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Autore: PeaceS    30/07/2013    3 recensioni
"E allora Ted capì che si poteva morire e rinascere, mille e mille volte, ma lui aveva scelto delle fiamme che – questa volta – non l’avrebbero rigenerato mai più.
E quel giorno d’agosto morì definitivamente, lasciandosi atterrare da quei gigli bianchi che sapevano di un amore che non gli apparteneva.
Che non gli era mai appartenuto"
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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My brother
 

 
La chiesetta di St. Louise, quel giorno afoso d’agosto, era addobbata a festa.
Grosse ghirlande colorate pendevano dal tetto di pietra grezza e gigli bianchi erano stati infilati nelle fessure delle mura per rendere l’antica chiesa più accogliente.
Una facciata in puro stile barocco si ergeva in tutto il suo splendore tra l’erba alta e il venticello leggero che tirava in una landa desolata dello Yorkshire, perfetta per il matrimonio estroso e magico che stava per tenersi tra quegli alberi in fiore.
Lunghe spirali di marmo bianco – accostate al grande portone di legno scuro – s’innalzavano verso l’alto, accarezzate da motivi dorati che si stringevano tra di loro creando fronde policentriche che sembravano richiamare fiori in sboccio.
Grosse vetrate illuminavano la chiesa a giorno, mentre ombre fugaci si creavano sul pavimento di marmo grazie ai santi raffigurati sui vetri rettangolari e ovali, quadrati e rotondi.
Un lungo tappeto rosso sangue iniziava dal percorso tracciato nel terreno – che precedeva un viale alberato – e finiva all’altare di cedro.
Le panche degli invitati erano ancora vacanti.
Due capannoni, uno a destra e uno a sinistra, erano stati allestiti a pochi metri dalla chiesa e ospitavano gli sposi, le damigelle, i testimoni e i genitori, che si affaccendavano nei preparativi per rendere tutto perfetto per quel giorno speciale.
Erano le nove e venti e presto gli invitati sarebbero sopraggiunti per assistere alla cerimonia, per festeggiare. Come se realmente ci fosse stato qualcosa da festeggiare.
Lily Luna Potter distolse lo sguardo dal suo orologio da polso completamente placcato d’oro e con i tacchi alti affondati nell’erba si diresse verso il capannone alla sua sinistra, ringraziando Merlino quando i suoi piedi toccarono del terreno solido nel capannone vuoto.
Sulle sedie accatastate a sinistra c’erano vestiti di ogni specie, cambi per dopo la cerimonia e scarpe classiche e da ginnastica; con le dita sottili accarezzò il tavolino da caffè proprio accanto all’entrata, dove bicchieri con whiskey e acqua – con qualche pacchetto di sigarette e cartine, filtri – non lasciava spazio a nient’altro.
« Eravate così nervosi? » mormorò, guardando il ragazzo che, proprio al centro di quella stanza improvvisata, si guardava allo specchio e le dava le spalle.
I suoi capelli, facendola sorridere di sbieco, divennero di un tenue azzurro.
« Tuo padre ha mandato giù una bottiglia di vodka nera come fosse acqua » sbuffò Ted, alzando gli occhi nocciola su di lei, che sinuosa e quasi impalpabile lo raggiunse.
Anche con quei tacchi alti gli arrivava appena sotto il mento e non riuscì ad impedire alle sue labbra di stiracchiare un sorriso morbido solo per lei. Era così grande confronto al suo corpicino che – ogni volta che si trovava a quella vicinanza costretta – gli sembrava che potesse contenerla interamente. Tutta, senza tralasciare niente.
Con la coda dell’occhio guardò il suo volto, che di solito era accarezzato da una leggera barba giornaliera e che ora era completamente liscio e perfetto, tranne per una piccola cicatrice sul sopracciglio sinistro e una sul labbro inferiore.
« Suo figlio si sposa, è normale che sia nervoso » asserì Lily, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
Con le mani leggere aveva afferrato i lembi della cravatta che cercava di annodarsi da ore, oramai, e l’avvolse attorno il colletto della camicia bianca e madida che aderiva al suo corpo asciutto.
