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Autore: Yvaine0    22/07/2013    18 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Cows and jeans
 
44
(Epilogo)
 
So take a chance with me
Let me romance with you
I'm caught in a dream
And my dream's come true
So hard to believe
This is happening to me
An amazing feeling
Comin' through -
(I was born to love you – Freddie Mercury) 
 
È strano per una come me sorridere guardando al passato.
Sorridere senza rimpianto, intendo, quasi con soddisfazione. Forse il fatto è che, cavolo, ne ho passate tante da quando quel giorno in cui i miei hanno dato di matto e probabilmente oggi sono una persona totalmente diversa da quella di prima.
Ricordo ancora perfettamente la sensazione che provai quando scesi dal treno, alla fermata, e guardandomi attorno mi resi conto di essere in mezzo al nulla più completo. Allora non avrei nemmeno lontanamente immaginato che quel “nulla” sarebbe diventato il mio habitat naturale. Non avrei mai immaginato che quella ragazza che mi diede della scostumata vedendomi in canottiera sarebbe diventata la mia confidente; che quel ragazzo un po' marpione, con cui lei mi aveva accompagnata alla fattoria, sarebbe stato il mio migliore amico; che il biondo eccessivamente prevenuto nei miei confronti, che mi aveva male accolta in casa sarebbe diventato così, ehm, importante, ecco. Non avrei soprattutto mai creduto che nonno Abe, lo stesso Abraham che mi aveva sgridata e trattata con sufficienza, scambiandomi per una delle “amichette” di Dean (quali amichette, poi?), sarebbe diventato il pilastro che sorreggeva la mia vita, tutta la mia famiglia.
E chi avrebbe mai detto che avrei mai chiamato la fattoria Fletcher “casa mia”?
Sono cambiate un sacco di cose dal mio arrivo a Sperdutolandia ad oggi, ma, soprattutto, sono cambiata io. Non che abbia perso il mio lato sarcastico, l'umorismo potteriano, la pigrizia e la voglia di dimostrare al mondo che non sono incapace come sembro, ma ho sicuramente imparato tanto.
Ho imparato che la prima impressione è sempre quella sbagliata. Se non sempre, comunque, otto volte su dieci.
Ho imparato che se anche un ragazzo sembra un vagabondo, non è detto che lo sia; forse è solo pigro, forse nessuno gli ha mai fornito gli stimoli giusti. Questo non toglie che lui possa rivelarsi una persona meravigliosa e sempre disposta a fare del suo meglio per aiutarti.
Ho imparato che le malelingue sono solo malelingue, sempre. Potranno anche avere ragione, ogni tanto, ma sempre e solo di cattiverie si tratta. L'unico modo per sapere la verità su una persona è conoscerla, parlarci, studiarsi a vicenda, raccontarsi.
Ho imparato che la tua fatica non sempre viene premiata dagli altri, ma se hai dato il meglio di te puoi sempre sentirti orgoglioso del tuo lavoro. Ho imparato che i fallimenti non sono disastri, ma nuovi punti di partenza, se si pensa a loro nel modo giusto e con ottimismo.
Ho imparato che l'età non ha niente a che vedere con la maturità effettiva di una persona e non avrà mai niente a che vedere con essa. Ecco perché, passando per il paese, riservo sempre un sorriso e un saluto speciale alla mia cara amica Cassie, che invece borbotta contro di me come una vecchia caffettiera.
Ho imparato che se ad una persona stai antipatica, forse è meglio così. Ecco perché quando Johnny Lucas viene alla fattoria per far visita a Dean, io mi volatilizzo. Ah, e ora so che i problemi vanno evitati, quando è possibile, ma non sempre si può sfuggire loro.
Un'altra delle cose che mai avrei indovinato, comunque, è quella che sta accadendo adesso.
Oggi si conclude il mio primo anno alla fattoria e, seguendo il mio percorso fino a qui, mi sento davvero soddisfatta.
