Ehm... quanto tempo è passato? Una settimana? Di più? Ok, scusatemi veramente tanto ç.ç è che è stato un parto scrivere questo capitolo. Che tra l'altro è l'ultimo *sigh*. Mi sembra così strano mettere la parola fine a questa storia ç.ç MA! A questo proposito avrei una piccola proposta da farvi.
*Quindi vi prego di leggere qua sotto.*
Avevo in mente di fare un seguito di questa storia, seguendo a grandi linee quella che è la trama del secondo libro di Hunger Games. Voi cosa ne pensate? Vi piacerebbe leggere un seguito? Fatemelo sapere nelle recensioni :)
E nel caso in cui dovessi farlo, non lo pubblicherò con questo account, poiché questo non è quello mio personale, ma lo condivido con un'amica. Bensì lo trovereste scritto da una certa Longview , ovvero me u.u
E niente, ora vi lascio all'ultimo capitolo *si asciuga una lacrimuccia* spero sia di vostro gradimento
13- I hope you had the time of your life
Mike’s
P.O.V.
-Forza.
Billie, non aspettare, uccidimi-
Lui
rimane fermo e un po’ tremante a fissarmi. Io invece cerco di
mantenere un tono
deciso, perché deve sbrigarsi.
-Billie,
devi farlo-
Assottiglia
lo sguardo e si prepara a scagliare la freccia dritta nel mio petto;
chino il
capo e serro le palpebre, preparandomi al dolore che presto mi
colpirà.
Tentenna
ancora qualche secondo, e respira lentamente: vedo la sua cassa
toracica che si
muove pesante sotto lo strato di pelle e vestiti, facendomi credere che
anche
lui sia agitato, e stia tentando di calmarsi.
-B-Billie…
fatti solo dire che ti…- deglutisco, facendo perdere tempo a
Billie -… io ti
voglio bene-
Toglie
le dita che tenevano ferme sul legno curvo dell’arco la
freccia, e con uno
schiocco la rilascia: sento chiaro lo spostamento d’aria
dovuto al suo
passaggio, e sento anche la punta conficcarsi con un suono sordo non so
bene
dove.
Niente
mi trapassa, non provo dolore.
Riapro
gli occhi sbalordito e mi guardo in giro, ritrovando la freccia
bloccata nella
corteccia di un albero, in orizzontale.
Mi
volto nuovamente verso Billie, che sta frugando freneticamente
all’interno
della sua giacca.
Ne tira
fuori delle bacche e si avvicina a grandi passi a me, aprendo il palmo
sul
quale si trovano e prendendo tra le sue la mia mano sinistra.
Solo in
quel momento le riconosco: sono Morsi della Notte, quelli che ha
utilizzato per
avvelenare Mikey.
La
prima reazione che ho è quella di sottrarmi dalla stretta
leggera che sta
esercitando sulle mie dita, ancora troppo sconvolto e non capendo dove
vuole
andare a parare.
-Mike,
dammi la mano e fidati di me!-
Mi fido
di lui? Sì, quindi non posso fare a meno di dargli ascolto.
Fa
scivolare sul mio palmo una manciata di quelle piccole bacche violacee,
e, con
la mano libera, mi solleva il volto per cercare un qualche genere di
appiglio
nei miei occhi, un qualcosa che gli dica che sta facendo il giusto. Un
mio
consenso, forse.
-Loro
dicono di volere un solo vincitore, giusto?- il suo sguardo si fa
più ampio e
piano annuisce, invitandomi a fare lo stesso -noi invece non gli daremo
la
soddisfazione di prelevare l’unico sopravvissuto da questo
posto, ok?-
Tiro
indietro il viso liberandomi dalle sue dita, che ancora mi tenevano
ferme il
mento, e scuoto la testa.
Non
può. Capisco il ragionamento da lui fatto, ma non posso
permettergli di
metterlo in atto. Io mi ero ripromesso di farlo vincere, non
può cambiare tutto
all’ultimo momento.
-No,
Billie tu devi andartene di qui!-
-In
ogni caso me ne andrò, anche se non da vincitore. Ora zitto
e fa come ti dico-
Non
ribatto, so che sarebbe inutile con lui. Mi limito ad accarezzargli
dolcemente
una guancia qualche secondo, prima che Billie distolga lo sguardo
dispiaciuto e
mi ordini di mettermi di spalle.
