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Autore: TaliaAckerman    21/07/2013    6 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Stesa sulla propria brandina, Dubhne stava cercando disperatamente di controllare la tremarella. Il gomito dove l’ascia di Jim l’aveva colpita le doleva terribilmente, e tutt'attorno al taglio irregolare e sanguinolento la pelle era gonfiata a dismisura. Strinse i denti con rabbia, mentre il ricordo della mattinata le riaffiorava nella mente.
Quello con Jim non era stato un lungo scontro. Forse leggermente più combattuto rispetto al duello contro Mia, ma comunque doloroso e umiliante. Il lungo taglio che ora la stava facendo impazzire se l’era procurata quasi subito, al primo attacco del giovane. Armata solamente del pugnale che Malcom le aveva consegnato, la ragazza non aveva potuto fare nulla per parare. Il panico l’aveva attanagliata, impedendole di muoversi, e istintivamente aveva tentato di proteggersi alzando il braccio sinistro sopra la propria fronte. Se Jim non avesse bloccato appena in tempo il colpo, probabilmente sarebbe morta; ma per ricordo la lama del ragazzo l’aveva comunque segnata dolorosamente.
Con stupore di tutti, se stessa per prima, Dubhne non aveva pianto. Sicuramente in tutta la propria vita non aveva mai provato un dolore simile, ma in quel caso il sollievo di non essere morta era stato più forte della sofferenza. Malcom Shist doveva averlo intrepretato come un buon inizio, perché non aveva obiettato nulla. Dubhne e Jim si erano separati e la ragazza aveva tentato di trovare un modo per combattere alla pari. Non ci era riuscita. L’avversario si era nuovamente gettato su di lei, e la giovane non aveva potuto far altro che limitarsi a schivare, con qualche difficoltà. Il teatrino era andato avanti per qualche interminabile attimo, poi Jim si era stufato di giocare. Con un unico movimento le aveva fatto volare via dalle mani il pugnale inutilizzato, e l’aveva costretta ad arrendersi, cosa che Dubhne aveva fatto con piacere. Il vero dolore era arrivato solo allora.


La squadra di Ellison Pets giunse nella capitale due giorni dopo. Una ventina scarsa di combattenti; anche agli occhi poco esperti di Dubhne era chiaro che paresse decisamente meno competitiva di quella di Peterson Cambrel. Della squadra appartenente alla – almeno fino a quel momento – solo leggendaria Carly Tohr non c’era ancora traccia. Dubhne non aveva indagato a proposito, ma un giorno aveva sentito Malcom sentenziare, parlando con James, che a quel punto della stagione era ormai improbabile che si presentasse.
Gli allenamenti continuarono per settimane ogni giorno più duri, più faticosi e impegnativi. Dopo i primi giorni, in cui Malcom li aveva messi alla prova per capire quanto i nuovi arrivati se la cavassero con le armi e verificare quale fosse lo stato di forma dei veterani, era iniziata la componente fisica dell’addestramento. Ogni mattina, prima dell’alba, i Combattenti venivano svegliati e costretti a compiere dieci giri di corsa attorno alla piazza di fronte al palazzo Cerman – la prima volta Dubhne era stramazzata a terra a metà del terzo giro – dopodiché, prima di iniziare a esercitarsi nel combattimento, la squadra, dopo un’esigua colazione, si recava nella palestra del palazzo per una sessione di un’ora di addominali, flessioni ed esercizi per sciogliere i muscoli. E quella non era che la parte facile.
Se nei duelli contro Richard e Camm Dubhne si era illusa di avere talento con la spada, ora capiva di essersi sbagliata. Malcom aveva cominciato a farle utilizzare lame regolari piuttosto presto, anche dopo il vistoso fallimento nello scontro con Mia. E la ragazza aveva capito che tra armi di legno e vere c’era non poca differenza. Persone come James sembravano essere nate per maneggiarle, ma lei decisamente no. Non sapeva quante volte se lo fosse ripetuto. Erano troppo pesanti. E veloci, e letali. Affilate come e più di lame di rasoi, bastava una piccola distrazione e sulle braccia le si disegnavano tagli di un rosso luccicante. All’inizio si era detta che sarebbe bastata un po’ di pratica. Eppure, duello dopo duello, ferita dopo ferita, le doti spadaccine di Dubhne non accennavano a migliorare. I riflessi si erano sviluppati in lei, questo sì. E poi erano cominciati gli addestramenti mirati con asce a doppio taglio, coltelli e scimitarre a lama larga.