« Non sono suo figlio » borbottò Ted, appuntandosi mentalmente di fucilare i suoi testimoni e amici, che l’avevano abbandonato nel capannone appena aveva cominciato a dare i numeri per il nervosismo.
« Per lui lo sei » tagliò corto Lily, facendo scivolare le dita lungo la seta morbida della cravatta, muovendosi come se non avesse fatto altro per tutta la vita.
« Mea Dea, il tuo fidanzato è con gli altri? » sussurrò, soffiando tra i suoi capelli di un intenso color vermiglio.
Li aveva raccolti in cima al capo in uno chignon molle e alcune ciocche sapientemente arricciate le accarezzavano il volto pallido; tra quel mare rosso sangue aveva stretto il fermaglio a forma di giglio che le aveva regalato due natali prima e i brillantini sembravano spiccare tra quella che sembrava morbida e pura seta.
« Non è il mio fidanzato, Ted » sbuffò Lily, allontanandosi di poco per ammirare il nodo che aveva fatto alla sua cravatta, ora perfetto.
« Dimenticavo i tuoi simpaticissimi tromba-amici! » sibilò indispettito, afferrando con rabbia il barattolo del gel.
« Già, te ne dimentichi sempre. Non so’ proprio come fai » ironizzò Lily, appoggiandosi con i fianchi contro una delle tante sedie accatastate di vestiti e accendendosi una sigaretta alle rose, una delle sue preferite.
« Non è divertente » sbottò Ted, passandosi una mano tra i capelli e tirandoli completamente dietro le orecchie.
Fino e pochi giorni fa portava un codino e li teneva legati con un laccio di cuoio morbido. Ora li aveva tagliati.
Li aveva tagliati perché a lei non piacevano, perché erano poco consoni per la cerimonia.
Lily sogghignò: già, chissà cosa avrebbero pensato i loro piccoli pargoletti se in futuro avessero visto le foto del loro matrimonio e si sarebbero resi conto che il loro caro paparino aveva i capelli lunghi. Scandalo, per amor del cielo!
« A me piacevano lunghi » sussurrò, guardandolo attraverso le lunga ciglia scure arcuate dal mascara.
Aveva le labbra rosse come i suoi capelli, piene e carnose, così invitanti da farlo tremare impercettibilmente per quei secondi interminabili in cui aveva posato gli occhi su quella bocca.
« Aveva ragione Vic, non erano molto consoni per la cerimonia » disse, stringendo le labbra quando la sentì emettere un gemito sarcastico.
« Spero allora che sarai felice nella bellissima gabbia dorata in cui ti rinchiuderà la tua Vic » mormorò Lily, scuotendo il capo e lasciando che alcune ciocche di capelli le si attaccassero sulle labbra, dove c’era il rossetto.
Quel giorno non indossava un vestito da damigella, nonostante fosse cugina della sposa e la sorella dello sposo. Vic non glielo aveva chiesto, aveva detto – in una delle tante riunioni alla Tana per organizzare il matrimonio –  che i suoi capelli rossi avrebbero stonato con il rosa del vestito e lei non aveva sollevato nemmeno questione.
Lei non voleva indossare quel vestito disgustosamente rosa confetto né voleva camminare per la navata centrale con un sorriso felice per quell’unione.
Lei non era felice, affatto. E non voleva festeggiare quel giorno: il giorno in cui il suo tutto sarebbe diventato miseramente… niente.
« Mea Dea » sussurrò Ted guardandola tristemente, mentre i suoi capelli diventavano di un marrone comune. Come sarebbe diventato comune lui al fianco di sua cugina.
Lei lo avrebbe reso uguale a tutti gli altri, uguale a lei, facendolo rientrare nei suoi canoni.
Victorie le stava portando via quella persona che Lily aveva sempre considerato speciale, unica, con un dono raro che doveva essere sfruttato fino al limite.
Il cuore le si contrasse in una morsa dolorosa.
« Buona fortuna, fratellino »
Ted divenne di marmo e la vide dargli le spalle e… andarsene.
