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Autore: Kilian_Softballer_Ro    27/07/2013    8 recensioni
Immaginate il tipico scenario post-apocalittico. Il frutto di un esperimento ha ucciso praticamente tutta la popolazione della Terra, e soltanto un riccio è sopravvissuto.
O forse non solo....
Cercando di ignorare i ricordi del passato, Shadow si ritrova a dover combattere e indagare su cosa è accaduto e cosa sta ancora accadendo.
Storia liberamente ispirata a un libro di Stephen King e con una forte presenza di OC, miei e di altri autori.
Spero apprezziate. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Shadow the Hedgehog, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Estratto dal comunicato radio delle 20.00 di RadioMetalCity, 14/02/2013:
“….e dunque la crisi epidemica che si sta allargando per l’intera America Settentrionale sembra non preoccupare le autorità. Charles Evenstel, vicepresidente del Dipartimento Scienze Sperimentali, ha rilasciato una dichiarazione dove afferma che l’epidemia non avrà le proporzioni di una peste medievale e intima a non farsi prendere dal panico.
Le cause di diffusione del morbo non sono ancora state confermate, ma le voci insinuano che siano da ricondurre agli esperimenti del Centro di Ricerca Finitevus, che ha sede in una località mai definita nell’Ohio…
…Gli appelli alla calma si susseguono, ma c’è già chi si espone a definire questo giorno “il San Valentino di morte”…”
 
Estratto dal comunicato radio  delle 12.30 di RadioMetalCity, 25/4/2013:
…le vittime dell’epidemia si moltiplicano a velocità impressionante. Le città si svuotano, il panico sembra aver preso piede. I sintomi della malattia, che ormai tutti conoscono – tosse, prurito, eruzione di lividi senza un motivo – si presentano sempre in più individui, non soltanto negli Stati Uniti, ma in tutto il resto del mondo.
Oramai sembra certo che-cough cough-scusate, sembra certo che il morbo abbia cominciato a diffondersi partendo dal Centro Ricerca Finitevus, anche se-cough- scusate ancora, questa tosse non mi da tregua, comunque pare certo, anche se nessuna autorità lo ha confermato.
C’è da dire che, però, un’alta percentuale delle autorità è defunta o affetta dal morbo…”
 
Comunicato radio del 07/06/2013 di RadioMetalCity:
Questo posto è un letamaio, ci sono cadaveri ovunque, sono vivo solo io qua, eh eh, ma il lavoro è lavoro e io devo far sapere al mondo che l’epidemia è una MERDA, haahahahahhaha, e qui ci siamo io, io lo stupido operatore rimasto per ultimo, io e la mia bella pistola e la bottiglia di whisky, eh eh, è ora di usare la vecchia pistola e dire addio a questo mondo di merda , tanto siam tutti morti e tutta la città è morta, ciao ciao città, ciao ciao mondo!”
 
BOOM.
 
