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Autore: hanabi    10/07/2013    3 recensioni
Lontano, molto lontano, un mondo è pieno di leggende sulla propria origine e la propria storia. E in questo mondo tutto sembra duale: due soli, due continenti, due culture impermeabili, due etnie nemiche. Ma c'è un terzo incomodo, che esiste ed agisce nell'ombra...
Ed è quel terzo incomodo che unisce gli estremi di quel mondo, in una vicenda che sprofonda le radici nel remoto passato, tra intrighi e grandi imprese, sogni e vendette, misteri da svelare e sentimenti contrastanti, ferocia e sensualità. E alla luce di una luna che non è più solo un decoro del cielo, si dipana la storia dei protagonisti... come un gioco dei loro dèi. E di qualcun altro.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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“Tanto sarà tutto inutile,” ridacchiava la vecchia veggente, quasi schiacciata dal mantello di piume. 

Pinhasi, il Guerriero della Cometa che scortava la sua portantina, la guardò brevemente, intanto che sondava tutti i dintorni con i sensi all'erta. Non che qualcuno avrebbe mai fatto del male a una degli ultimi sciamani rimasti nella Città Sacra, ma le tradizioni si rispettavano. Un essere così importante doveva essere vegliato dal guerriero di più alta carica, quindi da lui. 

“Perché dici così, santa Hymirka?”

“Perché sono veggente,” ribatté la vecchia. “E quindi so bene che anche dicendovi la verità, non ci crederete. Penserete che sono i vaneggiamenti di una sciocca dopo una vita passata tra fumi acri, e bacche velenose.” Un cavernoso colpo di tosse. “Mentre non sono mai stata lucida come oggi...”

“Noi crediamo ancora ai tuoi poteri.”

“Il popolo crede ancora,” lo corresse lei. “Ma qui, tra le più sante delle pietre... chi parla in nome degli dèi si è dimenticato che questo non è l’unico dei mondi. Tu stesso sei un grande guerriero... e nient’altro. Una volta gli Xarani conoscevano il Mondo Magico, e alcuni erano grandi sciamani... con poteri inimmaginabili.” Una risatina chioccia. “Ma ora avete tutti quanti... fretta.”

Fretta? 

Pinhasi era stato strappato alla madre non appena svezzato, come tutti i suoi compagni; e aveva passato la sua esistenza ad addestrarsi. Ne aveva avute, di occasioni, per praticare la pazienza. 

E guardando quell’astioso mucchietto d’ossa coperto di piume azzurre, si rese conto di non aver ancora finito di praticarla. 

“Ormai conta il numero, non la qualità,” brontolò la veggente, con tono acido. “Mai visti tanti Xarani: niente più selezione come in passato... solo i palesemente inadatti vengono eliminati. Tu stesso forse non saresti sopravvissuto alle prove che si imponevano, prima del ritorno dell’Arca!”

La mitica Arca delle leggende?  Pinhasi sospirò. Povera Hymirka.

“Lo sai che una volta una sola ala del tempio era sufficiente ad accogliere tutti i Guerrieri della Cometa? Erano pochi... ma sufficienti per proteggere le Divinità, e anche per scendere sulle coste e castigare gli immondi kelith.” Un indice nodoso indicò un’intera distesa di edifici. “Adesso voi Xarani siete un esercito: forse che si sono moltiplicati Kamoh e Lilia? O qualcuno minaccia la loro preziosa esistenza?... No! La verità è che non proteggete più le Divine Persone... ma le loro voci. Che sono diventate tante... troppe.”

Il guerriero chinò il capo piumato. Era vero, la Città Sacra era diventata sempre più grande ad ogni generazione, ed ora era un immenso santuario che testimoniava la devozione di tutta una popolazione. Perché la veggente si adirava per questo?

“Tutto questo è stato predetto... più di mille cicli di soli fa!” sbraitava lei. “È scritto nelle Tavole delle Profezie, quelle che adesso quasi vengono nascoste nei templi... ricordi, guerriero? Bada, Cuore di Sayanna! La gloria è una, ma tanti la reclameranno. Dove c’è un sacerdote, ce ne saranno cento; dove c’è uno Xarani, ce ne saranno cento; dove c’è un tempio, ce ne saranno cento...”

“E dove c’è un nemico, ce ne saranno cento,” completò lui.

Lei emise una sorta di grugnito, come se Pinhasi non avesse capito niente di quell’antica ammonizione, e scosse la testa con riprovazione.

“Significa solo che da un solo grande nemico... sono nati cento piccoli nemici.” Una smorfia di disprezzo. “Non ci fa più paura Kelitha la Depravata, divisa tra i suoi viziosi signori bianchi occupati a complottare e a guerreggiare tra di loro. Tu, grande guerriero cresciuto per combatterli, non ne vedrai mai uno in tutta la tua vita...” Una risata sdentata. “Io invece uno l’ho visto: un giovane ardito, con una cicatrice su una guancia... ah se fossi stata ancora fanciulla, per cantare con lui il lamento di Nyliuk!”

“Veneranda Hymirka!” mormorò Pinhasi, scandalizzato. 

Era una ballata nata nella notte dei tempi, che era stata messa all’indice per immoralità in quanto trattava un argomento indecente come l’amore, per di più tra razze diverse. Tuttavia ogni sforzo per estirparla del tutto era stato vano: quella turpe storia riusciva magicamente a tramandarsi di generazione in generazione.

“Non sono sempre stata vecchia, sai?” Lei ridacchiò. “E noi sciamani abbiamo il sangue caldo... perché in noi brucia il fuoco della vita.”

“Ti prego, santa Hymirka!” Pinhasi si guardò intorno, preoccupato che altri ascoltassero le farneticazioni oscene della veggente. “Siamo in un luogo sacro.”

Lei scrollò le magre spalle. “Era sacro anche il mio santuario, dove ho visto il mio bel diavolo bianco. E non in sogno, ma in carne ed ossa, e nonostante tutto il vostro stuolo di presuntuosi Figli della Cometa a proteggermi!”

Lo Xarani tacque, educatamente.

“Oh, lo so, non c’erano prove...  e i testimoni sono morti. Ma non mi importa se non ci credi. Questo non rende meno reale il mio incontro con lui... e con un alto sayanni che non aveva tutti i tuoi tatuaggi, ma che aveva il potere.”

“Quale potere?”

“L’unico che vale la pena di chiamare tale, sciocco d’un guerriero.” 

Quello di attirare altri poteri intorno a sé!

La portantina arrivò a destinazione, e fu delicatamente posata a terra. La vecchia non si mosse: attese che Pinhasi stesso si chinasse e la prendesse tra le forti braccia, cosa che lui fece con delicatezza e premura. 

