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Autore: Honey Tiger    01/08/2013    20 recensioni
[Parole citate dal quinto capitolo]
«Lasciami bere, tanto nessuno mi cercherà più» evitò di rispondere alla domanda posta da lui e, seria in volto, si portò alle labbra la bottiglia bevendo per l’ennesima volta.
....
«Hai visto mia madre? Non mi ha degnato neanche di uno sguardo nonostante mi fossi resa bella per lei. E mio padre?» un sorriso di disgusto dipinse il suo volto. «Lui ha finto di essere un altro uomo per tutta la serata. Desiderava farsi bello agli occhi degli altri e a quanto sembra ci è riuscito tirandomi in ballo. Lexie qua, Lexie là, Lexie è brava in quello è da lodare; Lexie, fa’ quello è da punire» fece lei assumendo il tono più duro e autoritario, quasi a voler copiare la voce del padre. «Ma Lexie vuole solo un abbraccio. Lexie non vuole i soldi, non vuole i vestiti costosi e le macchine veloci, lei vuole solo un abbraccio sincero e una spalla su cui poter piangere» cominciò a piangere come una bambina. «Lexie non vuole tutto questo, lei vuole solo un'amica». Con uno scatto di ira, prese la bottiglia tra le mani e la scagliò contro il muro, frantumandola in mille vetri.
Genere: Avventura, Erotico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 3. Il mio nome è... 

 