Rimbombo. Soltanto il rimbombo dei passi.
Non sentiva praticamente altro rumore da giorni, solo i propri passi e ogni tanto il vento. E poi, di notte, il silenzio. Quello era, se possibile, ancora più assordante.
Non faceva altro che camminare da giorni, più probabilmente da settimane. E mentre camminava, pensava.
Non era una buona cosa. Pensare significava ricordare. E Shadow non voleva ricordare.
Purtroppo, non aveva ancora incontrato nessuno di abbastanza vivo con cui parlare. Se avesse potuto farlo, avrebbe potuto distrarsi, ma era solo, e quindi poteva solo camminare e pensare, pensare e ricordare. E mano a mano che avanzava, la sua rabbia aumentava.
L’epidemia era stata terribile. Morti ovunque. Erano morti tutti quelli che aveva intorno, ma non lui.
Perché non lui? Perché diamine era sopravvissuto?
Forse non era stato il solo a sopravvivere. Ogni tanto gli era parso di sentire dei passi, lontani,o dei fruscii….Ma forse era solo la sua immaginazione. Magari stava diventando pazzo, a forza di stare solo.
Tanti erano impazziti durante l’epidemia. Il panico di non avere scampo, di dover morire per forza, e in modo così atroce…Parecchi si erano suicidati.
Alzò la pistola che stringeva nella mano destra e se la puntò alla tempia. Che senso aveva stare da solo? Poteva farla finita anche lui. E avrebbe smesso di pensare. Avrebbe raggiunto Maria….
Scoppiò a ridere e abbassò l’arma. – Non dire cazzate, Shadow the Hedgehog – esclamò rivolto a sé stesso – non saresti mai capace di farlo.
Sì, ragionò, stava davvero diventando pazzo.
Avere la pistola, istinti suicidi a parte, era stato davvero molto utile. L’aveva rubata qualche giorno prima in un negozio d’armi, insieme a un considerevole numero di pallottole. Anche se non era proprio rubare. Erano tutti morti, non se ne facevano nulla di soldi o cibo.
Comunque, con la pistola si era sentito più al sicuro. Non sapeva da cosa si sentisse al sicuro, ma era meglio in ogni caso avere un’arma a portata di mano.
Mentre rifletteva, non aveva mai smesso di camminare. Era nel bel mezzo di un’autostrada, fra macchine schiantatesi contro i guard-rail e piene di cadaveri, finalmente vide quello che si aspettava. Il cartello di una città.
-          Benvenuti a Metal City – sogghignò. – Un paradiso della scienza moderna.
E continuò a camminare, sagoma di un riccio nero che si inoltrava nella città.
 
Si accampò nel bel mezzo di un parco, l’unica zona verde della città,  da dove poteva facilmente trovare ciò di cui aveva bisogno. Estrasse tutto ciò che gli serviva dallo zaino –sacco a pelo, fiammiferi, cibo in scatola – e accese il fuoco.
Certo, avrebbe potuto infilarsi in una delle case abbandonate, ce n’erano centinaia, ma gli faceva ancora uno strano effetto. Saccheggiare un supermercato era una cosa, ma una casa? C’erano troppi ricordi. E ne aveva già abbastanza di suoi, di ricordi.
Dopo aver mangiato, si sedette vicino al fuoco, riflettendo come al solito. Era partito da Washington chi sa quanto prima, e chissà dove era finito ora. Aveva camminato a lungo, decisamente. E non aveva intenzione di fermarsi tanto presto.
Il piano era semplice: andare avanti finché non avesse trovato qualcuno di vivo, anche se era poco probabile. Anzi, era direttamente impossibile. Comunque, se proprio fosse riuscito a trovarne uno, magari che sapesse anche il perché della sua sopravvivenza… Lui aveva smesso di chiederselo.
Quando tutti intorno a lui avevano cominciato a tossire, a sputare sangue e a grattarsi come delle scimmie, si era spesso chiesto perché nulla fosse toccato a lui. Ma non aveva mai trovato risposte, per cui aveva capito che era inutile farsi domande.
Uno scricchiolio lo distolse dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo. Qualche animale selvatico attratto dal fuoco?
-          C’è nessuno? – Esclamò. Nessuna risposta, solo lo stesso scricchiolio, un po’ più vicino di prima. Qualcosa come un ramo spezzato. Si alzò in piedi, caricando la pistola quasi in automatico. “Preparati a darti del gran coglione, Shadow the Hedgehog, spaventato da uno scoiattolo” si disse, sogghignando amaramente. – Ehi, c’è qualcuno?
Nulla. Non si sentiva più nulla. Inquieto, il riccio spense il fuoco. “Meglio non attirare l’attenzione di nessuno” pensò “fosse anche un ratto di fogna”.  Dopodiché si infilò nel sacco a pelo, tenendo una mano sulla pistola e preparandosi a una lunga notte insonne.
Invece, dopo poco si addormentò, nonostante l’inquietudine. Aveva pur sempre camminato dalla città precedente quasi  senza fermarsi, e nonostante fosse ormai abituato alle lunghe fatiche, il sonno ebbe la meglio su di lui.
 