Sono seduta sulla vecchia sedia a dondolo in veranda, i grilli friniscono nascosti chissà dove e c'è pure una fastidiosissima cicala che turba il mio animo con il suo agitarsi febbrile. Non riuscirò mai a sopportare le cicale, ma immagino che a loro non importi più di tanto.
Stare qui, immersa nel silenzio della notte in campagna, è forse una delle esperienze più belle della mia vita. Quando non riesco a dormire, esco spesso qui fuori ad ascoltare e ad osservare. È pura quiete, la pace assoluta tra uomo a natura. In città una situazione del genere sarebbe surreale; non solo improbile, ma impossibile in tutto e per tutto. Ci sarebbe sempre il suono di qualche auto in lontananza, di un televisore nella camera di qualche cittadino insonne, gli irrigatori dei vicini, il cane dei dirimpettai che abbaia, due gatti randagi che litigano tra i bidoni dell'immondizia, un gruppo di ragazzi ubriachi che strillano le parole di qualche canzonaccia. In città non c'è mai silenzio, le persone che la abitano non hanno la minima idea di cosa esso sia.
Qui ci siamo solo io, i grilli, quella stupida cicale, il vento che di tanto in tanto fa frusciare le piante e... questa stupida porta che si apre cigolando. Rabbrividisco, mentre mi volto a fulminare con lo sguardo chiunque stia disturbando il mio momento di contemplazione romantica della natura. Il chiunque chiaramente ha i capelli biondi spettinati che, più lunghi rispetto ad un anno fa, gli ricadono sulla fronte.
“Cosa ci fai qua?” Sbuffo, contrariata, mentre Dean si siede sulla panca di legno, gli avambracci posati sulle ginocchia.
Sogghigna, mentre mi risponde: “Non hai l'esclusiva sul portico, sai?”.
Sì, lo so. L'ho notato. Sbuffo di nuovo. Non c'è modo di rilassarsi un po', vero?
Alza gli occhi al cielo, soffia una risatina.
Cosa avrà da ridere, ora? Una cosa non è cambiata: niente va mai secondo i miei piani. Se prevedo che le cose andranno in un certo modo, si sarà sempre – sempre! - qualcosa che manderà a monte le mie previsioni. E così andrà anche oggi, visto che il caro McDonnel si è piazzato qui per dar fastidio. Ringraziamo tutti Dean, avanti: graaaaazie, Dean!
Mi ci vogliono venti minuti di sbuffi, lamentele e pensieri negativi per rendermi conto che in realtà non mi sta dando alcun fastidio. Si è seduto lì e non ha aperto bocca, non mi ha toccata, guardata, non ha fatto il minimo rumore. È lì e guarda davanti a sé proprio come stavo facendo io prima del suo arrivo. Forse è il caso di darmi una regolata, me ne rendo conto. È per questo che sorpiro un'ultima volta, per riacquistare un po' di tranquillità, e torno a far nulla.
Ora siamo io, Dean e Sperdutolandia. Ascoltiamo il silenzio, osserviamo nemmeno noi sappiamo cosa. E va bene così. C'è un qualcosa di magico in momenti come questi. Tutto sembra perfetto, anche più di quanto lo fosse qualche minuto fa, quando ero sola. Ascoltare il silenzio della campagna in due è anche meglio. C'è condivisione – la condivisione di praticamente nulla, ma di un nulla importante. Ci vuole maestria per condividere niente, credo. Ma credo anche che se dicessi una cosa del genere a Dean, lui scoppierebbe a ridere. Allora io mi arrabbierei e lui, per farsi perdonare, mi... mi bacerebbe. Arrossisco al solo pensiero.
Questa volta non mi do della cretina. C'è differenza tra l'immaginare queste cose quando sai che non succederanno mai, quando sperarci è un puro atto di masochismo – è quasi doveroso darsi della cretina in quelle occasioni –, e quando invece sai che potrebbe davvero succedere. Insomma, succede spesso ultimamente.