      La notte oscura, dove le stelle erano le uniche testimoni di quel buio così tenebroso, stava per giungere al termine, ma la mente di Matthew White non intendeva andare a riposare. Lui desiderava sfogarsi e, visto che la moto era già parcheggiata nel garage e chiusa a chiave, doveva trovare un'altra valvola di sfogo: qualcuno che fosse capace di donargli il piacere senza chiedere troppo in cambio, qualcuno che fosse capace di fargli dimenticare la notte passata in quella discoteca in piena città.
«Non ti hanno spiegato le regole? Lo sai che non puoi stare fuori a quest'ora?» Una voce sensuale gli arrivò alle spalle e per un attimo sembrò perfino sorprenderlo.
«E a te non hanno detto che è vietato fumare vicino i dormitori?» indicò lui il pacchetto di sigarette sulle gambe della ragazza e si mise vicino a lei.
«Certo che si, ma non sono una che segue le regole. Non l'ho mai fatto» sorrise e si guardò intorno.
«Aspetti qualcuno?» chiese lui, curioso dall’atteggiamento della ragazza.
«Si, un'amica».
«E perché non è nella sua stanza?»
«Forse perché è l'unica che ha le palle per uscire di notte da quest'inferno e andare a divertirsi sul serio» sorrise lei un po’ dispiaciuta di non poter partecipare a quelle notti fuori dal comune.
«Mancano tre ore all'inizio delle lezioni e io conosco un bel modo per divertirsi» ammiccò Matthew con un sorriso malizioso che aveva solo un secondo fine.
«Non credo che la mia coinquilina quando rientrerà sarà felice di vedere il suo letto occupato da te» rispose invece lei, alzandosi e con un gesto delicato, lo prese per la maglietta a lo avvicinò alle labbra. «Però sono troppo presa dal tuo profumo per fregarmi di questi particolari, ho voglia di giocare» sorrise compiaciuta dalla situazione e cominciò a baciarlo.
Non era niente che riguardasse qualche sentimento nascosto, era per gioco, la voglia del momento e l'eccitazione allo stato puro. Matthew non aveva perso tempo e senza porsi troppi problemi aveva già alzato la maglietta della ragazza rossa e le stava palpando il seno destro. Tanto meno si poneva qualche problema lei, che con uno slancio gli era saltata addosso e aveva agganciato le gambe dietro alla sua schiena.
«Secondo piano, stanza undici, fai in fretta» mormorò sulle labbra del ragazzo che, senza farselo ripetere due volte, raggiunse in fretta la stanza e chiuse a chiave la porta.
«La biondina mi ammazzerà domani!»
«Ne varrà la pena, credimi» sussurrò Matthew mentre la posava sopra il tavolo della cucina, o almeno era quello che pensava che fosse, e cominciava a spogliarla: prima la maglietta che fece un volo senza conoscere la destinazione, poi il reggiseno che la seguì senza troppi indugi.
Matthew si fermò solo per qualche secondo, per ammirare meglio il seno della ragazza, pieno e così invitante che non riuscì a trattenersi e si lasciò guidare dall'istinto, quello che gli sussurrava di chinarsi e dare piacere alla sua nuova amica.
«In camera» disse lei, gemendo di piacere mentre allacciava di nuovo le gambe su di lui e si faceva portare nell'altra stanza, dove in un secondo sparirono tutti gli indumenti, intimo compreso.
«Con o senza?» chiese lui staccandosi leggermente dalle labbra della rossa per aspettare la sua risposta, ormai eccitato dalla situazione.
«Decisamente con, per quanto m'ispiri: sesso sicuro, non posso rischiare» allungò la mano verso i vestiti, da cui estrasse un profilattico e sorrise compiaciuta.
«Tu sì che sai sorprendermi».
«Meglio essere sicura» riprese a baciarlo con foga mentre con le mani andava a infilare il preservativo, stando attenta alle sue unghie per non combinare un casino. «Fatto, ora tocca a te sorprendermi» ammiccò lei per poi divaricare leggermente le gambe e portarsi quanto più vicino a lui: per sentirlo di più, per sentire maggiormente quello che stava per accadere.
Gemiti, sospiri, godimento e l'odore del corpo della ragazza addormentata al suo fianco erano le uniche cose rimaste impresse nella mente di Matthew. "La bambolina ci sa fare"; sorrise mentre ripensava alle due ore appena trascorse. Lei lo aveva indotto al piacere più puro e vero che esisteva sulla faccia della terra, l'aveva portato all'orgasmo più intenso, ma non era lei che Matthew desiderava avere nel suo letto.
«Angey, chi sei?» chiese lui, osservando attentamente i capelli rossi sparsi sul cuscino. Stesso colore di lei, ma completamente diversa, il sorriso che le illuminavano gli occhi era qualcosa di magnetico, mentre per il fisico non aveva idee a cosa poter paragonare la bellezza, visto che neanche nei sogni più belli, non era stato capace di immaginarla più incantevole.
La sveglia interruppe tutti i pensieri mentre la voce impastata dal sonno di Alyx lo fece sorridere: «Math, sei una bomba a letto!» gli lasciò un dolce bacio sulle labbra che lo turbò leggermente, ma subito si riprese in quanto Alyx si alzò e totalmente e completamente nuda, si avviò verso una stanza. «Mi faccio una doccia veloce e poi torno!» disse, per poi urlare qualche minuto dopo dall’altro lato della camera: «Fa’ come se fossi a casa tua, tesoro!»
«Ti prendo in parola» sussurrò Matthew, alzandosi in piedi e scoprendosi completamente.
«Alyx, ho bisogno delle bende, le mie sono finite l'altro giorno e poi perché la porta è chiusa a chiave? Non provare a dirmi che ti sei di…» La voce, che si bloccò improvvisamente, proveniva dalla finestra aperta e quando la ragazza, a cui apparteneva la voce e che si era arrampicata fino al secondo piano, alzò lo sguardo, quello che le si presentò davanti la sorprese talmente tanto che, senza rendersene conto, si lasciò andare. Si udì solo il suo urlo e poi più niente.
«Lexie!» gridò Matthew, raggiungendo la finestra e guardando giù, preoccupato.
«Ti scongiuro dimmi che non hai fatto sesso con Alyx!» la voce che uscì dalle labbra di lei sembrava triste, quasi delusa.
Lexie aveva fatto giusto in tempo a spostare le gambe e posarle sui folti rami di un albero, lo stesso albero che ogni mattina Lexie malediva per la sua posizione visto che copriva la maggior parte del panorama, mentre con le mani si aggrappò al davanzale della finestra.
«Oddio, Lexie! Che cosa fai lì?» fece la rossa, correndo a vedere che cosa fosse accaduto in sua assenza.
«La stessa cosa che farai tu fra due minuti!» Fu la sua risposta con un occhiata fredda, poi afferrò la mano che gli veniva offerta dal ragazzo.
L'unione delle loro mani fece scorrere una scossa lungo tutta la spina dorsale di entrambi i ragazzi, che se non fossero stati in quella particolare situazione, si sarebbero sicuramente ritratti.
«Grazie» disse Lexie coprendosi gli occhi per non guardare le parti basse del ragazzo che, preoccupato, non aveva fatto in tempo a mettersi addosso qualcosa.
«Dio Lex, sembri mia nonna! Cos'è ti imbarazzi a vedere un ragazzo nudo?» chiese Alyx senza peli sulla lingua.
«Ricordami una cosa: di chi è la stanza?» la voce che uscì dalle labbra di Lexie era minacciosa, sembrava più un avvertimento celato dietro parole da lei pronunciate.
Matthew rimase un po’ stupito da quel tono, ma affascinato dai suoi occhi ghiacciati. Alyx si trattenne dal rispondere: conosceva la sua amica e sapeva che dietro al suo comportamento si nascondeva qualcosa di non detto, qualcosa che l'aveva turbata alla vista del ragazzo.
«Ho litigato di nuovo con Sophie e quella stronza mi ha cacciato dalla camera» fece la rossa con il broncio, intanto che si rivestiva e lanciava a Matthew i suoi indumenti.
«Non farmi il broncio, ti ho preparato il bagno per farmi perdonare» sorrise furba come una volpe e saltò al collo di Lexie. «Lo so che non sei davvero arrabbiata con me. Forza, spogliati e vai a farti il bagno, poi mi racconti che cosa è successo» e nel frattempo che parlava, con gesti delicati sfilava la felpa di Lexie.
«Che cosa hai combinato?» urlò Alyx alla vista della canottiera insanguinata alla base dello stomaco, diventando completamente bianca in volto.
«Non è niente, solo un piccolo graffio» sorrise lei, avviandosi al bagno. «Avete due minuti per sloggiare dalla mia camera! Sia chiaro, vi voglio fuori entrambi!» sbatté la porta dietro di sé e lasciò che i due ragazzi si rivestissero e abbandonassero la stanza.
«Scusala, certe volte è davvero strana, ma è un tesoro se la conosci bene e farebbe di tutto per le persone a lei care».
«Tranquilla, ha ragione lei. Abbiamo un po’, esagerato ma ci siamo divertiti» ammiccò Matthew allontanandosi verso il bar centrale, dove avrebbe potuto fare colazione e riflettere su quello che aveva visto.
Nella testa del ragazzo ballava solo un’idea e, per smettere di pensare se Lexie c'entrasse qualcosa con le moto, doveva controllare la sua gamba e allora avrebbe saputo la verità. Ma cosa avrebbe fatto se la sua gamba fosse nelle stesse condizioni della notte?

