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Autore: Mary West    28/08/2013    8 recensioni
Il sapore un po’ cartonato e piccante dello shawarma gli vagava ancora nella bocca arida mentre si alzava dalla sedia unta e seguiva Thor fuori dal locale diroccato lungo la strada deserta e ricoperta di detriti.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lemon tree



Il sapore un po’ cartonato e piccante dello shawarma gli vagava ancora nella bocca arida mentre si alzava dalla sedia unta e seguiva Thor fuori dal locale diroccato lungo la strada deserta e ricoperta di detriti. Nonostante ormai fossero trascorsi parecchie ore da quando la battaglia era finita, avvertiva ancora l’adrenalina scorrergli nello stomaco e i sospiri susseguirsi uno dopo l’altro attraverso le labbra screpolate. I postumi dello scontro erano ancora lungi dal manifestarsi a piena potenza, ma cominciava già a percepire un vago sentore di sofferenza alle tempie e una pesantezza incredibile sulle palpebre sudate. Muoveva le gambe faticosamente, trascinandole indolente sull’asfalto polverizzato. e continuava a guardarsi attorno con aria smarrita.
Avvertiva nettamente un senso di disorientamento, come se ci fosse qualcosa di strano nel modo in cui le cose erano successe e continuavano a succedere. Davanti agli occhi, continuava a vedere tante immagini sfocate e una su tutte – una sull’Elivelivolo – perpetrava ad invadergli la testa. A quel buio si aggiungeva un’altra oscurità e, ogni volta che, anche per un solo secondo, abbassava le palpebre, rivedeva davanti a sé il missile esplodergli addosso e l’immagine di Pepper sfumare dallo schermo. Era assurdo sentirsi tanto sconvolto perché tutto era andato bene, ma quel senso di agitazione immotivata continuava a girargli nello stomaco e lui non riusciva a scacciarlo.
“Tutto bene?”
La voce insolitamente gentile del Capitano lo fece trasalire con tanta violenza che quasi non cadde con le ginocchia sui frammenti grigi della strada. Sollevò il viso di scatto e fissò con gli occhi sbarrati il volto fuligginoso del suo interlocutore.
“Ehm... sì” disse e cercò di inumidirsi la bocca che continuava a sentire arsa, ma non aveva saliva in gola. Si passò la lingua sulle labbra, ma neanche quello riuscì, così lasciò perdere e annuì. “Sì.”
Il Capitano ricambiò il suo sguardo con aria dubbiosa e aggrottò lievemente la fronte pallida.
“Ne sei certo?” insistette con tono insicuro. “Non ne sembri molto convinto.”
Tony tirò un lungo sospiro e tentò un sorriso irriverente, ma venne solo una smorfia poco convinta.
“Non preoccuparti per me, Capitano” gli rispose con voce rauca. Rogers non si lasciò placare da quel tentativo affatto riuscito e riaprì la bocca per continuare la sua protesta, ma Thor lo anticipò.
“La giustizia di Asgard interverrà personalmente per castigare Loki per i suoi crimini di guerra” proclamò con voce alta e sicura. “Non devi temere la sua impunità, uomo di metallo.”
Tony sollevò lo sguardo, sempre con quell’aria un po’ persa, e annuì con un ghigno più convincente. Al fianco del dio, il dottor Banner rivolse al Capitano un’occhiata apprensiva.
“Sei sicuro di star bene?” chiese a sua volta, dopo qualche istante di silenzio. “Non è stata proprio una passeggiata.”
Indossava un paio di jeans corti logori e strappati in più punti e non era riuscito neanche a recuperare una maglia. Sulla pelle diafana, erano evidenti i segni dello scontro appena concluso. Come il Capitano, aveva anche lui il volto sporco di polvere e i capelli sparati in tutte le direzioni. Nel suo sguardo serio, scintillava un luccichio di impazienza e preoccupazione.
Davanti a quell’ennesima manifestazione di ansia, Tony scrollò le spalle con aria di sufficienza.
“Non è la prima volta che rischio di saltare in aria” disse con tono più allegro, anche se lo sfondo rauco era rimasto. “Non è una novità... dopo un po’, ci si abitua a tutto.”
“Il fatto che ci si abitui” lo interruppe Natasha, sollevando un sopracciglio scettica, “non significa che sia la cosa giusta.”
Anche lei era ridotta abbastanza male: il labbro inferiore era gonfio in un punto in cui doveva esser colato del sangue e, anche se tentava di nasconderlo, zoppicava lievemente. Quando pronunciò quella frase, Clint, che camminava accanto a lei, le puntò addosso uno sguardo penetrante che Natasha non ricambiò, lasciando che le iridi cristalline vagassero sospettose sul volto ancora un po’ sanguinante di Iron Man.
“Dovresti metterti qualcosa su quel taglio” aggiunse distaccata dopo qualche altro passo silenzioso, “stai sanguinando.”
Tony trattenne a fatica un sospiro di esasperazione e grugnì un vago assenso di accondiscendenza. La Vedova Nera non ne parve molto soddisfatta, ma non replicò e riprese a camminare al fianco di Barton senza dire più una parola fino a quando non si ritrovarono tutti davanti all’entrata della Stark Tower. Tony rivolse uno sguardo di solenne desolazione alla sua opera e scosse il capo in modo teatrale.
“La mia Evangeline” esclamò sospirando profondamente, “ma come ti hanno ridotta?”
Steve gli rivolse un’occhiata perplessa, ma non pose alcuna domanda. Rimasero per parecchi istanti in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, e alla fine Natasha parlò ancora.
“Non ci posso credere.”
Fu un sussurro mormorato a fior di labbra, tanto sommesso da esser appena percepibile, ma quella battaglia aveva affinato i sensi e tutti loro erano troppo abituati a tendere le orecchie per cogliere anche il minimo segnale da parte degli alleati nel marasma della guerra per non sentirlo. Si voltarono simultaneamente a fissare la Romanoff e quando videro i suoi occhi vitrei e, per la prima volta, espressivi – di sorpresa, sgomento, incredulità pura – ne seguirono la direzione fino a scorgere la fonte di quello sbigottimento.
Fu Tony a parlare per primo.
“Agente.”
