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Autore: Acquamarine_    25/07/2013    2 recensioni
Cos’erano stati, in realtà? Solo parole.
Parole sussurrate a mezzo bacio, parole urlate in una gelida notte di settembre, parole sputate in risposta a urla troppo forti per essere sormontate.
Erano stati polvere da sparo, pronta a saltare in aria al minimo contatto, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere al minimo movimento sbagliato. Erano stati un errore, un errore che aveva lasciato un marchio su entrambi: uno nero come la pece, inciso a fuoco sulla pelle di lui, troppo forte affinché quell’amore che amore non era potesse evitarlo; uno rosso sangue, preciso al centro del cuore di lei, che lo aveva ridotto in pezzi così piccoli che neanche lei, con le sue infinite parole, avrebbe potuto ricucire insieme.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Rabastan Lestrange, Rita Skeeter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A Lily,

affinché passi un meraviglioso compleanno.

  Si erano amati per farsi male, in quell’intreccio assurdo di braccia, gambe e sentimenti, in quella notte di luna piena, in quel silenzio spezzato solo dai loro sospiri.
  Come fuoco, Rita aveva sentito le sue labbra sulla pelle, le sue mani che le penetravano sin nell’anima, i suoi sussurri appassionati, forti, misteriosi.
  Non c’era stato null’altro che passione fra di loro. Ossessione, forse.
   Il nero degli occhi di Rabastan si rifletteva in tutto ciò che Rita era, in tutto ciò che scriveva. Era nell’inchiostro delle sue penne, nella sua borsetta elegante, nell’abito scuro che non metteva mai e che, ormai, aveva preso un po’ di polvere.
  La sua voce era nel silenzio tombale che copriva casa Skeeter, nel buio della camera da letto vuota.
  Cos’erano stati, in realtà? Solo parole.
  Parole sussurrate a mezzo bacio, parole urlate in una gelida notte di settembre, parole sputate in risposta a urla troppo forti per essere sormontate.
  Rita e Rabastan erano stati questo: urla, porte sbattute, fogli imbrattati, vasi scagliati. Ed erano stati poi vestiti strappati, baci rubati, bottoni saltati. Erano stati polvere da sparo, pronta a saltare in aria al minimo contatto, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere al minimo movimento sbagliato. Erano stati un errore, un errore che aveva lasciato un marchio su entrambi:  uno nero come la pece, inciso a fuoco sulla pelle di lui, troppo forte affinché quell’amore che amore non era potesse evitarlo; uno rosso sangue, preciso al centro del cuore di lei, che lo aveva ridotto in pezzi così piccoli che neanche lei, con le sue infinite parole, avrebbe potuto ricucire  insieme.
  Prima era stata la follia più totale, splendida ed esplosiva. La follia di labbra che si incontrano e corpi che si conoscono, aiutati dall’infallibile terrore di poter essere scoperti, dall’infinito fascino di tenere tutto nascosto, di renderlo un segreto, una cosa solo loro. L’inizio era il momento in cui tutto era più semplice, per quanto semplice potesse essere un rapporto fra loro; era il momento delle belle parole, delle mille sicurezze. Dopo, era arrivato altro. Erano arrivate le suppliche di Rita, le sue preghiere, il suo desiderio di non permettere all’altro di buttare via quel briciolo di autonomia che gli rimaneva; erano arrivati i rifiuti di Rabastan, le gelide parole, gli gelidi sguardi.

