Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Daisy Pearl    10/08/2013    5 recensioni
Finì di parlare e ansimò brevemente, come se avesse fatto una corsa infinita, lo sentii andare avanti e indietro e in qualche modo riuscii a immaginarmelo. Aveva un lungo abito bianco che si adagiava sul pavimento in pietra. La veste ondeggiava con eleganza e sembrava brillare di luce propria. Le lunghe ali erano spalancate sulle sue spalle, candide come il vestito e, a completarne la figura c’erano i classici boccoli oro che gli ricadevano sulle spalle con gentilezza. Potevo quasi vedere gli occhi azzurri come il cielo fissarmi attendendo che fossi in grado di alzarmi, in quel modo mi avrebbe potuta portare dove dovevo stare.
Mi avrebbe portata all’inferno.
- Questa è la storia di Mar e di Dave. Una storia di magia, tradimenti, colpi di scena, pazza, lucidità, amore. Bene e male si intrecciano in continuazione fondendosi in alcuni punti per poi separarsi. Il confine tra bianco e nero non è mai stato così invisibile.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PROLOGO
 
Lo stridente suono che anticipava l’apertura della cella lo destò dal proprio sonno. Intorpidito cercò di stiracchiarsi per quanto poteva in quel piccolo e scomodo letto sul quale era costretto a passare quasi la totalità del suo tempo. Che vita insignificante  la sua. Dormiva, mangiava, faceva dei piccoli lavori per la prigione e poi tornava di nuovo a dormire. L’unica cosa che realmente lo interessava e riusciva a risvegliare la sua mente erano le sedute settimanali con lo psichiatra. Lo trovava buffo. Gli piaceva pensare a quando lui si trovava dalla parte opposta della scrivania, a quando agguantava la sua costosa penna da collezione e scribacchiava il nome di qualche inutile medicina sul libretto delle ricette. Gli piaceva ricordare, perché i ricordi erano l’unica cosa che gli permetteva di far funzionare la mente.
Da mesi il suo cervello era come un buco nero, assorbiva tutto ciò che lo circondava, senza elaborarlo:  i suoni, i colori, i pensieri erano come risucchiati nei recessi del suo cervello e da lì non potevano più uscire. Così Alan Black aveva la mente vuota per quasi la totalità del tempo.
Riusciva a riprendere a ragionare solo quando il medico di turno iniziava a fargli domande. Si divertiva a dar loro risposte casuali volte a cambiare, seduta dopo seduta,  la loro diagnosi: probabilmente per quella ragione molti psichiatri avevano deciso di lasciar perdere, lui era un paziente troppo difficile.
Sapeva di essere stato uno psichiatra migliore di loro. Ricordava le sedute, ricordava la soddisfazione che provava catturando lo sguardo di quelle persone, renderlo proprio. Adorava entrare nei recessi della loro mente e sincronizzarsi con i loro pensieri per poi, infine, plasmare le loro scelte. Era così che il signor Black aveva creato un piccolo esercito di burattini al suo servizio. Ognuno di essi  avrebbe fatto esattamente ciò che lui voleva. Quella era stata una delle sue più grandi soddisfazioni. Ma la sua capacità non finiva lì: poteva costringere qualsiasi persona, sana di mente o meno, a fare qualsiasi cosa solo guardandola negli occhi e questo lo faceva sentire potente, quasi divino.
Peccato che quegli anni fossero finiti. Secondo lo stato stava pagando per i suoi crimini, anche se si chiedeva se realmente sapessero quali fossero. Era certo che nessuno sapesse delle sue facoltà, le indagini avevano portato alla luce i farmaci errati che aveva dato ai suoi pazienti, mentre avevano scoperto che altri si erano risvegliati da uno stato di trances durato numerosi anni, ma il procuratore certamente non sapeva come lui fosse riuscito a fare cose del genere.  L’altro crimine di cui era accusato era l’aggressione ai danni di due giovani: Maguerite Jones e David Sullivan. Erano stati abili ad incastrarlo e fondamentalmente era colpa loro se aveva perso le sue ‘capacità’ ed era costretto a dormire dietro a delle sbarre e su un letto scomodo, ma a lui poco importava, prima o poi avrebbe avuto la sua occasione per vendicarsi.
“Avanti Black! Hai visite!” disse il poliziotto che era appena entrato nella sua cella. Alan sbadigliò rumorosamente e poi si mise a sedere, posando infine lo sguardo sull’uomo.
“Oh, come sono fortunato di questi tempi!” rispose con sarcasmo “Con tutte queste visite finirò per passare più tempo fuori che dentro questa amabile cella!”
Il poliziotto fece una smorfia e Alan sorrise, sapeva che gli uomini che lo scortavano si sentivano a disagio con la sua presenza e la cosa lo divertiva immensamente. Si alzò e, come di rito, mise le mani unite davanti a se pronto a farsi mettere le manette attorno ai polsi, dopo di che uscì dalla cella con la mano dell’uomo stretta saldamente intorno al suo braccio.