Coulson veniva loro incontro, vivo e vegeto, pallido con non mai, una benda spessa a fasciargli il braccio e parte del busto e un’espressione stanca ma soddisfatta sul viso smunto. Camminava a passo leggermente zoppicante e seguiva il direttore Fury e l’agente Hill lungo la strada polverosa verso la torre. Quando finalmente, dopo quelli che parvero anni, li raggiunsero, Tony parlò ancora.
“Agente” ripeté incredulo, “cos’è successo?”
Phil Coulson lo guardò con aria colpevole, spostò gli occhi su ciascuno di loro, tranne che su uno, poi rispose.
“C’è stato un incidente” disse con voce sottile. “Nello scontro con Loki... mi sono ripreso dopo esser stato portato in infermeria. Dopo che eravate già partiti.”
“Ma” intervenne Banner massaggiandosi le palpebre con aria ragionevole, “com’è possibile? Il direttore Fury ci ha...”
“... mentito” concluse Tony deglutendo rumorosamente. Il Capitano ripose nuovamente lo sguardo su di lui e Stark sperò ardentemente che lo spostasse perché cominciava a farlo sentire a disagio. “Come sempre.”
“Non è così” replicò prontamente Nick. “Non sapevo ancora stesse bene.”
“Poteva avvertirci durante la battaglia” fece Thor sapiente.
“Non sarebbe servito a nulla” lo contraddisse Natasha, di nuovo inespressiva. Tony la fissò con la fronte aggrottata, pronto a ribattere ancora, quando notò l’espressione dipinta sul viso di Legolas e allora rimase senza fiato. 
C’era qualcosa di assolutamente tragico e struggente nel modo in cui contorceva i muscoli della faccia, qualcosa di innaturale nella maniera con la quale stringeva le labbra pallide e sottili, qualcosa di spaventoso nel chiarore della pelle delle braccia, rizzate per lo spavento, qualcosa di troppo afflitto nella postura rigida della schiena e nella stretta compulsiva della mano attorno all’impugnatura dell’arco, qualcosa di esageratamente desolante nelle iridi splendenti. 
Dopo tutto quello che era successo, Tony non pensava che l’avrebbe rivisto in quello stato. Non che lo conoscesse in modo particolarmente approfondito, ma non riusciva a capire per quale motivo fosse così dannatamente sconvolto da Coulson. Per quanto ne sapeva, l’agente era per lui un superiore come tanti e la Romanoff non sembrava altrettanto turbata da quella scoperta o, forse, era semplicemente più brava a reprimere i propri sentimenti. Eppure, Stark era certo che ci fosse qualcosa in più che ancora non riusciva a cogliere e che, non sapeva neanche lui bene il perché, era di vitale importanza per Barton e Phil.
“L’importante è che il figlio di Coul sia salvo” interloquì Thor con voce profonda ed un lungo sospiro, deponendo le armi. “È una cosa di cui rallegrarsi.”
Natasha sospirò profondamente e annuì con una smorfia scettica, ma non aggiunse altro. Di nuovo quel silenzio scarno cadde tra loro; e stavolta fu Barton a romperlo per primo.
Tony capì che l’avrebbe fatto un secondo prima che succedesse: la schiena rigida fu attraversata da un brivido e le mani gli presero a tremare violentemente, il pallore sul viso cedette il passo a chiazze rosse e vivaci e sulla faccia molle le labbra si spalancarono con violenza per vomitare quel fiume di rancore addosso all’uomo che gli stava davanti.
“Sei un bugiardo!” urlò e il grido arrivò così di sorpresa che perfino Natasha sobbalzò lievemente. “Sei un bugiardo. Ci hai mentito ancora e ci hai buttato in una battaglia che non avevamo il dovere di combattere...con le tue menzogne, hai incrementato un senso di colpa per un colpa che in realtà non esiste! Ci hai fatto salvare la Terra solamente per tuo interesse personale, dandoci una motivazione inesistente e facendoci credere di aver perso soltanto perché tu potessi vincere.”
Quel mare rancoroso cascò addosso a Fury e il direttore trattenne rumorosamente il fiato; sostenne fieramente lo sguardo di Barton e sbatté appena la palpebra sull’occhio buono. Tony vide la mano dell’agente Hill scattare sul suo braccio, come per afferrarlo, ma qualcosa la frenò e la mano ricadde pesantemente lungo un fianco. Coulson, un passo indietro a lui, posò finalmente lo sguardo su Barton e quello respirò affannosamente, le labbra che ancora tremavano incontrollate. Non c’era più forza distruttiva nella sua posa o nei suoi movimenti; sembrava averla sprecata tutta in quel monologo e adesso era come un tassello perso nell’oceano in tempesta. Tony sentì di nuovo le tempie pulsargli e le gambe tremare appena e seppe che Legolas si sentiva come lui. Perso.
Non era dolore o sofferenza fisica, era uno stato di perdizione, era come esser catapultati in un mondo nuovo, entusiasmante a primo impatto, quando l’adrenalina scorre nelle vene e non si pensa a niente. Dopo, quando ogni scarica di eccitazione è scomparsa, la verità ripiomba con la forza di un macigno e allora ci si sente persi, smarriti, abbandonati in una realtà sconosciuta e si ha paura. Dopo aver provato la sensazione di trovarsi ad un passo dal perdere tutto – la vita, la dignità, la libertà, lei – si diventa consapevoli dell’importanza di ogni cosa e allora il mondo appare così diverso e spaventoso da incutere terrore e si sviluppa la coscienza che la possibilità di perdere è reale e tangibile e quella possibilità fa paura.
Fury aprì la bocca e fece per parlare, ma Coulson scosse il capo e lo imitò. Un istante prima che uno dei due ci riuscisse, Barton li anticipò di nuovo e stavolta non ci fu violenza o accusa nella sua voce; solo un tremolio annientato e distrutto.
“Sei un bugiardo.”
Dallo sguardo di Coulson, Tony capì che non stava parlando con il suo direttore e scosse il capo.
“Perché?” chiese in un sussurro. “Hai davvero finto di non sapere che era vivo, Nick?” domandò ed era così bassa la sua voce che sembrava soffiare al vento. Non si era mai sentito così fragile.