Aprì gli occhi, confuso. Cosa diavolo lo aveva svegliato? Ma dopo pochi minuti l’annebbiamento che sempre accompagnava il risveglio si dileguò e capì. Era stato un altro rumore strano, e alzando appena gli occhi sopra la coperta capì anche da cosa era provocato.
Una sagoma su due gambe (su due gambe, cazzo, non era un’allucinazione) stava frugando dentro al suo zaino. Sembrava una sagoma di riccio, argentata, così a vederla.
-          Ehi! – Urlò, sollevandosi dal sacco a pelo. Il riccio sconosciuto alzò un paio di occhi gialli su di lui e, terrorizzato, si mise a correre.
-          Ehi, tu, fermo! – Shadow si mise ad inseguirlo. Diamine, era il primo essere vivente ( bestie selvatiche a parte)che incontrava da settimane! D’istinto, fece la prima cosa che gli venne in mente di fare:  armò la pistola e, badando a non colpire il fuggitivo, sparò un colpo a un paio di metri da lui.
L’effetto fu quello sperato: il riccio si raggomitolò su sé stesso, tremando di paura. Shadow gli si avvicinò di corsa e lo prese per una spalla, costringendolo a girarsi. – Ma che cazz…
Il resto della frase gli morì in gola. Non si era accorto di quanto era piccolo, prima: non poteva avere più di cinque o sei anni. Argentato, occhi gialli, un assurdo ciuffo sulla testa, e soprattutto sporco e magro come un chiodo. Sembrava non mangiasse da giorni, e probabilmente era così.
E  poi stava piangendo.
-          Non mi sparare signore – piagnucolò il bambino – non volevo rubare, non volevo rubare niente!
-          Non…non ti sparo. Stai calmo. Ma….tu cosa ci fai qui?
-          Cercavo qualcosa da mangiare, signore, ma non volevo rubare.
Shadow sospirò e mise una mano sulla testa del piccolo, che tremò di paura ma non si ritrasse. – Sono sicuro che non volevi rubare. Come ti chiami, ragazzino?
-          D-Dodgeball.
Era uno dei nomi più assurdi che avesse mai sentito, ma forse era meglio non dirlo. Si trattava pur sempre di un moccioso morto di fame e in piena crisi isterica. – Bene, Dodgeball. Vieni con me. Credo di avere qualcosa da mangiare anche per te.
Lo ricondusse al suo accampamento improvvisato e lo fece sedere a terra, poi aprì una scatoletta di tonno e gliela porse, insieme alla sua forchetta. Dodgeball spalancò gli occhi; si vedeva benissimo che era diviso fra la fame e la paura di prendere quel cibo.
-          Forza, mangia, non avere paura- lo incoraggiò l’altro.
Il bambino si buttò sul pesce. Sì, Shadow aveva visto giusto, era praticamente morto di fame. Gli si sedette di fronte e lo osservò divorare il cibo. Era troppo felice di aver trovato qualcuno di vivo per tenere conto di quanto era stato incapace con i bambini, prima dell’epidemia. Non aveva importanza, al momento. – Dì un po’, dove sono i tuoi genitori?
-          Sono morti quando ero piccolo – rispose lui ripulendo il fondo della scatoletta, poi alzò gli occhi, come alla ricerca di qualcos’altro. Il riccio nero gli allungò una tavoletta di  cioccolata, e Dodgeball prese a mangiarla a grossi morsi.
-          E con chi vivi, allora?
-          Con mio fratello Silver…signore. – Il bambino abbassò le orecchie, con aria triste.
-          Smettila di chiamarmi signore, sembro vecchio. Mi chiamo Shadow, okay?
-          Okay, signor Shadow.
Shadow rinunciò, scuotendo la testa. – Okay…E tuo fratello dov’è?
-          E’ morto. Si è ammalato.
Chiaro, penso l’altro. Era già stato abbastanza fortunato a trovare qualcuno di immune, cosa si aspettava, di trovare un’intera famiglia?
Solo dopo un attimo si rese conto di che effetto avesse avuto quel discorso su Dodgeball. Il piccolo riccio aveva messo da parte il cioccolato, e ora aveva di nuovo le lacrime agli occhi.
“Merda” pensò Shadow. No, decisamente non era mai stato capace di badare a un bambino. Si alzò e gli accarezzò goffamente la testa. Lui tirò su col naso, mordendosi il labbro. “No, no, ti prego, moccioso, non metterti a piangere, se ti metti a piangere vado in crisi io e vai in crisi tu.”
Fortunatamente Dodgeball non pianse. Tirò su col naso un’altra volta, poi riprese a mordere la tavoletta di cioccolata. Il riccio nero tirò un sospiro di sollievo.
-          E’ tanto che vai in giro da solo? – Chiese, cercando di cambiare argomento.
-          Non lo so. Quando Silver si è messo a letto….non, non si è alzato più e io mangiavo quello che avevamo in frigorifero. Solo che poi il frigo si è spento, e Silver mi ha detto che quando un frigo è spento non conserva niente e quello che c’è dentro non si può più mangiare. Allora sono andato a suonare ai vicini a chiedere se a loro funzionava il frigo, ma non ha risposto nessuno.
Era ovvio. Se tutti quelli che dovevano occuparsi della centrale elettrica erano morti, altro che il frigorifero, non funzionava più nulla. Men che meno il campanello delle case. Ma un bambino non poteva capirlo.
-          Sono andato avanti in tutte le case, ma non rispondeva mai nessuno, poi sono andato troppo avanti e mi sono perso. Solo che non sapevo più dove trovare da mangiare.
-          E quando hai visto me hai pensato che magari avevo qualcosa da mangiare.
-          Sì, signor Shadow.
Shadow guardò dentro lo zaino. La sua scorta di cibo non era più così fornita, dopo la cena del giorno prima e l’arrivo inaspettato di quel ragazzino famelico. Se lo caricò in spalla e porse la mano al bambino.
-          Beh, è ora che tu impari come procurarti del cibo.
 
