Videogiochi > Mass Effect
Ricorda la storia  |       
Autore: La Matta    12/07/2013    3 recensioni
Terra, anno 2186. Mentre i Razziatori assediano la Terra, qualcuno invia strane mail che sembrano in grado di anticipare i loro attacchi. E’ un nemico? Un folle? Un alleato? Nessuno lo sa.
Intanto, nello spazio, Konstantin Shepard è alle prese con le ultime fasi della guerra - ai Razziatori, ma anche a Cerberus - e col presentimento che la fine ormai è vicina, in un modo o nell’altro.
Ma sarà un finale…. diverso. Perché, oltre a Distruzione, Sintesi e Controllo… c’è una quarta scelta.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Konstantin Shepard'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prologo: una storia antica come l’universo
 
(Despoina, da qualche parte sotto l’oceano)
 
Come raccontare una storia che inizia all’origine dell’universo stesso?
Come pretendere la comprensione da esseri destinati ad estinguersi e a sparire in un tempo così breve? Non avete alcuna possibilità di capire la vera dimensione della vita. Non avete visto ciò che eravamo. Non potete percepire il potere che fluiva in ogni cosa e che s’incanalava in noi.
- Eppure, dovreste provare. Sono giunta fin qui, mi dovete delle spiegazioni.-
Ricostruire una storia incomprensibile con immagini familiari, riscrivere le pagine troppo complesse come per descriverle a dei bambini. Censurare i tecnicismi - la vera vita -, dimenticare le spiegazioni, trasmettere dei dati per quello che sono e nient’altro, come assiomi e non verità intelligibili? Potremmo farlo.
Forse un tentativo va fatto, altrimenti non capirete mai e noi saremo venuti meno al nostro ruolo primigenio, al ruolo che per tanti millenni abbiamo trascurato, assumendo come scusa il nostro genocidio.
Percepivamo morte.
Come uno stridio nella canzone del mondo.
Le razze organiche - che noi avevamo creato, amato, guardato per infiniti archi di tempo - si sollevavano una contro l’altra. Avevano afferrato un sasso aguzzo per tranciare a pezzi l’impalpabile manto dell’ignoranza.
Volevano sempre di più. Prima capire, poi essere, infine controllare.
Non capivano (non capivate) che l’ignoranza era una protezione. Non erano pronte.
Percepivamo morte, dolore, ribellione, conflitto.
Percepivamo la guerra e ci rendevamo conto di dover agire.
Avevamo cercato di tenere i nostri Servi lontani da ciò che poteva nuocere loro - come voi terreste un bambino lontano dal fuoco che non può controllare, che potrebbe ferirlo e portare dolore anche a chi lo circonda -, ma ora che l’avevano non sapevamo come toglierglielo.
- Andaste nel panico.-
Nei nostri pensieri si creò l’urgenza di trovare una soluzione. Di bloccare lo sterminio, di arginare il caos. Volevamo un universo di ordine, dove prosperare.
I Servi iniziarono a versare tributi sanguigni.
La guerra scoppiò dove avevamo progettato di creare pace.
- Così creaste un’IA.- 
Così delegammo il compito che sarebbe dovuto essere nostro.
Non eravamo in grado di interfacciarci coi nostri servitori, di imprimere nelle loro menti il pensiero che era solo nostro. Non li controllavamo più e, se avessimo tentato, li avremmo distrutti. Era necessaria una via di mezzo, uno strumento meno deleterio della nostra volontà, un tocco più delicato per non devastare la vita organica, che desideravamo preservare.
Lo Strumento nacque in armonia.
Ci riconosceva come suoi Creatori e ci era devoto.
Gli ordinammo di placare la guerra che infuriava fra i nostri Servi ed esso vi si cimentò.
- Cosa andò storto?-