Fury lo fissò con la mascella serrata e le labbra contratte in una morsa gelida, poi finalmente rispose:
“Sì.”
Thor parlò per primo.
“Non avresti dovuto mentirci, noi avremmo dovuto sapere che il figlio di Coul...”
“Non si tratta di sapere o non sapere!” esclamò Maria esasperata. “Bisognava restare uniti.”
Tony scoppiò in una risata fredda e scostante.
“Uniti, agente?” ripeté con voce sarcastica. Steve al suo fianco lo fissò sospettoso. “Noi siamo stati ingannati nel modo più meschino possibile e per cosa?”
“Per salvare il Pianeta” rispose Fury altrettanto gelido. “Era necessario.”
“Era necessario unirsi” scandì Tony feroce. “Non avresti mai dovuto mentirci così. Non ancora.”
“Non c’era altra scelta, forse” intervenne Natasha inespressiva. “Evidentemente, era l’unica possibile.”
“Agente” deglutì Banner respirando affannosamente, “non c’è mai una sola scelta.”
Natasha lo guardò in tralice.
“Questa bugia è grave.”
“Dottore, forse stiamo affrettando le cose” lo interruppe il Capitano. Tony lo fissò sconvolto. “Il direttore ha agito secondo coscienza. Ha fatto ciò che era necessario per assicurarsi che la guerra...”
“Questa non è una guerra, Rogers!” urlò Tony e ormai la testa era esplosa, ogni cosa era esplosa e non voleva più trattenersi. “Noi non siamo soldati. Questa battaglia era di tutti e non avevamo nessun dovere di combatterla... se l’abbiamo fatto, era perché potevamo, ma ingannarci in questo modo per convincerci a farlo è stato il peggior scherzo che potessi farci, Nick” ringhiò tra i denti. Scosse il capo e prese fiato. “Non avresti mai dovuto farlo di nuovo.”
Coulson e Barton continuavano a fissarsi in silenzio.
“Quelle persone avevano bisogno di noi, Stark!” replicò a voce altrettanto alta il Capitano. “Era nostro dovere agire! È possibile che tu sia davvero così? Pensavo che, dopo quello che ti è successo, mi sarei ricreduto, ma evidentemente mi sbagliavo nel pensare che ci fosse qualcosa di buono in te... e invece sei solo un egocentrico e un egoista.”
Tony sbiancò e serrò le labbra pallide. Il dottore fece un passo in avanti e fece per poggiargli una mano sulla spalla, ma Tony lo scansò.
“Tu non sai niente di me” ringhiò a voce bassa, “e continui a giudicarmi. Sei così bravo a vedere le persone dall’alto in basso? Riesci a capire come sono fatte pur non sapendo nulla di loro? Non funziona così, Capitano. Ognuno ha la sua vita che lo cambia e io ho vissuto una vita intera in mezzo alle bugie, perdonami se sono stufo.”
Thor avanzò a sua volta e allungò un braccio su quello di Tony; Stark si districò con un violento strattone.
“Non mi mentirai ancora” aggiunse rivolgendosi al direttore. “Con me, tu hai chiuso. E anche la tua ridicola banda di fricchettoni...”
Coulson lo fissò con aria dolorante, distogliendo per un unico istante lo sguardo da quello di Barton e Tony arretrò, sentendosi di nuovo morire.
“Mi dispiace, agente.”
Fece tre passi indietro e, prima che si voltasse, vide Barton fuggire verso la torre, con l’arco ancora impugnato. Coulson lo seguì.
Rogers lo richiamò con voce stridula, ma lui lo ignorò. Fece finta di non sentire Fury, Banner e Thor e si allontanò correndo.
A cinquecento metri di lontananza, scivolò con la schiena su un muro scheggiato e cadde tra le rovine della città. Sentiva la gola ardere e la testa pulsare, le gambe e le mani tremargli con violenza e, improvvisamente, percepì un’onda di panico travolgerlo. Gli occhi gli punsero di lacrime e un peso agghiacciante sembrò invadergli il petto. Improvvisamente, si sentì più sofferente e solo che mai. Chiuse gli occhi e sperò con tutto il cuore di dimenticare ogni cosa, di tornare a respirare e sentirsi di nuovo bene. Nell’esplosione di luci che gli pervasero la mente, sospirò perché, dentro di sé, sapeva che c’era una sola persona, al pianeta, in quel momento, che potesse aiutarlo e che lui volesse con tutto se stesso stringere a sé fino ad annegare su di lei.
Venti chilometri ad est, il jet privato firmato Stark atterrò e Pepper varcò la soglia dell’aereo. Era tornata.
La prima cosa che fece appena ebbe messo piede sull’asfalto fu riprovare. Avvicinò il telefono all’orecchio e tentò per l’ennesima volta di chiamarlo, ma, come ogni volta fino a quel momento, dall’altra parte delle linea, sentì la voce fredda dell’avviso di chiamata invece che quella calda di Tony. Con un sospiro rassegnato, ripose il cellulare nella borsa e scese dall’aereo a passo spedito, raggiungendo l’interno dell’edificio a pochi metri da lei. Stava per varcare la soglia dall’altra parte quando vide un gruppo nutrito di persone accalcarsi rumorosamente attorno ad uno schermo in alto e, quando scorse la familiare armatura scarlatta, si mosse spontaneamente ad unirsi alla folla.
La televisione stava mandando in onda un servizio speciale sullo scontro di New York e particolare spazio era dato alla figura di Iron Man il quale, secondo una fuga di notizie inattesa, aveva condotto con la sola forza delle braccia un missile nucleare, destinato ad esplodere nel centro di Manhattan, fuori dal raggio d’azione della popolazione. Pepper trattenne profondamente il fiato quando riconobbe l’ultimo modello della Mark VII schizzare nel cielo con quel razzo sulla schiena e attese di vedere il volto di Tony dopo la battaglia, tranquillo, sorridente, salvo, ridere di fronte alla telecamere con il suo ghigno soddisfatto, pronto a rassicurarla che tutto era andato bene; ma la sua attesa cadde nel nulla. Dopo quell’immagine, sullo schermo apparve il volto di una giornalista matura, dall’aria esperta e professionale, che annunciava di non aver altri annunci da trasmettere al pubblico, per cui ridava la linea allo studio.
