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Autore: TaliaAckerman    16/07/2013    4 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Il giorno in cui Alesha uscì dall’isolamento fu uno dei più felici dell’intera seppur breve esistenza di Dubhne. Le due amiche si abbracciarono, finalmente, dopo due settimane di separazione, e anche Johanna si unì alla loro gioia con entusiasmo.
Quella notte, Dubhne e Alesha parlarono a lungo.
- L’altro giorno non ho avuto il tempo per chiedertelo ma… com’era l’isolamento? È stata dura? - chiese Dubhne in tono leggermente triste.
- Lo sai - rispose l’amica a bassa voce. - Ci sei stata anche tu.
- Già, ma solo per tre giorni.
- Tu però non potevi nutrirti… “Niente cibo né acqua”, così aveva detto il Padrone.
- Ma a questo hai provveduto tu, no?
- Sì, ma…
- Al. Non c’è bisogno. Stai tranquilla, non è stato poi così terribile per me - mentì la bambina. - E poi io sono finita in isolamento perché me la sono cercata, tu invece stavi soltanto cercando di difendermi.
Alesha la guardò comprensiva.
- Sai… - disse lentamente. - Io sono arrivata qui a dieci anni, ero appena più grande di te.
Dubhne si fece attenta: era la prima volta da quando si conoscevano che l’amica citava qualche avvenimento del proprio passato.
- Ci siamo trasferiti qui dall’Ariador quando ero molto piccola, perché mio padre aveva ottenuto lavoro dal signor Tomson. Sai, all’epoca non c’erano ragazzini a lavorare in questo posto. Ma poi… gli affari hanno cominciato ad andare male, il signor Tomson ha cominciato a pagare sempre meno e la mia famiglia si è ritrovata praticamente a fare la fame. Così…- la ragazza s’interruppe per qualche istante e chinò il capo. - Così mio padre ha dovuto chiedere al suo capo denaro in più, per poterci sfamare tutti. Ma… - rise amaramente. - Il signor Tomson non è esattamente un uomo magnanimo e gli ha fatto giurare che, in cambio, appena lui avesse raggiunto un’età troppo avanzata per lavorare… io e i miei fratelli avremmo preso il suo posto. Credo sia stato in quel momento che ha capito che facendo lavorare per lui dei bambini avrebbe potuto sfruttarli in qualunque modo e avrebbe dovuto spendere molto meno…
Ma Dubhne era rimasta ferma su una parola e, senza pensarci, chiese:- Fratelli? Ma che… che fine hanno fatto? Non…- ma si rese conto di ciò che aveva detto con appena un secondo di ritardo: infatti gli occhi di Alesha si stavano riempiendo di lacrime. Ma la ragazza continuò a parlare:- Erano in due, si chiamavano Ollest e Jack, avevano qualche anno in più di me, ma…
- Al – la interruppe a quel punto Dubhne con voce ferma. – Non… non devi dirmelo per forza.
- Oh, Dub!- bisbigliò l’amica sottovoce, e allungò la mano per accarezzare una delle gote rosee della bambina. Poi riprese:- È successo… è successo tre anni fa. I nostri genitori ci stavano riaccompagnando alla sartoria dopo l’incontro di quel mese e…- la ragazza strinse i denti, rievocando quell’avvenimento che aveva segnato per sempre la sua infanzia. – Stavamo passando sotto una balconata di legno in costruzione e… Oh, non avrei dovuto farlo!
- Cosa? Fare… che cosa?
- Ho dato un colpetto sulla schiena ai miei fratelli, e gli ho detto di guardare in su. Loro erano interessati alla costruzione e si sono avvicinati per guardare il lavoro dei mastri costruttori. Quel tipo di lavori gli piacevano, sognavano di diventare mastri muratori un giorno, magari persino di costruire qualche palazzo. Dopo qualche minuto, mio padre gli si è avvicinato per dire loro di sbrigarsi, quando, quando… - alla ragazza sfuggì un singhiozzo. – Non so cosa sia successo, cosa sia andato storto... Le impalcature sono crollate, e hanno preso in pieno mio padre e i miei fratelli. Sono morti sul colpo. Pochi giorni dopo il signor Tomson mi convocò nel suo studio e mi disse che mia madre era stata trovata impiccata ad un albero. Io non... non lo dimenticherò mai. È stata colpa mia, tutta colpa mia.
Dubhne taceva. Non riusciva a trovare una sola parola per consolare l’amica. Era sconvolta, in parte per le parole di Alesha, un po’ per il modo secco con cui le aveva pronunciate. E lei che pensava di essere l’unica ad avere una triste storia alle spalle! No, a quanto pareva lì a Célia praticamente tutti se la passavano male,
soprattutto i bambini. Orfani, miserabili che mai avevano conosciuto i propri genitori. Forse, dopotutto, Dubhne aveva di che essere grata: se non altro aveva ancora una famiglia, nonostante non potesse trascorrervi tutto il tempo che avrebbe desiderato. I volti di sua madre e suo padre, ben lungi dallo sbiadire nella sua memoria, apparivano sorridenti nei suoi sogni a volte, ed era così che avrebbe voluto ricordarli per sempre.
Alla fine, la bambina strinse forte la mano di Alesha e le sorrise con affetto.
– Non è stata colpa tua – disse risoluta. - Mi hai capita? Non è stata colpa tua.


