Libri > Fiabe
Segui la storia  |       
Autore: Aching heart    23/08/2013    2 recensioni
"Malefica non sa nulla dell'amore, della gentilezza, della gioia di aiutare il prossimo. Sapete, a volte penso che in fondo non sia molto felice." [citazione dal film Disney "La Bella Addormentata nel Bosco"]
Carabosse è una principessa, e ha solo dieci anni quando il cavaliere Uberto ed il figlio Stefano cambiano completamente la sua vita e quella dei suoi genitori, rubando loro il trono e relegandoli sulla Montagna Proibita. Come se non bastasse, un altro tragico evento segnerà la vita della bambina, un evento che la porterà, quattordici anni dopo, a ritornare nella sua città ed intrecciare uno strano rapporto di amore/odio con Stefano. Ma le loro strade si divideranno, portando ciascuno verso il proprio destino: Stefano a diventare re, Carabosse a diventare la strega Malefica. Da lì, la nascita della principessa Aurora sarà l'inizio del conto alla rovescia per il compimento della vendetta della strega: saranno le sue forze oscure a prevalere alla fine, o quelle "benefiche" delle sette fate madrine della principessa?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

9. The play begins

Il primo impulso di Carabosse avrebbe dovuto essere quello di scappare via e nascondere il suo corpo dallo sguardo di Stefano, ma come sotto l’effetto di un incantesimo, non riusciva a muoversi. Il suo sguardo era intrappolato in quello smeraldino del principe, e sentiva che non avrebbe potuto liberarsene solo con la sua volontà. Arrabbiata per quel potere che lui sembrava avere su di lei nonostante fosse la sua nemesi, l’uomo che avrebbe dovuto uccidere per completare la sua vendetta, e nonostante come l’avesse trattata da bambina, Carabosse ricambiò il suo sguardo quasi con ferocia, piena d’orgoglio, perché lui non avrebbe mai potuto essere come lei, non avrebbe mai avuto un sangue nobile come il suo nelle vene, anche se per tutti era il principe. I suoi occhi lo trafissero come i suoi stavano facendo con lei, lo guardò con aria di sfida.
Lui ne fu immediatamente infastidito, ma ebbe anche una strana sensazione, come un déjà-vu . Gli sembrò di aver già vissuto una situazione simile, ma non riusciva a ricordare né dove né con chi. Quei chiarissimi occhi verdi, comunque, era certo di averli già visti.
Non aveva idea di chi fosse quella ragazza ma il suo coraggio e la sua stranezza lo lasciarono basito: lì le donne non si comportavano così. Un’altra ragazza avrebbe certamente urlato e sarebbe corsa a vestirsi, e poi avrebbe implorato perdono per quel comportamento da selvaggia davanti al principe con le guance in fiamme e gli occhi bassi; lei invece non si curava affatto di essere stata sorpresa a fare il bagno quasi nuda e lo sfidava apertamente, guardandolo come se fosse lui l’essere inferiore, quello che doveva chiedere perdono. Quell’atteggiamento irriverente lo lasciava, oltre che irritato, anche un po’spiazzato, perché non gli era mai capitato di dover tenere testa a qualcuno che dimostrava di avere un carattere così forte. E che bisogno ne avrebbe mai avuto? Lui era il principe: tutti gli altri ad eccezione di suo padre avrebbero dovuto temerlo, e se qualcuno che non fosse Uberto avesse mai osato guardarlo negli occhi con un decimo dell’arroganza di quella ragazza sarebbe già stato fustigato a dovere dai suoi soldati. Ma nonostante questo non riuscì a vincere quella lotta fatta di sguardi, e distolse il suo prima di perdersi inevitabilmente nelle iridi chiarissime della sconosciuta. In quell’attimo in cui lui guardò altrove, lei si alzò repentinamente e uscì a passi svelti dal fiume per afferrare il lungo vestito di tessuto grezzo che aveva posato sulla sella della sua giumenta e infilarselo svelta.
Quei movimenti subitanei attirarono di nuovo gli occhi di Stefano, che la osservò rivestirsi nascosta dal suo cavallo. Si accorse di avere ancora la freccia incoccata e la corda leggermente tesa solo quando la ragazza, ormai vestita di tutto punto e afferrate le redini del suo destriero, gli disse in tono sprezzante:- Se miri così ad una preda, non la prenderai né ora né mai.