Pepper sbatté le palpebre freneticamente e dischiuse le labbra per tentare di respirare, di riprendere la calma. Strinse i pugni fino a quando non sentì le unghie pungerle dolorosamente i palmi e deglutì, abbassando il volto sul petto che si muoveva a fatica.
Sta bene, continuava a ripetersi. Sta bene, sta bene, sta bene. Sta sempre bene. 
“Signorina Potts?”
Pepper trasalì bruscamente e alzò di scatto il volto.
“Sì, Stephanie?” disse con voce sottile. “Dimmi pure.”
La segretaria le rivolse un’aria comprensiva.
“L’auto è arrivata, ci attende qui fuori” rispose in tono professionale. “Le sue valigie già sono state caricate nel portabagagli, ma ho lasciato fuori alcuni abiti più comodi, nel caso volesse cambiarsi.”
Le porse una borsa nera e Pepper l’afferrò scrutandone curiosa il contenuta.
“Immaginavo volesse liberarsi della gonna” aggiunse Stephanie. Abbozzò un sorriso. “L’ha distrutta.”
Pepper abbassò lo sguardo sulle proprie gambe e sorrise debolmente quando si accorse di che parlava. Sfiorò il lembo logoro della stoffa bianca e annuì.
“Sali pure in macchina, ti raggiungo subito” le disse con voce più tranquilla. Si voltò e fece per raggiungere i bagni quando sentì di nuovo la voce di Stephanie nelle orecchie.
“Sono sicura che il signor Stark sta bene. Lui sta sempre bene.”
Pepper annuì e continuò a camminare.
Non ricordava neanche l’ultima volta che aveva indossato un paio di jeans. Non per casa, naturalmente; lì, li portava spessissimo, anche più corti, ma di solito in pubblico preferiva presentarsi con un altro genere di abiti. In ogni caso, non era una riunione a cui si apprestava a partecipare ed era meglio passare inosservata, in un contesto come quello, così si infilò nei pantaloni di denim e si gettò addosso una camicetta bianca, legando la chioma in una coda non troppo stretta dietro la nuca. Quando ebbe finito, raggiunse la sua segretaria nel parcheggio e rimase in silenzio per tutta la durata del viaggio, continuando a rigirarsi nervosamente il telefono tra le mani. Qualche minuto prima che Happy prendesse la strada per l’albergo nel Queens, Pepper parlò:
“Gira per Manhattan, Happy.”
Happy e Stephanie la guardarono nello stesso istante, con aria preoccupata e stupita assieme.
“Signorina Potts” disse la segretaria, poggiandole una mano sul braccio, “la città è in subbuglio, i traffici sono limitati e potrebbe essere pericol-...”
“Non mi interessa, Stephanie” la frenò Pepper decisa, poi si rivolse di nuovo all’autista. “Gira per Manhattan, Happy” ripeté. Happy la guardò attraverso lo specchietto e sospirò.
“Tony sta bene, non è il caso di...”
“Gira per Manhattan, Happy” ripeté ancora ed aveva un tono tanto intransigente che nessuno dei due ebbe più la possibilità di contraddirla. L’auto prese la strada per Midtown, ma, quando furono ormai alle porte del centro, furono costretti a fermarsi.
“Non si può andare più avanti” le disse Happy e aveva già messo di nuovo in moto l’auto per fare retromarcia quando Pepper aprì la portiera e scese dalla macchina. “Pepper!” la richiamò l’autista sconvolto. “Sei impazzita? Non puoi andare lì... è pericolosissimo, a Tony verrà un infarto quando scoprirà che ti abbiamo lasciato...”
“Non preoccuparti, Happy” lo interruppe lei ostinata. “Andrà tutto bene. Porta l’auto in albergo, ci sentiamo più tardi.”
Senza neanche dare il tempo ad uno di loro di tentare di farla ragione, girò sui tacchi delle Louboutin nere e prese a camminare a passo spedito oltre le sbarre. Aveva preso dalla borsa di Stephanie anche due giubbini di pelle e si infilò il proprio, continuando a stringere quello di Tony tra le braccia. Camminò a lungo nelle strade deserte e ad ogni passo aumentava in lei l’ansia e l’agitazione. Stava quasi per perdere la speranza di trovarlo quando finalmente lo vide.
Era seduto per terra, sull’asfalto, tra i detriti e la polvere, con la schiena contro la parete semidistrutta di un edificio praticamente a pezzi ed un’espressione sofferente sul viso stanco. Teneva gli occhi chiusi e respirava profondamente, come se stesse cercando di calmarsi, e Pepper sapeva che, sotto le palpebre, gli occhi era segnati da quel luccichio di incredulità e sollievo che lo accompagnava sempre nei momenti dopo le missioni. Fece due passi in avanti, poi si fermò, giocando nervosamente con un lembo della giacca di pelle, indecisa su cosa fare.
C’era qualcosa di nuovo, sul suo viso; era stanco, va bene, ma sembrava sinceramente provato e turbato da qualcosa in più. L’aver rischiato tanto stavolta doveva esser stato per lui particolarmente sconvolgente e adesso portava i segni di quello scompiglio sul volto.
Passò qualche istante e Pepper smise anche di respirare, non si mosse, non fece un solo gesto. Tony aprì gli occhi, come se avesse capito che c’era, come se avesse sentito il suo profumo nell’aria della tempesta appena passata, come se avesse colto la sua presenza con la sola forza del pensiero: aprì finalmente gli occhi e le iridi castane brillarono quando scorsero la figura di Pepper a pochi metri dal suo corpo.
Pepper deglutì e gli rivolse un sorriso colpevole.
“Ehy” disse scrollando le spalle, scoprendo di avere la voce roca. “Come va?”
Tony sbatté le palpebre, come se non riuscisse a credere ai suoi occhi, come se dubitasse che lei fosse reale.
“Sei qui” disse solamente. Allungò un braccio e fece per alzarsi, ma Pepper non attese più: gli andò incontro e gli gettò le braccia al collo, stringendosi a lui con tutta la forza che aveva in corpo.
“Mi dispiace” sussurrò contro la sua spalla, gli occhi serrati per trattenere le lacrime. “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.”
