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Autore: Honey Tiger    08/07/2013    34 recensioni
[Parole citate dal quinto capitolo]
«Lasciami bere, tanto nessuno mi cercherà più» evitò di rispondere alla domanda posta da lui e, seria in volto, si portò alle labbra la bottiglia bevendo per l’ennesima volta.
....
«Hai visto mia madre? Non mi ha degnato neanche di uno sguardo nonostante mi fossi resa bella per lei. E mio padre?» un sorriso di disgusto dipinse il suo volto. «Lui ha finto di essere un altro uomo per tutta la serata. Desiderava farsi bello agli occhi degli altri e a quanto sembra ci è riuscito tirandomi in ballo. Lexie qua, Lexie là, Lexie è brava in quello è da lodare; Lexie, fa’ quello è da punire» fece lei assumendo il tono più duro e autoritario, quasi a voler copiare la voce del padre. «Ma Lexie vuole solo un abbraccio. Lexie non vuole i soldi, non vuole i vestiti costosi e le macchine veloci, lei vuole solo un abbraccio sincero e una spalla su cui poter piangere» cominciò a piangere come una bambina. «Lexie non vuole tutto questo, lei vuole solo un'amica». Con uno scatto di ira, prese la bottiglia tra le mani e la scagliò contro il muro, frantumandola in mille vetri.
Genere: Avventura, Erotico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 1. Il nuovo arrivato. 

 


      Che cos'è l'amore? Esiste qualcuno capace di spiegarne il vero significato?
Per Lexie Blackett la risposta era semplice: lei aveva sempre dichiarato di non essersi mai innamorata veramente, di non aver mai sentito lo stomaco sfarfallare e la testa girare alla semplice vista del ragazzo che le piaceva; di conseguenza non aveva mai dovuto provare nemmeno il dolore di un cuore spezzato. Anche se la parola “dolore” la conosceva fin troppo bene.
Lexie era la figlia di un miliardario imprenditore dell'alta società, Sebastian, e di una stilista di fama mondiale, Aurora Moore. I soldi perciò non erano mai stati un problema per lei, anche se, nonostante fosse già maggiorenne, doveva ancora rendere conto ai genitori di tutte le spese fatte con la carta di credito e con il libretto degli assegni. In realtà avrebbe speso tutto, dal primo all'ultimo centesimo, compresi l'oro e gli oggetti a lei più cari, per ottenere una cosa soltanto, una cosa che aveva sempre desiderato e che in teoria avrebbe dovuto essere ovvia e naturale per qualsiasi famiglia, tranne che per la sua: l'amore.
A suo padre non bastava che lei avesse un comportamento impeccabile fuori dal collegio, che rispondesse sempre educatamente, che partecipasse alle mille e noiose feste di famiglia e che avesse i voti migliori dell'intero istituto. Ogni volta che ne aveva l'occasione, la riprendeva e aveva particolarmente a cuore il suo rendimento scolastico: «Questi voti sono troppo bassi! Devi impegnarti di più, altrimenti non andrai da nessuna parte, non farai carriera e sarai la rovina del cognome che porti!»
Ecco, queste erano più o meno le parole che Lexie si sentiva più spesso rivolgere da suo padre. Sempre più difficili da mandare giù, da dimenticare e andare avanti.
Fu proprio quello uno dei motivi che l'avevano spinta, all'età di quattordici anni, a farsi spedire a studiare nel collegio più lontano del Paese, ma anche il più difficile: da una parte desiderava dare soddisfazione ai suoi genitori, ma dall'altra voleva anche allontanarsi il più possibile da loro, tanto da essere praticamente irraggiungibile.
La George Washington University era la scuola più costosa e più all'avanguardia del mondo e, se non si disponeva di un certo reddito, quella meta rimaneva soltanto negli sogni di chi la bramava. Le borse di studio erano generose, ma erano disponibili soltanto una decina di posti e Lexie, pur avendo i voti alti e la possibilità di richiederla, aveva preferito lasciarla a qualcuno che non potesse permettersi di pagare la retta in altro modo e che desiderasse veramente, sicuramente più di lei, studiare per realizzare i propri sogni.
L'inizio dei corsi alla George Washington, comunque, era battezzato ogni anno sempre nello stesso modo: dalla stridula voce della preside resa gracchia dall'altoparlante: «Buongiorno a tutti gli studenti e le studentesse. Do il benvenuto alla George Washington a tutti i nuovi iscritti, e il bentornato alle vecchie conoscenze. Qui è la preside, Katherine Rutherford, che vi annuncia che le lezioni avranno inizio fra cinque minuti. Siete pregati di non tardare. Grazie e buon proseguimento delle lezioni.»