“Sei un uomo retto, figlio mio.” La voce della vecchia era appena udibile. “Perdona le mie chiacchiere. Servono solo a farmi... chiudere gli occhi su ciò che è diventato questo posto... la nostra gente.”

“Non siamo mai stati tanto uniti e potenti, venerabile Hymirka.”

Pinhasi cominciò a trasportarla nel santuario, sentendo la sua fragilità estrema tra le braccia. 

“Tu non la vedi, ma intorno a te... la corruzione dilaga. Santi uomini si sfidano per ottenere più potere. I valori in cui credevamo sono ormai solo formule vuote... ripetute senza cuore. Sayanna la Pura... Sayanna la Santa! Bah! Pura e santa solo tra il povero popolo... dove molti ormai vi voltano le spalle, diventando vostri nemici. È più probabile che tu uccida un bravo sayanni che un vile kelith. Ed è giusto, questo?”

“Il nostro compito è castigare i peccatori.”

“Un giorno ti ordineranno di castigare anche me.”

Pinhasi si fermò, colpito.

“Questo è impossibile, Hymirka.”

“Già, perché arriverai tardi. Io sarò già morta.” Una quieta risatina. “Ma... forse incontrerai un’altra Hymirka.” Un sospiro. “Una cometa tornata dal passato, dopo un lungo viaggio...”

“È questa la tua visione?”

“Che ti importa? Attenderai che i saggi te ne diano l’interpretazione ufficiale. E diranno ciò che loro conviene. Tu lo accetterai senza discutere, e obbedirai a qualsiasi ordine, pensando... che il tuo dovere di Xarani sia solo questo.”

“E non lo è, venerabile?”

Lei lo guardò con i suoi occhi acquosi, con un sorriso antico. 

“No.”


 

 

 







 

 

 

*











 

 

 


 

 

 

Era ancora notte fonda quando Naysiak percepì dal suo giaciglio i movimenti delle schiave. Non che questo fosse inconsueto: gli albini erano esseri notturni, e solo le necessità di Luna di Fuoco avevano reso Deyan più diurno dei suoi consimili. Ma gli avevano anche devastato il ritmo circadiano, rendendo del tutto erratici gli orari del suo riposo: spesso si limitava a brevi sonni sparpagliati tra giorno e notte, finché non crollava e dormiva da tramonto a tramonto. Tutta la sua casa si era naturalmente adeguata a questa sua bizzarria, con la tipica rassegnazione kelith. 

Naysiak aprì gli occhi, con uno sforzo deliberato: era la festa dell’Unione, la più solenne del calendario religioso sayanni. Lei non avrebbe potuto partecipare ai riti, chiusa com’era in quella casa di pellebianca miscredenti; ma avrebbe ugualmente pregato dal muro di cinta, bruciando profumi e cantando, con lo sguardo fisso ad oriente fino al sorgere dei due soli in congiunzione. 

Si raddrizzò dalla sua stuoia, sbadigliando... 

E trovò intorno a sé quattro ragazze, tutte adornate e truccate, con grandi sorrisi sui volti perfetti.

“Ben svegliata, signora,” cinguettarono in coro, come se lei fosse stata una Prima tra le Prime. 

Lei le guardò, incredula. Signora?

La schiava Tre, che a detta delle compagne aveva una vera e propria passione per lei, fece da portavoce per tutte. “Il padrone ha detto che oggi è una giornata speciale per te. Ci ha ordinato di servirti.” 

Gli occhi di Naysiak si riempirono di allarmato sconcerto. 

È uno scherzo? 

Le ragazze la circondarono, le offrirono salviette umide e profumate per rinfrescarsi il volto e il corpo, una tazza di infuso purificante, la aiutarono a sciogliersi i capelli e a pettinarli di nuovo, intrecciandoli e appuntandoli secondo il complicato schema di festa, indicato da un disegno di Pushpa. 

Poi apparve Ibal, barcollando: teneva tra le braccia un mucchio di cuoio e metallo, e sudava dallo sforzo. Lo posò col massimo garbo possibile davanti a lei.

“Il padrone ha pensato di farti cosa gradita restituendoti questa per l’occasione.”

Lei ebbe un tremito, rendendosi conto che non era uno scherzo... che era veramente la sua armatura!

Oh, Liberatore!...

Si coprì gli occhi con le mani, troppo emozionata per parlare. Tre naturalmente ne approfittò per confortarla con un abbraccio, e Naysiak scoprì di averne bisogno... quasi stritolò la ragazza, facendola boccheggiare in estasi. 

Poi guardò l’eunuco con occhi lustri. “Potere... vestire?”

Ibal annuì, sorridendo suo malgrado di fronte a tanta felicità.

Lei scattò in piedi e si mise frettolosamente a indossare l’armatura, dopo aver cinto il perizoma: le schiave cercarono goffamente di aiutarla, benché non sapessero nulla di come si allacciavano tutte quelle stringhe addosso a lei, e mormorassero al peso di ogni pezzo. 

Poi l’accompagnarono davanti a uno specchio, affinché potesse vedersi. E lei restò senza fiato, a riconoscersi finalmente dopo così tanto tempo. Non più la schiava in stracci, o la guerriera delle foreste...

Naysiak degli Huanai, Figlia della Cometa, Guardiana Sacra delle Divine Persone.

Allacciò la cintura della spada intorno ai fianchi, accarezzò quella superficie di tessere metalliche che, obbedienti, seguivano il profilo del suo corpo senza intralciarne i movimenti: era la sua seconda pelle, che tornava a splendere assieme al suo spirito, e davvero poteva sembrarle che non fossero passati tutti quei cicli dei soli, tutta la sofferenza dell’eterna reclusione, e del risveglio...

Poi si voltò, vedendo le schiave fissarla in silenzio, stupefatte. E Ibal stesso si inchinò, quasi intimorito. Era incredibile quel cambiamento, da misera serva a splendente dea della guerra, dorata e azzurra.

“Sei bellissima,” ansimò Tre, tutta rossa in faccia. “Sembri un grande condottiero.”

Ibal le porse cerimoniosamente l’elmo. 

“Il padrone mi ha ordinato di dirti che stasera ti regalerà una cerimonia del bagno.”

Lei lo guardò, esterrefatta. 

I kelith erano molto puliti, anche in quella casa dove vigeva la ferrea disciplina sull’acqua tipica della gente del deserto. Ma proprio per quella parsimonia il loro bagno era così speciale da essere considerato un lusso, e per quello la vasca di Deyan era così bella. Una volta lei era andata di soppiatto a vederla, toccando l’acqua per godersi lo scintillio di tutte quelle mattonelle colorate, e fissare lo sguardo oltre di esse, come in un pozzo delle visioni... e quando l’avevano sorpresa l’avevano punita duramente, perché aveva osato contaminare il bagno del padrone.