Solo allora nel cuore di Dubhne si era fatta strada la speranza. Le era bastato impugnarne una per comprendere che le scimitarre erano la sua arma. Tutto dimostrato dall’istantaneo duello con Elis. Bionda, più grande di lei di otto anni e dal talento discutibile, la donna aveva dato il tutto per tutto nel duello con Dubhne, ma alla fine la ragazza aveva avuto la meglio. C’era anche da dire che Malcom aveva armato la sua avversaria solo di un pugnale, ma per Dubhne battere una Combattente esperta era già qualcosa. Piano piano la ragazza affinò le proprie tecniche. Allenandosi quasi sempre con Claris e Agnes, finì quasi col divertirsi in quegli scontri lunghi e appassionanti. Sapeva che nell’Arena sarebbe stata tutta un’altra storia, ma per il momento non voleva pensarci. Non poteva pensarci.


Un giorno, Dubhne raggiunse come al solito i compagni alla scalinata principale. Lì trovò Claris ad attenderla con volto stampato un sorriso da trentadue denti.
– Oggi andiamo a scegliere le armi – la accolse tutta soddisfatta.
Senza capire, la ragazza la guardò con aria interrogativa. Claris sembrava essere sul punto di saltare dall’entusiasmo. – Oggi andiamo a scegliere le armi – ripeté con maggiore enfasi. – È una tradizione. Le regole vogliono che a un mese esatto dall’inizio dei Giochi ogni Combattente scelga la propria arma.
Dubhne, tutt’altro che interessata alla cosa, sentì le proprie viscere accartocciarsi. Una mese, un arco di soli trenta giorni la separava dalla morte certa. Eppure s’impose di rimanere calma, e lasciò che la ragazza continuasse a spiegare:- Ci portano nelle armerie del palazzo, proprio qui. Oh, Dubhne, devi vederle. Ti piaceranno!
Ne dubito sentitamente, pensò lei, ma non lo disse. Se non altro avrebbe potuto prendersi una scimitarra a lama larga.
– I Combattenti avranno solo un’arma a disposizione? – chiese poi, rivolgendosi a Claris. La giovane annuì.
– Sì, ma se dovesse andare distrutta durante gli scontri il concorrente verrebbe eliminato…
Questo sì che era interessante. Ci avrebbe fatto un pensierino una volta nell’Arena. Distruggere la propria arma nel primo combattimento. Provocare le ire di Malcom Shist senza dubbio, ma almeno rimanere viva e fuori pericolo per un altro anno. L’unico dettaglio era che spezzare una lama in acciaio non sarebbe stato particolarmente facile, e la ragazza si costrinse a non pensarci.
Una volta che tutti i Combattenti della squadra di Malcom le ebbero raggiunte, quest’ultimo fece loro strada verso le segrete del palazzo Cerman.
– Consideratevi fortunati – annunciò così facendo. – Quest’anno saremo i primi, quegli arroganti dei ragazzi di Peterson non avranno il tempo di fregarci le lame migliori.
Claris e qualcun altro rise, ma Dubhne non mosse le labbra di un centimetro. In lei era tornata ad aleggiare la nausea che l’aveva accompagnata nei primi giorni.
Scesero una ripida scala a chiocciola, sprofondando sempre più giù, sotto il livello della strada principale. Alla fine, un’ampia sala si spalancò davanti a loro.
– Non avevi parlato di armi? – domandò Dubhne, perplessa.
Claris rise.
– Tranquilla, sono nella stanza qui accanto. Prima, però, sarà meglio che tu prenda qualcosa per proteggerti, quando sarai nell’Arena. I Combattenti non indossano armature, ma ci sono molti tipi di protezioni che possono fare la differenza.