La frase riecheggiava per tutte le pareti del collegio mentre, come ogni mattina, Lexie, senza il benché minimo desiderio, cercava di riprendersi dal lungo sonno e di trovare la forza di prendere i libri in mano.
Qualcuno bussò alla porta della stanza.
«Lex, muoviti!» gridò una voce maschile, che Lexie riconobbe subito appartenere al suo migliore amico, Jack Jackson, J.J. per gli amici. «Siamo in ritardo e non ho nessuna intenzione di far visita a Zia Kate di prima mattina».
«Eccomi, sto arrivando...»
Lexie indossò le prime scarpe che trovò, si aggiustò la gonna a scacchi e si abbottonò la camicetta bianca. Prima di aprire la porta, prese un bel respiro e allargò leggermente le gambe, pronta a essere investita dall'abbraccio stritola ossa di J.J.
«Tre mesi che non ci vediamo e mi diventi uno schianto del genere?» Come da copione, non appena aprì la porta si trovò strizzata come un panno bagnato. J.J. le baciò le guance e lei gli concesse un sorriso, uno di quelli che non passavano inosservati.
Perché sì, Lexie oltre a essere ricca e intelligente, era anche bellissima. I suoi occhi azzurri da cerbiatta avevano la capacità di incantare chiunque, per non parlare dei capelli biondi e lunghi che le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle; era alta circa un metro e settanta, con lunghe gambe che riuscivano a togliere il fiato anche fasciate da un paio di vecchi pantaloni, e con un fondo schiena e un seno tali da far invidia anche alle modelle.
Essendo figlia di una grande stilista, le era capitato diverse volte in passato di sfilare per lei. Inizialmente le piaceva, ma col passare del tempo le pressioni dei fotografi e soprattutto di sua madre erano diventate insopportabili. Erano tutti un mangia di meno, fai più palestra, acconcia i capelli così, e quello fallo così, e quell'altro così, eccetera, eccetera, e lei odiava venir sottomessa in quel modo, quindi, con la scusa del collegio era riuscita ad allontanarsi dalla madre senza ferire i suoi sentimenti.
«J.J.! Togli le mani e, tanto per la cronaca, non ti voglio parlare! Non ti sei fatto sentire per un'intera estate!» Lexie si liberò dalla sua stretta e si avviò in cortile, dove il caldo sole le accarezzò la pelle candida.
J.J., senza chiedere il permesso, entrò nell'appartamento di Lexie e si diresse in cucina, dove cominciò a rovistare negli armadietti.
«Dove sono...» borbottò, prima di aprire il mobile sotto il lavello. «Ah, ecco. Sempre la solita» con un sorriso ne tirò fuori tre libri di testo e con una corsa raggiunse Lexie. «Con questi sono perdonato?» Le sventolò i libri sotto il naso e poi le passò il braccio libero sulle spalle.
«Certo che no, ma grazie lo stesso» Lexie gli diede un pizzicotto sul braccio e una sberla sulla nuca.
«Vedo che la violenza è aumentata in mia assenza. Successo qualcosa?» chiese il ragazzo assumendo un espressione da cucciolo bastonato. I suoi capelli biondi, sempre in totale disordine, avevano un fascino irresistibile su Lexie e con gli occhioni verdi Jack riusciva sempre a farsi perdonare in pochi secondi. Infatti lei lo abbracciò e cominciò a pensare alle parole adatte per raccontare quello che le era successo in tre mesi di vacanze.
Lexie, da quando si era trasferita in collegio all'età di quattordici anni, aveva sviluppato una doppia personalità: calma, dolce, gentile e soprattutto obbediente quando c'erano i suoi genitori nei paraggi, mentre non appena tornava a scuola le cose cambiavano e lei riprendeva il controllo di se stessa, mostrando la vera Lexie Blackett: una ragazza amante del pericolo, che disobbediva alle regole, anche a quelle più insignificanti; aggressiva con chi la infastidiva, violenta e senza peli sulla lingua nei confronti del genere femminile, e con una particolare passione per il non rispettare il coprifuoco del campus.