Non un’allusione al fatto che l’avesse spiata, che l’avesse vista quasi totalmente senza veli, come se fosse una cosa da niente, come se lui non contasse nulla e lei fosse superiore a questo genere di cose. Lui non disse una parola, ma non si rilassò, anzi, tese ancora di più la corda dell’arco, inarcando un sopracciglio come ad attendere la sua reazione. Pensò che quel gesto avrebbe dovuto far sentire la ragazza in pericolo, ma lei per tutta risposta sbuffò con fare divertito.
- Ti avverto, mirando così non saresti mai in grado di colpirmi.
Quell’ennesima provocazione da parte di quell’irritante ragazza spinse Stefano a controbattere.
- Tu sai chi sono io? – disse abbastanza infastidito e un po’ minaccioso mentre rimetteva a posto arco e frecce nella faretra.
- No, e francamente non vedo perché dovrebbe importarmi. Qui si sta parlando della tua tecnica scadente.
- Non sei di qui, non è vero?
- Perspicace. – disse lei in un tono sarcastico che voleva far intendere che pensasse di lui il contrario di quello che aveva appena detto. – No, non sono di queste parti. Vengo da un posto molto lontano, che tu certamente non conosci, quindi è inutile che ti dica quale sia.
Indubbiamente quella ragazza aveva del fegato, ma Stefano pensava che qualcuno avrebbe dovuto insegnarle quando il coraggio diventava incoscienza, e soprattutto quando era opportuno tacere. In fondo una donna non avrebbe dovuto permettersi di parlare così a nessun uomo, di qualunque rango esso fosse; era vero che lei non avrebbe potuto sapere che lui era il principe, visto che era straniera e che comunque lui indossava gli abiti di un semplice cacciatore, ma non avrebbe dovuto permettersi di osare tanto.
- Molto lontano… – ripeté lui cercando di mantenere la calma. – E lì da dove vieni le donne sono abituate ad essere irrispettose e maleducate?
Lei sbuffò. – Tu confondi la maleducazione con il carattere, forse.
Lui ignorò quell’affermazione, dimostrando a sua volta la sua arroganza. – E, visto che hai criticato la mia tecnica, devo dedurre che tu ritieni di essere un’arciera migliore di me?
- Non lo penso, lo sono – disse lei, che nel frattempo aveva attraversato il torrente con la sua giumenta e lo aveva raggiunto.
- Quanta presunzione… - ribatté lui seccato, ma doveva ammettere di ammirare quella sconosciuta per quella sua lingua tagliente e per quella faccia tosta, oltre che incredibilmente graziosa. Decise di provare ad assecondarla. Essere trattato come un uomo qualunque non gli piaceva per niente, ma era una curiosa novità. Pensò che una volta tanto poteva provare a divertirsi a modo suo.
- Vedremo – rispose lei sorridendo. I suoi occhi si illuminarono ancora di più, anche se il sorriso era falso. – Propongo una sfida. – salì su un rialzo di roccia ricoperto da muschio e felci da cui aveva un’ottima visuale del lembo di foresta circostante e invitò Stefano a fare lo stesso. – Scegliamo un bersaglio da colpire e tiriamo tre volte ciascuno: chi si avvicina di più al bersaglio vince.
Stefano le si avvicinò fino quasi a rendere nulla la distanza fra loro due, e abbassandosi al suo orecchio, mormorò: - E un premio al vincitore lo vogliamo dare?
Lei si scostò guardandolo divertita. – E sia. Il vincitore potrà avere un premio a sua scelta.
- Molto bene… allora se vincerò io, dovrai darmi un bacio, così terrai chiusa quella bocca per un po’.
I suoi occhi si ridussero a due fessure e la sua bocca si piegò in un ghigno sprezzante. – Sai che non succederà mai?
- Staremo a vedere. Ora, che ne dici di rendere la sfida più interessante? Tireremo ad animali, bersagli mobili. Il primo che ne uccide uno, vince. – disse, convinto che quella sfrontata non avrebbe avuto alcuna possibilità contro di lui. Sembrava molto sicura di sé, ma quali che fossero le sue esperienze con gli archi, era sicuro che non fosse mai andata a caccia, oppure non avrebbe proposto una sfida con bersagli inanimati.