Avvolta in quel vestito a sirena di un intenso verde smeraldo, ora era di schiena; le spalle nude erano costellate da tante piccole efelidi, mentre il corpetto a cuore le strizzava il seno piccolo e i fianchi stretti, accarezzandola fino al sedere sodo e lasciando poi una nuvola di chiffon al suo passaggio, che non le copriva le gambe denudate da uno spacco vertiginoso. Ed era bella da far mancare il fiato.
Era bella da rendere miserabile chiunque al suo passaggio.
Ted tremò e si rese conto che quello era un addio, ma non di quelli tristi, ma di quelli velenosi e amareggiati, quasi forzati.
« Mea Dea! » ripeté più duramente, fissandola dritta negli occhi quando lei rovesciò il capo all’indietro per guardarlo in viso.
Buona fortuna, fratellino.
Sentiva il cuore dritto in gola, come un magone fastidioso che gli impediva di respirare decentemente al suo cospetto. Con le spalle ritte rilasciò un respiro brusco, stringendo i denti quando lei sorrise.
Le sue labbra si tesero e una fila di denti bianchi come perle bulinarono alla sua vista, quasi offuscata. La vide girarsi completamente verso di lui, meravigliosa come una Dea, ma più crudele. Ora sembrava più simile alla morte, impietosa, ma brillante come un diamante.
Simile alla morte, perché stava portando via ogni cosa. Stava portando via se stessa e quel cuore disperato che si dibatteva lì, nel suo petto traditore.
Perché sì, lui era uno sporco traditore e non se lo sarebbe mai perdonato.
Ora non riusciva più a vederci nessun sentimento nei suoi occhi bruni come la corteccia degli alberi, oramai vedeva solamente il buio più profondo e se ne rammaricava; lui lo sapeva, l’aveva sempre saputo che avrebbe fatto male e non si era fermato.
Si era preso quello che aveva considerato suo – fin dall’inizio, fin dalla prima volta che l’aveva presa tra le braccia e lei non pesava nemmeno due chili – e aveva ferito entrambi.
Si era trascinato da solo in quell’antro buio, soffocante, e ora uscirne gli sembrava quasi ridicolo. Non poteva.
Non poteva dirle che sentiva la carne straziarsi quando lei si avvicinava e il suo profumo di Iris e gigli lo avvolgeva.
Non poteva dirle che sentiva le gambe venirgli meno quando lei lo stringeva, imprimendo le sue forme contro di lui. Eppure sì, erano così imperfetti insieme, tanto da incastrarsi in un modo sublime. In un modo che sognava continuamente, costantemente, tanto da perderci il senno.
« Guardarmi » sussurrò Lily, avvicinandosi a grandi falcate e aggrappandosi alla sua giacca.
Harry, che stava per varcare la soglia del capannone, gettò un occhiata all’interno e fece retromarcia, intimando agli altri di non entrare, mentre Ted annaspava in cerca d’aria.
In cerca d’aria pulita che non sapesse della sua pelle, del suo respiro. In cerca d’aria che gli avrebbe riportato la lucidità necessaria per allontanarla da sé.
« Guardami e dimmi che la ami! » disse, disperata, arricciando le labbra in una smorfia addolorata che ferì di più lui che lei stessa.
Ora le sue mani tiepide erano sul suo viso e lo costringevano a fissarlo negli occhi, a guardare quelle iridi brune chiazzate d’ambra e il verde delle foglie d’autunno, costringendolo a perdersi nel calore di quelle ciglia che stavano creando ghirigori strepitosi su quelle guance umide, macchiate di lacrime.
« Dimmelo! »
Ted le posò una mano sul fianco, arcuando le dita sulla carne coperta dalla seta e lasciando che le impronte delle sue dita si fissassero in quel punto, marchiandola.
« Dimmelo! »
L’altra mano l’appoggiò sul suo sterno, nudo, beandosi nel sentire quel piccolo cuore battere più veloce del consentito. Solo per lui. Sempre per lui.
E si diede del bastardo egoista, perché sorrise.
Si diede dello stronzo senza cuore, perché si avvicinò così tanto alle sue labbra da sentire il suo respiro sulla sua bocca, tanto da mischiarsi con il proprio e diventare una cosa sola. Una sola boccata d’ossigeno che sapeva d’amore. Che sapeva di casa.