                                                                                                [    … Diverse ore prima …   ]

Lui, Matthew White, aveva perso la gara e tutti i soldi che aveva scommesso solo per andare a soccorrere la ragazza dai capelli rossi, sopranominata Angioletto, anche se la metà dei partecipanti alle gare la chiamava Diavoletto per la sua lingua biforcuta.
Il percorso per la vittoria era semplice: curve, qualche svolta pericolosa, ma nulla che gli sfidanti non sapessero affrontare. Un trucco c’era però: il pomeriggio aveva piovuto e la strada era scivolosa.
«Questa volta sarò io a vincere!» Era stata l’ultima cosa che aveva urlato la rossa prima di mettersi in sella alla moto e dare l’inizio al divertimento.
Erano gli ultimi cinque chilometri e lei avrebbe vinto, l’ultima curva e avrebbe ottenuto la sua rivincita su Matthew; peccato che sterzò troppo in fretta, le ruote si bloccarono e l’unica cosa che poté fare fu lasciarsi andare e cadere al suolo.
Matthew non fece altro che assistere a tutta la scena che si svolgeva davanti i suoi occhi: la gamba della ragazza che veniva trascinata sotto la moto e poi sbatteva contro il marciapiede. Lui non rimuginò neanche un secondo, abbandonò la gara e corse da lei.
Con massima cura aveva alzato il motoveicolo e analizzato i danni visibili sul corpo della ragazza rossa.
«Grazie al cielo che questa volta hai indossato la tuta ...» sussurrò lui, anche se contrariato per il modo in cui quella stoffa avvolgeva il corpo della ragazza: la rendeva irresistibile e quella sera, aveva attirava gli occhi di ogni individuo. Ma come dar torto a loro se anche lui aveva analizzato ogni centimetro di quel corpo perfetto?
Il busto era stato protetto dal materiale resistente della tuta, ma la gamba aveva strusciato troppo intensamente sull’asfalto tanto che la pelle morbida e vellutata della rossa ora era ricoperta interamente da sfregi e dal sangue.
«Angioletto, apri gli occhi, non farmi questo scherzo, alzati dai» fece lui, guardandola oltre la visiera del casco: aveva paura che, togliendolo, avrebbe provocato ulteriori danni.
I minuti trascorrevano veloci, ma lei continuava ad essere incosciente; contemporaneamente la paura di Matthew aumentava a dismisura. Non si spiegava il perché di tutto quel terrore per la ragazza, ma senza esitazioni chiamò un taxi che passava di lì in quel momento. Non poteva chiamare un'ambulanza visto che con essa sarebbe arrivata anche una pattuglia di carabinieri che li avrebbe arrestato per le corse clandestine.
Una volta dentro la macchina Matthew non tolse gli occhi da lei neanche per un secondo e solo dopo una decina di minuti trascorsi ad osservarla, notò con piacere che si stava riprendendo.
«Dove sono? Perché mi pesa la testa?» la ragazza rossa si toccò il casco e poi se lo tolse con un sonoro sbuffo. «Che cosa è successo?» si rivolse a Matthew che la guardava scombussolato.
«Sei caduta dalla moto. Ti fa male da qualche parte?» domandò lui visibilmente preoccupato.
La ragazza esaminò la sua gamba malridotta e storse la bocca non appena provò a muoversi. «Dove stiamo andando?»
«In ospedale per farti un controllo».
Alla risposta che le venne data, la rossa spalancò gli occhi e disse: «Io non vado da nessuna parte!» poi, fece fermare il taxi e scese.
«Sei impazzita? Rientra che ti serve un dottore!» la sgridò Matthew come se fosse una bambina.
«Non sono affari tuoi, ma vedi: la gamba sta bene, riesco a stare in piedi e non ho niente di rotto, di conseguenza, puoi andartene!» sputò lei quelle parole come se fossero veleno, ma più che altro, stava cercando di nascondere la sua paura per gli ospedali: l'unica cosa che associava a quei posti era un brutto ricordo, e non intendeva in nessun caso, neanche se stesse per morire dissanguata, andare lì dentro, in quel luogo pieno di sofferenza e di morte.
"Morte... Lui non la meritava" fu l'unico pensiero che riuscì a apparentemente calmarla e a farla stare zitta per qualche minuto.
«La mia moto, dov'è?» sussurrò lei, poi si mise seduta sopra un marciapiede e si tolse i guanti di pelle, ricordando le parole dette dall'amica: "Stasera sono sicura che pioverà, mettiti almeno la tuta da corsa che non si sa mai!"
«Perché non vuoi farti visitare?» chiese a quel punto Matthew, osservando l'espressione contrariata della rossa.
«Ho detto di no, punto e basta! So cavarmela anche da sola, guarda!» si tolse lo zainetto dalle spalle e buttò tutto il contenuto a terra.