Il merlo è caduto nella rete, pensò con disprezzo Carabosse. Stefano non era cambiato, in quattordici anni: arrogante era ed arrogante era rimasto. Ma ci avrebbe pensato lei a sgonfiarlo per bene, sebbene avesse sentito un tumulto dentro di sé quando lui le si era avvicinato, oppure quando aveva proposto un bacio come premio. A quelle parole i suoi occhi erano caduti inevitabilmente sulle labbra del principe, ma aveva distolto subito lo sguardo. Quel ragazzino viziato non avrebbe vinto un bel niente.
- Io ci sto. A te la prima mossa.
Lui riprese la freccia dalla faretra, tese l’arco e mirò ad un nido di ghiandaie che sapeva esserci su uno dei rami più alti di un frassino lì accanto. Prima di tirare, però, non poté fare a meno di guardare, con la cosa dell’occhio, nella direzione della ragazza, che lo guardava con un sorriso divertito sul volto. Bastò quello a far perdere l’attimo a Stefano: scoccò il colpo un millesimo di secondo dopo che la ghiandaia ebbe preso il volo, e ovviamente la mancò. Stizzito, perché non poteva prendersela con nessuno se non con se stesso per quella misera figura, lasciò il posto alla ragazza. Lei prese la freccia e la incoccò con un movimento fluido; guardò bene fra l’erba alta della foresta prima di trovare la sua preda: abbastanza distante da lei, vicino alla sponda opposta del fiume, davanti ad una tana un coniglio selvatico cercava del cibo.
Sorrise fra sé, sicura che non avrebbe mancato il suo bersaglio, e prima di tirare lanciò un vero e proprio sguardo provocatorio a Stefano, ma in fin dei conti non ne aveva bisogno. Lui non riusciva a distogliere lo sguardo da lei: la sua figura era in perfetta armonia con il bosco e… e le sembrò ancora più bella e seducente quando si girò e si concentrò sul suo tiro. Scoccò la freccia, ed essa colpì il coniglio selvatico esattamente in un occhio, lasciando intatta la carne dell’animale.
 Stefano dovette ammettere a se stesso che la sconosciuta aveva molta classe ed eleganza e che la sua tecnica era impeccabile.
Lei saltò giù dal rialzo con un balzo aggraziato e corse leggiadramente a raccogliere il suo bottino di caccia, attraversando il torrente alzando lievemente l’orlo del vestito; in poco tempo fu di ritorno e con un sorriso tese il coniglio a Stefano tenendolo per la coda. Il suo sorriso questa volta non era né provocatorio né sarcastico né divertito, ma sincero e luminoso come Stefano non ne aveva mai visti.
- Credo di aver vinto – disse lei.
- Lo credo anch’io – sospirò lui, rassegnato.
- Quindi? Chi era ad essere presuntuoso?
- Il fatto che tu sia così abile non giustifica la tua superbia.
- Qualcuno qui è un moralista, eh? – disse Carabosse un po’ infastidita. Lui era forse l’ultimo uomo sulla faccia della Terra, dopo Uberto, a poter fare la morale a qualcuno.
- No, solo un po’ frustrato per la figuraccia – ammise inaspettatamente, e quest’affermazione fu in grado di distendere un po’ l’atmosfera, provocando delle risate sincere sia a lei che a lui stesso. – Posso sapere almeno come ti chiami?
- Rosaspina.

***

- Non si è mai vista stoffa più bella, Vostra Maestà, ve lo assicuro.
- Così sembra – disse la Regina Mariah con tono compiaciuto passando la mano su una stoffa preziosissima che pareva quasi fatta d’oro.
- Ne faremo un vestito degno di Sua Altezza la principessa – disse il sarto rivolgendo un piccolo inchino alla principessa Helena che si teneva in disparte.