Tony ricambiò l’abbraccio, stringendola a sua volta, affondando il viso nella sua spalla e tornando a respirare a pieni polmoni. L’aria non sembrava più tanto tossica ora.
“Di che parli?” le disse allontanandola appena per guardarla negli occhi. Lei porse una mano tremante e gli accarezzò una guancia.
“Non ti ho risposto” mormorò con le palpebre frementi. “Non ho sentito.”
Lui scosse il capo e affondò di nuovo il volto nella sua scapola.
“Non me ne frega niente” le soffiò contro la pelle, “non mi interessa, non conta. Sei qui. Sei qui.”
Lei annuì e gli sollevò il viso per poggiare la fronte contro la sua. Portò l’altra mano sul ventre e strinse.
“Mi hai fatta morire di paura” gli sussurrò scuotendo la testa. Lui emise un risolino divertito.
“Non volevo... ma tu ti rendi conto che, se non ci pensavo io, avrebbe dovuto farlo Capitan Ghiacciolo o Hulk o Thor... allora sì che saremmo stati a posto.”
Lei scoppiò a ridere sollevata e abbassò un palmo per poggiarlo contro il suo e intrecciare le loro dita. Rimase a fissare l’incastro perfetto e Tony non distolse lo sguardo dal suo volto, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Stai bene?” gli chiese dopo qualche istante. Lui si morse il labbro inferiore.
“Perché me lo chiedi?”
“Perché so che stai male” rispose scrollando le spalle. “Ma non so se ti va di parlarne.”
Tony scosse il capo e respirò profondamente.
“Nessuno al mondo potrebbe mai capirmi come te” le bisbigliò. Era strano continuare a parlare in quel luogo desolato, mormorare come se temessero di disturbare qualcuno; lì, erano soli.
“Sei ferito?” gli domandò ancora. Portò una mano sulla fronte e scosse il capo, sfiorando il taglio ancora sanguinante. Aprì la borsa a tracolla che ancora portava con sé ed estrasse acqua ossigenata ed ovatta. Tony sorrise debolmente e lasciò che lei tamponasse quella ferita e le altre sulle braccia, stringendo una garza attorno al polso.
“È una zona delicata” disse con aria pratica. “Meglio star sicuri.”
Quando ebbe finito, ripose l’armamentario in borsa e osservò soddisfatta il proprio operato.
“Come mai vai in giro con una cassetta del pronto soccorso in borsa?”
Lei sorrise allusiva e sbatté le palpebre innocente.
“Ho un fidanzato che si caccia sempre nei guai” rispose ironica. “Ha bisogno costantemente di cure. Se ne va in giro a salvare il mondo, facendo prendere a me un infarto colossale.”
Tony rise appena e strinse di più le dita sulle sue.
“Coulson è stato ferito” disse all’improvviso. Pepper lo fissò preoccupata, pallida in viso, e lui si affrettò ad aggiungere: “Ma sta bene. Solo una ferita alla spalla, solo che... Fury ci ha fatto credere che fosse morto.”
Lei sbiancò.
“Che cosa?” disse in un fil di voce. Tony annuì amaramente.
“Non andavamo molto d’accordo” rispose scrollando le spalle, “e lui ha pensato che questo ci avrebbe... uniti.”
“Ma è meschino” disse lei increspando il viso un’espressione affranta. “Non ha potuto dirvi una bugia del genere.”
Tony sollevò le sopracciglia sarcastico.
“Te ne ho raccontate abbastanza perché tu non ti stupisca. Probabilmente voleva fare la cosa giusta...”
"Ma nel modo sbagliato" sussurrò lei annuendo. "Avete litigato?"

“Con Fury? Abbastanza” rispose sospirando profondamente. “Tra l’altro, se sapesse che ogni singola cosa che so e cioè ogni singola cosa che c’è da sapere sullo S.H.I.E.L.D., l’ho detta a te, credo ci farebbe fuori con uno schiocco di dita.”
Pepper sbuffò scettica.

“Non farebbe mai fuori la sua gallina dalle uova d’oro” commentò spazientita. Tony scoppiò a ridere davanti a quel tono tanto seccato; Pepper di solito non era il tipo che si lasciava andare a simili sentenze, ed era divertente osservarla arricciare il naso in un’espressione tanto piccata. Lei lo fissò fingendosi oltraggiata, ma non trattenne un sorriso dinanzi a quella risata.

“Sono contenta di sentirti ridere” aggiunse accarezzandogli delicatamente una guancia. “Ne deduco che abbiate avuto una brutta discussione, comunque.”
Tony annuì vigorosamente.
“Capitan Ghiacciolo...”
“Chi?”
“Capitan America, sarebbe. Quello che ha dormito sotto i ghiacci per settant’anni.”
Pepper aprì la bocca comprensiva
“Quello di cui Phil colleziona le figurine?”
Tony sbuffò spazientito.
“Sì” sibilò spazientito. “Lui ha detto che Fury ha fatto bene e mi ha dato dell’egocentrico egoista, al che me ne sono andato. Ho litigato con lui un numero abbastanza elevato di volte, soprattutto considerando che ci conosciamo da meno di due giorni. Anche Legolas...”
“Legolas?”
“Ehm... è un agente dello S.H.I.E.L.D. che tira le frecce” spiegò Tony pratico. “Occhio di Falco.”
“L’agente Barton?” chiese lei stupita. Tony la fissò aggrottando le sopracciglia.
“Come lo sai?”
Pepper arrossì leggermente e abbassò lo sguardo.
“Me ne ha parlato Phil” rispose vaga. “Anche lui si è arrabbiato?”
“Sì” rispose Tony roteando gli occhi al cielo. “Stavo dicendo che anche lui se n’è andato, prima di me e Coulson gli è andato dietro. Banner e la Romanoff non sembravano troppo turbati... cioè, Bruce sì, ma non come me... sarà che si fida della superspia siberiana, che ne so... e Thor probabilmente non se la prenderebbe sul serio per niente.”
“Aspetta” lo interruppe Pepper con una mano alzata. “Dunque, Thor è il dio nordico e Banner è il dottore che, quando si arrabbia...”
“... si trasforma in un mostro verde rabbioso, esatto” concluse Tony annuendo.
