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Autore: Lushia    29/07/2013    2 recensioni
Una tenera storia d'amore tra un Fiore e il Cielo.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Giotto, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'KHR! 11^ Famiglia'
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BOCCIOLO.

 

Il profumo intenso delle cibarie aveva già avvolto la cucina, segno che l'ora di pranzo era vicina.
Il cuoco era un omone biondo, con i capelli tirati all'indietro e un accenno di barba.
Assaggiò la minestra con perplessità, prima di sorridere. Quell'uomo amava il suo lavoro, lo si notava dai suoi occhi scintillanti e dai suoi modi gentili.
Cuochi simili erano rari, di questi tempi.
Massimo si pulì le mani sul grembiule, osservando l'operato dei suoi assistenti, mentre lanciò un fugace sguardo alla nuova assunta, una lavapiatti giapponese che si trovava lì per puro miracolo.
Il proprietario del ristorante l'aveva raccomandata a qualche taverna, ma lei sapeva cosa volesse dire lavorare in luoghi simili.
Non voleva certo doversi privare della propria innocenza e moralità, nonostante avesse un disperato bisogno di soldi.

Si aggiustò la lunga treccia corvina, varcando la soglia delle cucine e giungendo nella sala principale, dove un uomo dai capelli brizzolati era intento a leggere da alcuni fogli.
Edoardo si sistemò gli occhiali con perplessità, osservando la giovane avvicinarsi.
- Ehi, Mimi. Serve una veloce pulita qui. - disse lui, indicando con il capo una macchia sul pavimento. Probabilmente olio.
- Suppongo che Nicola abbia fatto cadere di nuovo qualcosa. - disse lei, osservando sottecchi l'uomo. Non le piaceva molto essere chiamata con quel diminutivo, ma ormai ci aveva fatto il callo. Per un italiano, l'appellativo Mimi era di certo più facile da pronunciare di Tsubomi.
- Come al solito, quel ragazzetto mi farà impazzire. - disse l'uomo, sospirando.

La donna passò uno straccio, asciugando la macchia e cercando di sistemare il guaio che quel birbantello aveva causato.
Si voltò confusa verso la sala, notando una lunga tavola già ben imbandita.
- Per fortuna che ci sei tu, Mimi. - disse lui, riprendendo la contabilità. - Non mi pento di averti assunto, anche se non era un compito adatto ad una giovane donna. -
- Ho ventun anni. - disse lei, scuotendo il capo con rassegnazione – Mi sarebbe andato bene qualsiasi impiego, purchè non si trattasse di andar in camera con sconosciuti. -
- Mi scuso per aver pensato male, quel giorno. - ridacchiò, intingendo la penna nell'inchiostro – Oh, Gabriella ha detto che passerà più tardi. -
- Davvero? Mi rende felice! - Tsubomi sorrise, intingendo il panno in un secchio d'acqua – Adoro quella donna, è la prima amica che abbia conosciuto, qui in Italia. -
- Anche io l'adoro, difatti l'ho sposata. -
La giovane cameriera ignorò la battuta dell'uomo e sollevò il secchio, dirigendosi verso le cucine, fermandosi davanti alla porta in legno e voltandosi verso Edoardo.
- … Quella tavola così ben imbandita... abbiamo ospiti importanti, oggi? -
L'uomo annuì con il capo, senza distogliere gli occhi dai suoi conti.
- Conosci la famiglia Vongola? - chiese.
Mimi scosse il capo, curiosa. Si trovava in Italia da solo un mese e aveva sempre lavorato in quel ristorante come lavapiatti e serva, perciò non aveva avuto tempo di ascoltare chiacchiere popolane.
Tutto ciò che le interessava erano i soldi per poter pagare quel famoso dottore americano.
E di salvare sua madre.
- Sono molto importanti, dovresti. - aggiunse lui. - Il boss sarà qui con i suoi guardiani e alcuni loro ospiti. -
- Capisco. Mi sbrigo e torno al lavoro, allora. -