«Oddio, ma tu ti porti sempre tutte queste cose dietro?» fu l'unica cosa che uscì dalle labbra di Matthew. Il contenuto dello zainetto era alquanto strano: farmaci, bende, disinfettanti e non potevano mancare il pacchetto di sigarette, da cui ne estrasse una e la portò alle labbra.
Prima di cominciare a medicarsi, però, estrasse il cellulare dallo tasca posteriore dello zainetto e inviò un messaggio.
Secondi, minuti o forse anche ore passarono prima che la rossa riprendesse a respirare tranquillamente senza stringere i denti per il dolore. Si era medicata da sola, senza alcun aiuto.
«Preferisci soffrire cosi piuttosto che andare da un dottore?» aveva chiesto Matthew, osservandola rapito mentre lei si bendava la ferita con movimenti delicati.
«Guarda che i dottori avrebbero fatto la stessa cosa, da chi pensi che abbia imparato?» sorrise, poi prese la boccetta che stava posata a terra e bevve il suo contenuto: tè alla pesca.
«Cosa significa A.B.?» chiese, curioso del significato di quelle lettere così delicatamente incise.
Sembrò solo per una frazione di secondo che lei non capisse la domanda, ma poi con un sorriso fece: «Sono le iniziali del mio nome, ma no, non te lo dico qual è!»
«Dai, non fare la bambina, dimmi il tuo nome! Altrimenti come vuoi che ti chiami?» Si avvicinò e si mise seduto accanto a lei.
«E cosa ottengo in cambio?»
«Che cosa vuoi?» sorrise lui, felice che in qualche modo avrebbe saputo il suo nome. Non importava cosa gli avrebbe chiesto, avrebbe fatto di tutto, anche perdere le gare, se questo avesse significato raggiungere il suo obbiettivo.
La risposta che gli fu data, però, lo sorprese leggermente, non avrebbe mai immaginato di udire: «Portami alla moto e poi in una discoteca, ho bisogno di svago».
«In discoteca? A ballare?» ripeté Matthew, confuso.
«Sì, ballare; sai, dove la gente suda e si scatena? Voglio che mi porti a ballare!»
«Solo questo? In cambio mi dirai il tuo vero nome?»
«Sì»
«Non è per dire, ma credo che non ti faranno entrare in una discoteca ridotta in quello stato» indicò la tuta malridotta e la gamba fasciata.
«Per questo non ti devi preoccupare».
Un altro taxi lì riporto al luogo della caduta, dove la rossa, aiutata da Matthew, nascose la moto dietro ad un edificio abbandonato. «Domani tornerò a riprenderti, puoi contare» sussurrò lei alla moto, giurando anche che il giorno successivo avrebbe chiamato un meccanico per farla ritornare com’era.
«Dove nascondevi quei vestiti?» chiese lui, osservandola: pantaloni strappati ma senza mostrare la ferita sulla gamba, un top bianco insieme ad una maglietta attillata e degli stivaletti con un tacco alto.
«Nella moto, quando perdo vado a divertirmi per dimenticare queste stronzate» sorrise radiosa, come se tutto quello che era successo qualche minuto prima non l'avesse minimamente toccata. Sembrava felice.
La discoteca che scelse Matthew non si trovava tanto vicino a dove avevano nascosto la moto: era distante oltre cinquanta chilometri e tutta quella distanza l’avevano percorsa con il motoveicolo di lui, per "risparmiare", aveva suggerito il ragazzo. Ma la verità era ben un'altra: Matthew desiderava avere le mani della ragazza intorno alla propria vita più a lungo possibile.
Una volta arrivati a destinazione, la ragazza osservo il panorama intorno a lei e domandò: «Perché hai scelto proprio questo posto se c'era una discoteca più che rispettabile vicino alla George Washington University?» chiese la rossa con un sorriso enigmatico.
«Frequenti anche tu quell'università?»
«Mi sembra più che ovvio!»
Matthew sorrise, ammirando gli occhi della ragazza: castani con i bordi gialli. Avrebbe però giurato che, quando lei era sul taxi, i suoi occhi fossero semplicemente castani.
Continuò a vagare con gli occhi, osservando le labbra carnose ma seducenti, le guance rosee e un naso piccolo, ma che completava l'opera di una graziosa e attraente ragazza. Un angelo sceso in terra, pensava spesso lui quando si perdeva ad osservarla. Era tremendamente attratto dal suo corpo che certe volte non si rendeva neanche conto di desiderarla, di volerla al suo fianco e renderla felice.
Ogniqualvolta pensava a lei, però, la sua bellezza gli ricordava quella della ragazza del suo corso, la viziata e smorfiosa Lexie Blackett. Non poteva negarlo, ma anche quella ragazza era qualcosa di unico, di stupefacente che madre natura aveva deciso di creare.
«Angey» fece ad punto la rossa con un sorriso.
«Cosa?» Matthew, preso dai pensieri, non collegò immediatamente le cose e solo dopo che lei gli disse: «Il mio nome, è Angey» lui sorrise, felice di conoscere finalmente il nome di lei.
Angey.
«Piacere, io sono Matthew ... » ma non finì la frase che Angey aggiunse «Conosco il tuo nome, White» mentre si avvicinavano al buttafuori che faceva da guardia al locale.