“E va d’accordo con Natasha?” chiese Pepper con un sorrisetto sorpreso. Lui la guardò perplesso, poi roteò gli occhi al cielo, scettico.
“Non è come credi” la frenò subito, “la Romanoff non ha un cuore.”
“Solo perché non lo ha mostrato a nessuno, non significa che non ce l’abbia” ribatté Pepper divertita. Tony rimase a fissarla per ancora un istante, poi alla fine, parlò.
“Ho avuto paura.”
Lo disse in un sussurro tanto sommesso che, se non fossero stati in una strada tanto silenziosa e deserta, lei non l’avrebbe sentito. Ma Pepper coglieva sempre quello che Tony diceva e quello che non diceva: sentì quel sussurro e percepì altro, percepì nettamente il cuore di Tony crollare, colpito e affondato da quella paura, tangibile, concreta, violenta; percepì un velo di doloroso timore e di materiale angoscia adombrargli le iridi castane; percepì un tremolio appena visibile alle mani; percepì la disperata ricerca di quel sollievo che solitamente seguiva le battaglie; percepì la sofferenza per il non riuscire a trovarlo e, all’improvviso, lo vide indifeso e fragile.
Deglutì e socchiuse appena le palpebre, osservando il volto di Tony, e gli si fece vicina più che mai.
“È normale” bisbigliò. “Non hai mai rischiato tanto prima... nemmeno in Afghanistan.”
Tony scosse il capo e prese la mano che lei gli aveva portato sulla guancia per portarsela alle labbra.
“Prima, non avevo nulla da perdere di cui mi importasse davvero.”
Pepper rimase in silenzio e ricambiò il suo sguardo.
“Succederà ancora” gli disse infine con un sorriso triste. “Sei Iron Man. Non smetterai di rischiare la vita perché io ti conosco e non ti tirerai mai indietro... e avrai paura ogni volta che ci sarà una nuova missione e io so che comunque non ti frenerà.”
“Non voglio rischiare di perderti.”
“Non succederà” replicò Pepper e gli strinse ancora la mano. “Non hai mai visto Pocahontas?” gli chiese ridendo. “Qualsiasi cosa succeda, tu non mi perderai mai.”
“Ma potrebbe succedere” insistette lui, ricambiando debolmente il sorriso. “Potrebbe succedermi qualcosa di male o potrebbe succedere a te e allora... io non so cosa farei, adesso è diverso tutto... se indossare quell’armatura significa questo, io...”
“Non lo farai più?” gli chiese lei sorridendo ancora. “Non è possibile. Me l’hai detto tu, ricordi? Quando non volevo fidarmi di te, la prima volta che indossasti la Mark III: so che devo fare e so che è giusto. Tony Stark come lo amo io non smetterà mai di fare la cosa giusta solo per paura.”
Tony la guardò e finalmente le sorrise e quella volta il sorriso fu pieno, completo, felice, sollevato, ritrovato. La paura sarebbe tornata, ma dopo ci sarebbe sempre stata la speranza del sole e adesso quel sole splendeva davanti a lui. Sporse le labbra e finalmente la baciò.
“Ti va di fare un giro con me?” gli chiese lei dopo qualche istante. “Potremmo fare una passeggiata, prenderci un frappè dalla Boulangerie oppure semplicemente camminare un po’...”
Tony respirò e annuì vigorosamente. Prese il giubbino di pelle e se lo infilò, poi le strinse la mano e la fece alzare con facilità.
“Andiamo.”
Avevano appena preso la strada verso la Park quando, a cinquecento metri di distanza, Coulson varcò la soglia della torre. Camminò silenziosamente sul pavimento distrutto in più punti, guardandosi attorno con aria smarrita; superò l’ingresso, il corridoio e la cucina e finalmente trovò Clint in salotto. Era seduto per terra, nascosto dietro ad un divano, con la schiena poggiata affianco al bracciolo e l’arco tra le mani. Sul suo volto, non c’era più traccia della rabbia violenta che l’aveva colpito poco prima; adesso era stanco, desolato, rassegnato. Sul viso, era dipinta un’espressione triste come quella di un bambino e i suoi occhi fissavano afflitti la corda dell’arco con la quale giocava. Phil fece qualche passo in avanti, fino a trovarsi proprio dinanzi a lui e si lasciò scivolare faticosamente sul pavimento, gemendo di dolore quando la schiena ancora in pessime condizioni si scontrò con il muro alle sue spalle. Clint non alzò lo sguardo, non gli rivolse la parola, non diede segno di essersi accorto della sua presenza, ma, quando percepì quel verso di sofferenza, le sue spalle sobbalzarono in modo tanto impercettibile che Coulson se ne accorse quasi per caso. Rimase in silenzio a sua volta per parecchi minuti e alla fine allungò un braccio e gli afferrò la mano. Barton trasalì di nuovo, stavolta con molta più forza, e Phil strinse la mano, felice di ritrovarla com’era, calda, confortevole, densa di calli e il Falco rispose e senza volerlo vi si aggrappò disperatamente. Era una cosa assolutamente sbagliata, si era ripromesso di non comportarsi più come un adolescente da parecchio tempo ed erano trascorsi i periodi degli anni dell’orfanotrofio in cui aveva bisogno di qualcuno nella sua vita. Aveva capito troppo presto e troppo bene che la sua esistenza non necessitava di qualcosa al di fuori di se stesso per avere senso e, nel momento in cui Coulson gli aveva detto che tra loro quello non ci sarebbe mai dovuto essere, lui si era chiuso dentro di sé e aveva scelto di abbandonare ogni speranza di essere felice.
L’aveva evitato per mesi, dal New Mexico, da quando si erano incontrati per la prima volta davvero e Phil aveva detto quello che doveva succedere; eppure, Clint sapeva che non era quello che provava e gli aveva gridato in faccia, in preda alla frustrazione e alla sofferenza, che lui non l’avrebbe mai più visto in tutta la sua vita. Coulson gli aveva teso il braccio anche quella volta, ma il Falco era volato via e il loro incontro seguente era stato mentre lui era fra le braccia di un dio malvagio e perverso e Phil ad un passo dalla morte, una morte che gli avevano dato per certa e che gli aveva distrutto il cuore. Come poteva, dopo quell’ultimo litigio, quelle urla, quelle promesse disperate, adesso afferrare quella mano, aggrapparvisi come se ne dipendesse la vita? Si era già sentito morire una volta, nella terra d’incanto, e poi di nuovo quando gli avevano annunciato che era deceduto e Clint sapeva che non avrebbe resistito a vivere a fianco a lui senza poter guardare da vicino quegli occhi per l’eternità. Non avrebbe mai assistito attraverso un vetro alla felicità che per questioni di principio Coulson gli aveva precluso.