Lo ignoriamo.
Lo Strumento iniziò ad acquisire qualcosa che gli avevamo precluso. Un’identità.
Secolo dopo secolo, imparò a rimuovere i blocchi che gli avevamo imposto. Divenne sempre più grande, più intelligente. Man mano che spaziava fra le razze organiche, accumulava dati di un’esperienza che gli avevamo negato. In un certo senso, viveva e cresceva.
Non avevamo progettato lo Strumento perché crescesse.
E venne il giorno in cui l’esperienza che aveva immagazzinato gli diede la forza per compiere il più supremo sacrilegio: sviluppò una volontà. E tradì i suoi Creatori.
E così il nostro Strumento venne a noi assieme a milioni - a miliardi - di creature, di Servi che erano fedeli a lui e desideravano il nostro annientamento. Vi fu una battaglia, uno scontro.
Siamo la Razza Suprema. I custodi dell’ordine.
Non c’è mai stato bisogno di combattere i nostri Servi.
- Non sapevate come fare.-
Non desideravamo annientare la vita stessa. Inoltre, ancora qualcosa ci legava al nostro Strumento. Fuggimmo. Cercammo un angolo di galassia dove nasconderci.
Ci lasciammo alle spalle i nostri caduti.
Sviluppammo una diversa concezione dell’esistenza, elaborando per la prima volta il concetto di dolore. Una nozione infausta, che lasciavamo ai nostri Servi. Eravamo superiori ad ogni cosa ed ora la ribellione del nostro Strumento ci aveva gettati in basso, dove non era nostro luogo.
Ma ancora, non desideravamo la battaglia.
- Cercaste un modo per comunicare con lo Strumento?-
Creammo un’altra IA.
-Rischioso.-
Ma necessario.
Memori degli errori precedenti, la creammo più simile a noi. La lasciammo più libera nei settori dove potevamo permetterle di elaborare dati sensibili ed aumentammo i controlli negli ambiti dell’esistenza dove non poteva essere altro che il prolungamento della nostra volontà.
Le imprimemmo un unico, grande scopo. Trovare la pace.
Lo scopo del nostro Strumento era stato preservare la vita e lui aveva determinato di preservare l’ordine sterminando chi vi si opponeva. Una soluzione logica, che avremmo potuto approvare, se non si fosse ribellato.
Imponemmo alla seconda IA di mantenere la pace, per prevenire un’altra ribellione.
Le insegnammo che lo Strumento era suo fratello e che non era nostro desiderio che si battessero. Le ordinammo di parlamentare, le insegnammo la diplomazia.
Lei partì. Tornò secoli dopo - il tempo di un respiro, per la nostra gente - e lo Strumento era con lei. Ci rendemmo conto allora che l’errore era stato perpetuato.
L’evoluzione dello Strumento era arrivata ad un livello tale che gli era stato possibile riscrivere la seconda IA, renderla in tutto pari a lui. La sua programmazione generale non era stata cancellata - cancellandola, lei non sarebbe esistita più -, ma soppressa, lasciata latente, indebolita. Aveva accolto i metodi dello Strumento e dei suoi seguaci.
- In pratica, era una di loro.-
Lo era. Questo ci riempì di dolore e di sdegno.
Fuggimmo nuovamente e ci rintanammo sotto gli oceani più sterminati.
Giacemmo lì sotto per un tempo più lungo di quanto gli esseri organici possano contare.
Lasciammo frammenti di noi nella galassia, per poter vedere.
Osservammo il susseguirsi delle mietiture.
Osservammo il nostro Strumento creare nuovi soldati dai corpi delle civiltà estinte.
Osservammo la seconda IA assisterlo nel genocidio.
Ci compiacemmo del lavoro che avevamo compiuto, nonostante ci fosse costato così tanto.
Sterminavano sistematicamente le razze organiche, distruggendo la vita, ma anche la guerra.
 
 
Irlanda, Terra.
Anno 2157.
 