Posò il secchio e prese un vassoio, recuperando una ciotola di zuppa e una pagnotta, che portò rapidamente oltre le scale, sopra al ristorante, dove vi erano i loro alloggi.
Il proprietario possedeva tutto l'edificio, ma una zona era riservata ai camerieri e ai cuochi, nonostante non fossero così numerosi.
Anche Tsubomi viveva lì, in una stanzetta con la sua anziana madre, che non era in grado di muoversi da sola.
La giovane varcò l'uscio e le poggiò accanto il vassoio con il pranzo, sorridendole.
- Sia lodata la mia piccola Tsubomi-chan. - disse la donna, sorridendole con dolcezza – Se tuo padre fosse ancora tra di noi, sarebbe anche lui orgoglioso di te. -
La ragazza aprì leggermente la finestra, lasciando passare un po' d'aria.
Aiutò la donna ad issarsi e la imboccò lentamente, nonostante quest'ultima tentasse di convincerla a non preoccuparsi per lei.
- Madre, voglio che vi rimettiate al più presto. - spiegò la figlia, accarezzandole i capelli brizzolati – Quando avrò abbastanza soldi, potrò chiamare il dottor August e vi farò visitare da lui. -
- Fai tutto questo per me che sono anziana... - disse lei, scuotendo il capo – Dovresti pensare a te stessa. Sei in età da marito, ormai … -
- Per ora, conta solo l'operazione. - rispose Tsubomi che, dopo aver aiutato la madre a pranzare, varcò la soglia della stanza e tornò nelle cucine.

- Mimi, vieni qui. - Edoardo sembrava preoccupato, si muoveva rapidamente tra gli scaffali del magazzino, controllando le vivande. - Abbiamo un problema e posso fidarmi solo di te. -
- Cosa succede, signor Edoardo? - la ragazzina si avvicinò all'uomo, che la scortò rapidamente in cucina.
- Gabriella mi ha portato una spiacevole notizia. - iniziò lui, preoccupato – Filippo è stato quasi calpestato da un cavallo, sulla strada per il ritorno. -
- Eh? Cosa? - la ragazzina entrò nel panico, preoccupata per il ragazzo. Era uno dei camerieri più simpatici, temeva per la sua vita.
- Mia moglie l'ha subito accompagnato dal dottore, fortunatamente non è grave, ma non potrà presentarsi per lavorare. Ho bisogno di una mano. -
- Di cosa avete bisogno? Ciò che era andato a comprare? -
- Il pesce l'ha recuperato mia moglie, ma ho bisogno di un sostituto. Dovrai occuparti tu degli ospiti. -
Non era la prima volta, ma Mimi sapeva che Edoardo teneva al buon nome del ristorante. Se qualcuno avesse notato una donna al lavoro, avrebbero potuto pensar male del luogo.
- Sarò discreta, non si preoccupi. -
- Ti ringrazio, riceverai qualcosa in più sulla paga. -

In effetti, c'era molto lavoro da fare, considerando che la tavola era imbandita per dieci persone. Gli ospiti erano tutti eleganti e distinti, sembravano provenire dalla nobiltà.
Questa famiglia Vongola doveva essere davvero ben voluta e molto potente.
Ma lei non fece domande, si limitò a servire con un sorriso di cortesia, tentando di non apparire maliziosa.
Fortunatamente non era sola, anche Giuseppe si occupava di quel tavolo e si aiutarono a vicenda, senza di lui non ce l'avrebbe mai fatta.

Dopo aver servito il dolce, la donna poté tirare un sospiro di sollievo. Era andato tutto bene.

Almeno finchè i suoi occhi gentili non incrociarono due profondi occhi arancio.
Non aveva soffermato il suo sguardo sugli uomini, doveva essere discreta e sfuggente. Eppure si maledisse per aver compiuto quello sbaglio.
La sua attenzione era caduta su un uomo biondo e affascinante, il quale ricambiò il suo sguardo interessato e curioso.
Tornò in sé pochi istanti dopo, si voltò e si avviò verso le cucine con noncuranza, sperando vivamente di non aver fatto una brutta impressione.