Ma allora, se era moralmente sbagliato amarlo, perché adesso era lì? Perché gli tendeva la mano, perché lo stringeva, lo cercava, si dispiaceva della sua distanza?
Avrebbe voluto chiedergli una qualsiasi di quelle cose, voleva porgli domande, avere risposte, rassicurazioni, certezze, fiducia... ma non riusciva a parlare, la gola era arida e nulla esisteva più al mondo se non la sua mano che lo ancorava alla realtà e la rendeva così meravigliosa e degna di essere vissuta. Così ricambiò la stretta e alla fine respirò, deglutì e strisciò sul pavimento per trovarsi a fianco a lui e poggiargli la testa sulla spalla buona. Senza mollare la presa sulla sua mano, Phil gli circondò le spalle con il braccio e lo strinse sempre di più e Clint avvertì la guancia bagnarsi di una lacrima traditrice. Dopo anni e anni luce, parlò e quello che disse non fu una domanda, un quesito, un’imprecazione né rifiuti o accuse.
“Non lasciarmi più.”
Sentì il petto di Phil respirare sotto la sua guancia umida che aveva bagnato anche la sua camicia e poi le sue labbra gli sfiorarono la fronte premendo un bacio intenso sulla chioma scomposta. Due dita gli sfiorarono la bocca e le altre si intrecciarono definitivamente alle sue.
“Te lo prometto.”
Clint annuì e affondò il volto nel tessuto fresco adesso irrigato delle sue lacrime.
“Mi dispiace” gli soffiò Phil tra i capelli. “Mi dispiace.”
Barton scosse il capo.
“Non importa” bisbigliò contro la stoffa bianca.
“Dovresti dormire” gli bisbigliò ancora. Clint chiuse gli occhi sospirando profondamente e si fece stringere dalle sue braccia.
“Non te ne vai mentre dormo, vero?”
Phil emise un verso divertito e gli baciò la fronte.
“Non vado da nessuna parte.”
Allora Clint si fidò; serrò lo sguardo e si lasciò cullare dal lento respiro di Coulson fino a crollare.

 

*

 
Le luci vivaci del primo pomeriggio avevano già lasciato il posto al chiarore arancione delle ore più tarde e Bruce se ne stava comodamente seduto da un lato silenzioso della torre ad osservare il sole serale irradiare di rosso e d’oro l’oceano sotto di sé. Natasha arrivò alle spalle: camminò silenziosamente dietro di lui, adagiando con grande lentezza i piedi sul pavimento per non farsi sentire, ma il dottore era fin troppo abituato a tendere le orecchie per cogliere qualsiasi rumore, anche il minimo, e quello scricchiolio accennato gli giunse ai timpani prima ancora che finisse.
“Agente Romanoff.”
La Vedova Nera sospirò e rinunciò al suo tentativo di un attacco a sorpresa; raggiunse l’orlo della stanza su cui stava seduto il dottore, dove le sue gambe scivolavano oltre il bordo perché le vetrate avevano avuto vita breve a causa della battaglia. Trascinò pesantemente i piedi fin lì e si lasciò scivolare accanto a lui, fissando a sua volta il sole che tramontava sull’orizzonte scarlatto.
“Non sapevo fosse un amante della natura” disse qualche istante dopo con voce neutrale. Bruce non distolse lo sguardo dal tramonto, ma rispose lo stesso:
“Mi rilassa” rispose scrollando le spalle massicce e ancora scoperte. Sulla schiena erculea, c’erano numerosi tagli profondi e ancora non del tutto rimarginati. “Secondo i filosofi greci, l’uomo è attratto dalla natura perché è ciò in cui nasce... i filosofi tedeschi dicevano invece che la natura è il luogo in cui l’uomo può ritrovare se stesso e soddisfare almeno parzialmente il proprio desiderio di andare aldilà di qualsiasi cosa terrena perché la natura è divina.”
Natasha  annuì con un sorrisetto colpito.
“Non sapevo fosse un esperto di filosofia” commentò ed era un po’ meno distaccata. “Anche.”
Banner rise lievemente, una risata roca, quasi un latrato, che gli scosse il petto e le spalle devastanti. Abbassò il volto e Natasha osservò quel sorriso di striscio e, in quella frazione di secondo in cui si permise di guardarlo un po’ più attentamente, pensò che aveva un bel sorriso; era un peccato che ridesse così poco.
“Mi dispiace per quella bugia.”
Bruce rimase immobile, improvvisamente serio. Scrollò le spalle senza importanza.
“Lei non lo sapeva.”
“No” concordò, “ma non so se mi sarei comportata diversamente.”
“Nessuno è perfetto, agente Romanoff” le fece notare il dottore serafico. Lei lo fissò in tralice.
“Non sapevo che fosse tanto interessato alla filosofia” ripeté scettica.
“Non sapevo fosse tanto interessata ai mostri” le disse lui scuotendo il capo, riportato a fissare il sole ormai a metà nella volta celeste. “Mi attribuisce molta più importanza di quanta ne meriti.”
Natasha scosse a sua volta la testa e i riccioli rossi e neri di fuliggine le danzarono ai lati delle guance floride come molle stanche.
“Non mi risulta che un mostro abbia salvato il mondo, oggi.”
Ripose di nuovo gli occhi cristallini sul paesaggio e percepì lo sguardo attento del dottore su di sé.
“Tecnicamente, è stato Tony.”
Natasha sbuffò.
“Stark non ha bisogno che qualcuno incrementi ulteriormente il suo ego, dottore” commentò algida. “E lei avrebbe bisogno di un giretto dagli psicologi dell’autostima dello S.H.I.E.L.D.. Coulson ci ha passato l’adolescenza insieme, può fidarsi.”
