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Autore: Red Raven    12/08/2013    3 recensioni
Prima classificata al contest "L'Acqua e...l'Asino" indetto da Original Concorsi
“Non abbiamo acqua”
“Lo so”
“Non abbiamo cibo”
“Lo so”
“Non abbiamo vestiti”
“Lo s… Mustang. Perché ti servono dei vestiti?”
“Per coprirmi durante la notte, ovviamente”.
Calibano guardò il compare sotto di lui: ”Mustang…sei un cavallo. Sei pieno di peli. Sei già coperto.”

Due animali, un sogno, e la dura realtà del deserto arabo.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Original Tales'
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Nick dell’autore: Rolly Stardust
Titolo: Cuore d’Asino
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 3070 parole (secondo word)
Genere: fantasy, comico, avventura
Avvertimenti: AU (rispetto al mondo reale in realtà…), Linguaggio colorito (non pesantissimo però…)
Rating: giallo
Credits: Calibano è il nome di un personaggio di un’opera di Shakespeare, “La Tempesta” (che non c’entra niente). Mustang è il nome di una razza di cavalli americani. E il ginocchio da montone esiste veramente, ma non so se si può curare e se basta un minimo inciampo per rendere zoppo l’animale.
Note dell'autrice: questa storia l’ho scritta per amore di Mustang e Calibano (sì, i personaggi di questa storia). Mi piacevano e mi dispiaceva lasciarli nel dimenticatoio, solo perché ho dimenticato come si scrive una storia -_- In ogni caso la storia sarebbe ambientata nel 1600 circa, ma potrebbe essere ambientata in qualsiasi epoca, bene o male. Ah, e il titolo c’entra poco o niente, ma ormai non è una novità per me XD
Introduzione alla storia: due animali, un sogno, e la dura realtà del deserto arabo.


Cuore d’Asino




“Non abbiamo acqua”
“Lo so”
La sabbia rovente gli entrava negli zoccoli facendo un male d’inferno. Il sole gli batteva sulla schiena, già abbastanza gravata dal peso del suo amico.
“Non abbiamo cibo”
“Lo so”
Continuava a camminare, mettendo una zampa davanti all’altra. Le gambe gli tremavano visibilmente.
“Non abbiamo vestiti”
“Lo s… Mustang. Perché ti servono dei vestiti?”
“Per coprirmi durante la notte, ovviamente”.
Calibano guardò il compare sotto di lui: ”Mustang…sei un cavallo. Sei pieno di peli. Sei già coperto.”
“Tu hai dei vestiti” “Ma io sono un intellettuale, non posso certo andare in giro, come si suol dire, vestito di cielo” spiegò Calibano, sistemandosi la tunica.
“E allora? Sei un asino. Sei pieno di peli anche tu. Dividi quei vestiti con me!”
“Sia mai! Se qualcuno mi vedesse in tale stato, non sopravvivrei alla vergogna” esclamò Calibano.
“Ma se siamo in pieno deserto! Chi cazzo vuoi che passi? Maometto?” fece Mustang, sconvolto dalle obiezioni dell’asino.
“Non si può mai sapere. Piuttosto, rallenta il passo, non vorrei rischiare di cadere” fece Calibano compito.
“Se rallento ancora un po’vado all’indietro. Non puoi scendere e fartela a piedi? Almeno non rischi di sporcare i tuoi preziosi vestiti” rispose sarcastico il cavallo, sempre più stanco e affaticato.
Calibano diede una leggera zoccolata in testa al suo amico: “Sciocco! Come potrei apparire degno di rispetto, se essendo in possesso di cavalcatura non l’adoperassi a dovere? E poi sai che non posso camminare” disse.
“Perché non puoi, scusa?” chiese il cavallo, sinceramente interessato.
“Ho una malformazione al ginocchio anteriore destro, che potrebbe rendermi zoppo per tutta la vita” rispose Calibano, la voce carica di melodramma.