«Ti riassumo in poche parole tutta la mia estate: ricevimenti noiosi, matrimoni di lontani parenti di cui ignoravo perfino l'esistenza, qualche festa passabile...». Fece una smorfia. «... totale astinenza dal genere maschile, e in più mio padre ha scoperto i soldi che ho speso per comprarmi l'ultimo giocattolino».
«Giocattolino? Fammi indovinare» disse J.J., con un'espressione divertita. «Un veicolo nuovo?»
«In realtà è una macchinina. Le ho fatto fare qualche piccola modifica dal mio meccanico e ora è un vero gioiellino» sorrise come una bambina in un negozio di confetti. «E stasera ho intenzione di andare a festeggiare la mia sopravvivenza. Ti vuoi unire?» chiese, prima di spalancare la porta e fare il proprio ingresso nell'aula di letteratura.
L'insegnante, il professor Samuel Wilson – basso, bruno e brutto –, alzò gli occhi dal libro di testo che teneva aperto tra le mani. «Signorina Blackett, signor Jackson. La lezione è iniziata circa...» diede un'occhiata all'orologio da polso. «... quindici minuti fa.»
«Mi scusi, professor Wilson,» disse Lexie. «Ma il signorino Jackson si era improvvisamente sentito male». E sbatté le palpebre, con quel suo modo di fare in grado di sciogliere anche il professore dal cuore di ghiaccio, che infatti si schiarì la voce e fece cenno a entrambi di mettersi seduti.
«Troppo comodo usare quegli occhioni» si lamentò J.J. sottovoce mentre entrambi si dirigevano agli unici due posti liberi rimasti, in prima fila.
Il professor Wilson amava girovagare per l'aula mentre spiegava e questo comportava silenzio assoluto tra i banchi. La quiete però fu presto spezzata da una rapida bussata e dall'immediato spalancarsi della porta d'ingresso. Sulla soglia apparve la preside Rutherford che fece preoccupare Lexie e J.J., non perché avessero paura di lei, ma temevano di essere stati scoperti a giocare con i telefonini sotto i banchi: una delle tante regole della George Washington, infatti, era quella di tenere spento qualsiasi apparecchio elettronico durante le ore di lezione.
«Professor Wilson» disse la preside, con uno strano sorriso sulle labbra. «Mi perdoni l'interruzione. Sono passata a presentarvi il vostro nuovo compagno di classe». La preside Rutherford era una donna conosciuta per il suo carattere ed era spietata con chiunque non rispettasse le regole del collegio.
«Ci mancava solo un altro coglione. Sarà uno di quelli intelligenti o solo l'ennesimo figlio di papà?» disse Lexie sottovoce, ma evidentemente non abbastanza.
«Se hai qualcosa da borbottare, Blackett» disse infatti la preside. «Dillo a voce alta, altrimenti sei pregata di stare in silenzio.»
«Ho chiesto soltanto se il nuovo arrivato fosse un secchione o un figlio di papà» rispose Lexie facendo spallucce. «Niente di troppo complicato, insomma». Se non sono i genitori, mai farsi mettere i piedi in testa era infatti la sua regola numero uno.
«Veramente nessuna delle due. Lavoro e mi pago da solo la retta». Occhi castani, capelli scuri, un corpo che riusciva ad attirare l'attenzione anche vestito con un paio di jeans e una semplice maglietta bianca, e un sorriso da togliere il fiato. La prima cosa che Lexie notava in un ragazzo era infatti il sorriso: non le importava se poi il tipo fosse bello o brutto, se sorrideva in quel modo era in grado di fare follie. E il sorriso del nuovo arrivato era decisamente da follie.
«E bravo il ragazzo...» sussurrò, un po' stupita dalla risposta ricevuta e un po' incantata nella contemplazione del suo corpo. Lui era ancora in piedi all'ingresso, immobile, ad osservare la classe e a scoccare qualche breve sorriso quando incrociava lo sguardo di una ragazza. Quando i suoi occhi si posarono su Lexie però, sembrò stupita di vederla lì, nel suo stesso corso.
«Blackett» disse la preside alzando gli occhi al cielo. «Credo sia inutile invitarla nel mio ufficio, ormai lascio la porta aperta per lei. Faccia in fretta. A voialtri, buon proseguimento della lezione. Mi scusi di nuovo, professor Wilson». Detto questo, si dileguò nel corridoio e si chiuse la porta alle spalle.
Lexie non sembrava per niente dispiaciuta a quella prospettiva.