È proprio questo che trovo ancora assurdo: siamo davvero finiti insieme, in qualche modo. In qualche modo, sì, di certezze non ce ne sono. Non di certezze assolute. Insomma, con Dean non si parla di sentimenti, mai. Lui ti guarda fisso mentre cerchi di prendere il discorso e poi si gratta una guancia e... ti bacia. No, non bacia te – non pensarci neanche: lui bacia me.
Come siamo finiti a questo punto non lo so, esattamente. Non so mai niente, è vero. Quasi niente: so quando è successo la prima volta.
Successe quell'inverno, quando ebbi la geniale idea di stendere i panno fuori ad asciugare. Non sarebbe stata un'idea tanto stupida, se solo non fosse stato, appunto, pieno inverno. Una volta tornata in casa, il nonno aveva cominciato a inveire contro la mia incredibile stupidità e mi aveva spedita a riprenderli. Non ero quindi nemmeno riuscita a posare la tinozza nello sgabuzzino, ché già stavo uscendo, i miei sbuffi e i borbottii isterici di Abe a farmi da colonna sonora. Corsi sul retro, dove Dean spaccava la legna, e cominciai a togliere le mollette e ripiegare i panni. Non mi sembrava un'idea tanto stupida, ma Abraham – se prima era “nonno”, per me tornava “Abraham” ogni volta che aveva i suoi momenti di isteria acuta – aveva gufato un temporale epico, motivo per cui mi era toccato obbedire ai suoi ordini prima che mi lanciasse contro qualcosa. Era particolarmente irritabile da quando era costretto sulla sedia a rotelle.
Dean rise e: “Sembra a me o il vecchio sta di nuovo dando i numeri?” domandò ironico.
Gli lanciai un'occhiata divertita e annuii: “Sta per cadere il diluvio universale”.
Lo sentii ridere, mentre continuavo a raccogliere i panni dandogli le spalle. Poi un rumore secco mi comunicò che aveva piantato l'accetta sul ceppo. Feci finta di non sentire i suoi passi avvicinarsi, finsi di non essere tutto ad un tratto agitata, continuai a fare il mio lavoro con lo sguardo fisso sulle federe di fronte a me, i movimenti improvvisamente meccanici.
“Ci salverà lui con la sua mitica sedia a rotelle?” domandò.
Notai con sollievo che la sua nuova postazione non era poi così vicina a me e mi scoprii già più tranquilla. Azzardai quindi un'occhiata e lo trovai appoggiato di schiena al muro esterno della casa, ad un paio di metri da me. A debita distanza, grazie al cielo.
Scrollai le spalle e borbottai un “Probabile”.
“Sicuramente porterà in salvo i polli di persona” aggiunse con lo stesso tono divertito.
Abbozzai un sorriso: “È bello sapere di essere la cosa più importante per il proprio nonno!” commentai sarcastica.
Rise di nuovo. Rideva sempre, cavolo, e la sua risata agitava le farfalle nel mio stomaco. Che poi sarebbe anche stato carino sapere come ci fossero entrate, lì dentro.
Smettila di farneticare, stupida!
“La vecchiaia confonde le idee, dicono” disse. Ci pensò su un po', poi sogghignò: “Tu vai per gli settantacinque o gli ottanta?”.
Mi paralizzai qualche istante, mentre lui rideva, cercando di capire l'esatto significato di quelle parole. Non ci volle molto per intuire il riferimento a quel maledetto episodio del quasi-bacio e al mio continuo fuggire le sue attenzioni. “Giusto due o tre in meno di te” replicai, passando a togliere le mollette da un lenzuolo.
“Touché” rispose lui, sorprendendomi. Touché? Quindi avevo vinto io il round? Oh, per la barba di Merlino, il diluvio universale arriva davvero!
“Vuoi una mano a piegare quello?” domandò accennando al lenzuolo.
Quasi senza pensarci, realmente bisognosa d'aiuto, mi ritrovai ad annuire. Così lui si staccò dal muro e si avvicinò a prendere due lembi di stoffa. Arretrammo di qualche passo, le braccia spalancate e la stoffa tra le dita.
“Tu chi salveresti se arrivasse il diluvio?”