“Fammi vedere” fece Mustang, fermandosi e voltando la testa verso il compagno.
L’asino mostrò l’arto incriminato, la cui parte inferiore era leggermente protesa in avanti, con uno sguardo che sembrava dire sì, è una grande sofferenza la mia, ma la sopporto stoicamente.
“Hai il ginocchio da montone. E allora?” fece il cavallo.
“E allora? E’questa la tua reazione? Una minima frattura potrebbe rendermi zoppo per sempre, non hai sentito?” esclamò Calibano, colmo di disappunto per la reazione fredda dell’amico.
“Ripeto, e allora? Anche se non puoi fare lavori pesanti, non eri mica un intellettuale, tu?” disse, rivolgendo lo sguardo avanti e riprendendo a camminare.
“Il minimo inciampo potrebbe costarmi caro” fece Calibano, con una voce che pareva quasi un pigolio.
“Ma non dire minchiate, camminare per un po’ non ti renderà zoppo” disse il cavallo.
Calibano non rispose, e Mustang preferì non insistere. Continuarono così per un po’, passo dopo passo, inoltrandosi sempre di più nel deserto.

“Buonasera, buon uomo. Posso disturbarvi?”
Dahario si girò verso la voce, e si stupì non poco: di fronte a lui stava fiero un asino grigio, il cui corpo era coperto per la maggior parte da una tunica rossa con frange dorate, che scintillavano alla luce del tramonto.
“Hai bisogno di qualcosa, ciuchino?” disse all’animale. Osservandolo, notò che l’indumento nascondeva un corpo troppo gracile per un animale da tiro.
“Asino, per favore. E vorrei sapere se la vostra carovana è diretta a Damasco” fece l’animale con sussiego.
Il mercante rimase interdetto dalla risposta dell’asino, ma si riprese in fretta: ”In realtà no, ci fermiamo a Seleucia. Ma nessuna carovana va diretta a Damasco da qui. Perché?”
“Desidero attraversare il deserto. Una vanità personale, si può dire. Posso viaggiare con voi?” chiese l’asino.
“Se paghi…” disse Dahario.
“Vi darò il denaro che vi spetta. E gradirei che mi deste del voi” fece l’asino.
Dahario rimase ancora più sbigottito: ne aveva accompagnata di gente, ma questo qui non era tanto normale, pensava.
“Va bene, messere, come volete” disse, avvicinandosi al carro e tirando fuori il suo registro.
“Trasportate beni di qualche genere, signor…” disse, guardandolo da sopra il libro.
“Dottore, prego. Dottor Calibano. E no, porto solo la mia persona e quel poco che basta per sopravvivere” rispose affabile l’asino.
Il mercante fece un verso leggermente scettico, ma scrisse sul registro il nome di Calibano.
“Partiamo domattina alle sei, dottore. Avete bisogno di un posto dove trascorrere la notte?” chiese, per dimostrarsi gentile.
“No, vi ringrazio, ho già provveduto” disse Calibano “Però c’è una cosa che vorrei che mi procuraste”
“Che cosa?” chiese il mercante, un po’ sgarbato.
Calibano lo guardò da sotto in su e disse, semplicemente: ”Mi serve un cavallo”.

“Mi spieghi una cosa?”
Erano passate all’incirca due ore dall’ultima volta che Calibano aveva aperto il muso per parlare, e quella domanda improvvisa stupì Mustang. Era quasi mezzogiorno, per quanto in quel luogo miserabile le ore del giorno fossero tutte ugualmente calde e soffocanti. Il cavallo teneva la lingua penzoloni, da tanto aveva sete. Quanto tempo era che avevano finito l’acqua? Un giorno? Due? Non sapeva quanto avrebbe resistito in quella condizione. Cercò di non pensarci.
“Che cosa?” chiese invece.
“Tu sei un purosangue da battaglia: si vede subito dal modo in cui ti muovi. Come è possibile che un simile destriero, di razza nobile, sia finito a tirare carri per una carovana?” chiese Calibano, curioso.
