo gli occhi spalancati e continuavo a guardare davanti a me, a ricordo della mia immagine riflessa.
Poi ricordai ciò che Jas mi aveva detto la sera prima, quando ero ancora una quasi trentenne, e cioè che avrei dovuto mostrarmi il più normale possibile.
Mi girai verso mia madre, che nel frattempo si era avvicinata. «Sto benissimo, sono solamente caduta, mamma.» Le dissi in tono incerto.
«Quante volte ti ho detto che non devi chiamarmi in quel modo? E poi ti ho sempre ripetuto di stare attenta a dove metti i piedi.» Ribatté lei aiutandomi ad alzarmi e portandomi sul divano di pelle.
Lo avevo completamente rimosso, il fatto che mia madre non ha mai voluto che le dessi quell’appellativo. Diceva che andava contro ogni suo principio. Sinceramente, non capii mia di cosa stesse parlando.
«Sì scusami, è che ho battuto la testa.» Mentii, massaggiandomela per rendere il tutto più verosimile. Nel frattempo mi guardavo attorno. Era esattamente tutto come me lo ricordavo. Ecco perché le tende mi erano sembrate così familiari.
Dio, era così strano rivedere - ma soprattutto rivivere - tutto questo.
«Vuoi che ti prepari una tazza di tè caldo, oppure una tisana alle erbe?» Mi chiese mia madre, distraendomi dal corso dei miei pensieri.
Era proprio come la ricordavo, apprensiva e sempre disponibile.
«No grazie, preferisco un caffè. Ricordati di non mettere lo zucchero.»
«Ma cosa stai dicendo tesoro? Tu hai sempre odiato il caffè, non ricordi?» Esclamò la donna, guardandomi quasi inorridita.
Aveva ragione. Avevo iniziato a bere caffè solamente al college.
«Mmm, giusto.»
«È probabile che la botta alla testa le abbia causato un grave danno al cervello, Diane. Forse è meglio se la porti a fare una controllata dal medico di famiglia.» Provò a dire  Camille, mentre osservava attentamente i miei movimenti.
Mia madre la guardò preoccupata. «Sei sicura che basti andare dal medico? Non dovrei portarla al pronto soccorso?» Le chiese, lanciandomi una veloce occhiata. Ci mancava solamente questa.
Ero tornata sedicenne solamente da poco più di venti minuti e già non vedevo l’ora di andare a vivere da sola.
Mi alzai velocemente prima che mia madre potesse aggiungere altro. «Come vedete sto benissimo. Ho solamente confuso il caffè con... la cioccolata.» Le dissi, con il tono di voce più alto del normale.  
«Be’, non sono sicura che la cioccolata ti possa far sentire meglio, ma se proprio la ne hai voglia, te la preparo. Nel frattempo forse è meglio che ti sdrai un attimo.» Annuii senza andare oltre, mentre mia madre e Camille tornavano in cucina.
Rimasi qualche secondo a fissare il punto dove un attimo prima vi erano le due donne, poi seguii il consiglio di mia madre e mi misi comoda sul divano di pelle, rimuginando a ciò che stava accadendo.
Aveva funzionato, ero tornata di nuovo un’adolescente. Più ci pensavo e più mi sembrava folle. Iniziai a guardarmi le mani, meravigliata. Poi mi tirai un pizzicotto, giusto per capire se stavo sognando. Magari era colpa della birra della sera precedente. L’unica cosa che percepii però fu un leggero dolore.
Qualche minuto più tardi, mentre mi stavo ancora guardando attorno stranita da tutta quella familiarità, sentii delle voci. Alzai lo sguardo e vidi di nuovo le due donne. Mia madre si avvicinò e mi tese la tazza di cioccolata calda. Mi misi seduta sul divano e la presi tra le mani, iniziando a sorseggiarla lentamente.
Nel frattempo mia madre e Camille chiacchieravano tranquillamente, lanciandomi un’occhiata preoccupata ogni tanto. Io facevo finta di nulla.
Dopo aver finito la cioccolata, lasciai il bicchiere sul tavolino e mi alzai. Mia madre mi seguì con lo sguardo.
«Credo che andrò a farmi una doccia.» Le dissi, e senza aspettare alcuna risposta salii le scale.
Erano passati tanti anni da quando avevo messo piede in casa dei miei genitori. In questa casa.
Mi guardai attorno, alla ricerca del bagno. Ovviamente sbagliai due volte. Quando finalmente lo trovai, vi entrai chiudendo la porta a chiave e iniziai lentamente a spogliarmi. A contatto con l’acqua calda della doccia, i miei muscoli si distesero quasi per magia, e per qualche minuto non pensai a nulla.
Fu solamente quando uscii dalla doccia e indossai un morbido accappatoio, e mi diressi in camera mia, che mi ricordai tutto. Ero rinchiusa nel corpo di una sedicenne, e non sapevo nemmeno fino a quando sarei rimasta in questo stato.
Improvvisamente la mia mente si riempì di domande allarmanti. E se per caso non fossi più potuta tornare quasi trentenne? E se fossi rimasta nel corpo quasi estraneo di una me più giovane, e avessi dovuto affrontare di nuovo tutta la mia adolescenza?
In preda al panico mi sedetti sul primo scalino delle lunghe scale e chiusi un attimo gli occhi, respirando profondamente. Non dovevo andare in panico, non era il momento. Avrei dovuto fare tutte le domande a Jas, prima che mi riportasse indietro nel tempo.
Ma il motivo per cui non lo avevo fatto era perché non credevo affatto a questa storia. Peccato che mi fossi sbagliata.
Presi a massaggiarmi le tempie nervosamente.
«Tesoro, cosa ti succede?»
Mi chiese Diane, apprensiva.
«È che... non mi è ancora passato il mal di testa.» Mentii. L’unica cosa che in quel momento pensavo era che dovevo trovare il modo di parlare con Jas. Con la Jas del futuro. Forse sarei dovuta andare dalla Jas sedicenne, magari lei sapeva qualcosa, magari le due Jas avevano trovato una maniera per comunicare. In qualche modo. Presi a mangiucchiarmi le unghie e mi alzai di scatto.
«Devo andare da Jas, Diane.» Affermai dirigendomi verso camera mia. Mia madre mi seguii.
«Mi dispiace ma non vai da nessuna parte. Hai appena preso una botta che sembra averti mandato il cervello in tilt. Non ti permetterò di girare per le strade di Londra, da sola. E domani non andrai a scuola, chiaro?»
«Ma... ho bisogno di parlarle di una cosa molto urgente.»
«Be’, potresti chiamarla.» Propose lei.
«Troppo difficile da spiegare al telefono. Devo assolutamente vederla.»
«E invece te lo proibisco.»
Dovevo immaginare che mia madre sarebbe stata tanto restia a mandarmi per le strade della città, dopo quella finta botta alla testa. Dovevo escogitare un piano per arrivare da Jas, senza dover per forza dirlo a mia madre.
 