- Allora procedete a prendere le misure. La principessa dovrà avere un intero guardaroba nuovo per il viaggio dal suo promesso sposo, dovrà essere splendida, e non c’è tempo da perdere. Dobbiamo solo decidere, Helena – continuò la Regina, stavolta rivolgendosi alla figlia – in quale occasione indosserai quest’abito. Senza dubbio alcuno la festa del tuo fidanzamento sarà l’occasione più importante da qui fino al matrimonio, ma anche il tuo primo incontro con il principe Stefano non è da sottovalutare… fare una superba prima impressione è fondamentale e…
Sua madre continuava a parlare, ma Helena ascoltava a stento. Si limitava a fissarla senza in realtà vederla, annuendo di tanto in tanto, mentre il sarto le ronzava intorno prendendole le misure. Da settimane passava la maggior parte del suo tempo così, a fissare il vuoto mentre gli altri parlavano di cose che alle sue orecchie sembravano senza senso. Avrebbe compiuto sedici anni a breve, e insieme al suo compleanno avrebbe festeggiato il fidanzamento, in una terra straniera, con un uomo che non conosceva se non di nome. Era ancora una ragazzina, anche se non era certo questo a pesarle. Non era mai stata veramente bambina, lei che era stata cresciuta da una nutrice e aveva dovuto abbandonare ben presto l’infanzia per seguire la sua educazione principesca; ciò che la preoccupava davvero era il suo futuro marito. Sapeva fin troppo bene che quei matrimoni combinati si rivelavano già dai primi giorni nient’altro che una trappola in cui nessuno dei due coniugi sarebbe stato davvero felice, ma almeno il marito, il Re, avrebbe avuto più libertà; la moglie, la Regina, sarebbe invece stata costretta ad una vita infelice, come rinchiusa in una gabbia. Il matrimonio dei suoi stessi genitori ne era una prova. Suo padre, il Re Maurice, era di vent’anni più vecchio della Regina, e l’aveva sposata quand’ella era appena una quindicenne; era un uomo dall’animo gretto, sebbene fosse di nobili natali, e la Regina Mariah aveva molto faticato nei primi anni del suo matrimonio a nascondere il suo disgusto per il consorte, ma non aveva avuto scelta: aveva dovuto sposarlo per evitare una guerra d’annessione che il suo Regno avrebbe sicuramente perso. Il Re e la Regina, agli occhi di Helena, potevano essere paragonati a due estranei costretti a convivere e che si rapportavano l’uno all’altro per pura e semplice cortesia e formalità. Suo padre aveva una gran quantità di amanti e questo non era certo un mistero; non rivolgeva quasi mai la parola a sua moglie se non in occasioni mondane come balli e feste, e con sua figlia era praticamente inesistente: Helena non ricordava quale fosse stata l’ultima volta che l’aveva visto al di fuori delle occasioni ufficiali, o se avesse mai ricevuto una parola dolce da parte sua. Sua madre, per contro, era fin troppo presente, ma il suo rapporto con lei era altrettanto vuoto e spesso aveva la sensazione che la Regina la trattasse come si tratta un animaletto domestico. Ma in fondo cosa poteva aspettarsi lei, un’insignificante figlia femmina, buona solo da esibire ai balli come bellezza del Regno? Suo padre aveva ardentemente desiderato un maschio, lo sapeva, un erede forte che avrebbe conquistato potere e ricchezze con l’acciaio di una spada, e invece gli era toccata una femmina, che non solo voleva dire avere l’onere di farle avere una ricca dote, ma anche che il suo Regno sarebbe stato annesso a quello di qualcun altro. Helena non aveva mai ricevuto una parola sgarbata da nessuno dei sue genitori, ma il disprezzo glielo leggeva negli occhi. Oh, sua madre era rimasta incinta altre volte dopo di lei, sì, ma tutte le gravidanze erano finite con un aborto spontaneo. Lei era stata l’unica abbastanza fortunata da venire alla luce, e avrebbe volentieri rinunciato a quella fortuna in favore di uno dei suoi fratellini morti, ma le cose erano andate diversamente. E ora, dopo un’infanzia inesistente e un’adolescenza infelice, l’aspettava la prospettiva di un matrimonio altrettanto sterile e vuoto. Sì, temeva che anche Stefano sarebbe stato così, come suo padre. Temeva di ridursi come sua madre, che faceva finta di non sapere e di non vedere ciò che era sotto gli occhi di tutta la corte e che, forse per ripicca o per reagire in qualche modo a quella vita, era insopportabile con tutti.