“Il nonno” risposi automaticamente, mentre cercavo di sovrapporre in maniera più precisa più possibile gli angoli.
Dean non sembrò soddisfatto della risposta. “E io?”
“Tu che vuoi?” sbuffai, senza guardarlo. “Immagino tu sappia nuotare e non mi sembri costretto su una sedia a rotelle”.
“Nemmeno tu. Non sei carina con me, io cerco sempre di essere gent-”
Lo fulminai con un'occhiataccia. “Come, scusa?” lo interruppi inarcando le sopracciglia con aria incredula. Aveva davvero avuto il coraggio di dire una cosa del genere? Cercava sempre di essere gentile con me? Ma davvero?
Rise, mentre reggeva il lenzuolo ora piegato in due. “Perché?” mi stuzzicò con un sorrisetto beffardo.
Espirai bruscamente, scettica. “Devo rinfrescarti la memoria?”
“Sarebbe utile, sì” continuò, ridacchiando divertito.
Bene. Anzi, benissimo. Ne avevo di cose da dire! “Quando sono arrivata qui mi hai abbaiato in faccia che non ero la benvenuta. Ah-ha!” lo zittii, prima che potesse interrompermi; “La citazione non è testuale, ma il significato era quello!” gli ricordai. Poi sbuffai, unendo i due nuovi angoli del lenzuolo. “Non hai fatto che ricordarmi quanto io foss-... quanto io sia incapace, ogni volta te ne si è presentata l'occasione. Il fatto che non ti andassi a genio è diventato più palese giorno dopo giorno e no, Dean, non sei mai stato gentile con me. Se non nell'ultimo periodo, quando, francamente, penso tu ti sia rincoglionito. E, ah, vogliamo parlare della festa del raccolto?”
Il sorrisetto divertito gli cadde dalle labbra e scosse il capo: “Okay, okay, hai ragione, sono uno stronzo”.
“Sì, stronzo è la definizione giusta” approvai, acida, dando uno strattone al lenzuolo.
Lui alzò gli occhi al cielo e ne diede uno a sua volta, rischiando di farmi scivolare via dalle mani la stoffa. “Ehi!”
Si strinse nella spalle. “Scusa”, ridacchiò. Peccato si stesse scusando per la cosa sbagliata.
“Già” bofonchiai. Ancora infervorata dal discorso appena concluso, trovai la sfacciataggine di alzare lo sguardo per incrociare il suo e chiedergli: “Potresti anche spiegarmi che ti è preso, tutto in una volta”.
E allora lui, per la prima volta, mi fissò in quel modo inquietante. Non che facesse paura, ma mi turbava.
Spostò lo sguardo altrove, si grattò distrattamente una guancia contro la spalla sinistra, poi tornò a fissarmi in maniera così intesa che quasi mi lasciai sfuggire di nuovo il tessuto dalle mani. Giusto per fare qualcosa e non rimanere lì a guardarlo come un'ebete, piegai di nuovo il lenzuolo; lui mi imitò. Eravamo separati da una striscia lunga e stretta di stoffa, a quel punto.
Si avvicinò, per permettermi di finire di piegarlo, facendo protestare a pieni polmoni il mio buon senso, che proprio non ne voleva sapere di averlo vicino finché mi fissava in quel modo fin troppo serio. Era destabilizzante. Lo era sempre di più mano a mano che si avvicinava, lo era da morire quando si fermò a pochi centimetri da me, mettendomi i lembi del lenzuolo tra le mani e sfiorando così le mie dita.
Non ebbi il coraggio di alzare lo sguardo, mentre finivo di ripiegarlo; lui era ancora lì, leggermente piegato su di me, le mani lungo i fianchi, c'era troppo poca distanza tra noi. Ecco perché non riuscii a scappare quando si chinò di più e posò le labbra sulle mie, mentre una mano andava a sfiorarmi un fianco attraverso il giubotto pesante – e, nonostante gli strati di tessuto, a partire da quel tocco una scossa mi attraversò tutto il corpo. Dovette danneggiare irriversibilmente il mio cervello quella scossa, perché mi alzai in punta dei piedi e gli allacciai le braccia attorno al collo, i lembi del lenzuolo stretti tra le dita di una sola mano, lasciando che Dean approfondisse il bacio.