« Ti amo » sussurrò, accarezzandole le labbra lentamente, come se volesse assaporarla con una lentezza disarmante.
« Ti amo » ripeté, salendo con la mano lungo il fianco e la schiena, fino a fermarsi tra i capelli.
Lily tremò, trattenendo a stento un singhiozzo che le squassò il petto, aggrappandosi come una disperata a quella giacca.
Non stava bene vestito in modo elegante, lo preferiva in jeans e maglietta.
Lo preferiva senza quella fedina d’argento, che ora brillava come una condanna al suo dito.
« Cristo, Ted! Ti stai per sposare » gemette, come se solo in quel momento si fosse resa conto che era lì per vederlo dirigersi verso l’altare ad aspettare sua moglie. La stessa moglie che non era lei.
Strinse gli occhi, affondando le unghia nelle sue spalle, mentre lui poggiava le labbra sulle sue guance. E beveva le sue lacrime.
Beveva le sue lacrime e lui stesso l’accompagnava, piangendo insieme a lei.
« Mea Dea… » sospirò sulla sua bocca, cullandola come una bambina. Ed era quello che li aveva spinti lontano.
La convinzione che lei fosse ancora una bambina ai suoi occhi – agli occhi di suo padre – l’avevano portato in quel vestito da cerimonia e quel gel nei capelli, ora di un nero che quasi stridii contro la sua carnagione chiara.
« Ted » disse, facendo scivolare le sue mani sulla sua gola, dove con il pollice spinse con violenza.
Ted.
Con uno scatto l’avvicino a sé e lo baciò – questa volta – con più irruenza.
Le sue labbra si mossero rabbiose sulle sue, come se lei volesse punirlo. Come se lui non stesse soffrendo abbastanza.
 Ted.
La sua lingua era calda e lo accarezzava con perversione, questa volta. Non c’era nulla di dolce nel modo in cui le sue gambe si allacciarono alla sua vita, velocemente, come se non avesse fatto altro nella sua vita.
« Teddy » bisbigliò, usando quel nomignolo che lei aveva inventato e che solo lei aveva mai usato.
Una mano di Lily andò tra i suoi capelli, scompigliandoli dal gel, e una afferrò la sua – più grande di quella piccola che la strinse – e la posò a coppa sul suo seno.
Ted gemette.
Ora, Lily, era di nuovo sulla sua bocca e si muoveva piano, iniettandogli il suo veleno dritto giù per la gola, lungo lo sterno e nel cuore, che accelerò di battito.
Ted tremò.
Lei lo sospinse con le mani sul petto e lui indietreggiò fino a toccare con le gambe una sedia, crollandoci seduto con lei tra le braccia. Con lei a cavalcioni. Con lei l’unica incontrastabile immagine presente, da cui non avrebbe mai distolto lo sguardo.
Fu occhi negli occhi che lei lo baciò ancora una volta, stringendo le dita sulla patta dei suoi pantaloni e spingendo la mano sulla sua erezione.
Ted l’afferrò violentemente per la testa, mordendole il labbro inferiore con forza e lasciando che il suo sangue si mescolasse insieme alla sua saliva. Lasciando che scorresse nelle sue vene insieme al suo.
« Lily… » bisbigliò, cercando di trattenerla quando lei gli sfuggì dalle braccia.
Si alzò, torreggiando su di lui in tutto il suo splendore.
« Lily » ripeté Ted, allungandogli un braccio per riportarla accanto a sé, ma lei si scansò e sorrise, alzandosi il vestito e sfilando le mutandine di pizzo madreperla.
E Ted si sentì morire.
Il cuore gli si fermò nel petto e l’aria venne meno, ma non distolse mai lo sguardo.
Lily sorrise ancora e la lasciò cadere la stoffa dalle dita, che frusciò senza produrre alcun rumore sul terreno.
« Ripetilo » sussurrò, avvicinandosi lentamente e muovendo dolcemente i fianchi.
Ted la guardò interamente e sì, avrebbe preferito morire.
Tra quelle braccia, su quelle labbra, dentro di lei – ancora e ancora – e morire.