Mustang nitrì leggermente: “Come fai a sapere che non lo faccio da una vita?”
“Non insultare la mia intelligenza, per cortesia” rispose Calibano “E’ assolutamente evidente”.
Mustang nitrì di nuovo: ”Hai l’occhio lungo, piccoletto” disse, con una certa ironia nella voce.
Stette a lungo in silenzio, tanto che Calibano pensò che non volesse rispondergli, quando il cavallo parlò: ”Il mio ex padrone era il suocero dello Shah”
Calibano fece un verso di ammirazione: ”Addirittura? Non immaginavo” disse.
“Non è niente di che” rispose Mustang.
Calibano aspettò che l’amico continuasse, ma, vedendo che taceva, insistè: ”Come mai non lo è più?”
Mustang diede una leggera scrollata alla criniera: ”Non la pensavamo allo stesso modo su alcune cose”.
L’asino rimase perplesso da quella risposta, ma decise di non insistere, intuendo che di qualsiasi cosa si trattasse, il suo amico preferiva di gran lunga non parlarne.
“E tu, invece?”
Calibano si riscosse: ”Io?”
“No, la duna che abbiamo sorpassato due ore fa. Certo che parlo con te, vedi qualcun altro, qui?” disse Mustang, continuando a camminare, gli zoccoli che affondavano un po’ di più nella sabbia.
Calibano fece un gemito angosciato: ”Non essere in collera” disse.
“Non sono in collera, sei tu che mi tiri fuori queste risposte con il tuo atteggiamento da babbaleo” fece Mustang.
Calibano, per una volta, decise di ingoiarsi la risposta acida che gli era venuta in mente, e invece chiese: ”Cosa vuoi sapere?”
“Com’è che un asino è diventato un intellettuale?” chiese il cavallo.
Calibano sbuffò piano: ”E’ una lunga storia”.
“Beh, il tempo non ci manca, che ne dici?” ribattè Mustang.
L’asino assentì piano e cominciò a raccontare: ”Per farla breve…quando ero piccolo, abitavo in una vecchia cascina malandata con mia madre. Eravamo selvatici, senza nessuno che badasse a noi, quindi lei tutti i giorni usciva per procurarci il cibo e io restavo sempre solo. Un giorno, mentre mi divertivo a esaminare quello che gli umani avevano lasciato, trovai un vecchio libro un po’ malconcio. Era la prima volta che ne vedevo uno, e ne rimasi affascinato. Pagine e pagine piene di quelli che per me erano solo segni sconosciuti, a quell’epoca, ma se solo fossi stato in grado di farli parlare…mille e mille storie ne sarebbero uscite. Per giorni il pensiero di quel libro occupò la mia mente, finchè…beh, degli umani ci presero. Fummo fortunati: venimmo venduti a un feudatario con una strana concezione della forza animale” ridacchiò al pensiero del suo vecchio padrone.
“Vi trattava bene?” chiese Mustang.
“Molto bene. Riuscì a farsi benvolere persino da mia madre, che non aveva mai avuto grande amore per la stirpe umana. Fu lui il primo a notare la mia malformazione, cercò personalmente un modo per curarla, ma non ebbe molta fortuna. Per arrivare al dunque, costui possedeva una biblioteca molto ben fornita: il giorno in cui ci entrai per la prima volta…non lo scorderò mai. Mi sembrava di stare in paradiso. In ogni caso, notando il mio interesse, il vecchio feudatario decise di insegnarmi a leggere: come hai detto tu, ero totalmente inadatto ai lavori pesanti, ma lui voleva comunque che io avessi un modo per sopravvivere. Man mano che diventavo più bravo a leggere, divorai uno dopo l’altro i libri della sua biblioteca: le storie che raccontavano, le verità che ho scoperto in quei libri, Mustang…tu non puoi immaginare. E poi un giorno il padrone prese una decisione che cambiò la mia vita per sempre” disse Calibano.
