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Autore: Tigre Rossa    17/08/2013    2 recensioni
'Era notte fonda. Sua moglie si era appena addormentata, i suoi bambini dormivano già da un po’ e il cane era nella sua cuccia. Tutto era tranquillo, tutto sembrava a posto. Ma niente era a posto.'
Un uomo senza più lavoro uccide con il gas sé stesso e tutta la sua famgilia, con la disperazione nel cuore. Fic presa dagli eventi terribili che sentiamo ogni giorno al Tg. Dedicata a tutti coloro che cercano di non farsi dominare dalla crisi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disperazione
 

 
Era notte fonda. Sua moglie si era appena addormentata, i suoi bambini dormivano già da un po’ e il cane era nella sua cuccia. Tutto era tranquillo, tutto sembrava a posto. Ma niente era a posto.
 
L’uomo si alzò dal letto facendo attenzione a non svegliare la moglie e si guardò attorno.
Sapeva che era l’ultima volta che avrebbe visto la sua casa e la sua famiglia e voleva racchiudere ogni singolo particolare nella sua mente e nel suo cuore, gli unici posti dai quali la crisi, la mancanza di lavoro e i mille sbagli delle istituzioni non avrebbero mai potuto toglierli.
L’uomo prese a girare per la casa, salutandola per sempre.
Entrò nella stanza che serviva sia da salone sia da cucina e salutò tutto. Salutò le foto degli anni felici, tutte allineate sul caminetto, salutò le poltrone sulle quali lui e sua moglie erano rimasti seduti fino a notte tarda a parlare a bassa voce, salutò i piccoli divani sui quali i suoi figlioletti avevano saltato tirandosi i cuscini, salutò la finestra dalla quale avevano assistito più volte ai fuochi d’artificio per il nuovo anno, salutò i fornelli che avevano preparato tanti deliziosi manichetti per quella sgangherata famiglia e salutò la cuccia tutta rotta dove dormiva Rex, il caro vecchio Rex.
 
Lui e sua moglie, Lizze, avevano trovato Rex quando era appena un cucciolo, il giorno del loro matrimonio, e lo aveva preso con loro. Era andato in viaggio di nozze con loro, aveva visto nascere Chiara, la loro primogenita, l’aveva tenuta d’occhio mentre nasceva Simone, il piccoletto di casa, era stato il primo ad accorgersi dell’allergia dei bambini alla polvere e al pelo dei gatti, aveva giocato con i suoi bambini nei lunghi pomeriggi d’estate, si era travestito da Cane Natale per compiacere il piccolo Simone ed aveva morso l’ultimo ex di Chiara quando le aveva detto che la lasciava per stare con una bionda tutta curve. Era il migliore amico che si potesse desiderare, quel vecchio e stanco pastore tedesco. Erano mesi che lui non poteva permettersi di portarlo dal veterinario e di comprargli cibo per cani, ma Rex non si era mai lamentato e si era accontentato di mangiare i pochi avanzi della famiglia.
 
L’uomo lo osservò dolcemente e lo accarezzò con la mano, salutandolo per l’ultima volta.
 
Gli piangeva il cuore fare ciò che doveva fare, soprattutto alla vista del suo caro e vecchio amico placidamente addormentato nella sua cuccia, ma se non l’avesse fatto Rex sarebbe finito in un vecchio canile e sarebbe rimasto a marcire lì fino alla fine dei suoi giorni, e lui non poteva sopportare una cosa simile.
 
Poi andò a salutare la camera dei bambini.
Salutò la piccola finestra sulla quale i suoi figlioletti avevano schiacciato per ore e ore i loro nasini guardando la neve che scendeva in inverno, salutò i pochi giocattoli del suo bambino, addormentato a pancia insù nel suo piccolo letto, salutò i cd e i romanzi della sua figlioletta, tutta presa dal suo mondo dei sogni, salutò l’armadio decorato da poster e disegni, salutò le pianticelle mezze morte di cui Chiara cercava di prendersi cura e, soprattutto, saluto i suoi figli, Chiara e Simone.
 
Chiara, la sua principessa, una dolce quindicenne che viveva in un mondo tutto suo, fatto di musica, storie d’amore e d’amicizia, romanzi e film tristissimi; Chiara, la bruna più ribelle dell’intero universo, eternamente in lotta con i brufoli; Chiara, che ancora non si vergognava di camminare con i suoi genitori o di giocare con il fratellino più piccolo; Chiara, che sapeva prendere ogni cosa con filosofia; Chiara, che voleva diventare medico ed andare in Africa per prendersi cura dei bambini nelle zone di guerra; Chiara, colei che sarebbe finita sulla strada se lui non avesse fatto ciò che doveva fare.
 
Simone, il suo ometto coraggioso, che non temeva niente e nessuno, tranne il bagno e la crudele prof di matematica; Simone, un allegro bimbo di quinta elementare che già provava ad attaccar briga con ragazze più grandi di lui; Simone, l’amico degli animali, l’amante dei Pokèmon e il ragazzino con le mani sempre piene di Nutella; Simone, che sognava di diventare un avvocato per difendere la verità ed aiutare i più deboli; Simone, che sarebbe finito in orfanotrofio se lui non avesse fatto ciò che doveva fare.
 
L’uomo accarezzò la testa dei suoi bambini, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime. Le ricacciò indietro e tornò in cucina.
 
Quello che stava per fare era difficile, ma necessario. La vita per la sua famiglia sarebbe stata impossibile; avrebbero perso il loro piccolo appartamento, sarebbero finiti sulla strada e lui non avrebbe mai trovato un lavoro capace di ridargli tutto ciò che avevano perduto. I suoi bambini e sua moglie sarebbero morti di stenti, come succedeva ormai a molte, troppe persone a causa sella crisi.
Spesso aveva sentito queste storie in tv, storie di gente che era finita sul lastrico esattamente come lui, gente che aveva perso l’unica ancora di salvezza, il lavoro, e si era tolta la vita.
Spesso ne aveva discusso con Lizze, scuotendo la testa con amarezza; ma mai aveva immaginato che un giorno anche lui sarebbe finito nella stessa identica situazione.
E solo adesso capiva quanto coraggio ci voleva a fare ciò che tanti lavoratori senza più speranza avevano fatto. Ciò che lui stava per fare.
 
L’uomo accese il gas, si fece il segno della croce chiedendo a Dio di perdonare il proprio peccato e di accogliere tra le sue braccia le anime pure della sua famiglia e tornò nella sua camera da letto.
Si sdraiò accanto a sua moglie, la sua amata Lizze, con cui aveva condiviso tutta la vita, tra gioie, dolori, sacrifici e sorprese. Osservò per l’ultima volta il suo viso d’angelo, i suoi capelli dorati e le sue labbra color ciliegia. Una lacrima gli scivolò sulla guancia mentre si chiedeva se lei lo avrebbe capito, una volta giunta nell’aldilà.
 
Ma lui non poteva fare altrimenti, non poteva. La disperazione aveva preso il sopravvento su di lui, povero cittadino senza colpa: una disperazione che non avrebbe mai dovuto esistere, una disperazione causata da altri e dai loro comportamenti sbaglianti e insensati, incuranti dei bisogni delle persone che affidavano a loro il loro Paese e la loro vita.
 
Pregò che coloro che avevano causato la sua disperazione morissero di una morte atroce e chiuse gli occhi, abbandonandosi all’abbraccio gelido della morte.
  
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