Dopo pochi minuti di cammino venne fatto accomodare in una delle stanze che veniva utilizzata per le visite contenente unicamente un tavolino con due sedie. Alan si accomodò su una di esse mentre l’uomo che lo aveva condotto lì usciva dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Dopo pochi istanti la porta si riaprì ed entrò una giovane donna che Alan non aveva mai visto. Era vestita elegantemente e portava una valigetta che posò quasi immediatamente a terra, accanto al tavolino, dopo di che gli sorrise e gli tese la mano.
“Sono Jasmine Beketly, ansiosa di conoscerla signor Black!”
Alan le riservò un’occhiata che non lanciava a molti, uno sguardo di puro stupore: con quelle poche parole quella donna era riuscita a sorprenderlo. Tese la mano e strinse con gentilezza la sua.
La donna, che parve soddisfatta, si sedette davanti a lui facendo ondeggiare i suoi neri capelli mossi, colore che era in disaccordo con la sua carnagione molto pallida e gli occhi azzurro chiaro.
“A cosa devo il piacere?” domandò Alan leggermente incuriosito dalla sua presenza.
“Sono un avvocato, direi che sono qui per tirarla fuori di prigione!”
Alan assunse un’espressione incredula.
“Non ho bisogno di un avvocato!”
“Ha diritto ad averne uno!”
“Non butterò i miei soldi per un avvocato che non sarà in grado di tirarmi fuori da qui!”
La donna sorrise.
“Lei purtroppo non può nemmeno dire questo, signor Black, dato che non le è rimasto neppure un soldo!”
Alan assunse un’espressione sorpresa, anche se lo sospettava già da tempo: dovevano avergli confiscato tutti i beni.
“Perfetto non posso pagarla, arrivederci!”
“Signor Black, non voglio i suoi soldi!”
“Che razza di avvocato è lei?”
La donna sospirò come se stesse cercando di ritrovare tutta la pazienza necessaria a continuare il suo discorso.
“Come le dicevo prima lei ha diritto ad un avvocato. Spesso quando una persona non può permetterselo gli viene affidato un avvocato ugualmente, pagato dai soldi dello stato, proprio perché è un suo diritto!”
Alan ebbe l’impressione che lei lo stesse trattando come un bambino al quale spiegare qualcosa.
“Ne sono a conoscenza, ma questo non cambia i fatti! Non ho bisogno di lei!”
La donna serrò la mascella. “E come pensa di uscire da qui?”
“Non voglio uscire! Non c’è più nulla di interessante lì fuori!”
La donna sorrise “Non trova interessante nemmeno la vendetta, signor Black?”
Alan socchiuse gli occhi fissandola attentamente.
“Lei mi vorrebbe tirar fuori di qui, perché io possa vendicarmi?” era incredulo.
“Naturalmente no, ma c’è sempre qualcosa di interessante la fuori!”
Alan era sempre più perplesso ma, d’altro lato, sempre più interessato a quello che la signora Beketly gli stava dicendo.
“Continui!”
“Lei è accusato di crimini molto gravi, come ben sa e, naturalmente, già così sarebbe molto difficile scagionarla!” si piegò estraendo dalla valigetta un plico di fogli che consegnò ad Alan. Lui sapeva cos’erano: le sue accuse. Non si prese nemmeno la briga di toccare le carte.
“Come se non bastasse esistono prove anche sulla natura soprannaturale delle sue colpe.”
“Cosa?”
La donna trasse un profondo respiro.
“Esistono tali prove, ma naturalmente non si tratta di qualcosa di concreto da poter portare in tribunale, tuttavia, influisce molto sulla sua condanna, infatti se lei venisse scagionato verrebbe trovato un modo per ricondurla in prigione, data la natura delle sue facoltà!”
Gli occhi di Alan si spalancarono di stupore e non riuscì a mantenere la sua solita maschera di impassibilità.
“Non so di cosa lei stia parlando!”
La signora Beketly sorrise “Oh, sì che lo sa! Esistono persone che sarebbero disposte a tutto pur di farle finire i suoi giorni in una squallida prigione!”
“Mi creda, davvero non capisco!”
“Signor Black!” la donna posò i gomiti sul tavolo e si avvicinò a lui “Credo che lei mi stia trattando come una stupida e francamente non è una cosa che apprezzo molto!” disse freddamente.
Alan sentì il gelo attraversargli le ossa, era come se il tono di voce della sua interlocutrice avesse abbassato di parecchi gradi la temperatura della stanza, iniziò a battere i denti convulsamente e a non riuscire più a muovere i muscoli.
“Non sono una stupida non crede?” sussurrò con volto serio la donna. Alan cercò di annuire, ma il suo collo non si mosse di un millimetro. Tuttavia lei parve capire le sue intenzioni e immediatamente la stanza tornò ad una temperatura normale. Alan trasse un profondo sospiro e non seppe come, ma sapeva che quel freddo era stata opera della donna che gli sedeva di fronte, ma quando questa gli sorrise gentilmente immaginò di essersi sognato tutto: forse stava davvero impazzendo come credevano tutti quegli psichiatri che lo avevano visitato.
