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Autore: workinprogress    20/08/2013    8 recensioni
A Vì, che mi perdonerà - spero - se questa storia non è venuta come avrei voluto.
«Johanna non avrebbe saputo dire quando si rese conto di essersi innamorata di Gale Hawthorne.
Lì per lì non era stato altro che uno stupido flirt come tanti altri. L'aveva fatto più che altro per far innervosire quell'idiota della Everdeen, che la menava troppo con quella storia dell'essere mentalmente confusa».
[Gale/Johanna] [One shot]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un flirt come tanti

A , che fa aumentare il mio amore per questa ship con le sue storie.



Johanna non avrebbe saputo dire quando si rese conto di essersi innamorata di Gale Hawthorne.
Lì per lì non era stato altro che uno stupido flirt come tanti altri. L'aveva fatto più che altro per far innervosire quell'idiota della Everdeen, che la menava troppo con quella storia dell'essere mentalmente confusa.
Insomma, ammetteva che anche lei aveva avuto la sua dose di sfiga nella vita, per carità, su quello nulla da dire. Chiunque fosse entrato nelle mire di Snow non poteva ritenersi fortunato, e questo lei lo capiva meglio di molti altri. Ma proprio per questo la ragazza avrebbe dovuto aprire quei suoi occhietti e vedere che intorno a lei c'erano ancora delle persone per cui valesse la pena lottare. Johanna avrebbe dato qualsiasi cosa per avere ancora quell'incentivo.
E invece la ragazza in fiamme restava lì ad aspettare. Cosa, non si era ben capito.
Fu allora che Johanna decise di provare a darle una scrollatina.
La storia del cugino non se l'era mai bevuta, figuriamoci, ma non credeva che fosse nata per nascondere qualcosa di romantico tra Katniss e Gale. Quei due avevano la loro parte di faccende in sospeso, poco ma sicuro, ma suo malgrado Johanna era presente durante l'Edizione della Memoria, e aveva visto bene – pure troppo  il modo in cui quella guardava Peeta, in cui gli gravitava attorno. Alla lunga era quasi scocciante.
Quella del matrimonio segreto con bambino in allegato era la balla del secolo, ma non si poteva fingere che da parte di Katniss non ci fosse nulla. Il depistaggio certo non rendeva le cose più facili a quei due, ma lei era stata a Capitol City con Peeta, e dopo quello che aveva visto era convinta che gli sforzi stavolta dovessero provenire da Katniss.
Non sapeva bene cosa fare per smuoverla un po', perché non era esattamente un'esperta di romanticherie e sentimentalismi. Aveva provato a suscitare in lei delle reazioni violente, parlando della sofferenza di Peeta, ma non c'era stato molto da fare. Katniss si era rinchiusa in un guscio di dolore autocommiserativo, e lei non era certo sopravvissuta alle torture di Capitol City per andare a fare Cupido nei sotterranei del 13.
Era uscita di lì per vendicarsi una volta per tutte di quel vecchio bastardo di Snow, possibilmente con una morte lenta e dolorosa.
Peccato solo che al momento la sua migliore speranza di farcela dipendesse da quella Ghiandaia smorta. Le premesse erano piuttosto deprimenti.
Pensò che forse se ci avesse provato con Gale avrebbe indignato Katniss, e se non altro sarebbe stato già un inizio per far nascere in lei delle reazioni un minimo utili alla causa della ribellione. Se poi non avesse funzionato, beh, perlomeno Hawthorne era un maschio mica da buttare.
E così aveva tentato, ma la situazione le era sfuggita di mano. Lì per lì non se n'era accorta, perché non era difficile flirtare con un bel ragazzo in uniforme e passare i pomeriggi in sua compagnia.
Poi, più passava il tempo e più abbracciava gli ideali della ribellione, insieme a Gale.