“Ti ha buttato fuori di casa?” fece Mustang, con un certo sarcasmo.
Calibano rise “Hai quasi indovinato: mi mandò a studiare all’Accademia Regia di Samarcanda”
Mustang girò la testa così velocemente che si fece male al collo: ”Sei laureato?” chiese con sommo sbalordimento.
Calibano gonfiò il petto e annuì solennemente: ”Hai di fronte a te Calibano della stirpe degli Onagri, dottore a pieni voti in Antiche Lettere” dichiarò pomposamente, poggiandosi uno zoccolo sul petto come a volersi mettere in posa.
“Non si è mai sentito di un animale laureato!” disse Mustang.
“Di tutta la bassa Asia, io sono il primo” continuò Calibano con somma soddisfazione.
Mustang continuò a guardarlo come se fosse uno strano esperimento degli umani. Alla fine girò la testa borbottando e riprese a camminare sotto il sole.
“Hai detto qualcosa?” chiese Calibano.
“Ho detto che è incredibile che l’unico animale laureato della bassa Asia sia un cretino” rispose caustico il cavallo “Che poi mi spieghi perché diavolo devi attraversare il dannato deserto? Non potevi restartene in Accademia?”
“Purtroppo no. Sono sorte delle complicazioni” disse Calibano.
“Quali complicazioni? Gli hai mangiato la biblioteca?”
“No, in effetti no. Per dirla semplicemente, il mio padrone è morto e il suo erede non ha ritenuto necessario continuare a spendere soldi per un animale. E l’Accademia mi ha congedato” disse Calibano, con voce neutra.
Mustang continuò per un po’ in silenzio.
“Mi dispiace” disse alla fine.
“Apprezzo ma non serve: io ne sono ben contento” fece Calibano “Ho avuto un buon motivo per partire, verso una città che volevo visitare sin da cucciolo”.
“E quale accidenti sarebbe? Damasco?” chiese il cavallo, ricordando che l’asino era diretto lì.
“No, Damasco è solo una tappa del mio viaggio. La mia meta è ben più importante” disse Calibano, con gli occhi che rilucevano.
“Più importante di Damasco? Che razza di città è?”
Calibano sorrise: ”Hai mai sentito parlare di Roma?”

Mustang era nella stalla e mangiava. Mangiava perché non aveva nient’altro da fare. Mangiava per non ricordare la sua vita passata. Per non ricordare le mille esercitazioni, quei modi di fare da re del mondo che anche lui aveva avuto. Per non ricordare il sangue, la carica, le urla degli uomini che morivano, i nitriti dei suoi simili che imploravano aiuto. Per non ricordare come il suo cavaliere l’aveva spronato, a gettarsi contro quelle palizzate, e come lui invece aveva sgroppato, l’aveva fatto cadere ed era fuggito via, lontano dall’odore di morte e dal suono della guerra.
Cercava di non ricordare, ma era difficile, Soprattutto quando ogni singolo giorno ripensava al suo vecchio cavaliere, alle corse e al vento che gli fischiava intorno, quando credeva di essere il padrone del mondo. E forse lo era.
Cercava di non ricordare gli anni che erano passati a trasportare carri da una città all’altra, da una parte all’altra del deserto, quello stesso deserto che lo attirava e lo terrorizzava al tempo stesso, in cui avrebbe voluto mettersi a correre libero di nuovo, come una volta, a costo di perdersi tra le dune e morire.
Mangiava perché sapeva che ormai erano solo sogni passati. Mangiava perché sapeva che probabilmente quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio.
Mangiava, e a mala pena si accorse che il suo padrone gli si era avvicinato, per dargli una bella notizia: niente carri questa volta. Avrebbe avuto un cavaliere.
Mustang sentì che lo avrebbe odiato fino alla fine del viaggio.