Quando gli uomini si alzarono e ringraziarono Edoardo per il pranzo e per il servizio, Tsubomi si ritrovò sull'uscio ad osservare l'uomo che aveva notato prima, mentre lasciava il ristorante con un sorriso.
- E' andato tutto per il meglio, abbiam fatto una buona impressione! - disse il capo, ritrovatosi in cucina a complimentarsi con lo staff.
- Signor Edoardo... - la ragazza posò lo sguardo sull'ingresso del ristorante, assorta. - Chi era... quell'uomo biondo? -
- Oh, lui? - l'uomo lanciò una fugace occhiata nella stessa direzione – Quello era il capo, il boss dei Vongola. - spiegò - Vongola Primo, un grand'uomo. -
- Vongola... Primo. - ripeté lei, quasi immersa nei suoi sogni. - ...Aveva uno sguardo così dolce. -
- Ha aiutato molta gente, in questa città tutti gli sono grati. Più che un uomo assomiglia ad un santo. -
Mimi abbozzò un sorriso, voltandosi e tornando al lavoro.

Era passato soltanto un mese e tutto sembrava essere cambiato in modo incredibile.
Saltuariamente, Mimi aveva iniziato a dare una mano anche come cameriera. Non sembrava più essere una cosa tanto disgustosa, considerando gli ultimi ristoranti aperti in Italia e in Francia, che vedevano molte donne lavorare proprio come gli uomini.
Sembrava quasi che non ci si dovesse più vergognare di essere una donna. Ma, in quei tempi, le cose cambiavano molto velocemente.

Mimi aveva messo da parte una bella somma, ma non era abbastanza. In realtà, non si avvicinava nemmeno alla metà del totale che ella necessitava.
Si ritrovava spesso a dover servire uomini altolocati, tra cui il biondo capo dei Vongola, di cui si era abbastanza infatuata.
Eppure, ascoltando i pettegolezzi, quell'uomo sembrava aver conquistato molti cuori, ma nessuna donna era mai riuscita a far breccia nel suo.
Sospirò, versandogli il vino con un ampio sorriso sulle labbra, per poi allontanarsi diretta alle cucine. Ormai aveva già rinunciato a lui, non poteva smuoversi dal suo obiettivo principale.
Si voltò un'ultima volta, prima di varcare la soglia.
Sembrò che la stesse fissando, ma non poteva essere così.

Quanto tempo era passato da quando aveva iniziato a lavorare anche come cameriera? Ormai non lo rammentava più.
Si aggiustò nuovamente la sua lunga treccia nera e si avvicinò all'uomo con il solito sorriso. Era da solo, Edoardo le aveva riferito che era in attesa di qualcuno, ma aveva già ordinato del vino.
Mimi glielo versò con cura.
- Siete solo, oggi? - si azzardò a dire. Dopotutto non era inusuale rivolgere agli ospiti domande di cortesia.
- No, attendo un amico. - rispose lui, con tranquillità.
Non aveva mai sentito chiaramente la sua voce, era bassa e morbida, molto calda.
- Spero non faccia tardi, allora. Non è molto bello essere soli. - disse Mimi, imbarazzata. Non sapeva cosa rispondere, non era solita a intrattenere uomini poichè non sapeva relazionarsi con loro.
- Beh, vuole farmi compagnia? - chiese lui.
La ragazza arrossì, interdetta.
- Ah, no... cioè, non sono quel tipo di... voglio dire... -
- Oh, assolutamente no! Non intendevo quello! - l'uomo si preoccupò di chiarire il malinteso, sembrava mortificato – Mi dispiace, non volevo pensasse male. - scosse il capo – Non esistono solo donne così, dopotutto. - abbozzò un sorriso.
- Sì... avete ragione. - Mimi sembrava davvero agitata.
- E' giapponese? - chiese lui, curioso.
- Sì, sono venuta in Italia con mia madre. -
- Come mai? -
- Ha bisogno di essere operata e solo un dottore americano può farlo... so che, attualmente, egli risiede a Roma. -
- Un dottore americano, dice? Suppongo sia il dottor August. - l'uomo sembrò rimuginarci su – E' un ottimo dottore, l'unico a effettuare complicate operazioni. Ma so che il compenso è molto alto... -
- Lo so, per questo sto lavorando qui. - spiegò lei, chinando il capo – Metterò da parte quella somma e aiuterò mia madre. -
- Le ci vorranno molti anni per raggiungere somme così esorbitanti. - spiegò lui – Sa già a quanto ammonta? -
- A molto. - rispose Mimi, annuendo lievemente.
- A quanto, precisamente? -
- Sappiate solo che ci sto lavorando. - concluse, con un sorriso di cortesia.
Non voleva diffondere certe informazioni né voleva essere aiutata da sconosciuti, per quanto affascinanti essi fossero. Tsubomi aveva sempre voluto essere autosufficiente e sapeva che doveva fare di tutto per salvare sua madre dalla malattia.
- Capisco. Beh, spero che lei riesca nel suo intento, signorina... ? -
La ragazza si morse un labbro, indecisa, prima di rispondere.
- Tsubomi. -
- Mh, un bel nome. Significa bocciolo, un fiore che deve ancora schiudersi, una bellezza che lentamente sta nascendo. -
La ragazza sembrò quasi ammaliata dalle parole dell'uomo.
- ...Conoscete il giapponese? - chiese lei.
- Ho amici di quelle zone. - rispose, sorseggiando dal bicchiere.
La giovane si voltò verso l'altro lato della sala, notando lo sguardo preoccupato di Edoardo.
- Con permesso. - si inchinò lievemente, allontanandosi rapidamente dall'ospite.