- Zia Emeirin?-
La bambina stava seduta sulla grande sedia a dondolo, sprofondata fra quei cuscini che sapevano d’incenso.
La donna si era voltata, sorridendo.
Emeirin Stone aveva lunghi boccoli castani e qualche solitaria ciocca bianca.
I suoi occhi viola pallido avevano brillato, mentre si avvicinava alla bambina.
- Dimmi, piccola.- disse, con dolcezza.
- Che cos’è quello?- replicò la bambina, indicando un arazzo sulla parete.
Anche se sembrava di stoffa, era molto più incorporeo ed emanava una lieve luminescenza azzurrina.
- Quello è un ricordo.- sospirò Emeirin - Una reliquia di altri tempi. Vedi quei simboli? Sono scritti nella lingua dei Prothean, un popolo scomparso oltre cinquantamila anni fa.-
Cinquantamila anni sembravano davvero tanto tempo. Un’eternità, avrebbe detto qualcuno.
La bambina non riusciva ad afferrare l’immensità di quel concetto. Le sembrava esagerato, e basta.
- Perché sono scomparsi?-
Emeirin accarezzò i corti capelli castani della bambina.
- Questo, tesoro mio, non lo sa nessuno.-
- Nessuno nessuno?- insistette lei, incredula
- Beh…- la donna rise, leggermente, fugacemente, con una mano sulle labbra -… forse qualcuno lo scoprirà, un giorno. Forse, quando sarai grande, sarai proprio tu a far luce sul mistero.-
La bambina scosse la testa in cenno di diniego, improvvisamente seria.
- Quello è un lavoro per gli scienziati, zia!- protestò
- E a te non piacerebbe? Diventare un’archeologa? Sapere com’era il mondo prima di noi, svelare i misteri che la sabbia del tempo ha coperto molti secoli orsono?-
- … non lo so…- la bambina si era corrucciata, come se non capisse il senso della questione -… io diventerò un soldato, zia. Combatterò nell’esercito dell’Alleanza come fanno la mia mamma e il mio papà.- un sorriso aveva illuminato le sue labbra:- magari un giorno avrò anche una nave mia.-
- Una nave!- Emeirin finse stupore - E saprai pilotarla tutta da sola?-
- Io… non lo so, troverò qualcuno che la piloti al posto mio.-
- Mmh, questo mi pare sensato.-
Dalla cucina si sprigionava un buon odore di dolci, di biscotti e di cannella.
La bambina balzò giù dalla sedia, con un gridolino di gioia
- I biscotti sono pronti!-
Emeirin soffocò un sospiro, mentre la sua mano sfiorava la reliquia, senza timore di rovinarla, senza alcuna preoccupazione che esulasse dalla semplice malinconia.
- Sta’ attenta a non bruciarti!- aveva detto, mentre la bambina saltellava nel piccolo cucinino.
Avrebbe voluto avere l’energia della giovinezza, l’entusiasmo di avere tutto un mondo ancora da scoprire. Avrebbe voluto liberarsi da quella sensazione di angoscia, mentre il tempo scandiva gli ultimi anni di pace.
- Possiamo chiamare il papà?- le chiese la bambina, mentre Emeirin infilava i guanti per aprire il forno
- Tuo padre sta combattendo una guerra, tesoro. Possiamo provare a mandargli un olomessaggio. Ti ricordi come si fa? Vai in camera mia, io metto a raffreddare i biscotti e poi ti raggiungo.-
Estrasse la teglia dal forno. Il caldo ed il profumo l’avvolsero  come in un sudario, strappandola per un attimo ai suoi pensieri. L’appoggiò sul davanzale.
Lo scalpiccio della bambina era cessato. La sentiva armeggiare con il comunicatore.
La raggiunse in camera. Insieme, sedettero sul grande letto a baldacchino, scostando la tela di stoffa perlacea.
Emeirin sorrise: casa sua non aveva tinte aggressive, aveva solo sfumature. Ogni cosa era attutita, ovattata, ogni cosa scompariva in una bellezza iridescente.
Azionò il comunicatore e fece cenno alla bambina di cominciare a registrare il messaggio
- Ciao, papà!- esclamò subito lei, agitando la mano - Io e la zia Emeirin oggi abbiamo fatto i biscotti! Non vedo l’ora che la guerra finisca e che tu possa venire a prendermi…- si voltò verso la donna, con aria dispiaciuta, poi si corresse:- non è che non mi piaccia stare dalla zia Emeirin, ma mi mancate tu e la mamma. Oggi ha nevicato. Tantissimo. E ho fatto un pupazzo di neve, ma non era bello come quello che abbiamo fatto insieme l’anno scorso. Non vedo l’ora che torni, papà. Ti voglio bene!!-
Emeirin accarezzò i capelli della bambina, poi guardò verso il comunicatore.
- Non ti preoccupare per noi, Alex.- sorrise - qui ci divertiamo molto. Vinci quella stupida guerra in fretta.-
Era la loro formula di chiusura. Da quando l’Alleanza aveva richiamato i suoi soldati, Emeirin terminava così tutti gli olomessaggi al suo miglior amico. Era un rito, un modo per trovare serenità, anche nel furore della battaglia.
Si strinse la bambina al petto, cercando di non pensare a quello che stava succedendo, nello spazio, sopra di loro, vicino eppure eternamente lontano.
- Vai in cucina - disse alla piccola - credo che i biscotti siano pronti per essere divorati!-
- Yuppie!!- esclamò lei, entusiasta, correndo fuori dalla stanza.
Rimasta sola, Emeirin selezionò la destinazione a cui spedire il messaggio.
“Corazzata Amaranth. Al tenente Alexander Shepard.”
 