  Era arrivata quella sera.
  Rita la ricordava come un guazzabuglio di frasi senza senso, che non sembravano sortire più alcun effetto sull’uomo che aveva amato – che l’aveva sbriciolata. Si era sentita impotente, ignorata. Aveva sentito ribollire il sangue per l’indignazione. Era ferita, ma aveva una dignità. Non l’avrebbe persa, neanche per l’amore. Neanche per lui.
  Rabastan si era fatto marchiare come un animale, e sulla sua pelle, oltre al Marchio Nero, aveva impresso anche l’umiliazione di Rita, che lo aveva scongiurato, pregato di non stare ad ascoltare le mille promesse e i castelli in aria di quello squilibrato, di rimanere solo Rabastan, di non diventare un Mangiamorte. Eppure quel segno era lì, impresso sul braccio sinistro dell’uomo, a creare una barriera insormontabile, ormai, per Rita, per lui.
  «Hai fatto le tue scelte» aveva detto, glaciale, vestitasi di quel sangue freddo che la contraddistingueva. «Ora, è giunto il momento che io faccia la mia».
  L’aveva fatta, la sua scelta, Rita. Perché, checché se ne dicesse, Rita Skeeter aveva una dignità, Rita Skeeter aveva degli scrupoli, Rita Skeeter aveva un proprio, personale codice.
  Era una giornalista – non era una santa. Eppure, non era disposta ad essere la segreta amante di un uomo con le mani imbrattate di sangue innocente. La sua arma erano le parole, le parole che potevano ferire, ma non uccidere. Le sue parole non uccidevano mai.
  Era stata una scelta sofferta, una scelta che aveva saputo di dover fare, ma che aveva sempre pregato – ingenuamente – di non dover compiere. Era la scelta più semplice e ovvia del mondo, eppure, al contempo, era la più difficile e distruttiva.
  Non si può combattere contro un cuore innamorato, men che meno se questo è in combutta col cervello.

  “Ma io ho sempre e comunque una dignità”.
  Se n’era andata, Rita, se n’era andata senza guardarsi indietro. Lo aveva lasciato lì, al centro della stanza, e se n’era andata. No, lui non l’aveva rincorsa, non si era scusato, non le aveva preparato una sorpresa per farsi perdonare. Lei non si era seduta ad aspettarlo, osservando la luna e logorandosi l’anima in attesa di un qualsiasi segno.
  Perché erano questi che erano stati: solo parole. Parole, sussurrate, gridate, insanguinate. Parole potenti e insignificanti, ti amo buttati lì, tra le lenzuola arrotolate, e poi maledizioni, insulti, ti odio buttati lì, tra vetri spaccati.
  Lui sarebbe caduto nell’abisso e avrebbe tirato giù anche lei, dopo.
  Ora sarebbe andata a gettarvisi da sola, in un abisso diverso ma ugualmente doloroso.
  Eppure, l’avrebbe fatto per propria scelta.
   Aveva pur sempre una dignità.

* * *

Angolo Autrice:

  Salve a tutti! Prima di tutto ci terrei a fare ancora tanti, tanti auguri a Lils - sta diventando vecchietta, eh v.v - e mi vorrei scusare per questa... uhm... cosa, non ho saputo davvero fare di meglio xD La storia è ispirata a tutto ciò che ho letto su questo pairing (ovvero solo qualche sua drabble) e, in parte, anche ad alcune mie drabble su Alice/Rodolphus scritte tempo fa. Diciamo che ho scoperto la Rita/Rabastan davvero da pochissimo, eppure mi intriga tantissimo.In particolare il personaggio di Rita, che ho imparato ad amare grazie ad una one-shot della stessa Lily; scrivere sui personaggi secondari è sempre bellissimo, apre davvero nuovi mondi. Ho voluto ribadire più volte la questione dell'avere una dignità, in questo racconto, perché credo che Rita non fosse davvero una senza scrupoli. Diciamo che la vedo pronta ad usare le parole per indagare, ferire e tutto, perché negarlo sarebbe renderla ooc (cosa che credo di aver comunque fatto, pur cercando di evitaro xD), però appoggiare i Mangiamorte è un'altra questione, è esporsi totalmente, è dire "io la penso così, ciò che fanno è giusto". E benché la loro tresca fosse "segreta", si sa che tutto, prima o poi, viene fuori, e Rita di certo non è una sprovveduta venuta al mondo il giorno prima, dunque lo sa. Spero di riuscire a scrivere di nuovo su questo pairing, magari qualcosa di decente, stavolta xD

  Che dire, vi ringrazio per la lettura! :3 E ancora tanti auguri a Lily <3

p.s. Questa storia è frutto di un delirio notturno, l'ho riletta solo una volta, quindi potrei aver scritto tante sciocchezze v.v

   
 
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