E lui ora le regalava la possibilità di bagnarsi in quella stessa, magica vasca...

“Abbiamo l’ordine di darti quanto di meglio una donna del nostro paese possa desiderare,” spiegò Ibal. “Avrai quindi profumi, massaggio, vesti e gioielli, musica... il servizio di una Prima Signora.”

Tre la guardò, famelica. “Ti laverò io, Tredici, con le mie mani.”

Ibal sorrise con condiscendenza. “In via eccezionale, il padrone ti concede anche di disporre delle sue schiave secondo il tuo piacere. Se le vorrai per i giochi tra femmine, non si opporranno.”

“Giochi?...” 

“Quelli del tuo popolo... o i nostri, se vorrai che le schiave te ne insegnino qualcuno.” 

Le ragazze ridacchiarono maliziosamente.

“Il padrone ti ha fatto procurare anche dei cibi rari... dal mare, perché ha saputo che sei nata sulle sue rive.” Ibal fece una smorfia. “Ha anche assunto un cuoco per la giornata, perché noi Shanì non siamo pratici di creature dell’oceano, né di quelle grosse conchiglie che chiamate myrni: spera che la sua opera sia di tuo gradimento.”

Lei era sempre più sbalordita. Myrni? L’ultima volta che aveva assaggiato quel delizioso mollusco, Kelitha era ancora un impero, sotto l’antenato degli antenati di Deyan...

“Naturalmente oggi sei esentata da ogni lavoro manuale. Puoi andare al tuo tempio, a festeggiare assieme alla tua gente. Torna quando lo desideri.”

Lei temperò la sua felicità.

“Non potere andare, Ibal-ji. Posto di me qua. Seriema in pericolo...”

L’eunuco la guardò per la prima volta con qualcosa di simile al rispetto, vedendo quanto teneva al suo signore. 

“Non aver paura per lui. Ha deciso di non uscire dalle sue stanze e non ricevere nessun estraneo, affinché tu non debba temere per la sua sicurezza e possa goderti appieno questo giorno di libertà.”

A Naysiak si chiuse la gola dalla commozione.

Un padrone che si rinchiudeva per far felice una schiava. E un giorno indimenticabile per riconciliarla con la vita, dopo un millennio trascorso a maledirla.

Oh, Liberatore... è questo il dono che vuoi farmi?

 

 

 

 

 

 






 

 

 



 

 

 

Deyan aveva preso quella decisione qualche giorno prima.

Aveva sentito la voce di Naysiak, in cortile. Sapeva che per lei era uno strumento potente, addestrato a tutte le esigenze della liturgia e della guerra. Quel giorno però era una carezza: ripeteva all’infinito la stessa frase secondo la tradizione dell’antico canto sayanni, col suo ritmo altalenante.

Na-ni, na-ni, nikka ji, hakinijanna ni, taitanai mahé, na-ni, na-ni...

Ed era un suono quasi amorevole, che aveva lavato via le pesanti emozioni di quei giorni. 

Saal aveva ordinato a un servo di uscire e farla tacere, ma Deyan l’aveva fermato. Era sceso lui stesso, incuriosito dal quel canto. L’aveva trovata seduta accanto al pozzo, le trecce legate a mazzo sulla testa, sudata dopo i suoi esercizi; stava riparando il laccio spezzato di un mocassino, con un sorriso quasi sognante sulle labbra.

Il suo cuore si sta intenerendo, come dicono le mie schiave? 

L’aveva chiamata, e lei si era raggelata, smettendo di colpo di cantare. A Deyan era sembrato di aver spento un focherello buttandoci sopra brutalmente un sacco di sabbia...

Si aspetta sempre il peggio, da me.

Riteneva però di non meritare quella diffidenza. Naysiak era tutto quel che un padrone kelith non avrebbe mai voluto in una schiava, e lui era stato piuttosto conciliante con lei... molto più di quanto le dure usanze prescrivessero. Una sola volta l’aveva fatta frustare sul serio, ma poi l’aveva fatta curare invece di farla rotolare nel sale, come avrebbe fatto qualsiasi altro kelith di fronte alla sua impertinenza (o impalare, come avrebbe fatto qualsiasi altro nobile). Le aveva concesso di uscire dalla shanda, di rivolgere la parola agli uomini, di essere armata accanto a lui, di potergli parlare in pubblico, le aveva fatto mantenere i suoi costumi, e non l’aveva mai toccata, benché avesse tutti i diritti di usarla a piacimento... 

Cosa pretende di più?

Le aveva parlato, ma lei non aveva staccato gli occhi da terra: c’era in lei qualcosa di simile alla tristezza dell’animale domato. Aveva risposto con deferenza, usando un linguaggio elementare, ma sempre più elaborato a ogni giorno che passava: lui si era complimentato per la rapidità con cui stava imparando la nuova lingua, e lei aveva avuto un’espressione amara, che gli aveva fatto intuire perfettamente il suo pensiero.

Stupito che quest’animale sia anche intelligente?

Invece gli aveva detto che era tutto merito di Pushpa come insegnante. E notando che si portava ancora la mano al fianco, gli aveva suggerito di prendere il t’yr anche come medico personale: finché non avesse chiarito la questione con i kelith, era meglio fidarsi di un sayanni che gli era già amico.

Era stato un consiglio pieno di buonsenso, e lui si era stupito di non averci pensato prima. E considerando anche che era stata fedele, onesta e volenterosa, e aveva sventato una probabile minaccia alla sua vita, aveva pensato di ricompensarla.

“Sono tra gli uomini più ricchi di Luna di Fuoco,” le aveva detto. “Chiedimi un dono qualsiasi, e io ti accontenterò.”

Si era maledetto nello stesso istante in cui finiva di pronunciare quella frase, perché si era reso conto di quanto avrebbe potuto costargli quel momento di generosità... 

Mi chiederà di morire. Come mi ha sempre chiesto, sin da quando mi ha giurato fedeltà!

Ma ormai aveva dato la sua parola... si era rassegnato a ricevere quella tremenda richiesta, pensando con angoscia a Ran che si stava appena riprendendo dal lutto per Nemel. 

Ma stavolta lei non gli aveva chiesto il permesso di uccidersi. Aveva esitato, a lungo, poi aveva alzato gli occhi al cielo con una strana, malinconica espressione.

“Kainì, Pa’ekin-ji. Naysiak-ki imaa ekka hanai...”