Quegli ultimi giorni di “libertà” che le erano rimasti sembravano passare troppo in fretta, come in un sogno, come se lei fosse solo una spettatrice della sua vita, fra prove d’abiti, danze, lezioni della nuova lingua e delle tradizioni di quella che sarebbe diventata la sua nuova patria, con sua madre che decideva tutto al posto suo.
Ad un tratto, il monologo della Regina fu interrotto dal bussare sulla porta di quercia della règia sartoria. Una delle dame della Regina andò ad aprire e il messaggero di Re Uberto che avevano precedentemente incontrato entrò nella stanza con un inchino alla sovrana e alla principessa.
- Vostre Altezze Reali, ho l’onore di riferirvi da parte del principe Stefano che egli ha accolto con gioia la proposta di Vostra Maestà di ospitare Sua Altezza la principessa nel suo castello per una settimana prima della festa di fidanzamento.
- Magnifico. Riferite al principe che abbiamo ricevuto il suo messaggio e che la principessa Helena è estasiata dalla prospettiva del suo viaggio – disse Mariah e, dopo aver congedato il messaggero, tornò a rivolgersi a sua figlia. – Vedrai, mia cara. Si dice che il principe Stefano sia un giovane di rara bellezza, e il suo è un Regno molto antico, molto ricco. Sarai una Regina molto felice e assolutamente perfetta. Non ho alcun dubbio.
- Neanch’io, madre – rispose Helena quasi sospirando.

***

Carabosse non era sicura di aver fatto la cosa giusta, comportandosi come si era comportata. Non aveva idea, avendo vissuto per i suoi ventiquattro anni lontana dalla vita della gente comune e in particolare negli ultimi quattordici anni lontana dalla vita in generale, di come si comportassero le ragazze quando volevano sedurre un uomo. La sua indole era buona e timida, e per portare a termine la sua vendetta avrebbe dovuto fingersi la ragazza seduttrice che non era, avrebbe dovuto fingersi forte e sicura di sé, quando non lo era neanche un po’. Lei era fragile, e quando aveva incontrato Stefano, una decina di minuti prima, non era sicura che sarebbe riuscita a comportarsi come sua madre avrebbe voluto, invece a quanto pareva era stata credibile; certo, era stata anche aiutata dal rancore che negli anni aveva covato nei confronti di quel traditore di Uberto e anche di suo figlio. Dopo il suo pungente scambio di battute con Stefano e il suo tiro da maestra – merito degli insegnamenti dei bracconieri – si erano detti i loro nomi, e Carabosse si era presentata come Rosaspina. Di certo non poteva dire il suo vero nome, altrimenti Stefano l’avrebbe immediatamente smascherata. Lui le aveva detto di essere un cacciatore, sebbene fosse evidente che non aveva molta esperienza o abilità. Lei aveva poi dovuto scegliere un premio, e aveva scelto di fare un giro per la città, accompagnata da lui; non le era sfuggito il lampo di soddisfazione che era passato in quel momento negli occhi del principe. Adesso erano a cavallo, Stefano davanti sul suo stallone nero e Carabosse un po’ indietro sulla sua giumenta color cioccolato, e cavalcavano nella foresta diretti alla città. Chissà se l’avrebbe riconosciuta, chissà se era cambiata… lei ricordava una grande e bella città sempre in movimento, ricordava che la piazza era enorme e sempre gremita di gente, ricordava l’enorme fontana di marmo al centro esatto della città… sarebbe stato strano ritornarci da estranea.
Ancora per poco. Non sarai più un’estranea, dopo che avrai completato il tuo lavoro, le disse una vocina nella sua mente, che stranamente suonava proprio come quella di Elsa, sua madre. I suoi occhi caddero sul ragazzo davanti a lei, che in quel momento cavalcava beatamente senza sapere quale pericolo corresse, e sentì quasi un tuffo al cuore al pensiero di doverlo uccidere. Quasi.
Come se avesse avvertito il suo sguardo, Stefano si girò verso di lei, cogliendola un po’ alla sprovvista.