Sento
la sua schiena poggiarsi alla mia e lasciarsi andare, senza
più forze ormai. Ci
prendiamo un po’ di tempo: chiudo gli occhi e penso alla mia
famiglia, a mio
padre che mi riteneva spacciato ancor prima che entrassi
nell’arena. Deglutisco
in un tentativo di mandar giù il groppo che ho in gola, che
però non accenna ad
andarsene. Mia madre, che l’ultima volta che l’ho
vista era in lacrime,
disperata perché non accettava il fatto di perdere il figlio
così giovane.
Anche per lei ero morto già allora. Poi ripenso ai vari
ragazzi che
frequentavo, gli unici che forse potevo considerare amici, ma che
appena una
difficoltà si presentava all’orizzonte
scomparivano nel nulla senza farsi più
sentire.
E alla
fine un brivido mi percorre dalla testa ai piedi, quando Billie
comincia far
vagare la mano in cerca della mia e mi sfiora con i polpastrelli; io la
afferro
saldamente facendo intrecciare le nostre dita, mentre passo con
delicatezza il
pollice sul dorso della sua mano.
-Al mio
tre-
Chiudo
gli occhi reclinando la testa, così da poterla appoggiare
sulla sua e esalo un
flebile “ok”.
-Uno-
Respiro
lentamente, per calmare il cuore, e penso che, molto probabilmente, sta
cominciando una rivolta contro Capitol City con questo nostro piccolo
gesto.
Che poi proprio piccolo non è, visto che si parla della
nostra vita.
Io lo
faccio per Billie, perché non sarei in grado di vederlo
morire, ne uscirei con
la coscienza sporca. Lui invece? Lo fa per me? Per i miei stessi
motivi?
Qualcosa mi dice di sì, ma, non so, non ne sono pienamente
certo.
Forse lui sa che facendo
così piazzerà il
trampolino di lancio per una futura rivoluzione. La speranza che questi
saranno
gli ultimi Hunger Games a cui la gente dovrà assistere. Noi
due gli ultimi a
morire all’interno dell’arena.
-Due-
Incastro
definitivamente le nostre dita, affondando le unghie nel dorso della
mano di
Billie: lui fa altrettanto.
Mi
porto la bacche alla bocca, pronto ad ingurgitarle non appena
sarà il momento.
Sento
qualcosa che mi spinge in gola, parole mai dette prima e che mai
verranno
sentite. Vorrei dirglielo e morire senza rimpianti, ma la vergogna
supera il
coraggio, in questo momento. Non sarei in grado di proferire parola.
Purtroppo.
-Tre-
Entrambi
gettiamo, con un rapido movimento del braccio, la manciata di Morsi
della Notte
sulla lingua, e velocemente prendiamo a masticare: il sapore
è dolce, ma ancora
non voglio ingoiare il loro succo. Una vocina dentro di me mi dice di
non
farlo.
Però
oramai ci siamo quasi, meglio sbrigarsi e finirla velocemente.
-FERMI!-
Un
grido mi fa bloccare all’istante, e anche Billie sento che
s’irrigidisce;
desidero con tutto me stesso che non le abbia già mandate
giù, proprio ora che
un piccolo barlume di speranza sembra si stia facendo largo.
-Fermi!!
Non fatelo!-
Il
cuore smette di battere, neanche lui vuole rovinare questo momento con
il suo
incessante rumore che mi rimbomba nelle orecchie.
Forse…
forse abbiamo vinto su Capitol City.
-Signori
e signore… ecco a voi i vincitori dei settantaquattresimi
Hunger Games-
Lo dice
con poca convinzione, ma io sto scoppiando di gioia.
Io e
Billie ci lasciamo e sputiamo a terra tutto ciò che avevamo
in bocca; lui mi
passa tremante la borraccia con l’acqua, non dopo aver fatto
qualche gargarismo
frenetico.
Faccio
lo stesso, senza quasi riuscire a respirare, e alla fine ci rialziamo
entrambi
ansanti e ancora scioccati.
Credo
di aver bisogno di un po’ di tempo per assimilare il tutto.
Billie’s
P.O.V.
Da
quando siamo usciti dall’arena tutto mi sembra
così poco reale, come se
l’intero pianeta fosse avvolto da un’aura mistica
che mi fa vedere ogni cosa
con gli occhi di un bambino di tre anni, che sta scoprendo il mondo e si sorprende di
fronte a tutto, dai
palazzi alti appena fuori dal portone di casa, al battito
d’ali di una
farfalla.
Sento
che ogni minimo dettaglio è stato creato apposta per me, per
le mie esigenze e
per continuare a sbalordirmi senza mai stancarmi.
È
stato
incredibile, perché siamo stati accolti come eroi.
Io non mi vedo come un eroe. Io sono me stesso, Billie Joe.