Infine aveva guardato Deyan con un triste sorriso, e gli aveva domandato solo un’okka di resina aromatica, e il permesso di andare sulle mura prima dell’alba, per bruciarla e cantare la sua preghiera agli dèi.

Lui era rimasto sorpreso. “Una manciata di profumo da bruciare? Nient’altro?”

“Altro Seriema non volere dare.”

“Ci sono molte cose, tra il nulla e il tutto.”

Aveva scosso la testa. “Schiava non avere desiderio di cose. Schiava volere solo.... momento di dimenticare.”

“Dimenticare cosa?”

“Dolore.”

Era seguito un lungo istante di silenzio tra loro due. 

“Sia,” aveva mormorato Deyan. “Se è questo che vuoi, l’avrai.”

Almeno per un giorno, dimenticherai il dolore.

 

 













 

 

“No, per favore, basta!” disse Ran, alzando una mano per respingere il servo che gli porgeva di nuovo il piatto. “Sono sazio. Per gli dèi, mi toccherà slacciare la cintura...”

“Non mi sembra che tu abbia mangiato molto,” notò Deyan, lavandosi le dita nella ciotola di acqua profumata davanti a sé. “Ricordo ben altre prestazioni del tuo stomaco: forse il cibo che ti ho offerto non era di tuo gusto?”

“Al contrario,” disse lui. “Era tutto così buono da farmi dimenticare che un bravo sayanni mangia solo per nutrirsi, e non per il piacere di mangiare.” Si lavò le dita a sua volta. “Del resto l’amore kelith per la buona tavola è un altro dei segni della vostra inarrestabile degradazione morale: o almeno così ci viene insegnato.“

“Povera scusa per inorgoglirvi della vostra dieta monotona,” ribatté Deyan. “Poi, quando voi sayanni assaggiate la nostra cucina decadente... finite col preferirla alla vostra.”

“È vero,” sogghignò Ran, “E confesso di essere un peccatore.”

Deyan si rilassò sui cuscini, conficcando uno stecco d’argento in un dado di fresco melone.

“Lo trovo confortante.” 

Ran alzò un sopracciglio, prendendo la sua coppa di vino speziato. Conosceva quell’attitudine del suo amico, che lo faceva tanto somigliare a un bianco felino in agguato. 

Ha qualcosa in mente, non c’è dubbio... 

Ma sapeva che non gliene avrebbe parlato: l’etichetta kelith bandiva dalla tavola qualsiasi conversazione troppo seria o impegnata. Il pasto era un momento di riposo anche per la mente e il cibo reclamava il giusto rispetto. Soprattutto quel cibo, che non avrebbe avuto uguali su tutta Luna di Fuoco. 

Ran sorseggiò il suo vino e si voltò verso la finestra, da dove entrava la fresca aria della sera. La musica trapelava dalla shanda risuonando per tutta la casa: un tema gioioso di strumenti a corda. Era intercalata da mormorii e risatine femminili, e da un grido di protesta vagamente scandalizzato. 

“No!... No, detto no... io non fare gioco kelith!”

Ran non poté fare a meno di sorridere, riconoscendo quella voce. “Grazie, Deyan-shir.”

“Di cosa?”

Indicò la finestra. “Di questo.”  

“Ero stanco di sentirla solo soffrire. Le ho regalato un giorno di vacanza dal suo dolore.”

“Sei stato generoso. E non solo con lei, ma anche con me... e con tutti i sayanni di Luna di Fuoco.” Chinò la testa con un sospiro. “Se solo il povero Nemel fosse sopravvissuto, per vivere una giornata come questa...”

Per lui era cominciata prima dell’alba: da ostinato ribelle qual era, si era rifiutato di vegliare, ma l’avevano destato le grida emozionate dei suoi compatrioti: nel tempio delle Divinità Duali c’era una Guerriera della Cometa in armatura! 

Lei?!

Si era scaraventato fuori dal giaciglio, correndo insieme a tutti gli altri verso il tempio. Vi era arrivato senza fiato, trovando i sayanni accalcati in religioso silenzio attorno a una figura scintillante che pregava. Poi la sua voce magica si era alzata nel canto sacro, che non era mai cambiato dalla notte dei tempi...

Lui aveva pianto di emozione, senza curarsi di nasconderlo. 

Poi lei aveva sguainato spada e pugnale, e si era offerta per il combattimento rituale: un onore millenario che aveva lasciato senza fiato gli astanti, perché quello era un rito che si compiva solo nella Città Sacra. Sei sayanni di casta guerriera si erano subito presentati per sacrificare le loro piume alle Divinità, tramite quel duello che non avrebbero mai potuto vincere: Naysiak gliele aveva prese con onore dimostrando il suo incredibile talento, in un combattimento incruento. 

Anche Ran si era presentato, desideroso di mostrarsi degno di una simile amicizia. Aveva scelto il pugnale, e si era impegnato al massimo per cercare di sconfiggerla... il suo era stato il duello più prolungato e spettacolare. Ma forse era stata lei a volerlo così, perché quando aveva deciso di concluderlo lui si era trovato battuto come tutti gli altri; i sayanni l’avevano comunque acclamato, e lei gli aveva fatto un cenno di approvazione. Poi era andata a guidare l’inizio della processione, tra un tripudio di canti, nella più memorabile delle feste dell’Unione mai celebrate su Luna di Fuoco...

“Ran?”

Si scosse. “Scusa. Hai detto qualcosa?”

Deyan sorrise. “Non ha importanza.” 

“Perdonami.” Un sorriso confuso. “La mia mente... era lontana da qui.”

“Desideri concludere la cena? 

“Se questo non ti offende.”

“Sei mio ospite, la mia casa è tua.” Attese che Ran si alzasse per primo, secondo l’etichetta, e lo fece a sua volta, portando la mano destra sul petto. “Ti ringrazio per l’onore che mi hai fatto, sedendoti alla mia tavola.”

Lui fece un breve inchino. “L’onore è mio, e tua la mia gratitudine.” 

Deyan gli lanciò sguardo d’approvazione. “Ormai le tue maniere kelith sono impeccabili, Ran. Potresti cavartela anche tra ospiti altolocati.”

“Non mi interessano, ho già il piacere di frequentare il più altolocato di tutti.”

Lui sorrise e batté le mani, segnalando alla servitù che il pasto era finito. 

“Spostiamoci nella mia stanza di conversazione,” disse, facendo strada all’amico. “Ti servirò del rati per aiutare la tua digestione, ci rilasseremo e parleremo liberamente.” 