Dubhne abbassò lo sguardo sul proprio abbigliamento e dovette ammettere che, effettivamente, non era necessario essere degli esperti per capire che, conciata così, non sarebbe andata molto lontana. I suoi vestiti erano tali e quali a quelli che era solita indossare a casa dei Farlow: una blusa di cotone, un paio di calzoni e sandali di cuoio.
A ridosso delle pareti della stanza dove si trovavano c’erano tre tavolate: sopra erano adagiati paramenti per gambe e braccia, cinture e qualunque altra cosa potesse servire a un guerriero impegnato a combattere. C’erano anche vari manichini di metallo con busti e pettorine di cuoio.
– Scegliete con attenzione e prendete tutto ciò che vi serve – proferì Malcom ad alta voce. – Non avrete altre occasioni per farlo.
Senza sapere da dove cominciare, Dubhne si avvicinò ai manichini. Cercò un corpetto che fosse della misura adatta a lei e, un po’ dubbiosa, lo prese. Avrebbe dovuto chiedere a Claris come si indossasse.
Si avvicinò a uno dei tavoli e notò che, al di sotto, c’erano stivali e anfibi di ogni misura. Ne provò un paio troppo grandi per lei poi, al terzo tentativo, ne trovò un paio in pelle che arrivavano fin quasi al ginocchio; la suola era spessa e la trama di lacci incrociati la convinse che fossero quelli adatti: avrebbe potuto stringerli e allentarli a suo piacimento.
Rialzandosi, gettò uno sguardo sui pezzi esposti sul piano di legno di fronte a lei. Che altro le serviva? Non era sicura che procurarsi dei paramenti in metallo le avrebbe giovato: già faceva fatica a sopportare il peso delle armi, avere altro ferro addosso l’avrebbe resa ancora più goffa e accaldata.
Prese ancora una cintura che, a differenza di quella che era solita portare, portava assicurato un fodero per quella che doveva essere una scimitarra.
– Ti consiglio di prendere un paio di quelli – Claris era riapparsa al suo fianco. Stava indicando dei guanti di cuoio senza le dita. – La guardia dovrebbe proteggerti, ma la prudenza non è mai troppa: non c’è niente di più scomodo di una bella ferita alla mano, soprattutto se è quella con cui reggi la tua lama…
– La guardia? – ripeté la ragazza senza capire.
– La parte che separa l’impugnatura dalla lama – spiegò l’altra con semplicità. – Quasi tutte le armi da taglio ce l’hanno, ma a volte non basta.
Dubhne annuì, grata per tutto l’aiuto che quella ragazza le stava offrendo.
– Grazie – disse piano, afferrando un paio di guanti.
– Allora, avete finito? – li imbeccò Malcom impaziente. – Non abbiamo tutto il giorno.
In pochi minuti tutti avevano radunato l’arsenale prescelto e lo avevano disposto lungo la parete dove si trovava la porta d’ingresso. Claris aveva spiegato a Dubhne che, una volta scelte anche le armi, la servitù si sarebbe occupata di portare tutto nelle stanze di ognuno.
Malcom aveva appoggiato le mani sui battenti di una seconda porta.
Quando li spinse in avanti, persino Dubhne rimase senza fiato. Tutti gli altri Combattenti entrarono nell’armeria riservata ai Giochi.
La ragazza mosse qualche passo in avanti, esterrefatta. Non aveva mai visto una tale varietà di armi. Spade, pugnali, coltelli di ogni forma e misura erano ordinatamente incastrati in una elegante struttura di metallo posizionata nel centro della stanza. C’erano anche accette, lance di dimensioni ridotte e persino un’ascia a doppio taglio. A colpirla maggiormente fu subito una spada, affusolata, argentea, letale…
Sottile e lunga più di un metro, possedeva un’elsa estremamente di classe, impreziosita da zaffiri e persino un minuscolo frammento di quello che sembrava Cristallo Bianco. Era meravigliosa. Quasi con riverenza, la giovane Combattente allungò una mano e la strinse attorno all’impugnatura. Si sentì pervasa immediatamente da un senso sconfinato di potere, e provò a sollevarla. Rimase delusa; era troppo pesante, l’unico risultato che avrebbe potuto raggiungere sarebbe stato quello di farsela cadere su un piede. Fece un passo indietro. Chi voleva ingannare? Le non sarebbe mai riuscita a padroneggiare un’arma di tale magnificenza.