Sorrise sulle mie labbra, poi interruppe il bacio. “Sono o non sono un bravo baciatore, allora?”.
Aggrottai le sopracciglia, infastidita dal commento. Perché doveva rovinare tutto? “Sei arrogante”.
“Mh” commentò lui, con una smorfia appena accennata, poi mi baciò di nuovo.
 
Dopo quella, è successo altre volte. Ogni tanto. Tipo ogni volta che ci ritrovavamo da soli da qualche parte, per un certo periodo. Poi abbiamo imparato a condividere i silenzi, a battibeccare senza mai offenderci seriamente, fino ad arrivare a parlare davvero. Non solo conversare in maniera civile, ma addirittura comprendendoci a vicenda. Prima solo quando nessuno era nei paraggi, poi anche in presenza di Kameron, di Agatha, Terrence, i compaesani. L'ostacolo più grande rimane tutt'ora il nonno, che continua a guardare con sospetto Kameron, aspettandosi che chieda la mia mano da un momento all'altro. L'idea che la persona di cui essere geloso sia Dean non sembra averlo ancora sfiorato nemmeno una volta, fino ad oggi.
Emily dice che in realtà Abe sa tutto, ma non vuole ammetterlo. Secondo lei non è pronto per realizzare una cosa del genere. L'ha intuito, ma non vuole farsene una ragione, quindi continua ad importunare Kameron. “Che tra l'altro è più semplice e divertente” ha commentato quando è venuta a farci visita e l'ha incontrato di persona.
Ecco, sì, quell'esperienza sarebbe da raccontare, in effetti. La farò breve, è una promessa!
È rimasta con noi un paio di giorni e ha portato con sé a Sperdutolandia un'atmosfera di novità che non avevo mai sentito prima. Ancora mi chiedo se il mio arrivo abbia portato un'aria di cambiamento come quella. La sua personalità cordiale e allegra si è ben amalgamanta a quella del resto degli abitanti del paese e dintorni; ecco che quindi ha fatto subito amicizia con Terrence, che trova addirittura incredibilmente simpatico: “Non è cretino come l'avevi descritto!”. Pff.
Naturalmente al suo arrivo era già in confidenza con Kameron, cosa che ha indispettito parecchio Agatha. Questo purtroppo ha infierito sul suo giudizio sulla mia migliore amica, ma, come ho detto, non si può andare a genio a tutti.
So cosa vi state chiedendo: è successo qualcosa tra Kameron e Agatha?
Magari! No, purtroppo no. Continuano a piacersi di nascosto, senza mai lasciar trapelare troppo, ma a loro sembra andare bene così, almeno per ora. Mi piace pensare che siano una di quelle coppie che, una volta fatto il grande passo, si accorgono di essere stati insieme tutta una vita, anche senza rendersene conto. Credo sia una cosa bella.
Tra una battutaccia e l'altra, ho anche fatto notare a Dean quanto poco sia un fratello esemplare: lascia sua sorella in mano al suo migliore amico? Mi ha risposto che più che altro sta affidando il suo migliore amico a sua sorella. Non ho saputo replicare.
Ah, ottime notizie! Nonno Abe si è rimesso in sesto. Ancora non cammina da solo, si deve ancora appoggiare su una stampella, ma questo è già un grandissimo passo avanti, visto che fino a poco tempo fa ne usava due.
Io e Kameron abbiamo anche finito il liceo, ora che ci penso. È una cosa di cui vale la pena parlare? Non so, non è che per noi faccia tanta differenza. In ogni caso ora siamo in estate, ancora non ci siamo resi conto di aver definitivamente concluso con quel mondo.