Passò il tempo e, quando per la seconda volta Michael e Camlias vennero a farle visita, Dubhne sentiva di essere cresciuta molto nelle ultime settimane. Aveva lavorato, aveva sudato e si era impegnata tanto, e con Alesha e Johanna al proprio fianco era persino riuscita a sopportare la prospettiva del termine della punizione per Dills e gli altri. Erano stati giorni pesanti, molto pesanti, ma Dubhne aveva imparato il fatto suo, e era riuscita a non cacciarsi nei guai con i sorveglianti e ad evitare qualsiasi tipo di rapporto spiacevole con gli altri ragazzi della sartoria. Aveva obbedito alle regole del signor Tomson, a volte controvoglia, a volte con fatica, ma era riuscita a superare il mese con il sorriso sulle labbra.
Quel giorno fu particolarmente felice di rivedere i suoi genitori.
Dopo averla tenuta stretta a sé per qualche minuto, sua madre le accarezzò la testa, orgogliosa di lei. – Brava, Dubhne. Sei davvero… davvero stupenda. Hai visto? Adesso stai bene qui, giusto? Non è più tanto difficile no?
- Già…- rispose la bambina, per la prima volta senza mentire del tutto. Ancora stentava a crederci, ma la vita alla sartoria aveva assunto uno strano senso di equilibrio. Allora Michael le scompigliò i capelli.
- Ci manchi da morire - disse sorridendo, anche se un po’ tristemente. - Non ho nessuno a cui raccontare storie, adesso…
Fu allora che Camlias notò una cosa.
- Aspetta un attimo… - fece preoccupata rivolta al marito. Si avvicinò alla figlia e le alzò la frangia di capelli ribelli. Il sorriso scomparve dal suo viso. Dubhne rimase disorientata, poi ricordò: Dills.
- Che cosa ti è successo, bambina mia? - chiese sua madre, indicando l'ematoma e il taglio cicatrizzato sulla tempia della ragazzina. Lei si affrettò ad indietreggiare, sottraendosi allo sguardo di sua madre.
- Niente di importante - mentì, anche se con un leggero fremito. - Sono… sono caduta dalle scale.
- Santo cielo, Dubhne… - Camlias la abbracciò di nuovo. – Sempre disattenta a dove metti i piedi… Ricordi quella volta al torrente, quando scivolasti in acqua e rischiasti di affogare?
La bambina si lasciò andare a un risolino, ma Michael non sembrava convinto.
- Va tutto bene, cara? – domandò sospettoso alla figlia.
- Sì sì… - rispose subito Dubhne, asciugandosi in fretta la lacrima che le era spuntata all’angolo dell’occhio destro. Cercò di continuare a sostenere un’espressione allegra. - Mi comprate qualcosa da mangiare? Io sto morendo di fame…
I suoi genitori risero.
- Sei sempre tu, comunque… - mormorò Michael, con aria rincuorata. I tre camminarono lungo la strada principale di Célia senza parlare, più che altro guardandosi intorno. Dubhne si teneva stretta alle mani dei genitori, come se lasciarle fosse significato perderli per sempre. Michael comperò alla figlia la solita focaccia da uno dei panettieri del mercato, e tutti insieme trascorsero il resto del pomeriggio seduti sulle rocce che circondavano il laghetto ai margini occidentali della cittadina.
- Sai, sulle colline i fiori sono quasi tutti avvizziti. – disse ad un certo punto Camlias, rivolta a Dubhne. Questa non distolse lo sguardo dall’acqua. – Davvero? - chiese distrattamente.
- Mh - fece sua madre. - Presto anche i tuoi cari uccelletti cominceranno a migrare…
La bambina si voltò verso di lei.
- Com’è la vita adesso, per voi? Io vi ho raccontato della sartoria, voi ditemi come si sta senza di me. È bello?
- Ma figuriamoci! - esclamò Camlias, sorridendo indignata e accarezzando il viso della figlia. Dubhne sembrò soddisfatta.


Quando però la bambina tornò alla sartoria, la aspettava una brutta sorpresa. Alesha la attendeva sulla soglia del refettorio, in viso un’espressione seria.
- Dub…- cominciò, ma la bambina giudicò da sola. Soli, lontani dagli altri, visibilmente dimagriti e con un espressione feroce in volto, c’erano Dills, Charlons, Norik e Jay. Dills si voltò verso di lei appena la vide.
- Non finisce qui - lo vide sillabare la bambina in lontananza.
Deglutì.
Non finisce qui.




Note: salve a tutti! Prima di tutto vorrei ringraziare in particolar modo ElePotter, che ha inserito la mia storia nelle preferite, Deni99 nelle ricordate e le quattro persone che l’hanno inserita nelle seguite. Davvero, grazie mille ^^ Se la mia ff vi piace però siete invitati a recensire, mi farebbe davvero piacere. Arrivederci al prossimo capitolo :)
  
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