Per la milionesima volta nella serata, lui si perse nei suoi occhi, nelle sue labbra, nelle sue forme; tutto quanto lo attirava. Qualsiasi cosa guardasse del corpo di Angey, non riusciva a non fare pensieri poco casti. La desiderava: ogni cosa del suo fisico lo attirava in una maniera impressionante.
La osservava ballare sopra il tavolino con movimenti sensuali e non poteva far altro che invidiare i due ragazzi che le ronzavano intorno. Sembrava a suo agio a muoversi in quel modo sexy, con quelle gambe fasciate dai pantaloni e la maglia che ogni tanto si alzava sui fianchi. Nella sua testa ronzava solo un pensiero: portarla lontano da tutti.
«Ma che fai? Continui a ronzare qui intorno? Divertiti, sai cosa significa?» urlò Angey per poi aggiungere: «Prendimi!» fece una giravolta sul tavolo e si buttò letteralmente tra le braccia di Matthew.
«Puzzi di alcool peggio di mio nonno, e credimi, lui beve tanto».
«Non ho bevuto tanto, solo cinque o sette cicchetti. Riesco a stare in piedi da sola, guarda!» si mise vicino il tavolo e cercò di stare ferma, peccato che non ottenne il risultato desiderato.
«Va bene, mi arrendo, portami alla fermata, per favore.»
«Cosa? Non ti senti bene?»
«No, tranquillo. Credo che accetterò il tuo consiglio e mi farò visitare» cominciò ad lamentarsi con voce dolce.
Le ore trascorrono in fretta quando si è in bella compagnia e stare seduti a terra con una bottiglia di tè alla pesca tra le mani era la cosa che Angey preferiva maggiormente.
I taxi sembravano aver dimenticato che esistesse quella via in cui Matthew l'aveva condotta.
I primi dieci minuti passarono in silenzio completo, ma ora non c'era un secondo che non fosse occupato dalla voce di uno dei due: entrambi si stavano aprendo, confidandosi e chiedendo dei consigli. Tutto procedeva tranquillo, senza pensieri e peli sulla lingua da parte di lei, almeno finché Matthew non si fece avanti e le chiese il vero motivo del perché corresse.
Angey rimase in silenzio e quando alzò lo sguardo, Matthew non poté non notare quella strana luce nei suoi occhi, le lacrime stavano per uscire ed era colpa sua. «Mi dispiace, non dovevo».
«Ho iniziato a correre quando avevo più o meno quattordici anni, era solo un passatempo, diciamo per sfuggire alle regole di casa».
«Quattordici anni? E chi era quel pazzo che ti lasciava una moto?» Chiese lui, sbalordito da quella inaspettata rivelazione.
«Mio fratello, mi aveva comprato una moto e l’aveva modificata, rendendola più leggera e più sicura. Lui mi capiva e cercava di rendere la mia infanzia migliore della sua. Diceva che per iniziare a capire quello che mi aspettava in futuro dovevo prima provare la vera adrenalina e rendermi conto che cosa avrei perso» guardò il cielo pieno di stelle.
«Non avevo capito cosa volesse dire fino all'età di diciassette anni, quando fu annunciato che sarei stata io a prendere le redini della società nel caso in cui mio padre morisse, e solo lì, davanti a lui, capì cosa mi voleva dire. Davanti al suo corpo fermo e freddo».
Le lacrime cominciarono a scendere, silenziose, mentre il singhiozzo prendeva il sopravento e liberava le urla che Angey nascondeva da troppo tempo. Non aveva mai parlato con nessuno di quello che era successo quel giorno, come se lui non fosse mai esistito. Non era poi tanto difficile capire il perché: era un figlio fuori dal matrimonio, qualcosa di inconcepibile per suo padre, ma a quel tempo, troppo preso dalla fama e dal denaro, non se ne preoccupò. Aveva i soldi e quelli bastavano per far tacere le bocche troppo grandi.
Angey venne a conoscenza dell'esistenza del fratello all'età di otto anni, per puro caso: lo aveva incontrato nello studio del padre. Si affezionarono immediatamente tanto che, per continuare a vedere la piccola Angey, Stephen aveva giurato di tenere il segreto di essere il figlio illegittimo al patto che Angey non andasse lontano da lui visto che all’età di dieci anni doveva trasferirsi per frequentare una scuola privata, lontano da casa. «Lui rappresentava la mia unica salvezza che poi si dissolse nel nulla» sussurrò l'amara verità.
«Mi dispiace, se posso fare qualcosa non esi...»
«No, non voglio niente se non andare a casa, quindi, mi puoi accompagnare alla fermata? Quella che si trova dietro quella casa?» indicò una via ancora con le lacrime agli occhi. «Si, lo sapevo fin dal principio, ma anche io desideravo parlare un po’ con te» anticipò la frase di Matthew.
«Ti posso accompagnare se vuoi» propose Matthew, mentre la aiutava a camminare.
«Preferisco restare da sola, grazie».