«Peccato, credo proprio che non potrò seguire la sua lezione, oggi». Si alzò tutta raggiante, ben felice di non essere costretta a sorbirsi la noiosa spiegazione del professore, anche se letteratura era una delle sue materie preferite.
«Non si preoccupi, signorina,» disse il professor Wilson. «Non ci mancherà».
La classe scoppiò a ridere, mentre Lexie, sorpresa da quella frecciata, si avvicinava cauta al nuovo arrivato.
«Devi lavorare moltissimo per poterti permettere questa scuola» gli disse a bassa voce. «Complimenti!» gli sorrise, sincera. Lexie era anche brava a riconoscere i meriti degli altri e a congratularsi per gli altrui successi.
Fece per uscire dall'aula, ma sembrò ripensarci e si voltò di nuovo verso la cattedra: «Professore, se ha qualche frustrazione sessuale, perché non la risolve con sua moglie invece di scaricare tutto su noi poveri studenti?» si mise un dito sul mento: «Anzi, no: ricchi studenti!»
«In presidenza! Subito!» urlò il professore oltraggiato, anche se, dopo cinque anni, ormai sapeva che doveva aspettarsi quello e altro da Lexie Blackett, la ragazza con alle spalle il maggior numero di richiami dell'intero istituto.
L'ufficio della preside era spazioso e luminoso, le pareti color oro; quella in fondo era interamente occupata da una massiccia libreria piena di volumi. La scrivania, posta al centro della stanza, era di legno riccamente intagliato e occupava la lunghezza della stanza almeno per la metà. Dal soffitto, al centro, pendeva un lampadario costituito da una serie di piccoli pendenti di cristallo che davano l'illusione di una pioggia sottile.
«Signorina Blackett» la accolse la preside, accomodata dietro la scrivania, quando Lexie entrò. «Bentornata. Ha passato bene le vacanze estive?»
Lexie si sedette sulla comoda poltrona accanto alla libreria. «Decisamente no, ma immagino di dovermi accontentare».
«Se non fosse per il suo modo di fare, per il continuo rispondere ai professori e l'ostinarsi a trasgredire alle regole, lei sarebbe l'allieva perfetta, una studentessa di cui tutti andrebbero fieri. Ne è consapevole? Ne sei consapevole, Lexie?» La preside era passata a darle del tu, come se fossero amiche di vecchia data.
Lexie finse di prendersi un attimo per riflettere, poi schiuse le labbra in un ghigno e scrollò le spalle, annuendo: «Qualsiasi cosa faccia, ai miei genitori non interessa cosa io voglia davvero per il mio futuro. L'unico modo che ho per non farmi inghiottire da questo inferno» ruotò l'indice per comprendere tutta la stanza. «È quello di rendere quelle lezioni pallose e insopportabili un po' più divertenti. E poi...» schiuse le labbra in un dolce sorriso. «Mi sono affezionata a lei» allungò le braccia, come se volesse abbracciarla, ma ottenne in cambio soltanto un'occhiataccia.
La preside si alzò con un sospiro e le si avvicinò. «Questo è il tuo ultimo anno, ancora uno e poi sarai fuori e, chissà, forse riuscirai davvero a realizzare il tuo sogno» le accarezzò i capelli e la fece tornare alle lezioni.
La preside Rutherford aveva sempre ritenuto Lexie una ragazza fuori dal comune e, quando era entrata alla George Washington, aveva riposto grandi speranze in lei e nel suo futuro. Poi aveva conosciuto i suoi genitori. All'inizio aveva pensato che avessero solo delle grandi aspettative per una ragazza tanto talentuosa - avere una figlia intelligente e con voti alti in tutte le materie era un po' il sogno di ogni genitore -, ma le era sembrato un po’ troppo che la obbligassero anche a frequentare tutti i corsi extra-curricolari a disposizione: pianoforte, disegno, canto, danza e tante altre cose che Lexie era sempre in grado di svolgere con successo, con un talento sempre fuori dal comune.
Sapeva bene che trascorrere metà dell'adolescenza chiusa sempre nelle stesse quattro mura non era semplice, non lo era mai stato per nessuno, ma in tutta la sua carriera non aveva mai visto nessun altro con lo stesso desiderio di restare a scuola che aveva Lexie, l'unica che pregava che le vacanze non arrivassero mai, l'unica che non voleva mai tornare a casa.