Lo fece entrare in quell’elegante saletta, nella quale erano già state accese le lampade ad olio profumato. Ran si accomodò sul suo cuscino preferito, mentre un servo portava il fornello per la preparazione del rati, la calda bevanda dolce e speziata tipica di Shana. Accese il fuoco sotto al bricco dorato, già riempito d’acqua, e dispose le tazze sul vassoio. Quindi si allontanò. 

Deyan si sedette a sua volta, un’isola di sobria seta scura tra le stoffe colorate dei cuscini. Dalla finestra giungeva l’eco del canto di una delle sue schiave, a creare un’atmosfera magica.  

“Sono lieto che tu abbia accettato il mio invito a cena. Sei smagrito, amico mio.”

“Ho concluso solo tre giorni fa il periodo di digiuno in onore di Nemel. Ma non devi preoccuparti: sono forte, e poi il mio stomaco ricorda ancora i digiuni che facevo per motivi assai meno nobili...”

“Hai perso molti amici in vita tua?”

“Quando scappi con una condanna a morte sulla testa, è come se perdessi tutto ciò a cui tieni in un colpo solo.... amici compresi. E tutti.” Un sospiro. “A parte questo, sono stato anche abbastanza fortunato, per essere un guerriero. Pochi i compagni per cui ho pianto. Ogni volta... ho sperato che fosse l’ultima, ma so che non è così. La nostra è una vita pericolosa.” Gli occhi blu si  abbassarono. “E so benissimo che prima o poi un altro mio caro amico... andrà a corteggiare la morte.”

Deyan si irrigidì appena. 

“Non negarlo,” mormorò Ran. “E... non nascondermelo, come hai fatto l’ultima volta.”

Ci fu un istante di silenzio tra i due. 

“È la trappola che Jenna mi ha messo davanti, per vendicarsi di me,” ammise alla fine Deyan, a voce bassa. “Ma anche sapendolo, non posso evitarla. Devo tornare a Shana.”

“Quando partirai?” 

“Solo quando avrò chiuso i conti con chi ha cercato di vendermi all’Augusto Consorzio. O lo rifarebbe ancora... e questa volta mi sarebbe fatale.”

“Chi è il tuo nemico?”

“Non lo so ancora, ma sospetto qualcuno della Fratellanza...”

“I mercenari kelith?!”

“Avevo comprato la mappa di Zakkara da loro. Molti sono informatori di professione, come tu ben sai: lo fanno per noi predoni, ma hanno le conoscenze per farlo anche in senso inverso: in fin dei conti l’unico segreto che non venderebbero mai è quello del Vortice, perché altrimenti si troverebbero abbandonati dai Marjaban; ma il resto è un’altra faccenda.”

“È una cosa ignobile!” esclamò Ran. “Contraria allo spirito della Comunità...”

“Che è fatta in gran parte di fuorilegge senza scrupoli, occupati a cercare il proprio profitto.”

La calma con cui Deyan accettava l’amoralità altrui era per Ran la sua caratteristica più kelith. 

Si grattò la testa, perplesso. “Sicuro che sia qualcuno di Luna di Fuoco?”

Deyan annuì. “Jenna non era a Zakkara per caso. E non solo sapeva dove avremmo attaccato, ma anche quando. E io questo l’avevo deciso quando quel nobile doveva essere già in mare, o non avrebbe fatto in tempo a raggiungermi...”

“Non è possibile usare il Vortice per raggiungere una nave in mare: i Marjaban accettano solo destinazioni sulla terraferma. Quindi quel traditore dev’essere per forza sceso a Zakkara con noi: se i Maghi Neri ci dicessero chi altri si è fatto trasportare da quelle parti...”

Deyan scosse la testa. “Sai bene che non rivelano mai i dettagli dei viaggi che vendono: la riservatezza è parte del patto, e ogni destinazione è segreta.” Si alzò per prendere gli ingredienti del rati da un’artistica cassetta. “Certo, niente impedisce ai predoni di sapere in altro modo dove qualcuno si è diretto; e seguire un nemico sul mondo, dove le nostre leggi non valgono, è un sistema come un altro per risolvere i nostri conflitti.”

“Conflitti?” mormorò Ran. “Ma tu non ne hai mai avuti, con i kelith di qua!”

Un amaro sorriso. “Valgo troppo, Ran. Jenna mi ha fatto capire la tentazione che suscito in troppa gente. Qualsiasi cosa mi riguardi sposta un’ingente ricchezza... e infatti è questa, la pista che intendo seguire. Ho già messo Aydie e i suoi al lavoro, per spiare chi mi spia.” 

“E quando scoprirai chi è?”

Gli occhi rossi si strinsero in uno sguardo affilato come una lama.

“Qualcuno imparerà il motivo per cui quelli come me vengono chiamati Diavoli Bianchi.”

Ran rabbrividì, e tacque. 

Le perle di metallo sul fondo del bricco cominciarono a cantare, segno che l’acqua stava per bollire. Deyan si accostò al fornello: aveva sempre preparato lui il rati per Ran, sin da quando era diventato il suo liberto: era un gesto d’affetto, e insieme d’onore. Aprì il coperchio del bricco e vi versò la giusta quantità di miscela, aggiunse profumatissime foglie di spezia e pasta dolce, richiuse il coperchio e spense il fuoco.  

“Non pensare a questo, Ran,” disse, vedendo l’espressione pensierosa dell’amico. “Lascia a me questa sciarada tra infidi kelith. È vero che forse sei, assieme a Pushpa, il sayanni che più comprende la mia gente; ma il suo lato oscuro non può che sfuggire a un cuore limpido come il tuo.”

“E il tuo cuore non lo è, Deyan-shir?”

“Molti dicono che noi albini non abbiamo un cuore: solo un muscolo che ci tiene in vita.” 

Ran lo guardò prendere il bricco e scuoterlo gentilmente, poi versare il liquido quasi goccia a goccia nelle tazze smaltate. 

Molti si sbagliano, perché tu ce l’hai... anche se lo nascondi gelosamente.

Deyan gli porse la tazza. “Accantoniamo questi discorsi tristi: oggi è un giorno di festa per la tua gente... e anche per questa casa; e voglio vederti sorridere, non angosciarti o pensare a ciò che non puoi cambiare.”

Ran accettò la bevanda, con gratitudine. 

“La tua dev’essere l’unica casa kelith dove si fa festa per una nostra ricorrenza...”

“E perché no, quando il mio miglior amico è sayanni?” Uno sguardo sornione. “E non solo lui.”

Batté le mani, facendolo trasalire.

“Saal!”

La porta si aprì immediatamente. “Padrone?”

Deyan finse un tono severo. “Ho un ospite con me: dov’è la mia guardia del corpo?”