Niente college per noi. Felicity non è stata molto felice di questa decisione e tanto meno George o papà, ma credo di essere abbastanza grande da poter decidere da sola una cosa del genere. Si tratta della mia vita e del mio futuro, dopo tutto. Forse non è una scelta saggia, su questo hanno ragione – potrei davvero andare al college, ne avrei le capacità e la possibilità economica – ma non ne ho intenzione.
Se c'è una cosa che ho capito, in questo anno appena trascorso, è che il posto giusto per me è questo. Non dico che sia al fianco di Dean, non sono così stupida da pensare che tra noi non finirà mai, visto che ancora esattamente non so nemmeno cosa ci sia tra noi – qualche battuta, qualche bacio, sguardi complici e tanti, tantissimi insulti, di cui alcuni velati e altri meno.
Intendo in questo posto, in mezzo a questa natura, ad ascoltare questo silenzio. A spaccarmi la schiena lavorando in fattoria alla sera, dopo una giornata passata dietro al bancone del saloon. Imparerò a cucinare, prima o poi.
Kameron dice che prima dovrei imparare a chiamare le cose con il loro nome – si dice vacca e non mucca. Io gli rispondo che ho problemi più grossi a cui pensare.
Quali, vi chiedete? Be', tra una settimana mio fratello verrà a farci visita, rimarrà qua un mese. Non ho la minima idea di come reagirà venendo a conoscenza di qualunque-cosa-ci-sia-tra-me-e-Dean. Forse potrei provare a distrarlo mostrandogli tutte le magliette che ho rubato dal suo armadio quando sono tornata in città per le vacanze e che ora hanno dimora stabile nel mio guardaroba.
Sì, non è una cattiva idea. Potrebbe funzionare.
Certo, come no.
 
 
 
 
In der Ecke – Nell'angolo
Faccio fatica a credere di essere arrivata a questo punto. Inizio con lo scusami, perché temo che questo ultimo angolo sarà in realtà un'intera casa, sarà immenso.
Mi scuso con chi mi sta scatenando contro gli Hunger Games giusto ora sul gruppo, ma, ehi, soprattutto devo ringrarvi. :)
Ed è quello che I'm going to do: ringraziarvi. (Ignorate i momenti di bilinguismo scrauso, vi prego, mi è presa così.)
Da dove inizio? Oh, senz'altro è il caso di iniziare col dire che, chiudendo questa storia, chiudo un grosso capitolo della mia vita. Alcuni di voi mi hanno accompagnata in questo percorso per tre lunghi anni. Ancora ricordo benissimo il giorno in cui, diretta a Bologna con mio babbo, diretti ad una fiera, ho preso per la prima volta il treno e ho buttato già l'idea per questa storia. All'inizio non era niente, era solo un'idea che ero certa di non continuare e invece... guardateci oggi. Io e C&J abbiamo messo su una sorta di piccola famiglia a Sperdutolandia e io davvero non so come ringraziarvi per tutte le bellissime parole che in tutto questo tempo mi avete regalato, il supporto, le fan art, le fanfiction del contest, i vostri click, i mi piace (che ora come ora sono spariti da EFP per volere di Erika, ma li ho apprezzati), i preferiti, le seguite, le ricordate. Vi ringrazio per ogni singola cosa.
Senza di voi non si sarebbe mai arrivati a questo punto.
Cows and Jeans è persino approdata sulla prima pagina delle “storie popolari” del genere Commedia, in quasi tutte le categorie. In alcune sono più in basso solo di L_Fy, che è tipo un pilastro del sito, ergo non posso che esserne onorata. Tutto questo grazie a voi, siete voi che mi avete dato tutte queste soddisfazioni, mi avete aspettata tutto questo tempo senza lamentarvi (troppo ♥); vi siete sorbite i miei scleri, i capitoli non betati, li avete betati voi per prime, mi avete sempre supportato, scrivendomi su Ask, facebook, qui su efp, qualcuno anche su twitter e io, davvero, non ho le parole per ringraziarvi. :)
Siamo arrivati alla fine e credo sia doveroso ringraziarvi tutti.