Qualche ora più tardi, mentre ero rinchiusa in camera mia a escogitare un modo per andare da Jas, sentii la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi subito dopo. Subito pensai a mio padre, e mi salii un groppo alla gola. Nel presente - o dovrei dire futuro - mio padre se n’era andato. Si era trasferito in Scozia con la sua nuova moglie, e anche se mia madre aveva cercato di nascondere tutto il dolore, questa storia l’aveva distrutta. Non tanto perché amava mio padre; l’amore l’aveva abbandonata da tempo. Era il fatto di non avere un uomo accanto a lei che l’aveva lasciata senza fiato. Non poter contare su qualcuno nel momento del bisogno. Qualcuno che le dicesse che era donna più bella del mondo. Non aveva qualcuno a cui donare il suo amore.
Mio padre aveva lasciato un vuoto in lei. Fortunatamente Camille - da femminista convinta -  aveva aiutato mia madre a riprendersi, attraverso viaggi, soprattutto a Parigi, sigarette e anche appuntamenti al buio. “Solo per usare gli uomini”, ripeteva Camille. Ecco perché non aveva mai avuto figli.
Non vedevo mio padre da qualche tempo, e sarebbe stato strano dover fare finta di niente. La crisi tra i miei genitori era scoppiata quando io avevo poco più di vent’anni, quindi avrei dovuto fare finta di nulla. Non prendermela con mio padre come avevo fatto, ma soprattutto non accennare a nulla. Respirai profondamente e mi alzai dal letto. A piedi nudi scesi lentamente le scale, poi superai l’ingresso e mi affacciai al salotto.
Lo vidi. Era di spalle e stava abbracciando mia madre, dolcemente. Quasi senza accorgermene mi salirono le lacrime agli occhi, così decisi di tornare in camera mia. Non ero pronta per rivederlo.












Spazio autrice:

Due mesi di ritardo. Non so davvero cosa dire, è imperdonabile. Forse la cosa peggiore è che il capitolo ce l'avevo già pronto, ma per un motivo o per l'altro non l'ho mai pubblicato.
Comunque, adesso sono qua. Sono di fretta perché è tardi, e domani devo alzarmi presto per andare ad uno stupidissimo stage. Voglio le vacanze come tutti voi! Non è giusto.
Dopo una luuunga riflessione ho deciso che questa sarà una mini-long. Ci saranno dieci massimo quinidici capitoli. Non voglio allungarla all'inverosimile, anche perché per me è già difficile gestirne due assieme. Vabbè, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e non esistate a lasciarmi i vostri pareri, a presto! :)

  
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