                                                                                          [   … Ritorno al giorno dopo …   ]

«Se ci fa fare un'altro test in pieno svolgimento delle lezioni giuro che l'ammazzo!» esclamò Lexie mentre era appoggiata contro la scrivania della preside.
«Abbassa la voce se non vuoi che ti senta!» la rimproverò immediatamente Matthew, mentre con gli occhi esaminava attentamente il corpo della sua compagna, in cerca di qualche indizio.
«Matthew, per quanto pensi ancora di fissarmi di nascosto? Non ti è bastata la scopata con Alyx nel mio letto?» la voce tagliente che uscì dalle labbra della bionda, risuonò nella stanza.
«Silenzio e seduti».
La Rutherford entrò nella stanza con un sorriso a trentadue denti e due lettere in mano: «Tra una settimana si terrà la premiazione di tuo padre, Lexie, e questi sono i vostri inviti» ne consegnò uno a Lexie e l’altro lo passò a Matthew.
«Sono gli inviti speciali, perché anche lui?» chiese a quel punto Lexie, stupita dalla faccenda.
«Tuo padre ha espressamente richiesto di consegnarle a voi due e di riferirti di richiamarlo».
Leggermente scossa, prese il telefono dalla tasca e compose il numero che ormai conosceva a memoria. Non si preoccupò di uscire, voleva avere soltanto delle spiegazioni, nient’altro.
"Devo presumere che hai ricevuto l'invito. Tra una settimana avverrà l'apertura della mia nuova azienda, tu e Matthew siete pregati di arrivare puntuali!" La voce fredda risuonò dall’altro lato del telefono.
«Sì» rispose solamente lei con il capo chino.
"Il jet privato ti aspetterà in Virginia, alcuni dei miei collaboratori mi devono consegnare dei documenti, quindi, se preferisci, puoi partire da lì a patto che dai un passaggio anche a Matthew. Ti va bene?" la domanda che le fu posta non la stupì semplicemente, bensì la lasciò completamente senza parole. Non aveva mai ottenuto il permesso di suo padre per guidare da sola: per lui avere soldi significava non fare assolutamente nulla e quindi, si meravigliò talmente che per qualche secondo non disse nulla.
“Alla prossima settimana figlia mia”.
La linea della comunicazione fu spezzata ma il viso di Lexie si illuminò talmente tanto dalla gioia che abbracciò la prima persona a lei accanto: Matthew. «Non ci posso credere! Posso guidare!» gridò poi, entusiasta della situazione. «In Virginia ci verrà a prendere uno dei jet di mio padre, ma fino a lì andremmo con la mia nuova macchinina!» comunicò con gli occhi che le brillavano per la felicità.
Non le importava nulla che cosa c'entrasse Matthew con la nuova apertura e tanto meno le importava dover sopportare Matthew per un intero viaggio. Era felice perché, per la prima volta, suo padre le aveva permesso di fare qualcosa che precedentemente le aveva vietato severamente.