“Bene, l’udienza decisiva si terrà tra cinque giorni, si tenga pronto!”
“Non capisco!” iniziò lui “Mi ha detto che la mia situazione è disperata, come pensa di farmi uscire da qui?”
“Ho i miei metodi!” rispose con sicurezza lei “Si fidi!”
“Lei è davvero mandata dallo stato?”
La donna sorrise “Vedo con piacere che nemmeno lei è uno stupido, signor Black, non vedo l’ora di lavorare con lei!”
“Lavorare con me?”
“Naturalmente non sono mandata da nessuno, se non dalla mia volontà, quindi non si aspetterà che io la faccia uscire da qui, senza pretendere nulla in cambio!”
Ovviamente Alan sapeva che nessuno al mondo avrebbe fatto qualcosa senza avere nulla in cambio, quindi aspettò pazientemente che lei continuasse.
“Per prima cosa, non voglio che si vendichi né del ragazzo né della ragazza!”
Alan strinse i pugni e la mascella al solo ricordo dell’ultima volta in cui li aveva visti: avrebbe voluto farli a pezzi con le sue mani, come poteva quella donna chiedergli una cosa del genere? Così decise di ingannarla.
“Come può credere che farei una cosa del genere?”
La donna ridacchiò e il suono che uscì dalle sue labbra fece accamponare la pelle ad Alan.
“Io non la conosco signor Black, ma conosco la sua anima e il suo cuore e so che la prima cosa che vorrà fare una volta uscito da qui sarà vedicarsi, ma dovrà controllarsi! Ho altri programmi per i due giovani!”
“Allora può anche uscire da quella porta! Non sono interessato alla sua proposta!” Alan alzò la voce nel dirlo.
“E’ qui che si sbaglia signor Black!” la donna si alzò e andò a posizionarsi alle sue spalle “La mia non è una proposta, ma un ordine! Lei ha la possibilità di ricavarci qualcosa, ma se butta all’aria questa possibilità io avrò lo stesso ciò che voglio e lei sarà costretto a darmelo!”
Alan rabbrividì e deglutì, mentre nuovamente la temperatura della stanza si abbassava  notevolmente. La donna tornò dinnanzi a lui e lo fissò dritto negli occhi. Alan non ricordava quando fosse stata l’ultima volta in cui si era sentito così debole, forse non gli era mai successo, ad eccezione di quando aveva perso la sua amata più di venti anni addietro. Inoltre quella donna lo stava fissando negli occhi, quella era stata la fonte del suo potere per anni, ma ora erano inutili e quel gioco di sguardi aveva più effetto su di lui che su di lei.
“Lei è stanco di essere un uomo comune, quasi insignificante, non è vero signor Black?”
Egli cercò di respirare, ma il petto non riusciva a muoversi.
“Non rivuole indietro quel potere che per anni l’ha resa invincibile?” la voce della donna era alta e chiara, ma a lui sembrava provenisse da un altro mondo. I sensi lo stano abbandonando perché non riusciva più ad inalare ossigeno. Non voleva morire, ma non riusciva nemmeno a fare niente che potesse salvarlo. Una domanda riuscì a formularsi nella sua testa: come faceva quella donna a sapere così tante cose su di lui e sui suoi nemici? Sui suoi desideri e sulle sue conoscenze?
Cercò di inalare aria e con suo enorme stupore ci riuscì, il petto aveva ripreso a muoversi e il freddo stava scomparendo: stavolta era certo di non esserlo immaginato. La donna che aveva dinnanzi non era sicuramente una persona comune.
“Chi sei?” chiese ansimando.
“Non è affar tuo!” rispose freddamente lei.
“Qual è il tuo scopo?”
“Anche questo non ti interessa!”
“Qual è il mio ruolo in tutto ciò?”
Finalmente la donna sorrise, come se fosse felice che lui avesse posto la domanda giusta. Alan non voleva davvero sottomettersi a lei, ma era convinto che la ricompensa che avrebbe avuto per i suo aiuto gli avrebbe permesso, in un modo o nell’altro di compiere la sua vendetta, dopo di questa sarebbe anche potuti morire in pace e non avrebbe più aiutato quella donna.
Lei si risedette senza nascondere la soddisfazione.
“Molto bene Alan Black, davvero molto molto bene!”



Seguito di Glances Game. In questi primi capitoli cercherò di fare un riassunto di quello che è successo in Glances Game quindi chiedo scusa ai lettori che lo hanno già letto, spero di non essere ripetitiva. Per quelli che non hanno letto l'antefatto di questa storia vi dico: non importa. Cercherò di renderla comprensibile ugualmente!
Il titolo credo che verrà modificato, ma devo avere una buona idea per questo!

Grazie a chi è arrivato fin qui!

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Daisy Pearl