- Ci siamo quasi – disse il principe, sorridendo. Dopo che lui aveva ammesso che lei era più brava di lui e aveva disteso un po’ l’atmosfera, i due si erano un po’ sciolti e avevano addolcito un po’ il tono con cui si parlavano, anche se Carabosse continuava a rimanere un po’ sulle sue. La ragazza non trovò nulla da dire a quell’affermazione e annuì. Effettivamente dopo qualche minuto gli alberi iniziarono a diradarsi e alle loro orecchie iniziarono a giungere gli echi di schiamazzi e rumori vari. Andando ancora avanti giunsero davanti alle mura delle città, alte e imponenti. Le porte erano aperte, ma presidiate dalle guardie. Quando queste riconobbero il loro principe fecero per porgergli i loro rispetti, ma Stefano li fermò con un solo sguardo. Voleva continuare a mantenere l’anonimato con Rosaspina, perciò si limitò a salutare con un cortese “Buona giornata” le sentinelle come fece anche lei, mentre i due uomini armati si guardavano dubbiosi e incerti su cosa fare. Quando furono entrati fu come se Carabosse fosse entrata in un altro mondo, a lei sconosciuto. Si sentì un po’ stordita: la città era caotica, affollata, piena di movimento… era da quattordici anni che non vedeva tanta gente tutta insieme, ma soprattutto, quella era la sua gente. Inspirò a fondo quell’aria densa di vita che non respirava ormai da troppo tempo. Osservava tutto dall’alto della sua giumenta mentre lei e Stefano avanzavano lentamente sui cavalli, senza accorgersi di essere a sua volta osservata dal principe.
In ogni passante cercava disperatamente qualcosa, una traccia, uno sguardo che le dicesse che lì qualcosa della sua precedente vita era rimasta, che loro non si erano scordati del Re Thomas e della Regina Elsa, ma tutte le persone che incrociavano il loro cammino tenevano i visi bassi e sparivano via troppo velocemente perché lei potesse guardare meglio. I più alzavano di sfuggita lo sguardo sui cavalli e sui cavalieri per poi abbassarlo nuovamente e farsi da parte per fare strada quasi fosse un gesto automatico. Nessuno fece segno di riconoscere Carabosse, né lei riconobbe alcun viso di quelli vide, per quanto si sforzasse… non che avesse avuto molti contatti con la gente comune, da bambina; comunque poteva affermare con certezza che sotto il regno di suo padre la gente sembrava molto più felice.
- Ti senti bene? – Carabosse si sentì chiedere da Stefano. Si girò verso di lui e vide sul suo viso un’espressione sinceramente preoccupata, cosa che le sembrò strana visto come lei l’aveva umiliato nel bosco.
- Sì. Sono solo un po’ disorientata… - rispose lei. Era davvero spaesata e confusa da quella situazione totalmente nuova, e addio alla maschera da ragazza sicura di sé. Stefano però non sembrò farci caso e continuò a parlare senza infierire.
- La città può fare quest’effetto, quando non si è abituati – disse, ricordando quanto lui stesso si sentisse disorientato quando, da ragazzino, suo padre lo aveva portato a stare nella città, mentre aveva sempre vissuto in campagna.
- Già...
- Quindi vieni da un piccolo villaggio? –. Carabosse annuì, con sguardo perso che vagava da una parte all’altra. – E come mai sei qui? Voglio dire, hai viaggiato da sola per giorni… perché?
- Ero… in fuga – rispose lei senza pensarci.
- Fuga. Capisco. Verso dove?
- Non lo so ancora. Non ho una meta precisa. Ma questo Regno mi piace.
- Quindi ti serve un posto dove stare.
Carabosse si riscosse, accorgendosi di stare sprecando un’occasione preziosa per farlo cadere nella sua trappola. Carabosse la sfrontata, ritorna in scena!, si disse.
- E’ per caso un tentativo di abbordarmi, il tuo?
- No, era premura, ma se tu vuoi intenderla così… effettivamente se non fossi stato il gentiluomo che sono un tentativo con una così bella ragazza lo avrei fatto – rispose lui, stupendo perfino se stesso. Carabosse rise, soddisfatta.
