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Autore: ChiiCat92    17/07/2013    3 recensioni
"- Bene Sora, hai appena ottenuto un buono per una cerimonia di benvenuto offerta dalla Vanitas Incorporated. - Riku e il biondo ridacchiarono sommessamente, scuotendo la testa - In realtà, dovrei essere io a ringraziarti, sai? Mi stavo annoiando, e sono mesi che non vediamo una matricola. Sembra che il destino ti abbia voluto portare da me. - Vanitas poggiò le mani sulle spalle di Sora, e si abbassò un poco, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello - Nessuno ti ha accolto nel giusto modo, vero? -" dal cap. 1
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è la prima FF che scrivo su KH, volevo un po' sperimentare!
mi sono chiesta cosa succederebbe se i personaggi di KH fossero studenti di un istituto prestigioso...e questo è il risultato!
Il raiting in alcuni capitoli oscilla verso l'arancione con sfumature di rosso, cercherò di avvertire prima nel qual caso dovesse succedere.
probabilmente la pubblicazione sarà settimanale, il giovedì :3
leggete e, se vi va, lasciatemi un commento!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
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Prologo

 

Quella mattina, la sveglia avrebbe dovuto suonare alle sei e mezza.

Si era accertato di averla puntata più volte all'orario giusto, prima di addormentarsi.

Il programma era abbastanza semplice: svegliarsi, sistemarsi i capelli, fare colazione, prendere il treno delle sette e mezza e presentarsi in orario alle otto e cinque davanti alla porta del Superiore, come gli era stato detto di fare quando si era iscritto.

Per l'ansia, aveva scritto una lista, non voleva dimenticarsi qualcosa.

La cartella l'aveva preparata la sera. Tanto, comunque, non doveva portare libri, non ancora almeno. Aveva solo preso due quaderni, uno a righe ed uno a quadri, il portapenne e il diario. Vi avrebbe integrato il pranzo a sacco, non appena sua madre glielo avesse dato, la mattina.

L'orario delle lezioni gli sarebbe stato consegnato in segreteria, dopo essere stato nell'ufficio del Superiore, da cui avrebbe ricevuto (a quanto pareva) il benvenuto ufficiale.

A lui non rimaneva altro che riuscire a trovare la sua classe, e provare a integrarsi, per quanto possibile.

A sedici anni, cambiare scuola non era proprio il massimo.

Non era uno che aveva problemi a farsi degli amici, anzi. Però, l'essere dovuto andare via, così, da un giorno all'altro, non gli aveva dato tempo di realizzare quello che stava succedendo.

Aveva davvero lasciato i suoi compagni, la sua vita, tutto quello a cui teneva, per andare a studiare in quel prestigioso istituto?

Aveva sempre pensato con una leggera indolenza a quegli studenti tutti fasciati nelle loro divise, che avevano delle vite perfettamente progettate, dalla scuola materna all'Università.

Che cosa costava a suo padre ritardare il trasferimento di due anni, giusto per dargli modo di terminare le medie superiori e cominciare a studiare per l'Università?

Quando l'aveva proposto, erano volate parole pesanti in casa, e lui era finito in castigo per una settimana.

Che ne poteva sapere lui di come funzionava il mondo del lavoro?

Non si poteva rifiutare un'occasione simile, né rimandare. Bisognava partire, e basta.

Erano stati giorni difficili, e di mutismo ostinato, così atipico al suo solito comportamento gioviale e allegro che i suoi genitori avevano temuto il peggio.

Poi era venuto il momento di mettere tutto negli scatoloni, di salutare, e di partire.

Lui non era mai stato così silenzioso.

Durante il viaggio, si era costretto a tenere la bocca chiusa, anche se dentro di sé l'eccitazione cresceva man mano che si lasciava i chilometri alle spalle.

Non aveva mai visitato nessun luogo, al di fuori di Destiny Island; la sua vita si era svolta placidamente sulle rive delle sue spiagge.

A volte si era chiesto come dovesse essere vivere in città, con le macchine, i negozi, la gente.

Ma poi il calore del sole splendente sul cielo terso cancellava quei pensieri, e lo costringeva a tornare a sonnecchiare, portandolo in quel limbo di dormiveglia dove si è abbastanza vigili per sentire cose accade tutto intorno, ma con il corpo addormentato impossibilitato a muoversi.