Due ore dopo, Mustang si bloccò all’improvviso, la sabbia che scendeva a rivoli intorno ai suoi zoccoli, il sole rovente a incorniciarli come fossero stati uno dei Re Magi e il suo nobile destriero- guerrieri di tempi andati.
“Scendi”
Calibano strabuzzò gli occhi: “Eh?”
“Ho detto scendi, sei pesante e sono stanco morto e odio questo deserto di merda. Scendi e continua da solo, e lasciami morire in pace”
“Suvvia Mustang, quanto sei melodrammatico! Tempo una giornata o due e saremo di nuovo in mezzo alla civiltà, a bere succo ghiacciato e…”
“Lo dici da una settimana e siamo ancora in mezzo a questo cazzo di deserto. Ormai piscio sabbia. Scendi!”
“Ma che razza di linguaggio! Mustang, smettila di fare il catastrofico e prosegui lungo la via”
“Ti ho detto di scendere, fottuto asino! Scendi!”
“Non scendo! Quando mai si è sentito di un destriero che lascia a piedi il proprio cavaliere, Mustang? Comportati come si confà alla tua stirpe!”
“Quando mai si è sentito di un asino su un cavallo? Anche tu hai gli zoccoli, quindi scendi da lì e fattela a piedi come tutti i cavallidi di questo mondo”
“Si dice equini, signorino, e comunque…” Mustang cominciò a dare sgroppate così forti che Calibano, già in precario equilibrio per via della sua natura asinina, cadde tra la sabbia e rotolò per un bel pezzo.
“Potevi uccidermi!” gridò l’asino, visibilmente sconvolto.
“Che peccato” fece Mustang, con tono sarcastico.
“Non usare quel tono con me, caro il mio destriero! Sono laureato io, sai? Un po’ di rispetto!”
“Sarai anche laureato, ma sei riuscito a farci perdere, tutti e due” disse Mustang.
Calibano si grattò la testa con lo zoccolo: “Non era a me che era stata affidata la guida della carovana. Come potevo mai immaginare che saremmo stati attaccati dai banditi e che avremmo dovuto contare solo su noi stessi per uscire dal deserto?”
“Trasportavamo seta, idiota. Sai quanto vale la seta in Europa? E tu saresti laureato?” esclamò Mustang, le cui gambe tremavano così forte da produrre un sonoro schiocco ogni volta che le ginocchia si scontravano.
“Sono un letterato, un uomo di studi, non un mercante! E comunque…Mustang?”
Mustang si era accasciato a terra. Calibano cominciò a spaventarsi: sapeva abbastanza sulle abitudini equine da sapere che quando un cavallo è a terra è perché difficilmente si rialzerà. L’asino si rialzò a fatica e trotterellò vicino al compagno. ”Amico” disse, cercando di mantenere la calma “Non te ne andare, eh? Non puoi lasciarmi qui da solo. Non puoi mollare così, rialzati. Dai…”
Calibano cercò di scrollare l’amico col muso, dandogli dei colpetti sulla schiena e sul muso. Mustang aveva il respiro affannoso e gli occhi chiusi, mentre perline di sudore gli ricoprivano la criniera nera, ormai stopposa e piena di nodi.
“Non morire, Mustang, non morire…non puoi abbandonarmi, devo ancora darti metà della paga…” ragliò Calibano, disperato.
“E come pensi…di pagarmi…se non hai…più niente…” cercò di dire il cavallo, la voce che si abbassava sempre di più.
“Posso trovare un modo, ho sempre un cervello prodigioso, no? Ma tu devi restare sveglio, amico mio” disse Calibano.
Mustang fece un suono a metà tra una risata e un colpo di tosse. Aprì gli occhi e si volse leggermente verso il compare: “Addio, asino.” La sua testa ricadde pesantemente sulla sabbia e i suoi occhi si chiusero.
“No, Mustang, no…Svegliati! Svegliati! Mustang! Hi-ho! Hi-ho!” Calibano ragliò e ragliò, ma il suo amico rimase immobile, sordo a qualsiasi richiamo. Calibano non riusciva a crederci.