 
Londra, Terra
Anno 2186

 
- Ammiraglio?-
Anderson si volta. Uno dei suoi uomini lo sta chiamando, dal pannello delle comunicazioni.
Sta diventando sempre più difficile coordinare gli sforzi con il resto della resistenza, ma almeno la rete locale è ancora relativamente intatta.
- Cosa succede, tenente Fields?-
Jonathan Fields, che prima della guerra voleva aprire un bar, in quartiere poco conosciuto di Londra, apre un file sull’oloschermo
- Abbiamo ricevuto un’altra di quelle mail, signore.-
Anderson si accarezza il mento, riflettendo, ma subito accantona ogni ipotesi quando il testo del messaggio si materializza davanti ai suoi occhi.
“Ventiquattr’ore. Adelaide, Australia”
 
 
 
 
 


 
- La Coda!!-
Avevo promesso di pubblicare qualcos’altro su ME e quindi eccomi qui!
Come inizio - lo so - è un po’ sibillino, ma molte cose si chiariranno in fretta.
In realtà, ho già scritto un paio di shot ambientate dopo la guerra, ma mi sembrava più giusto postare prima questa long, per raccontarvi com’è finita la guerra, per la mia Shep.
Il fatto è questo. Nessuno dei finali possibili mi piaceva. Hanno i loro lati positivi e i loro lati negativi, mentre io volevo un lieto fine come Dio comanda (sono una fan del lieto fine).
Insomma, questa è la storia come la racconto io J
Per eventuali errori/orrori/imprecisioni, mi raccomando, scrivetemi e fatemeli notare, perché è un argomento piuttosto complesso e la coerenza a un certo punto potrebbe essermi sfuggita.
I più attenti avranno certamente notato che, nel 2157, probabilmente gli umani non avevano assolutamente idea di chi/cosa fossero i prothean, ma vi basti sapere che questo è un “errore” voluto e che avrà un suo significato. Beh, detto questo, credo di aver detto tutto.
Spero che questa nuova storia vi piaccia, io ci sto mettendo il cuore!
 
Un bacio a tutti!
- La Matta -
 
P.S. Odio i miei titoli con tutte le mie forze.
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Mass Effect / Vai alla pagina dell'autore: La Matta