Pian piano si era lasciata assorbire a tal punto dalla sua ossessione di partire per Capitol City da non rendersi più conto di quanto in realtà le pesasse tener su la sua commedia, quella di ragazza forte e solitaria che non aveva bisogno di niente e di nessuno. Lo era stata per tanti anni, ed era sempre stata l'unica cosa su cui potesse contare per difendersi. Dopo aver sepolto la vecchia Johanna nei sotterranei di Capitol City, non le restavano altri modi per proteggersi, non conosceva altre realtà.
Ogni mattina si alzava e si costringeva ad indossare la corazza di ciò che era rimasto. Si vestiva del suo odio per Snow, e andava avanti un altro giorno.
Poi le avevano impedito di partire per Capitol City, pugnalandola alle spalle nell'esame finale.
Le avevano schiaffato in faccia la cosa che veramente la faceva uscire di testa, l'acqua. Quella fobia l'aveva sviluppata con un elettroshock dopo l'altro, e non era una cosa che si potesse risolvere con qualche seduta dallo strizzacervelli. Aveva stretto i denti a lungo, sopportato l'addestramento e combattuto contro le crisi d'astinenza da morfamina, il tutto solo per guadagnarsi un attacco isterico in una simulazione di guerra.
Fu allora che Johanna depose ufficialmente la maschera da dura. Non c'era proprio motivo di tenerla su, immobile e sconvolta com'era in quel letto d'ospedale, senza nessuno a cui dover dimostrare di essere forte. La sua grinta non sarebbe servita per uccidere Snow, e lei era troppo debole per fingere ancora.
Dopo il suo esaurimento, la visita di Katniss era giunta inaspettata. Non tanto il fatto che fosse venuta, in quello ci sperava: era convinta che il suo regale deretano da Ghiandaia Imitatrice sarebbe stato trasportato a Capitol City, e prima che partisse doveva strapparle una promessa vincolante. Quindi in realtà era stato il suo regalo a giungere inaspettato, tanto da riempirle gli occhi di lacrime.
Non erano scese, però. Era riuscita a fermarle lì.
Il regalo, in compenso, l'aveva fatta sentire meglio. Stava inspirando per l'ennesima volta il profumo di aghi di pino quando era stato Gale Hawthorne a varcare la soglia.
Lui sì che era inaspettato. Johanna era rimasta a guardarlo, sentendosi piccola e vulnerabile in quel letto ospedaliero. Non riusciva a immaginare cosa potesse volere da lei.
Gale si era avvicinato, con indosso la sua uniforme, si era seduto sulla sedia di fianco a lei, ed era rimasto in silenzio. Aveva i capelli scuri tagliati cortissimi e un numero tatuato sulla mano, segni che presto sarebbe partito per Capitol City.
Johanna aveva sentito una specie di nodo dentro di sé al pensiero di mandarlo a combattere in un luogo dove lei non potesse tenerlo d'occhio. Qualche mese prima forse avrebbe scrollato le spalle e dato la colpa all'invidia per essere costretta a restare lì, confinata nel 13, mentre lui veniva spedito da Snow e si prendeva tutta la gloria.
Ma in quel momento era talmente priva di difese che la verità l'aveva colpita con facilità: il punto era che non voleva che lui partisse. Era stata distratta dai suoi propositi vendicativi, e non si era resa conto che a forza di passare del tempo con lui gli si era pian piano affezionata più di quanto sarebbe stato prudente fare.
Gale nel frattempo la guardava, le labbra strette e l'aria di chi ha qualcosa sulla punta della lingua e non il coraggio di dirlo.
«Che ci fai qui?», aveva gracchiato Johanna fissandolo.
«Parto per Capitol City».
«Meno male che me l'hai detto, splendore», aveva replicato lei, recuperando un po' del suo vecchio sarcasmo. «Pensavo che mi volessi portare a fare una scampagnata».
Un sospiro di Gale. «Ce ne andiamo domani».
Johanna aveva aspettato a rispondere, perché gli era sembrato sul punto di aggiungere qualcosa.
Ma non l'aveva fatto. Aveva solo allungato una mano, stretto per un attimo quella fasciata di Johanna  si era ferita durante l'attacco isterico  e se n'era andato.
Per la prima volta dopo tanto tempo, Johanna Mason era rimasta sveglia a pensare a persone come Finnick e Gale. Perché, come le era successo in passato, quelli a cui voleva bene erano in pericolo, e non c'era niente che lei potesse fare.