 

 

Angolo della piccola Autrice 

Nuovo capitolo, quasi non ci credo.
Prima di tutto vorrei ringraziare tutte quelle ragazze che si sono soffermate maggiormente e mi hanno lasciato una traccia di loro passaggio nel capitolo precedente. Ringrazio coloro che mi hanno dato dei suggerimenti e corretto piccoli errori di distrazione :)
Ringrazio anche chi ha letto soltanto e ancora di più chi ha inserito la storia nei preferiti/seguiti/ricordate. Ringrazio tutti dal profondo del cuore e spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento :)
Passando alla storia, finalmente si è venuto a conoscenza del nome della misteriosa ragazza rossa: Angey, ma sarà quello vero oppure anche questa volta è solo una bugia?
Secondo voi chi è questa ragazza? [attenti, perché non è cosi scontato come pensate, o forse si? chi lo sa xP]
Chi di voi invece vorrebbe un ragazzo come Matthew? Non si conoscono ancora i particolari di lui, ma piano scopriremo insieme tutto quello che lo riguarda. Anche lui ha i suoi segreti e anche lui, come Lexie ha da nascondere qualcosa, ma che cosa vi starete chiedendo, ebbene, questo lo scoprirete solo con il tempo e la pazienza di aspettare i nuovi capitoli.

Alla prossima miei cari lettori, un bacione a tutti.
Krystal

   
 
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