Tutte le stelle del cielo erano nascoste dietro a fitte nuvole che minacciavano di scaricare un acquazzone da un momento all'altro. Il silenzio che circondava la ragazza seduta sulla sella della moto era quasi inquietante, si potevano udire gli scricchiolii dei piccoli roditori che cercavano da mangiare nelle spazzature.
La ragazza, che era al telefono, chiuse la chiamata con un: «Arrivo...» per poi abbassare la visiera del casco. «Il gioco inizia» e, con un rombo assordante, avviò il motore, che si scaldò in pochi secondi.
Sfrecciare lungo le strade buie in sella alla sua MV F4 R312, quando i semafori verdi regnavano in continuazione e non c'era pericolo di investire qualche pedone distratto, era la cosa che la ragazza amava fare di più. Quella moto era un capolavoro dell’Agusta con sospensioni evolute e professionali, per non parlare delle modifiche apportate per renderla più maneggevole e più flessibile anche sulle curve più pericolose.
Per giungere al luogo stabilito per l'incontro, impiegò a malapena cinque minuti. Correre a quasi duecento chilometri orari aveva i suoi piccoli vantaggi.
Si trattava di un largo spiazzo cementato dove si trovavano già parcheggiate diverse moto che erano al centro dell'attenzione di un gruppo di ragazzi. Le uniche ragazze che partecipavano all'evento erano ancora sedute sulle rispettive selle.
Dopo aver parcheggiato la moto, la ragazza si sfilò il casco.
«Bentornata, Angioletto» disse una voce maschile alle sue spalle.
Lei si voltò, con i lunghi capelli rossi come il fuoco che si innalzavano con il vento delle vie buie. Dietro di lei, un ragazzo in maglietta e jeans neri che si confondeva con il buio della notte; un abbigliamento anonimo, l'unica cosa che attirava l'attenzione di lui erano i suoi capelli, verdi fosforescente.
«Giochi ancora o ti sei ritirata?» chiese lui, avvicinandosi alla ragazza con un sorriso. «Quest'estate sei completamente sparita, pensavo che ti avessero presa...»
«Non sono così stupida, Scott» lo interruppe lei. «E poi cos'è tutto questo interessamento?»
«Curiosità, Angioletto. Curiosità,» rispose Scott con un'alzata di spalle. «Sono cambiate un po' di cose da quando sei sparita dalla circolazione. Vedi quel tipo?» Indicò dietro di sé. «Per il momento, sembra che nessuno sia riuscito a batterlo».
Il ragazzo in questione se ne stava in disparte. Indossava una maglietta bianca con un paio di jeans e un fisico da modello che non lo faceva passare inosservato, eppure teneva tutte le ragazze a debita distanza.
Lo conosceva, era sicura di averlo già visto da qualche parte, ma non riusciva a ricordare né quando né dove. Il fisico, gli occhi, i capelli scuri, la moto, i vestiti: tutto ciò che riguardava quello sconosciuto la attirava come una calamita. Si sentiva attratta da lui in maniera impressionante, proprio come era accaduto quella mattina con...
«Non. Ci. Credo!» disse sottovoce, indossando il casco più in fretta possibile.
«Non giochi?» chiese Scott notando il cambiamento della ragazza. «La posta è sempre la stessa: cinquanta se guardi e basta, duecento se vuoi unirti» le sorrise, mentre la rossa si infilava una mano nella tasca degli shorts verde militare ed estraeva i soldi necessari per partecipare alla gara. «In bocca al lupo, Angioletto. Il vincitore si beccherà millesette, e so che tu sapresti fare buon uso di quel denaro» le fece l'occhiolino e si allontanò verso un altro gruppo di ragazzi.
La rossa fece per cercare di nuovo con lo sguardo lo sconosciuto, quando le si avvicinò un tizio di cui non ricordava il nome che aveva incrociato alle gare già un paio di volte.
«Carina la moto» le disse lui. «Ma sarai in grado di guidarla?»
Lei abbassò lo sguardo sulla moto di lui. Una BMW S1000RR, una moto dal grande potenziale, sicuramente in grado di batterla, ma aveva già avuto modo di vederlo gareggiare; era sicura – a meno che non esistesse la magia e lui avesse imparato a correre mentre lei era via – di poterlo sconfiggere. Gli sorrise.
«E tu sei pronto a tirare fuori i soldi per una scommessa?»