La fine della guerra aveva portato tanti cambiamenti.
Primo fra tutti, la morte di Finnick. Era stata ferita, confusa e arrabbiata per tanto tempo, prima che la furia lasciasse il posto ad un dolore sordo che la faceva sentire svuotata. Aveva fatto spesso visita ad Annie, per darle una mano a tenere insieme i pezzi, ma più passava il tempo più si accorgeva che non era lei, tra le due, ad avere bisogno di aiuto.
«Sai, Jo», le aveva detto un giorno, senza staccare le mani dal pancione, «una volta mi hanno detto che rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte il tempo che serve per crollare». L'aveva fissata negli occhi con una determinazione ed una lucidità che Johanna era sicura di non averle mai visto sul volto. «Non posso permettermi di crollare. Lui ha bisogno di me».
Con quelle parole in testa, Johanna era tornata nel 7 e aveva dato un'occhiata da fuori alla sua vita.
Era come la sua casa: silenziosa e con il disperato bisogno di una ripulita.
Non che avesse poi tutta questa importanza. Era compito suo tenere insieme le cose, e lei era già crollata molto tempo prima.


Il secondo, grande cambiamento portato dalla guerra era stato annunciato da Plutarch Heavensbee. Un giorno Johanna aveva sentito suonare il campanello, era andata ad aprire, e se lo era ritrovato davanti alla porta di casa.
Apparentemente era venuto per convincerla a partecipare a uno dei nuovi varietà organizzati proprio da lui, il supremo responsabile delle telecomunicazioni della nuova, grande repubblica di Panem, che avrebbe rivisto una nuova alba dopo il tramontare dell'era degli Hunger Games, e che adesso si preparava ad abbracciare nuovi stili di vita e bla bla bla.
Johanna aveva annuito simulando un'aria interessata per tutto il tempo, cogliendo solo parole qua e là del lungo e pomposo discorso di Plutarch. Stava per buttarlo fuori da casa sua dicendogli di avere delle cose da fare prima di arrivare alla mezza età, quando nella sua cascata di parole ne colse una che le fece ascoltare il resto con più attenzione.
«... che adesso lavora nel Due e, per carità, se la sta cavando egregiamente, ma non ne ha voluto sapere di programmi creativi... Fa solo quei suoi aggiornamenti politici e si mette a raccontare come va la ricostruzione. Nulla di che, insomma, mi capisci, no? Quindi, dicevo, io stavo cercando i volti della rivoluzione per questa serie di programmi, perché l'impatto che avrebbero sul pubblico sarebbe...».
«Mi dispiace, Plutarch», tagliò corto Johanna. «Ho già degli impegni».
Lui sembrò immensamente stupito. «E di che tipo?».
«Il Sette comincia a stancarmi. Avevo intenzione di viaggiare un po' nei Distretti».
Plutarch si illuminò tutto. «Oh! Potresti fare l'inviata per il nostro nuovo...».
«Anche no, Plutarch, grazie». Si alzò e lo accompagnò alla porta. Lui aveva un'aria molto confusa. «Se cambierò idea mi farò sentire».
Gli fece un sorriso e gli chiuse la porta in faccia. Aveva delle valigie da preparare.
Forse un altro avrebbe riflettuto con più calma prima di partire per un lungo viaggio, ma lei non ne aveva bisogno. Johanna non si lasciava nulla alle spalle nel 7, solo una casa vuota nel Villaggio dei Vincitori, che le ricordava costantemente un'insieme di cose che voleva solo dimenticare.
Quindi era partita per questo fantomatico viaggio nei Distretti, ed il primo in cui si era voluta fermare, in tutta casualità, era stato il Due.
Una volta giunta lì, doveva solo trovare Hawthorne. Peccato che come impresa fosse dannatamente difficile.
Era conosciuto da tutti, nel Distretto, per via del ruolo di spicco che occupava. Doveva aver lasciato istruzioni ben precise, però, perché quando Johanna aveva provato a chiedere agli abitanti del luogo dove fosse casa sua, nessuno sembrava saperlo.
Stupido idiota.
Era stata costretta a recarsi nella nuova zona governativa ed aspettare. E aspettare. E aspettare.
Quando alla fine l'imbecille si era palesato, si era premurato subito di farle sapere che sì, era stato lui a proibire a tutti di far arrivare ospiti a casa sua, e che no, non voleva ricevere visite, anzi voleva proprio stare solo. E con solo intendeva l'assenza di contatto con altri esseri umani al di fuori del luogo di lavoro.
«Dì, un po', splendore», gli aveva risposto lei. «Quand'è che sei diventato così scorbutico? Se l'avessi saputo sarei rimasta insieme agli orsi del 7».
Gale stava per risponderle con una frase che Hazelle non avrebbe ritenuto consona, quando Johanna l'aveva preso sottobraccio con forza ed aveva iniziato a guardarsi intorno con aria incuriosita.
«Beh, allora? Dove mi porti?».