- Mimi, che stai facendo? Lo sai che non puoi parlare così tanto con un ospite. - la rimproverò.
- Mi dispiace, voleva continuare il discorso, sembrava curioso, e io... -
- Lui? Voleva parlare con te? - sembrò perplesso – Oh, allora va bene. -
- … Scusa? -
- Intendo, se non sei stata tu ad annoiarlo, se lui voleva discorrere con te, va bene. -

Certo, ovviamente.
Se un uomo, sopratutto altolocato e molto importante, vuole parlare con te, non c'era alcun problema. Non bisognava mai rifiutare, sarebbe stato sgradevole e maleducato.
Era così che il mondo girava, attorno agli uomini e alle convenzioni sociali.

Per questo aveva avuto problemi a trovarsi un lavoro adeguato, che non sfociasse in oscenità. Non era una donna da compagnia, era solo una ragazzina che voleva lavorare per aiutare la madre.
E non voleva davvero incontrare quell'uomo, eppure non riusciva proprio ad evitarlo.

Si ritrovò davanti alla sua figura, stavolta ancora più nobile, probabilmente a causa di un lungo mantello scuro che ricadeva sulle sue spalle. Un uomo dai capelli rossicci lo affiancava, aveva lo sguardo pensieroso e forse un po' minaccioso.
- Buon giorno. - Mimi sorrise, come al solito. Bisognava sempre sorridere agli ospiti.
- Buon giorno a lei, signorina. Quest'oggi ho deciso di pranzare qui con i miei amici, spero abbiate un tavolo libero. Ho dimenticato di chiedere. -
- Oh, certamente, non abbiamo molte prenotazioni. - si affrettò a rispondere, affiancandolo – Sono lieta che il nostro ristorante vi piaccia così tanto. -
- E' uno dei migliori del paese. - spiegò lui – Non mancherò di farvi visita spesso. -
La ragazzina sembrò perplessa, l'osservò negli occhi intensi.
- Quindi, venite spesso qui per via delle ottime pietanze e dell'ottima cucina? - chiese, senza pesare le sue parole e la sua curiosità.
- Che altro motivo potrei avere? - chiese lui, lanciandole uno sguardo curioso, prima di entrare nel locale.