Il cacciatore del Distretto 12. Non voglio che la gente mi consideri in
un modo
diverso solo perché sono uscito vivo dagli Hunger Games.
Io
voglio dimenticare
quest’orribile
esperienza, e loro così non fanno altro che riportarla
vivida alla mia mente,
anche se poi si è conclusa solo pochi giorni fa.
Ora
infatti siamo sul treno che ci riporterà a casa, ma solo
provvisoriamente: ci
daranno il tempo di riabbracciare i nostri cari, e poi dovremo partire
per il
Tour dei Vincitori;
attraverseremo tutti
i Distretti, dal primo all’ultimo, presentandoci alle folle.
Non so dove
troverò il coraggio per guardare negli occhi i genitori dei
ragazzi che sono
morti, che magari ho ucciso proprio io.
Mi alzo
dalla poltrona sulla quale sono seduto, e mi dirigo verso un
finestrino: mi
perdo a osservare il paesaggio che sfreccia a una velocità
assurda, del quale
riesco a distinguere solo alcuni colori, come il verde, il giallo e
l’azzurro,
che in sottili linee scorrono sotto i miei occhi.
-Tutto
bene?- con Mike non ho più parlato in questi giorni, non mi
sento pronto ad
intraprendere un discorso con lui, non dopo quello che ho tentato di
fargli.
-S-sì…-
so di suonare poco convincente, poiché in una misera sillaba
la voce mi si
spezza a metà, portandolo ad insinuare una mano tra i miei
capelli per
consolarmi, facendomi però solo rabbrividire.
-So
come ti senti… i Giochi mi hanno cambiato, purtroppo. Hanno
lasciato un brutto
segno in me, che mai riuscirò a cancellare…-
-Io non
la penso così. Tutto quello che hanno lasciato in
me… voglio eliminarlo. Io
voglio dimenticare, Mike, non potrei vivere il resto dei miei giorni
con i
ricordi del tempo passato nell’arena- abbasso lo sguardo ai
miei piedi, e lui
fa scorrere le dita lungo la mia schiena, fino a riportare il braccio
molle
lungo la sua figura.
-Io
invece non voglio dimenticare tutto, Billie- mi guarda diretto negli
occhi,
capisco al volo a cosa si sta riferendo.
Ovvio
che nemmeno io voglio scordarmi di quello che c’è
stato. Ma qualcosa in me mi
dice di non rischiare, di tornare a casa proprio come ero partito.
Niente
paure, niente morti sulla coscienza.
Niente Mike.
-Michael…-
solo dal tono che ho utilizzato, e dal fatto che l’ho
chiamato col suo nome per
intero, credo abbia capito. Infatti il suo sguardo si fa più
truce e si mette
sulla difensiva. So di stare per spezzargli il cuore, e forse di star
per
distruggere in mille frammenti anche il mio, proprio come quella volta
che
pensavo di averlo perso per sempre sotto la lama di quel coltello. Ma
non ci do
peso.
-C-cosa?-
silenzio, non dico nulla, non ne ho la forza.
-Billie…
mi hai preso in giro per tutto il tempo, vero?-
-Volevo
che tornassimo entrambi a casa- non ci credo nemmeno io.
-Se
è
solo per questo allora tanto valeva che mi lasciassi morire
lì dentro, ne sarei
stato più felice-
-No
Mike, io…- faccio vagare lo sguardo, e tiro fuori tutto il
coraggio che ho per
pronunciare queste parole -se lo avessi fatto, il nostro Distretto mi
avrebbe
considerato per sempre un ignobile egoista-
-È
per
questo che lo hai fatto??- serra la mascella per non esplodere, ma
è
arrabbiato, e si vede. Sto sbagliando e lo so, ma sento di non poter
fare
altro.
-B-bene.
Quindi è finita. No anzi, in realtà non
è vero, visto che tra noi non è mai
iniziato nulla. Addio- mi volta le spalle, mentre io mi sento corrodere
dentro.
Prima che possa aggiungere altro ci raggiunge Matt, che appoggia una
mano sulla
spalla di ognuno.
-Cosa
sono ancora queste facce da funerale? Avete vinto gli Hunger Games, su
con la
vita- annuisco a vuoto, senza neanche aver compreso pienamente le sue
parole.
Sono ancora troppo concentrato su Mike, che piano ora si sta
allontanando, e
non solo in senso fisico.
Penso,
e una piccola parte di me mi urla di non lasciarmelo scivolare via
dalle mani. Ma
non faccio nulla per non permetterlo, resto lì a fissare la
sua figura
camminare e scomparire dalla mia visuale. Forse per sempre.
So di aver appena commesso l’errore più grave di tutta la mia vita.