Metal City era una piccola città, e perciò anche il supermercato era di dimensioni piuttosto ridotte. Il riccio nero spaccò la porta vetrata e fece cenno a Dodgeball di seguirlo all’interno. Il supermercato era buio, ma alla luce del giorno ci si poteva orientare facilmente.
Si diresse senza esitazioni verso la corsia degli articoli da bambini e tirò fuori un piccolo zaino che porse al piccolo riccio. – Mettitelo in spalla e mettici tutto quello che ti do.
-          Sissignore! – Esclamò lui. Sembrava perfettamente felice del fatto che ci fosse di nuovo qualcuno ad occuparsi di lui. Shadow non avrebbe mai voluto che andasse a finire così (come detto, non era mai stato bravo con i bambini), ma che altro poteva fare? Non poteva certo abbandonare un moccioso così piccolo al suo destino. Sarebbe morto quasi subito. Era già strano che fosse sopravvissuto fino ad allora.
Si mise a girare fra gli scaffali, fermandosi ogni tanto per estrarre qualcosa e infilarlo nello zaino oppure passarlo a Dodgeball.
Quella di andare alla ricerca di cibo nei supermercati era stata un’idea che aveva seguito quasi immediatamente il fatto di essere solo. Tutti erano morti, i soldi avevano l’utilità di carta straccia, e il cibo che aveva a portata di mano sarebbe finito presto. Per questo era finito a forzare la porta del primo supermercato e a recuperare tutto ciò che non sarebbe andato a male. Cibo in scatola, pacchi di biscotti, cose simili. Faceva “la spesa” così da parecchio tempo, e si era dimostrata un’idea molto utile.
Si era anche abituato alla vista dei rari cadaveri che potevano trovarsi, ma evidentemente Dodgeball no. Shadow dovette trascinarlo via di forza da quello di un gatto in giacca e cravatta rimasto steso dietro a una cassa. Di sicuro non era una bella visione,ma anche lui doveva farci l’abitudine. Così come doveva fare l’abitudine ai pranzi in scatola e a tutto il resto.
Quando entrambi gli zaini furono pieni, i due ricci uscirono dall’edificio. Shadow cominciò a vagare per la città, cercando di farsi un’idea di dove si trovava. Lo aveva sempre fatto, in tutte le città, da quando aveva iniziato a viaggiare. Però questa sembrava diversa.
Innanzitutto c’erano molti meno cadaveri per strada. Di solito se ne trovavano a decine, qui invece uno o due per ogni strada erano già molti. Forse era per questo che Dodgeball ( che ora lo seguiva mangiando biscotti ) non era ancora indifferente a loro.
E poi, forse proprio perché non c’era così tanto materiale a decomporsi, l’aria era più pulita,e inoltre le strade erano sgombre da automobili e simili.
“Potrei fermarmi qui” pensò Shadow all’improvviso. Era un’idea strana, ma..perché no? Era la città migliore che avesse incontrato fino ad allora, e in fondo era stanco di vagare. E poi sarebbe stato difficile mantenere la stessa andatura che aveva di solito con Dodgeball al seguito.
Sogghignò, felice della decisione presa. E anche sollevato. Sì, sentiva uno strano senso di solievo, anche se non capiva perché.
Però era piacevole.
 