- Allora ti ringrazio per la tua premura, ma preferisco evitare di alloggiare in casa di un perfetto sconosciuto… sai com’è, potresti non resistere alla tentazione.
- Non sono quel genere di uomo, ma comunque non intendevo a casa mia. Un mio amico ha una locanda e… mi deve un favore… potrei chiedere a lui…
- E tu sprecheresti così un favore, per una sconosciuta?
- Ehi, io sono un gentiluomo! – protestò per gioco, sempre più divertito. Doveva ammettere che passare un po’ di tempo senza una corona in testa stava avendo i suoi vantaggi.
- Sì, un gentiluomo che spia le ragazze fare il bagno. In ogni caso, ti ringrazio – disse Carabosse ammiccando.
- Ecco, siamo arrivati – disse Stefano indicandole una locanda che, a giudicare dall’insegna e dalla facciata, doveva essere abbastanza lussuosa. – Aspettami qui, vado a parlare con il mio amico. Entrambi scesero da cavallo e mentre Stefano entrava nella locanda, Carabosse legava entrambi i destrieri all’apposito recinto completo di abbeveratoio su un lato dell’edificio. Si guardò intorno avida di scene di vita quotidiana, di normalità. Vide il fornaio che metteva il pane a raffreddare su un alto davanzale, vide una donna che tornava a casa con un cesto pieno di verdure, vide un uomo che conduceva una carro pieno di fieno, vide i bambini che giocavano nella strada. La sua attenzione fu catturata da loro. Ricordò quando una volta, a quattro o cinque anni, era scappata dalla sua balia ed era riuscita ad eludere la sorveglianza delle guardie per andare in città, a giocare con gli altri bambini. La sua fuga era durata poco più di una ventina di minuti, ma si era divertita tantissimo: l’avevano riportata al castello con gli abiti sporchi di fango e i capelli scarmigliati, al cospetto di suo padre e di sua madre, preoccupatissimi, che dopo aver ascoltato la sua versione dei fatti ed essersi accertati che non si era fatta niente erano scoppiati inspiegabilmente a ridere e le avevano promesso che le avrebbero permesso di giocare con altri bambini al castello, per scongiurare il pericolo di un’altra fuga. Scacciò quel ricordo e si concentrò su tutto il resto.
 I bambini stavano giocando a campana, ridendo e schiamazzando, ignorando una bimbetta più piccola che cercava di imitarli e di unirsi a loro. Gli altri non fecero caso a lei finché uno di loro, infastidito, le disse: “E smettila di starmi sempre fra i piedi!”, e la spinse indietro con troppa forza, perché la piccola, sbilanciata, cadde a terra e rimase lì, in lacrime. Carabosse aspettò che si facesse avanti qualcuno a soccorrerla e a dare uno scappellotto al ragazzino, ma nessuno fece niente. Qualche donna si girò per osservare la scena ma dopo aver visto cos’era la causa del rumore tornò alle proprie faccende come se nulla fosse. Allora, indignata, si fece avanti lei e si accovacciò accanto alla bambina, che smise di piangere per guardarla meglio. Era visibilmente stupita: probabilmente a casa sua non doveva ricevere molte attenzioni. Carabosse guardò quegli occhioni blu arrossati dal pianto, quel visetto sporco e rigato dalle lacrime e d’istinto abbracciò la piccola.

***

- Tutto chiaro?
- Certo, Vostra Altezza. Vi assicuro che la vostra ospite sarà trattata come una principessa qui da noi.
- Mi raccomando, massima segretezza. Lei non deve sapere né del pagamento né il mio nome – ricordò Stefano all’oste che aveva di fronte.
- Naturalmente, Vostra Altezza.
- E voglio che sia tutto perfetto – detto questo, Stefano uscì credendo di trovare Rosaspina sull’uscio ad aspettarlo, ma non c’era. Preoccupato, si guardò intorno, e la vide più avanti accovacciata per terra di fianco ad una bambina di quattro o cinque anni. Rosaspina sorrideva in modo rassicurante e la accarezzava. La stava consolando. Le vide scambiarsi qualche parola, poi Rosaspina prese la bimba in braccio e la portò verso i cavalli, legati davanti ad un abbeveratoio. Lei non l’aveva visto, perciò la ragazza sobbalzò quando se lo ritrovò davanti.