Claris, che teneva già stretti in mano due pugnali, le si avvicinò.
– Bella eh? È il sogno di ogni Combattente.
Dubhne non si voltò neppure: non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
– È straordinaria – ammise. – Chi l’ha usata l’anno scorso?
Claris aggrottò la fronte, cercando di ricordare. Alla fine rispose:- Una donna. Di circa trent’anni o giù di lì. Sì, ora ricordo. Immaginati una Xenja con i capelli biondi e uno sguardo più altero. Apparteneva alla squadra di Carly Tohr, una guerriera formidabile. È stata la finalista insieme a Jackson Malker.
– In finale? – Dubhne pronunciò quelle parole con riverenza. – Ed è… è morta, vero?
– Già – confermò l’altra in tono tra il grave e il rassegnato. – Jackson ha pensato bene di eliminare la minaccia, una volta battuta.
Dubhne strinse i pugni con odio.
Jackson. L’aveva visto allenarsi un giorno. E aveva capito quanto le dicerie che circolavano su di lui fossero fondate.
Se Malcom Shist era un uomo muscoloso ed imponente e James lo era ancora più di lui, Jackson Malker li batteva entrambi senza difficoltà. Ruvido, alto quasi due metri, il volto segnato dalle cicatrici. La pelle era così scura e segnata da parere quasi bruciata e sul volto, somigliante ad una maschera di indiscutibile crudeltà, spiccavano due profondi occhi scuri, che parevano più che altro Diamante Nero liquefatto. Il giovane con cui Dubhne l’aveva visto allenarsi era anche lui piuttosto poderoso, ma l’avversario l’aveva costretto alla resa in meno di cinque minuti. Cambor, le pareva fosse quello il suo nome.
Con un brivido la giovane ritornò nell’armeria, dove Claris le domandò tranquillamente:– Quale ti piace di più?
Teneva davanti a lei due pugnali stupendi, dall’elsa riccamente elaborata e la lama chiara e decisamente affilata. Trovandoli assolutamente indifferenti, Dubhne alzò le spalle e poi li prese in mano. Scelse quello più leggero.
– Questo – annunciò restituendolo alla Combattente.
– Sai una cosa?– Claris rise. – Mi sa che hai ragione.
La ragazza si sforzò di sorridere, poi si allontanò leggermente, esaminando con attenzione le altre armi. Trovò ciò che cercava dopo qualche secondo.
Attorno alle sciabole e scimitarre non c’era quasi nessuno, solamente Phil e Camin. Phil ne reggeva tra le mani una molto semplice, con lama leggermente ricurva e l’elsa in bronzo, come per saggiarne la forza. Camin, l’aria spaesata, pareva essere capitato lì per caso.
Dubhne squadrò con attenzione le scimitarre a lama larga. La differenza tra esse e quelle usuali non era minima: la lama argentea era sì piegata e tondeggiante, ma al posto di volgersi lunga e sinuosa si allargava appena oltre l’impugnatura, e nel punto più ampio il piatto poteva arrivare a misurare quasi dieci centimetri.
Alla fine, la giovane Combattente ne prese in mano una. Era perfetta: non troppo pesante, elegantemente lavorata e dall’elsa impreziosita da un frammento di pietra immacolata, ma con sottili venature grigiastre. Impugnandola, pensò che sembrasse fatta apposta per lei. La roteò nell’aria per saggiarne l’aerodinamicità e il peso effettivo e quando, infine, la rimirò nuovamente prese la propria decisione. Ad accompagnarla durante i Giochi sarebbe stata quella lama.




Note: sono tornata con un altro capitolo ^^ So che per adesso i capitoli sul passato superano quelli del presente, ma man mano che mi avvicinerò all'inizio dei Giochi la vicenda prenderà più importanza, state tranquilli ;) Spero che la mia storia vi piaccia, continuate a recensire se vi va :)

scimitarra-Dubhne
Ah, e questa è la scimitarra di Dubhne come me la sono immaginata. Che ne pensate?

Baci a tutti i lettori, TaliaFederer :3
  
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