Saal si inchinò, nascondendo un sorriso. “Questo servo l’ha già fatta chiamare, sta arrivando.” 

Ran posò frettolosamente la tazza, si lisciò il farsetto nuovo, ornato di borchiette splendenti, e si passò una mano tra i capelli per essere sicuro di essere in ordine. Poi sistemò le armille d’argento ai bicipiti, e i bracciali di pelle in modo che mostrassero correttamente le decorazioni in corallo. Controllò che gli orecchini fossero a posto, poi intercettò il sorriso divertito di Deyan.

“Non preoccuparti, Ran: secondo i canoni sayanni, sei uno degli uomini più attraenti di Luna di fuoco... anche senza tutti i tuoi orpelli da guerriero.”

“Sciocchezze,” brontolò. "Mi prudeva giusto qui," e si grattò sotto l'orecchio. 

La porta era rimasta aperta. La voce di Saal sibilò: “Corri!”

Si udirono i passi leggeri e affrettati di piedi nudi, ritmati da un tintinnio musicale...

E Naysiak entrò, trafelata. “Perdono, Seriema!

“Sei scusata, ma solo perché il mio ospite è un... ”

Non completò la frase, guardandola sbalordito. 

Aveva segretamente ordinato a Ibal di farla bella per far colpo su Ran; l’eunuco aveva obiettato che una povera barbara non era fisicamente adatta alle cure estetiche delle donne civili, ma d’altra parte non si sapeva nemmeno se esistesse, un’estetica sayanni... così lui e le schiave avevano lavorato di improvvisazione.

Dopo il bagno l’avevano massaggiata con oli profumati, fino a far rilucere la sua pelle come seta, e le avevano infilato addosso un lungo e morbido abito kelith color di rosa, sbracciato e scollatissimo, di un tessuto così lieve che il suo corpo azzurro si intravedeva nella trama; la cintura della spada ne era un bizzarro complemento. Il collare le era stato lucidato, le avevano allacciato ai polsi e alle caviglie delle fasce di seta con graziosi sonaglini d’oro che risuonavano ad ogni movimento, e le avevano anche spruzzato polvere dorata intorno ai grandi occhi: lei doveva aver opposto resistenza, perché le era finita un po’ dappertutto, dandole uno strano aspetto da notte stellata. I suoi capelli umidi e strofinati di balsami erano ancora sciolti, perché astutamente non le avevano dato il tempo di intrecciarseli come al solito, e Deyan si accorse per la prima volta di una stranezza che non aveva mai notato prima...

Ha i capelli ricci!

Era una caratteristica assolutamente inconsueta tra i sayanni, che normalmente avevano capigliature abbondanti, ma lisce. Forse era vero che Naysiak avesse qualche goccia di sangue Marjaban nelle vene. 

Un’occhiata a Ran, e fu chiaro che la sorpresa aveva fatto il suo effetto. 

Visto, amico mio? Adesso non puoi più fingere che lei non sia una femmina e tu non sia un maschio. Vediamo se finalmente superi i tuoi scrupoli sayanni, e diventi l’uomo di cui lei ha bisogno per smettere di pensare soltanto alla morte.

Lui squadrava con aria esterrefatta quella strana fata atletica e tatuata, confrontandola con la guerriera in armatura con cui si era battuto quella mattina.

“Sei... proprio tu, Xarani?” chiese, in tono incerto.

Lei annuì, con un sorriso tutto fossette. “Benvenuto, Randanai.”

“Per gli dèi, sorella, ma... ma come ti sei conciata?!”

“Vestito dono di Seriema,” rispose lei con assoluto candore, come se quell’abito raffinato non fosse che un’altra versione della sua tunichetta da lavoro. Una carezza ai capelli. “Perdono per non treccia, ma Randanai amico, ni?”

Andò nel suo solito angolo (mostrando quella meravigliosa cascata di riccioli neroblu, che giungeva fino alla curva delle natiche che peraltro, essendo lei nuda sotto al vestito, si intuivano perfettamente), cercò di sedersi a gambe incrociate, ma l’abito la impacciava: dovette raccogliersi con le gambe sotto di sé, in una posa graziosissima, e portò la spada sulle ginocchia, scostando la massa di capelli su una spalla e scoprendo l’altra; la spallina del vestito si abbassò in maniera seducente su un seno, senza che lei ci facesse caso.

Deyan era incredulo a ciò che vedeva.

E questa sarebbe la mia barbara feroce che si veste di pelli e scotenna i nemici?

Ran era evidentemente turbato da quella selvaggia femminilità rivelata tutta d’un colpo, e il suo imbarazzo era così grande da sembrare addirittura comico. 

Si girò appena di fianco, come per non doverla vedere; colse lo sguardo di Deyan, e gli ringhiò in tono d’accusa: “Che ti è saltato in mente, dannato kelith?! Volevi prenderti gioco di lei?”

“No!” disse lui in tono reciso, vedendo gli occhi di Naysiak dilatarsi con uno sguardo allarmato. “Non ho inteso insultarla. Volevo soltanto farle un dono, e non sapendo cosa potesse piacerle... le ho offerto ciò che una donna del mio paese troverebbe bello e desiderabile.” Si rivolse a lei. “Credimi, Naysiak. Volevo solo farti contenta.”

Lei lo guardò negli occhi, come per leggergli dentro. E annuì, con un sorriso adorabile. 

Dea Benedetta, cosa diavolo aspetta Ran a chiedermi di dargli una donna come questa...

Ma lui fissava ostinatamente il pavimento davanti a sé, con la faccia violacea, come se cercasse di pompare la propria indignazione per resistere a quel fascino. 

“D’accordo, sorella. Le intenzioni erano buone. Ma un po’ di senso della decenza!... Capisco che sei in una casa di scostumati pieni di vizi, ma sei sempre una Guerriera Sacra, non dovresti giocare a fare la schiavetta da shanda!”

Deyan trasalì a quella definizione così brutale della sua casa: ormai era raro, sentire Ran ricadere nei vecchi stereotipi contro il suo popolo. In quanto al suo rimprovero, una donna kelith avrebbe taciuto, vergognandosi...

Ma Naysiak non era una donna kelith.

“Randanai non dire cosa io deve fare.” Uno sguardo altezzoso. “Randanai padrone di Xarani?” 

Non ancora, pensò Deyan, segretamente divertito.

“Se fossi il tuo padrone, non ti permetterei certo di abbigliarti come una... come una...” 

Non finì nemmeno la frase, troppo indignato.
       Ma lei alzò il mento, orgogliosa. 
“Regalo Seriema piace a Naysiak. Io mettere, Randanai non piace, Randanai non guarda.” 