Già, che altro motivo?
Quella frase continuò a tormentarla ancora e ancora, per giorni e settimane.
Finchè non si ritrovò fuori dal suo alloggio, davanti al solito uomo dai capelli color sole.
- Primo-sama...? - la giovane si avvicinò rapidamente, lanciando uno sguardo alla sua stanza. Sua madre era assieme ad un uomo dalla chioma castana, che la visitava con accuratezza.
Mimi non riusciva a capire, restò ad osservare l'operato dell'uomo finchè non uscì dalla camera.
- Bene, fortunatamente rientra ancora nel limite. - spiegò lui, lanciando uno sguardo curioso alla bruna. - Tu sei la figlia, giusto? Sawada... Tsubomi? -
- Sì... sono io. -
- Beh, signorina Sawada, tua madre può essere operata in due giorni. Ci vediamo mercoledì e penserò io a tutto. -
- Voi siete... il dottor August? - era incredula, osservò dapprima l'uomo e poi Primo.
- Precisamente. Ed ora, se volete scusarmi, avrei un altro impegno. - disse, stringendo la mano del boss dei Vongola con molto rispetto.
- La ringrazio per essere venuto. -
- Non deve ringraziarmi, Primo. Ci vediamo fra due giorni per l'operazione. -

Era incredibile, sembrava quasi un miracolo.
Appena il medico lasciò l'edificio, Mimi corse dalla madre sorridente e l'abbracciò con gioia immensa.
Le sue condizioni erano abbastanza peggiorate da quando erano arrivate in Italia, perciò temeva che non sarebbe riuscita a salvarla in tempo.
All'inizio non voleva nemmeno lasciare il Giappone, non con la madre in quelle condizioni. Ma il modo migliore per contattare il dottore era quello di andare direttamente da lui, non avevano potuto fare altro.
E adesso, probabilmente, tutto si sarebbe sistemato, grazie ad un affascinante benefattore.

- Madre! - disse lei, stringendola.
- Figlia mia, i nostri sforzi sono stati ripagati. Ti ringrazio. - la donna le accarezzò la chioma scura.
- Non è vero, madre! E' a causa di quell'uomo biondo, laggiù. E' stato lui a chiamare il dottore. - spiegò lei, mortificata.
- Allora devi ringraziarlo. Va, chiedigli cosa possiamo offrirgli in cambio e, intanto, lasciami un po' riposare. -

Mimi chiuse la porta dietro di lei e si ritrovò faccia a faccia con il suo benefattore.
Sapeva già che doveva offrirgli qualcosa in cambio, eppure non aveva nulla.
- ...Primo-sama... -
- Giotto. - si affrettò a dire.
- ...Eh? - la ragazzina lo osservò confusa.
- Giotto, è il mio vero nome. Primo è un titolo che mi hanno dato i miei amici. - spiegò – Ma... preferirei che lei chiamasse così. - disse.
- Ca... capisco. - Mimi scosse il capo, cercando di non rifletterci troppo - Beh... Giotto-sama, cosa volete per tutto questo? Io non ho nulla, a parte i risparmi... -
- Non voglio soldi, non ho fatto questo per ricevere qualcosa in cambio. - rispose lui, con un sorriso caldo e dolce.
- E allora per cosa? -
- Perchè io amo aiutare le persone, soprattutto quelle in difficoltà. - spiegò lui. - Se proprio vuole darmi qualcosa in cambio... che ne dice di passeggiare con me, domattina? -
La ragazza sembrò perplessa, scosse il capo.
- Io... non sono quel tipo di... -
- L'ha già detto, lo rammento benissimo. - si affrettò a dire – E ripeto che non ho certi interessi, la prego di non fraintendere. Difatti le ho chiesto di fare una passeggiata, null'altro. -
- Perchè vorreste fare un passeggiata con me? - chiese Mimi, confusa.
- Perchè lei è... interessante. -
- Ma sono solo una cameriera. - affermò lei, nervosa.
- Un'interessante cameriera con un bel sorriso. -

Forse non aveva capito cosa volesse dire, o forse non voleva sperare in qualcosa di impossibile.
All'inizio ipotizzò che le sue intenzioni non fossero che quelle di passare del tempo con una donna 'interessante'.
Ma, alla fine, comprese che Giotto non era affatto un uomo simile.
Lo capì quando lui avvicinò il suo viso al suo, quando sentì il suo respiro, quando sentì il calore delle sue labbra.
Quando lui la invitò a lavorare nella sua magione, quando lasciarono l'Italia per trasferirsi in Giappone.
Molti anni dopo.

Forse, sperare non era poi così male.
Forse, bisognava solo sperare in qualcosa per poi mettersi d'impegno e tramutare la speranza in realtà.

   
 
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