Il viaggio per Traverse Town, ad un certo punto, non gli era sembrato neanche più così brutto.

Per raggiungere la scuola, comunque, avrebbe dovuto fare mezz'ora di treno.

Sua madre, grande organizzatrice, aveva già pensato a dargli una cartina della città, così che potesse orientarsi in fretta.

Lei non sarebbe andata ad accompagnarlo alla stazione, così come suo padre, neanche il primo giorno.

Per questo, si era premurato di preparare tutto in tempo, e di puntare la sveglia alle sei e mezza, non un minuto più tardi.

Una sveglia che avrebbe dovuto suonare alle sei e mezza.

- Sora! Sora! Santo cielo, che ci fai ancora a letto! Sono le sette e un quarto! -

Tre, due, uno.

Prima di aprire gli occhi, il cuore aveva già preso la corsa.

Scattò seduto, reggendosi il petto e temendo che da un momento all'altro avrebbe visto il cuore correre sul pavimento della sua stanza.

Gli occhi blu ceruleo misero a fuoco il volto preoccupato di sua madre qualche doloroso istante dopo.

- Sette e un quarto?! - balbettò, con la voce del sonno, mischiata ad una punta di panico - Non è possibile, avevo la sveglia... -

Con una mano afferrò il cellulare. Quel vecchio baracchino che usava solo per le emergenze, e per la sveglia.

Aspettò con pazienza che lo schermo si illuminasse, prima di farsi venire un colpo.

L'orologio era un'ora indietro, batteva ancora le sei e un quarto. Per questo la sveglia non aveva suonato.

Dovette assumere l'espressione più stupida del mondo, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, perché sua madre gli lanciò un'occhiataccia, poco comprensiva.

- Se mi avessi dato ascolto e avessi comprato una vera sveglia, questo non sarebbe successo! -

Mentre Sora mandava a quel paese il cellulare, ignorando sua madre, si alzò di gran corsa, diventando un piccolo bolide castano che rimbalzava da una parte all'altra della stanza.

- Potevi svegliarmi prima... - disse, mentre si toglieva la maglia del pigiama e il freddo lo prendeva alle ossa, facendolo rabbrividire - ...adesso non ho più tempo... - si cacciò addosso la camicia bianca a maniche lunghe e il cravattino rosso con sopra impresso, in dorato, il simbolo della scuola: un cuore rovesciato la cui punta terminava in una croce - ...per farmi i capelli! -

Sua madre alzò gli occhi al cielo, esasperata.

- È quella la tua unica preoccupazione? Muoviti che perdi il treno! -

- Sììììììììììì! -

Biascicò, mentre saltellava per entrare nei pantaloni neri.

Infilò le scarpe e la giacca al volo e corse in bagno a specchiarsi.

I capelli castani, ribelli, erano spettinati al punto giusto. Gli diede una mano con il gel, per farli resistere tutto il giorno, poi si lavò i denti e provò a sorridersi allo specchio.

Non riusciva bene, con quelle occhiaie e quegli occhioni blu resi enormi dall'ansia.

Primo giorno, cominciamo bene.”

Disse tra sé e sé.

Sua madre urlò qualcosa, che lui non riuscì a capire.

Forse parlava del fatto che se perdeva il treno sarebbe dovuto andare a scuola a piedi, perché nessuno l'avrebbe accompagnato, e la corsa delle sette e mezza era l'ultima fino alle undici.

Afferrata la cartella, corse fuori dalla sua stanza, giù per le scale.

In cucina afferrò due fette di pane tostato fredde e il contenitore del pranzo che suo padre gli stava porgendo.

- A iù taddi aaaaaaado!!! -

Urlò Sora, con la bocca piena di pane, e uscì di casa, correndo come avesse il diavolo alle calcagna.

Il padre scosse la testa, e tornò a leggere il giornale.

- Credi che se la caverà? -

Disse la madre, con un tono di voce pericolosamente vicino alle lacrime.

- Chi? Tornado Sora? Certo che sì! È un ragazzino in gamba. -

Lei sospirò, portandosi una mano sul cuore.

- Lo spero proprio. -

   
 
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