Prima di riuscire a vedere la casa di Gale c'era voluta una settimana.
Hawthorne passava del tempo con lei nell'unico bar ricostruito nel Distretto, le pagava anche la misera quota della pensione in cui risiedeva, ma non voleva farla arrivare a casa sua.
Non che Johanna non avesse provato a seguirlo. Insomma, all'inizio non pensava ci volesse una laurea per stanare una pertica come lui. Ma se lei aveva due Hunger Games dalla sua parte, Gale era un cacciatore. Sapeva scomparire in silenzio, e conosceva le strade del Due molto meglio di lei. Non appena Johanna sentiva di avercela finalmente fatta, di tenerlo in pugno, lui – zac! – evaporava dietro ad un cumulo di macerie o in uno stradina nascosta.
Al terzo tentativo, irritata, gliel'aveva data su. Gale era testardo, certo, ma lei di più. Era sicura di spuntarla, alla fine, oh sì.
Quando lui l'aveva condotta davanti ad una minuscola casa al limitare del Distretto, dopo una settimana di resistenza, Johanna era quasi riuscita a sentire il sapore della vittoria sulla propria lingua.
Era entrata, e aveva scoperto che si trattava di un piccolo, scuro bilocale che si addiceva fin troppo bene all'umore nero del proprietario.
«Accidenti», aveva commentando buttandosi sul divano. «Sospettavo che non te la passassi troppo bene, ma non pensavo che la situazione fosse così grave».
«Qualcosa da dire su casa mia?».
«No, no, per carità. È un vero gioiellino. Se poi sei claustrofobico è la casa dei sogni».
«Senti», aveva replicato Gale, inspirando rumorosamente, «se sei qua per insultarmi la casa direi che te ne puoi anche andare».
«Ma io amo questo posto! Anzi, posso restarci diciamo per i prossimi... tre anni?».
Gale le aveva lanciato un'occhiata confusa ed innervosita. «Tre anni?».
«Zucchero, va bene amarlo, ma tre anni in questo posto sono sufficienti per farmi venir voglia di tagliarmi le vene. Dopo tre anni ci trasferiamo».


Gale aveva provato a tenerla lontana da casa sua, davvero. Johanna si era resa conto della quantità di serrature che aveva cambiato, dei rinforzi che aveva messo alle finestre e del cartello con su scritto Vattene affisso sopra la porta.