«Hey, Scott,» disse lui e Scott subito comparve al suo fianco. «Scommessa personale con la signorina...» Guardò la rossa, in attesa che lei si presentasse, ma lei non disse nulla. «Tieni» Allungò un mazzetto di banconote che Scott non si prese la briga di contare.
«Non ho tutti quei soldi con me» disse la rossa, guardandolo impassibile.
«Allora se perderai passerai la notte con me».
«Ci sto».
La risposta immediata sembrò stupire un po' il ragazzo: nei suoi occhi castani lampeggiò per un attimo la sorpresa, che lui subito celò dietro a un sorriso. «Ci vediamo alla fine. Che vinca il migliore» le spedì un bacio al vento e si fece inghiottire da un gruppo di ragazze che cominciarono ad abbracciarlo e a baciarlo.
"Sbruffone".
«Scott mi aveva detto che eri un Angioletto» disse una voce fredda e maschile alle sue spalle. «Invece scopro che porti anche le corna...»
Era lo sconosciuto, lo stesso del suo corso. Non era la prima volta che qualcuno le faceva un'allusione del genere, ma quella frase, pronunciata da lui ebbe un effetto diverso dal solito: la ferì e la fece vergognare, per la prima volta, di se stessa. Chi era lui per giudicarla in quel modo? Che cosa voleva? E soprattutto, perché lei si sentiva in dovere di giustificarsi, di spiegare il perché di quella scommessa?
«Quei soldi mi servono, questo non lo posso negare» disse. «Ma conosco il suo modo di correre e, a meno che non usi qualche trucco sporco, sono sicura di poterlo battere senza problemi» gli sorrise e per un attimo le sembrò che lo sconosciuto ricambiasse.
«Ti toglieresti il casco? Vorrei vederti in viso se non ti dispiace.»
«La prossima volta!» La rossa accese il motore e si spostò sulla linea di partenza.
Lo sconosciuto non perse tempo però, si infilò il casco a sua volta e si affrettò a montare in sella della propria moto. Si affiancò alla rossa e disse: «Allora voglio fare una scommessa: se vinco, mi dirai chi sei e dove ti ho già vista, perché hai un viso che ho già visto. In caso contrario, ti lascerò tutti i soldi che ho nel portafoglio. Hai detto che ti servono i soldi, no?»
«Sì, ma con gli estranei io non gareggio».
«Ragazzi e ragazze, siete pronti?» urlò una ragazza, posizionandosi in mezzo la strada. «Le regole sono sempre le stesse: fino al centro e poi indietro. Chi vince prenderà i soldi, chi perde, beh, sfigato lui...» Alzò la bandiera bianca nel cielo.
I motori di diverse moto presero vita e quando quella stessa bandiera scivolò a terra, le ruote presero vita e la corsa ebbe inizio.

 

Angolo della piccola Autrice 

Buongiorno a te che stai leggendo anche queste piccole note :)
Prima di riportare sul foglio questa storia, avevo in mente tante cose da dirvi, da spiegare la "difficile" vita della protagonista, da chiedervi piccole cose, ma ora, arrivata alla fine mi mancano le parole e non so che cosa dire. Sembra strano, eppure è cosi. Zero, come se quella parte del mio cervello fosse stata cancellata.
Però alcune cosette mi sono venute in mente ad esempio: 
1) La George Washington esiste davvero, ma non sono riuscita a trovare maggiori informazioni riguardanti i corsi e specializzazioni quindi farò alla cieca e farò di questo nome una scuola "personalizzata".
2) Il strano comportamento di Lexie verso i professori perfino il modo in cui sono stati descritti i suoi genitori e tutto i resto, verrà spiegato più avanti, con piccoli passi verrà svelato tutto e anche il motivo del perché la preside non comunica ai genitori della ragazza del suo comportamento fuori luogo e sicuramente da punire severamente.
3) Madre e padre della ragazza verranno mostrati tra 2-3 capitoli quindi anche voi capirete meglio del perché Lexie ha questo atteggiamento e perché ha paura del padre.
Ultimissima cosetta, la storia si suddivide in due parte ovvero quella mattutina e quella serale. Sono collegate tra loro e tutto ha le sue risposte, ma dovrete aspettare ;)
e mi raccomando, non giudicate il libro da una copertina, cosi come non giudicate Lexie nel modo sbagliato :)
Chi sarà poi la rossa? mmh, scoprite voi stessi, ma attenti, non tutto è come sembra, oppure si?

Alla prossima e un bacione a tutti.

Krystal

   
 
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