“Non è possibile, no…Aiuto! Qualcuno mi aiuti!” Ragliò e ragliò disperatamente al cielo, al deserto, nella speranza che qualcuno lo udisse. Ragliò e ragliò fino a perdere la voce, mentre il suo grido di aiuto si disperdeva, udito solo dalla sabbia e dal vento.

Calibano stava facendo una cosa che non considerava molto consona: stava bevendo l’acqua della fontana di fronte alla basilica di San Pietro. Considerato il viaggio che aveva compiuto, però, si sentiva più che giustificato.
“Hai finito di bere come un cammello?”
Calibano si girò verso l’amico, che lo stava guardando con aria di disappunto. “Mi stavo solo rinfrescando la gola” disse, trotterellando verso di lui.
Mustang guardava la fontana che scintillava al sole del mattino: “Non voglio più vedere dell’acqua in vita mia” sentenziò.
“Suvvia, se non avessi bevuto acqua, nel deserto, saresti morto” rispose Calibano, con tono ilare.
“Ah, intendi quella volta che ti sei messo a ragliare come un pazzo e ti sei fatto sentire dagli stessi banditi che ci avevano assalito la prima volta? Preferivo restare ad agonizzare” fece Mustang, caustico.
“Siamo comunque riusciti a fuggire alle loro grinfie, se ben ricordo” puntualizzò l’asino.
“ Resta comunque il fatto che non voglio più vedere dell’acqua in vita mia: è l’ultima volta che ti seguo su una nave” ribattè il cavallo.
Calibano sorrise, al ricordo del loro viaggio attraverso il Mediterraneo: Mustang aveva passato tutto il tempo con la testa fuori dalla murata, al punto che aveva rischiato di finire in acqua una volta o due.
“Bene, siamo a Roma, il tuo sogno si è avverato. E adesso?” chiese il cavallo all’amico.
“Adesso non saprei: credo che per un po’ mi godrò la città. Ci sono così tante cose da scoprire…” disse, guardandosi intorno con aria sognante.
“E poi?” incalzò Mustang.
“E poi non lo so…Carpe diem, Mustang!” rispose tranquillo il compare.
Il cavallo scosse la testa, rinunciando a capire il linguaggio astruso dell’amico.
“In ogni caso…io ho ancora bisogno di un destriero” disse Calibano, con aria vaga.
Mustang lo guardò: ”Se vuoi che rimanga con te, basta chiedermelo” disse con sguardo penetrante. “E comunque camminare un po’ non ti farà male”.
Calibano lo guardò supplichevole: ”Rimani con me, amico mio?” chiese, con una vocina sottile sottile.
Mustang sbuffò: ”Solo se mi aumenti la paga” disse alla fine.
“Ti ricordo che non ho ancora un modo per guadagnarmi da vivere” fece Calibano.
“Non avevi detto che avresti usato il tuo cervello prodigioso? Allora usalo” disse il cavallo.
“Infatti, infatti…ho un’idea. Farò lo scriba” decise, allegro.
“Perché, riesci a scrivere con quegli zoccoli?” disse Mustang, caustico.
“Mio caro amico quadrupede, il fatto che io non abbia i pollici opponibili, non significa che non sappia sfruttare quelli degli altri” disse l’asino.
“Allora perché fare lo scriba?” chiese l’altro.
“Per Maometto, Mustang, uno scriba è un letterato! Un poeta! Un maestro nell’uso delle parole!” esclamò Calibano, scandalizzato.
“Ah. Pensavo che scrivesse e basta”
“No, non scrive e basta”
Continuarono a discutere, il cavallo che portava in groppa l’asino, mentre si allontanavano in cerca di nuove avventure tra i vicoli della Città Eterna.

Sei mesi dopo
“Come sarebbe a dire che vuoi attraversare l’Atlantico?”


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