Se ne era resa conto, sì, ma questo non le aveva impedito di sgattaiolare dentro ogni volta che ci era riuscita. Va bene, lo ammetteva, rompere il vetro di una finestra non era un modo esattamente ortodosso di entrare, ma, ehi, cosa poteva fare una poveretta se restava chiusa fuori? Tanto lo sapeva che Gale lo faceva solo per provocarla.
Poi una mattina aveva fatto irruzione in casa sua – quella serratura era di gran lunga la più banale che avesse mai visto – e se l'era ritrovato davanti. Che la fissava.
Era rimasta più che stupita, ma aveva cercato di non darlo a vedere. Si era dipinta in faccia il suo sorriso più impertinente e gli aveva parlato con voce chiara.
«Buongiorno, splendore. Si batte la fiacca oggi?».
Lui non si era lasciato distrarre. Era avanzato con quei suoi passi lunghi e si era fermato ad una spanna da lei.
«Perché lo fai? Perché non mi lasci in pace?».
La domanda l'aveva colta alla sprovvista. Era vero, era stata insistente. Aveva deliberatamente ignorato tutte le volte in cui Gale che le aveva detto di lasciarlo in pace, anche questo era vero.
Ma questo perché non credeva, in tutta onestà, che lui volesse veramente sbarazzarsi di lei. Pensava che fosse una sua para, una di quelle cose melodrammatiche alla non-merito-la-felicità che sembravano tanto adatte a lui. Non aveva pensato che semplicemente non la volesse tra i piedi.
Si era sforzata di mantenere salda la voce. «Vuoi che me ne vada?».
«Sì!», aveva sbottato lui in fretta. «Quale parte di non voglio compagnia non ti entra in testa?».
Johanna aveva un'idea di quello che avrebbe fatto la vecchia se stessa. Avrebbe voluto avere l'ultima parola con una risposta come «La parte del non, caro», avrebbe sorriso sorniona e poi avrebbe provato a baciarlo.
La nuova Johanna, invece, sembrava aver perso la voce senza essere in grado di ritrovarla.
Aveva lasciato alle sue spalle un'Arena insanguinata, una famiglia assassinata, una tortura, la morte di un amico, una casa abbandonata. Era venuta nel Due alla ricerca dell'unica vita che le sembrava essere rimasta, e anche se sembrava respingerla, lei non aveva mollato. Perché non voleva, e perché non poteva.
Ed ora era proprio lui, l'unica cosa che le era rimasta, l'unica che le faceva venir voglia di alzarsi ogni mattina, a cacciarla fuori dalla propria vita.
«Se è così, Hawthorne», aveva mormorato. Le tremava la voce. «Tolgo il disturbo».
Era uscita senza guardarsi indietro. Aveva paura di vedere il sollievo nei suoi occhi grigi.


Johanna non era tornata nel Sette. Nel Due non c'era niente per lei, evidentemente, ma a casa la aspettavano solo i fantasmi. Aveva deciso che avrebbe imparato a convivere con il niente.
Si era messa a cercare una casa, e intanto rimaneva a dormire in quella specie di albergo che c'era in città.
Nel frattempo, quell'idiota di Hawthorne sembrava averci ripensato.
Quando era ricomparso e aveva bussato alla porta della sua stanza, nella pensione, lei non aveva fatto scenate. Aveva aperto, guardato chi era e richiuso la porta.
Ma siccome Hawthorne aveva iniziato a lamentarsi a voce alta e stava disturbando la quiete pubblica dell'intero Distretto - urlava qualcosa a proposito di irruzioni nelle case altrui -, dopo un po', scocciata, l'aveva fatto entrare.
Alla fine della giornata, Johanna non era rimasta a dormire nella sua camera d'albergo.
Da quel momento in poi, la sua relazione con Gale aveva preso un piega complicata.
Non vivevano insieme, non avevano un vero e proprio rapporto stabile. Sapevano che sarebbero sempre potuti andare a casa dell'altro, e lì avrebbero trovato affetto, comprensione, conforto.
Sapevano stare soli, ma quando diventava un peso troppo grande sapevano a chi rivolgersi.
Mai si sarebbero sognati di voltare le spalle all'altro quando fosse comparso davanti alla propria porta.
Entrambi si mostravano duri e forti, come le persone che erano prima della guerra, ma quando stavano insieme avevano imparato ad abbassare la guardia. Non era stato semplice, soprattutto per Gale. Ma Johanna lo aveva guidato, offrendogli inconsapevolmente un esempio, affidandosi per prima a lui.