« Ripeti il mio nome » mormorò lei, sbottonandogli i pantaloni e facendo crollare ogni sua convinzione.
Ogni cosa perse colore, dinnanzi a lei.
Ogni cosa perse senso, dinnanzi a lei e a quella bocca gonfia e tumida di baci.
Cristo, pensò, perdendo fiato e lucidità, senno e logica.
« Lily » bisbigliò, sentendo una bolla allargarsi nel petto a macchia d’olio e spegnendo qualsiasi cosa. Anche la razionalità. Anche l’immagine di Victorie.
« Lily » ripeté, soggiogato dai suoi occhi, dal suo corpo e dalle sue mani, che gli abbassarono i pantaloni e anche i boxer.
Ted non lo sapeva, non sapeva che si poteva morire e poi rinascere.
Non sapeva che poteva morire, quando lei si sedette su di lui a cavalcioni, e non sapeva che poteva rinascere quando Lily lasciò che lui penetrasse completamente dentro lei.
« Lily » gemette, ma lei non gli diede adito di fiatare, perché lo baciò ancora.
Ora era così in profondità da poterla sentire pienamente. Da sentirsi pieno di lei, della sua umidità, di quell’amore torbido che lo sconvolse dall’interno, portandolo ad affannare e farsi baciare, facendo in modo che – ancora una volta – il proprio respiro diventasse suo.
Lily si aggrappò alle sue spalle e cominciò a muoversi, dondolando appena i fianchi  e accostando la fronte alla sua. Su e giù. Su e giù.
Una spinta e la sentì fino al punto di rottura.
Due spinte e gemette, mentre lei gli solcava il collo con le unghia.
Tre spinte, Lily gettò il capo all’indietro e respirò sulla sua bocca.
Quattro spinte e i Ted capì di essere arrivato al limite.
Dentro di lei, con lei.
« Mi dispiace »
E con quello disse tutto.
Gli dispiaceva di sentirla così sua e non poterla avere.
Gli dispiaceva amarla fin dentro le ossa, oltre i tendini e la carne e non poterlo gridare al mondo.
Lui era Teddy e basta, questo lo aveva saputo fin dall’inizio.
L’orgasmo ebbe un sapore amaro, di sconfitta e perdita. Di lacrime e sale, gemiti mancanti e respiri spezzati dai singhiozzi.
L’orgasmo zittì le urla e spezzò i cuori. I loro cuori.
E questa volta li fece in pezzi così piccoli che sarebbe stato impossibile ritrovarli.

 

« Perché il dolor è più dolor, se tace »

 
Quel giorno d’agosto, dove l’afa faceva sventolare ventagli e vesti colorate furono lanciati gigli bianchi sui novelli sposi, una scelta molto bizzarra da parte dello sposo.
Gigli bianchi e puri, che accarezzarono il volto raggiante di Victorie Weasley, perfetta nel suo abito bianco e il volto ombroso di Ted Lupin, che alzò gli occhi nocciola verso il sole, coperto appena da qualche nuvole di passaggio.
Strinse mani, dispensò sorrisi e baciò sua moglie. Ringraziò la presenza di tutti i suoi colleghi e quelli di sua moglie, che aveva incantato già molte persone.
Ma quel giorno d’agosto mancava un viso. Tra tutte quelle teste rosse ne mancava una, più scura, che lui conosceva da cima a fondo.
Lily Luna Potter, appoggiata con i fianchi ad un albero, lo guardò da lontano e lui ricambiò. Aveva il volto stravolto e l’abito ancora stropicciato.
Buona fortuna, fratellino.
Con le dita piccole e tremanti si passò una mano sul cuore e poi, con un ultimo sguardo, si materializzò lontano.
Le sbarre della sua gabbia dorata di chiusero, divennero reali, lo soffocarono.
E allora Ted capì che si poteva morire e rinascere, mille e mille volte, ma lui aveva scelto delle fiamme che – questa volta – non l’avrebbero rigenerato mai più.
E quel giorno d’agosto morì definitivamente, lasciandosi atterrare da quei gigli bianchi che sapevano di un amore che non gli apparteneva.
Che non gli era mai appartenuto.
   
 
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