Era calata la sera. I due erano tornati all’accampamento, e dopo la frugale ( per Shadow; Dodgeball aveva mangiato per due, per recuperare ) cena, il riccio più piccolo si era raggomitolato nel sacco a pelo e ora dormiva tranquillamente. L’altro lo guardava, con un misto di emozioni. Perplessità, preoccupazione e-anche se non voleva ammetterlo-un briciolo di tenerezza.
Sembrava che avesse ripreso il ruolo di fratello maggiore, ancora una volta, dopo…No, non voleva pensarci. Era riuscito a tenere a bada i brutti ricordi per tutta la giornata, e non poteva lasciare che lo assalissero adesso, altrimenti gli avrebbero impedito di dormire. Ed era stata una giornata abbastanza piena di emozioni, aveva bisogno di sonno.
Spense il fuoco e con un sospiro si infilò nel sacco a pelo. Nel sonno, Dodgeball si girò e gli si aggrappò addosso. In altre situazioni l’avrebbe spinto via, invece non poté trattenersi dal sorridere leggermente, dandosi mentalmente dell’idiota.
“Sto diventando davvero pazzo”, pensò. Poi si liberò dalla stretta del bambino e si addormentò.

Premetto che sto incrociando le dita, perché a questa storia tengo molto e spero che almeno a qualcuno che ha letto questo primo capitolo ispiri.
Poi dico: salve! =D non pensavo che avrei avuto il coraggio di pubblicare questa storia, ma eccomi qua. Non c'è molto da dire, a parte che (ancora? Sì, sto diventando ripetitiva) spero che vi piaccia. E che cercherò di aggiornare il più in fretta possibile, tanto in goni caso passo più tempo a scrivere che non a studiare seriamente.
A presto!
Ro =)
P.S. Il libro di King di cui parlavo si chiama L'ombra dello scorpione, nel caso interessasse a qualcuno.
P.P.S. Ultima cosa: se questa storia ha da essere dedicata a qualcuno, dev'essere dedicata a eritrophobia, che ha una pazienza infinita anche se ha più di un motivo per mandarmi a stendere. Live long and prosper <3
  
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