“Ti rendi conto che sei ridicola?” sbottò lui, decidendosi finalmente a guardarla. 

“Randanai ridere?” Lei lanciò un’occhiatina allusiva ai suoi larghi pantaloni, e Ran avvampò. “Allora io anche ridere.” Sorrise, sfacciata. “Tutti ridere. Giorno di festa.”

Deyan portò le dita alla fronte, ridacchiando suo malgrado. 

Oh, Naysiak. 

Era la seconda volta che riusciva a incrinare il suo serio contegno. C’era qualcosa di così spontaneo e irresistibile nella sua impertinenza, quando era allegra...

Ran contemplò quella sua rarissima ilarità con aria offesa. 

“Accidenti, Deyan-shir!... Questa da te non me l’aspettavo! Ho sbagliato a credere che volessi prenderti gioco di lei: sono io la vittima di questo tuo scherzo grottesco!”

“Quale scherzo?” fece lui, ricomponendosi a fatica. “Davvero, Ran: mi sembra che tu te la stia prendendo un po’ troppo. Nessuno qui ha mai voluto il tuo male. Né io, ne la povera Naysiak.” Gliela indicò. “Guardala: ha sofferto così tanto... e oggi che è felice, tu le rimproveri anche la gioia di un semplice vestito, indossato nell’intimità delle mura di una casa?”

Lui le rivolse uno sguardo incerto. Naysiak gli sorrise, stavolta con dolcezza: i riccioli ribelli le erano ricaduti intorno al viso; era incredibile come ammorbidissero il suo volto, che non sembrava più così tondo...

“Pace, Randanai?”

La faccia del sayanni era lucida di sudore.

“Pace,” mormorò, con un grosso respiro. 

Deyan non aveva ancora toccato la sua tazza di rati. La prese e la tese verso di lei, con un cenno benevolo.

“Bevete insieme,” disse. “E suggellate questa pace.”

Lei lo guardò con occhi sorpresi. 

“Seriema, non potere. Io solo schiava...”

“Sei la persona che sta più a cuore all’unico vero amico che ho.” Uno sguardo a Ran, la cui faccia era quasi incendiata. “È un brav’uomo, leale, forte, e onesto più di quanto un predone forse dovrebbe essere. Bevi con lui.” La vide in dubbio, e soggiunse, con dolcezza: “È un ordine.”

Lei sorrise. “Ya, Seriema.”

Si alzò con un movimento elegante, tra un tintinnio di sonaglini. Riportò la spada sul fianco: la luce della lampada dietro di lei rivelò tutte le trasparenze del suo vestito. Si avvicinò con passo lieve a Ran, sprigionando una nube di profumo, e si sedette con grazia davanti a lui. Si girò a prendere la tazza dalle mani di Deyan, stando attenta a non toccargli le dita, e con un gesto cerimoniale la sollevò quasi alle labbra, attendendo che Ran prendesse la sua e facesse altrettanto. 

Ma Ran non guardava la tazza. Guardava lei, i suoi piedi nudi ornati dalle cavigliere, la nebbia rosa che avvolgeva le sue gambe lisce, e più in alto, dove non c’era traccia di alcun perizoma...

Spalancò gli occhi e si portò le mani al ventre. 

“Che ti succede?!” mormorò Deyan, sorpreso. 

“Niente... niente...” Strinse i denti, la faccia violacea. “Non è... niente.”

Prese la tazza con mani tremanti, e la vuotò del liquido ormai quasi freddo. Anche lei lo fece, guardandolo negli occhi: sembrava quasi un rito di nozze. Restò sorpresa all’aroma del rati, che non aveva mai provato prima in vita sua: le piacque, e con la punta della lingua si sfiorò le labbra generose per sentire il gusto dolce che vi era rimasto...

Ran sbarrò gli occhi. Poi si piegò in avanti, con un gemito. 

Naysiak posò la tazza, preoccupata. “Randanai male?” 

Si chinò premurosa su di lui, e Ran si trovò a guardarle direttamente dentro la scollatura.

Emise un ruggito e si piegò ancora di più, artigliandosi l’inguine. 

“Maledizione!” gemette. “Per Kamoh e Lilia, toglimi questa strega Xarani dalla vista, Deyan-shir!”

“Strega?...” mormorò lei. “Io non sapere parola...” 

“Non importa, te la spiegherò dopo.” Deyan prese con urgenza la tazza dove Ran aveva bevuto, fiutandola. “Forse qualcuno è riuscito ad avvelenare...”

“Sì!” gridò Ran. “E sei stato tu! Potevamo chiacchierare in pace... e tu hai fatto venire questa dannata femmina svestita!”

“E da quando in qua vedere una femmina svestita ti dà fastidio?” chiese lui, perplesso. “Hai visto Naysiak nuda o quasi più di una volta...”

“Ma lei adesso non è nuda, non lo vedi, dannato d’un kelith?! È peggio che nuda!...” Ansimò, quasi disperato. “Accidenti, ormai sei su Luna di Fuoco da tempo, sai come siamo fatti noi sayanni, sai come sono fatto io... devo proprio spiegarti tutto?!”

Finalmente Deyan capì, e sprofondò nell’imbarazzo. 

“Ti chiedo umilmente perdono.”

Si alzò di scatto, prese per un braccio la stupita Naysiak. Lei lo guardò, incredula che lui l’avesse addirittura toccata: doveva essere una cosa veramente urgentissima!

“Presto, vieni via.”

La trascinò fuori da quella stanza, lasciando Ran a bestemmiare, e si infilò di nuovo nella sala da pranzo. Il servo che stava rassettandola li guardò con tanto d’occhi...

“Fuori!” sibilò lui, con un tono che qualsiasi kelith avrebbe trovato pericolosissimo. 

Il servo scappò a gambe levate.

Deyan lasciò Naysiak e si passò una mano tra i capelli.
       “Oh, Dea... che errore che ho commesso.”

Lei lo guardò: non aveva mai visto tante emozioni tutte insieme sul suo viso. Era come se non sapesse scegliere cosa provare tra costernazione e ilarità.

Abbassò la voce a un sussurro. “Seriema, pericolo?” Un’occhiata intorno, come se potesse penetrare le mura con lo sguardo. “Io non sente nemici.”

“Non hai capito cos’è successo?”

Lei scosse la testa.

“Ma perché con voi sayanni dev’essere tutto così complicato?” Un sospiro esasperato. “Ascolta, Naysiak: è meglio che Ran non ti veda più con quel vestito. Pensavo di fargli piacere...”

“Fare piacere a Randanai?” Lei lo guardò, senza capire. “Vestito e... cura di schiave per Naysiak. No?”