Il primo grazie da a Sharma, che mi ha lasciato l'unica recensione negativa a tutta la storia. La ringrazio perché, nonostante non abbia chiarito i miei dubbi, mi ha aiutata a riflettere su certe cose e forse anche a migliorare certi punti. Un appunto mi prendo la libertà di farlo comunque (se stai leggendo: non mi hai più risposto, per cui non sono riuscita a dirtelo direttamente, ma ti giuro che non è una ripicca, non sono il tipo): non è scritto da nessuna parte che Pan sia troppo immatura per avere diciott'anni. Non è detto che una persona a diciotto anni diventi adulta anche mentalmente, io ne sono una prova vivente. XD
Poi voglio ringraziare Mary_, che, sempre dolcissima, ha fanartato un sacco di personaggi e situazioni di questa storia, mi ha fatto da beta un sacco di volte ed è diventata una mia carissima amica, a cui tengo un sacco. Grazie, Mary! :3 *alza il calice*
Ringrazio Martowl, perché ogni tanto mi spediva a scrivere e quella ragazza ha una capacità persuasiva non indifferente! XD
Ringrazio Aries Pevensie, che, anche se non ho ancora imparato come si scrive il suo nickname, mi prendo la libertà di chiamare Mariuga. Ti ringrazio un po' per tutto, per essermi accanto tutti i giorni e per ogni cosa. ...Ah. Devo darti una risposta ora, credo. Chiedimelo appena leggi, ahahah. XD
Ringrazio Valery, Francesca, Miriam, Annabianca, Daniela, Alessandra, Anna-la-cugina-di-Mary, Paola-la-sorella-di-Mary, Wynne, Ellie, Merope, Nonna Geralda, Misfit, Korat e tutti quelli che mi sono dimenticata da brava beota, ma su facebook mi hanno scritto e sostenuta. Grazie!
Ringrazio tutti gli anonimi su Ask.fm, anche quelli più insistenti, perché mi ha fatto piacere leggere ogni vostra domanda, richiesta, ogni vostra richiesta di aggiornamenti! Mi sarebbe piaciuto riconoscervi. :)
Ringrazio Flamel_, perché, poveraccia, deve sorbirsi tutte le mie paranoie, le insicurezze, i miei deliri, perché è dolcissima e andrebbe spupazzata di coccole.
Ringrazio tutti voi per le 206 recensioni. È un numero enorme, ve ne rendete conto? Io non riesco a crederci.
Ringrazio le 74 persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite, le 25 che l'hanno messa tra le ricordate e le 181 che l'hanno seguita. Grazie, grazie, grazie! Grazie anche a tutti coloro che mi hanno inserita tra gli autori preferiti, siete davvero tanti. Grazie. :)
Chiedo scusa se ho dimenticato qualcuno, giuro che non era mia intenzione e che sono grata a tutti voi, non uno di meno. Anche... anche alla persona che mi ha betato i capitoli prima di Mary, sì. Qui dentro ci sono tre anni della mia vita, ho la tachicardia al pensiero di concludere tutto. 
Io... non so davvero cosa dire. Finirei per ripetere grazie allo sfinimento e poi dovrei uscire e non farei in tempo a postare. Ma vi ringrazio. Vi ringrazio tantissimo.
Le iscrizioni al gruppo sono sempre aperte. Probabilmente d'ora in poi vi saranno postati aggiornamenti anche su altre storie, siete liberissime di abbandonarlo, ma sappiate che sarete sempre le benvenute.
 
Ricordo che ho abbandonato il mio account facebook, da ora potete trovarmi solo sul gruppo ( https://www.facebook.com/groups/410264445669928/ ), sulla mia pagina Yvaine0 su facebook ( https://www.facebook.com/pages/Yvaine0/201269919939034 ), su twitter, Tumblr e ask.fm come @yvaine0mich .
 
Fa strano pensare che non aggiornerò più. Mi mancherete. :)
Un abbraccio fortissimo ad ognuno di voi, dai più vecchi ai più nuovi lettori. Grazie di cuore a tutti voi. :)
  
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