Johanna non avrebbe saputo dire quando si rese conto di essersi innamorata di Gale Hawthorne.
Era nato tutto così, un flirt come tanti. Solo che poi, si sa, una cosa tira l'altra e si resta fregati.
Nella sua testa non c'erano etichette, non aveva dato una definizione a quello che c'era tra loro.
Ma poi lui, senza dirle niente, l'aveva portata davanti alla sua casa nel Sette, nel Villaggio dei Vincitori, e le aveva messo in mano un martello.

«Non avevi detto che ormai c'erano solo fantasmi qui?».
L'avevano distrutta insieme, colpo dopo colpo, un mobile dopo l'altro. Non sapevano a quanto ammontasse il danno complessivo, ma dubitavano che qualcuno li avrebbe denunciati.
La distruzione di quella casa, in senso meno simbolico, aveva portato anche ad un'altra conclusione immediata. Il trasferimento di Johanna nel Due era già semi-permanente, ma quello che Gale le aveva sussurrato all'orecchio quella sera suggeriva un altro tipo di permanenza, in una casa diversa dal monolocale in affitto di Johanna.
«Gale?», aveva poi mormorato lei qualche tempo dopo, seduta con lui sul divano di casa Hawthorne.
Lui sembrava occupato a tracciare linee immaginarie sulla pelle del suo braccio.
«Mh?».
«Mi sbagliavo. Non posso restare qua».
La mano di Gale si era fermata, e lui aveva assunto subito un'aria tesa, allarmata. Johanna aveva affondato il viso nell'incavo del suo collo, e ci aveva nascosto un sorriso.
«Tre anni con questa carta da parati mica li affronto».


______________



Salve a tutti! ^^
E complimenti se siete arrivati fin qui.

Credetemi se vi dico che questa storia è stata un parto. Non riuscivo a finirla! Continuavo a scrivere e scrivere e scrivere e mi sembrava di non dire nulla, solo parole vuote. Ho anche cambiato tutti i tempi verbali della storia, a un certo punto, tanto per farvi capire. Quindi per favore occhi aperti e ditemi se ho saltato qualche correzione o se ci sono errori perchè dopo un po' ci vedevo davvero doppio D:
Non mi convince, non è come vorrei, ma spero che venga apprezzata. Vì, perdonami. E, a proposito di Vì, il nomignolo splendore, che Jo usa per Gale, è una cosa sua :)


Comunque avevo raggiunto il momento in cui ormai ti viene da vomitare, quindi ho pensato di pubblicarla e basta, non ne potevo più ^^
Dunque eccomi qua, a postare involontariamente dopo le mie golden girls, eco e Vì (sì, vi sto corrompendo per farvi scrivere una recensione positiva a questo obbrobrio. Sono disposta ad allungare mazzette).

Passiamo alle cose serie. Ringrazio tanto vero_91 per avermi fatto notare che la fic dalla quale ho preso spunto per la faccenda di Johanna che fa irruzione a casa di Gale è la sua, e si intitola "Non sono come te, non sono...". Ci tenevo a citarla perchè le idee sono preziose e con tutta la fatica che ci vuole per farsele venire in mente non è bello per niente andare in giro a rubare quelle degli altri.
Spero disperatamente che questa storia abbia un senso.
Un bacione a tutti,
wip
  
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