“Sì,” ammise lui, “ma pensavo che anche a Ran sarebbe piaciuto vederti così. Invece ne è rimasto turbato.”

“Perché Randanai odia cose di kelith?” Lei scosse la testa, con un sorriso incredulo. “Ma Randanai mangiare cibo di kelith, bere acqua di kelith, avere... amico kelith!”

“Non so se mi considererà più un amico, dopo questo.”

“Io non capire, Seriema.”

Deyan dovette ricordarsi che lei era una vergine sayanni, quindi completamente all’oscuro di tutto ciò che aveva a che fare col sesso...
       Cercò con attenzione le parole adatte. 
“Vedi, Naysiak... a noi kelith piace la bellezza, e quel che ti abbiamo fatto ha esaltato la tua. Ran è un maschio adulto, forte e sano, e la tua vicinanza ha provocato... una certa naturale reazione fisica nel suo corpo.” 

Lei annuì, pur essendo chiaro che ancora non capiva. 

“Lui però è vergine. Quindi ha provato... dolore a guardarti.”

“Dolore?” fece lei, corrugando le sopracciglia. 

“Alla... Membrana.”

I suoi occhi si dilatarono. “Io... fatto male a Membrana di Randanai?!” 

“Del tutto involontariamente,” si affrettò a dire lui. “E non credo che ci siano stati... danni. Ma puoi capire il motivo per cui Ran era così... arrabbiato.”

Lei ebbe uno sguardo smarrito. “Arrabbiato, sì! Onore, pericolo! Povero Randanai! Perché?” Si lisciò la stoffa delicata addosso. “Vestito kelith perverso?”

“È solo un pezzo di tessuto, nient’altro...”

“Allora Randanai perverso?”

“No, assolutamente. È un bravo sayanni e non ha mai avuto problemi di questo genere.”

Lei si guardò. E poi guardò lui, con l’accusa negli occhi.

“Seriema perverso.”

Deyan sospirò: era l’inevitabile conclusione. Non era lui il kelith per antonomasia?

“Le mie intenzioni erano diverse, Naysiak, e non c’era nulla di perverso in questo. Non puoi dare la colpa a me se hai ispirato desiderio in un uomo pronto per le nozze...”

“Desiderio?” Lei rabbrividì. “Cosa kelith. Io sayanni! Randanai sayanni. Corpo normale! Perché cosa di kelith fare corpo perverso? Perché tutto di kelith fare cose perverse?!” Le spuntarono le lacrime agli occhi. “Io volere solo giocare, una volta, una volta in tanta vita... e fatto male a onore di amico... io cattiva!”

“No,” mormorò lui, colpito dal suo dolore. “Non sei cattiva. Non hai fatto nulla di male. Sei una donna, e Ran è un uomo... per quanto voi sayanni vogliate fingere di non aver sesso, siete creature viventi come tutte le altre.”

“Come animale,” sussurrò lei, piena di vergogna. “Io animale... fatto sentire Randanai animale.”

Si abbassò frettolosamente le spalline del vestito.

“Che fai?” esclamò Deyan.

“Naysiak toglie cattivo vestito kelith.”

Se lo sfilò dalle braccia in un concerto di sonaglini, poi cercò di slacciare la cintura della spada che glielo serrava sui fianchi: la cascata di riccioli rotolò dalle sue spalle sul seno scoperto e cosparso di scintille dorate...

Dea misericordiosa!...

Lui la fermò con un gesto urgente, prima che si sfilasse del tutto il vestito. “No,” le disse con pazienza, come a una bambina da educare. Prese le spalline per rimetterle a posto. “Rivestiti, svelta...”

La porta si aprì e Saal apparve, con un vassoio tra le mani. 

Vide Deyan con una femmina sayanni mezza nuda tra le braccia; e con le spalline del suo vestito in mano.

Lasciò cadere rumorosamente il vassoio e si coprì gli occhi con le mani. 

“Ma, padrone!...” osò protestare, con voce indignata. 

Deyan si sentì arrossire. Non era difficile immaginare come Saal avesse interpretato la scena....

Il padrone che si accoppia fuori dalla shanda?! E... con una barbara?!

Chiuse gli occhi, resistendo a stento alla tentazione di imprecare. Se avesse fatto anche quello, Saal avrebbe pensato che il suo signore aveva completamente perduto il senno.
       Contò mentalmente fino a dieci, inspirò profondamente e si calmò.

“Saal.”

“Padrone...”

“Tu non hai visto niente. Chiaro?”

“Questo servo... non ha visto niente.”

“E quindi non dirai una parola su quel che è successo in questa stanza.”

“Seriema,” mormorò lei, guardandolo smarrita.

“Zitta.” Finì di sistemarle la veste, con eroico distacco. “Adesso torna nella shanda. E non preoccuparti per Ran: la colpa di tutto questo equivoco è soltanto mia. Gli offrirò le mie scuse.”

Lei chinò lo sguardo. “Seriema dire Randanai Naysiak chiede perdono.”

“Tieni a lui, Naysiak?”

Lei esitò. Poi annuì lievemente. “Randanai grande cuore.” 

“Allora vedrai che ti perdonerà, e tutto sarà dimenticato.”

Lei si voltò e uscì, passando di fianco a Saal che teneva gli occhi ben chiusi. Sulla porta si voltò brevemente a guardare Deyan da sotto ai riccioli, con occhi pieni di dolce tristezza. 

“Grazie per tutto, Seriema.”

Poi se ne andò, lasciando dietro a sé una scia di profumo.

Tutto sarà dimenticato...

Deyan sapeva di aver mentito. Nessuno di loro avrebbe dimenticato. 









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Piccola annotazione: ho ricevuto una fanart su questa storia.
Non ci sono parole per esprimere la mia sorpresa: questa è una storia originale, quindi priva di fandom!
La cosa mi ha commosso, anche perché devo confessare un mio handicap: sono priva di ogni talento di visualizzazione. Tecnicamente cieca. Se devo "pensare" oltre alla scrittura, mi è più facile far musica che costruire un'immagine. Quindi, che ci si creda o no, non ho mai avuto la minima idea di che faccia avrebbero i vari personaggi che descrivo (e vale anche per le fanfiction, nonostante lì almeno si parta dall'idea originale del creatore). 
La gentile V.B. (ho solo le sue iniziali) mi ha mandato la sua personale versione di Deyan (il suo personaggio preferito), che allego qua in formato ridotto. Non posso dirle se lui è proprio così, perché non lo so nemmeno io. :)
Però grazie di cuore per questo regalo inaspettato, V.B.



  
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