- Stefano! Mi hai spaventata – disse ridendo, del tutto dimentica di quel tono duro che aveva usato con lui nelle precedenti conversazioni. Poi, indicando la bambina, disse: - Stefano, ti presento Aurora; Aurora, ti presento Stefano, il mio primo amico da quando sono qui.
Lui la guardò incredulo sentendosi definire come amico, ma lei sembrava tutta un’altra persona rispetto a quando l’aveva conosciuta… eppure non era passata nemmeno un’ora!
La fissò attentamente negli occhi e vi scorse una luce speciale. Dolce. Una luce che non aveva mai visto negli occhi nessun altro al mondo, tantomeno con lui.
- Piacere di conoscerti, piccola Aurora. Come mai i tuoi occhi sono rossi? Non avrai pianto! Le belle bambine come te non devono piangere! – cercò di comportarsi come Rosaspina con quella bimba, anche se con i bambini non aveva molta esperienza.
- C’erano dei bambini cattivi che mi hanno fatto male, ma Rosaspina gli ha dato uno scappellotto e li ha rimproverati, e mi ha promesso un giro sul suo cavallo.
- Prego, principessa, il tuo cavaliere e la tua damigella ti aiuteranno durante la cavalcata – disse stando al gioco, e dopo aver fatto un inchino scherzoso aiutò Rosaspina ad issare Aurora sulla sua giumenta.
- Dove ti portiamo? – chiese Rosaspina tenendo una mano sulla schiena di Aurora per sostenerla mentre Stefano guidava la cavalcatura tenendola per le redini.
- A casa – esclamò indicando la direzione col dito.
- Armiamoci e partiamo all’avventura, dunque! – esclamò Stefano, suscitando le risate sia della bambina che della ragazza.
La piccola si divertiva moltissimo a cavalcare e la sua allegria contagiava anche Rosaspina e Stefano che di tanto in tanto non potevano fare a meno di cercare l’uno lo sguardo dell’altra. Attiravano l’attenzione di tutti, ma nessuno sembrò riconoscere il figlio del Re o la principessa Carabosse. Quando furono arrivati, Stefano fece scendere Aurora dal cavallo prendendola in braccio e la piccola diede un bacio a lui e alla sua paladina, dopodiché fu riconsegnata alle braccia materne.
- Bene, ora torniamo indietro, ti faccio vedere il posto in cui alloggerai in questi giorni – disse Stefano a Rosaspina non appena si fu chiusa la porta della casa. Lei, dal canto suo, riprese a recitare il suo ruolo.
- Guarda che non sono tipa da buttarsi ai piedi di un uomo per qualche gentilezza – rispose, e continuarono con quella specie di cordiale battibecco per tutta la strada finché non furono ritornati alla locanda. Lì, legata nuovamente la giumenta alla staccionata, lei gli voltò le spalle e sia avviò all’entrata, ma Stefano la fermò per qualche secondo da dietro, afferrandole entrambi i polsi con le mani. Avvicinò leggermente la testa alla sua e le sussurrò all’orecchio: - E comunque… puoi fare la parte della dura quanto vuoi, ma ormai ti ho smascherata. Sei la dolcezza fatta persona.
Un brivido corse lungo la schiena di Carabosse, ma prima che lei dire qualsiasi cosa lui la lasciò, la superò e le lanciò uno sguardo divertito prima di precederla nel locale. Lei esitò solo un secondo, poi lo seguì.


*Angolo Autrice*
Allora, ecco il nuovo capitolo! Dopo il primo incontro da ustione, come definito da Beauty, Carabosse e Stefano si affrontano... ognuno dei due ha un bel caratterino, sarà difficile per Carabosse riuscire nella sua missione, ma non si sa mai cosa può accadere *muahahahahah*. Dunque, spero che non sia troppo inverosimile o scontato come primo incontro... ah, tenete d'occhio la piccola Aurora, ok?
Ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto alle rcordate/seguite/preferite questa storia, i lettori silenziosi e Beauty per aver recensito. Alla prossima!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Fiabe / Vai alla pagina dell'autore: Aching heart