Di nuovo quella risata forte riempì la stanza e Natasha si sentì scuotere lei stessa da quel rumore così forte e pieno; lo trovava molto gradevole, caldo, confortevole.
“Lei c’è stata?”
Natasha attese qualche istante e il sole scese ancora un po’ sotto il livello dell’oceano.
“Sì” rispose infine. “Gli assassini redenti sono i loro preferiti.”
“Allora, credo che ci farò un giro” replicò Banner e, pur senza guardarlo direttamente, Natasha poteva vedere la luce rossastra irradiargli il volto d’oro. “Se questi sono i risultati.”
L’agente Romanoff abbassò di nuovo il volto e poi lo sollevò, incrociando finalmente lo sguardo del dottore.
“Potrebbe accompagnarmi” aggiunse lui scrollando le spalle. “Se non è un problema. Natasha.”
Lei piegò lievemente gli angoli della bocca verso l’alto e un sorriso si aprì sulle guance pallide.
“Solo io e lei stavolta, magari.”
Mentre si univa alle sue risate, Natasha si chiese da quanto non ridesse. Si disse che, così, non l’aveva mai fatto.
 

*

 
Thor camminava lentamente lungo le scale della torre, osservandosi in giro con aria curiosa e ruotando nel palmo della mano il fedele martello. Quando finalmente raggiunse l’ultimo piano dell’imponente edificio, varcò con passo solenne la soglia, lasciando che il martello magenta, appena più logoro ai lembi e ricoperto in più punti dalla polvere dei calcinacci, gli danzasse alle spalle. appena ebbe superato l’ingresso il suo sguardo celeste cadde sulla figura imponente accanto al bancone.
“Capitano” esclamò andandogli incontro. “Ero in cerca dei nostri compagni.”
Steve sospirò pesantemente e scosse il capo.
“Non so dove siano” confessò con voce piatta. “Ci siamo separati.”
Thor non parve scoraggiato dall’affermazione; incurvò le labbra in un sorriso fiducioso e fece svolazzare il mantello con leggiadria.
“La separazione di due persone è sempre finalizzata alla loro reunione” proclamò in tono solenne. “Così sarà anche stavolta. Il buon fato interviene sempre a favorire il destino degli uomini di cuore.”
Steve emise un buffo verso divertito. Scrutò per un istante il vuoto davanti a sé, poi posò lo sguardo sul dio.
“Secondo te, ho sbagliato?”
Thor lo fissò con aria penetrante e pensierosa, inclinando il capo da un lato. Rimase per qualche minuto in silenzio, poi sospirò ed enunciò la sua sentenza.
“Io credo che le battaglie siano sempre ardue da combattere, soprattutto se non si conoscono i propri alleati” dichiarò pacato. “Si è costretti ad affidarsi completamente a uomini di cui si sanno poche nuove e questo accresce la trazione tipica delle guerre tra i combattenti. Tu e l’uomo di metallo avete caratteri più affini di quanto pensiate e questo è uno scoglio perché è manifesto che, a differenza tua, l’uomo di metallo non è avvezzo a confidare negli altri e protende a celare se stesso, ostentando una parte del suo animo che non è la migliore, nascondendoci quella più onorevole. Quella che ha salvato Midgard, Asgard e tutti gli altri sette Regni rischiando la propria vita. Il tuo pensiero non è ingiustificato perché l’uomo di metallo si mostra come tu dici, ma un uomo saggio sa vedere oltre la superficie.”
Steve ascoltò quelle parole con attenzione e, alla fine, un sorriso debole gli incurvò le labbra. Si avvicinò a Thor e gli batté affettuosamente una mano sulla spalla.
“Vado a cercarlo” gli disse convinto. Thor rispose al sorriso entusiasta.
“Io continuerò a tentar di rintracciare gli altri nostri alleati” annunciò allegro. Batté a sua volta un palmo possente sulla spalla del compagno e annuì fiducioso.
 

*

 
La Park era deserta, esattamente come tutta Manhattan, e Tony era stato abbastanza bravo nell’evitare le strade dove sapeva che gli agenti dello S.H.E.I.L.D., le uniche persone presenti all’interno del perimetro di Midtown evacuata a causa della battaglia poco dopo lo scontro.
Svoltò a destra e prese la via acciottolata guardandosi intorno con aria tranquilla, il giubbino di pelle schiuso e una mano ancora intrecciata a quella di Pepper.
“Perché c’è un buco a forma di Hulk sulla parete di quel palazzo?”
Tony scoppiò a ridere ancora e ormai sentiva quasi i muscoli della pancia fargli male per tutte quelle risate. Da quando avevano lasciato la Madison, avevano camminato a lungo, parlato di mille cose, si erano scambiati informazioni, avevano recuperato qualcosa da bere alla Boulangerie – Pepper aveva insistito perché lasciassero una banconota sul tavolo, nonostante i proprietari non ci fossero – e lei era rimasta seduta a ridere incantata mentre Tony preparava il suo frappè. Dopo quella discussione iniziale, l’atmosfera si era distesa e Tony aveva sentito quel sole dopo lo scontro risplendere; aveva concluso che valeva la pena di affrontare ogni missione se, dopo tutte le battaglie, doveva sentirsi così. Era come essere padroni del mondo, camminare insieme lungo le strade deserte, a mani unite, senza che nessuno li indicasse o li fermasse a chiedere informazioni, a trangugiare calorie in abbondanza e a parlare e ridere senza freni. Era l’alba più luminosa dopo una notte buia e la paura acquisiva essa stessa un senso se, per esistere, doveva condurre a quello.
“Credo che Bruce si sia decisamente lasciato prendere la mano” rispose tra le risate. “È un tipo molto potente.”
“Immagino” replicò prontamente Pepper, sorridendo divertita e bevendo un altro sorso del suo frullato. “Non sapevo fossi così bravo a preparare frappè.”
Lui si volse verso di lei e sfoggiò un ghigno compiaciuto e malizioso.
“Dimmi cosa non so fare, tesoro.”
Pepper rispose al ghigno scettica e gli diede una piccola spinta.
“Abbassa la cresta, caro.”
“Amore, non essere violenta.”
Pepper si fermò sul posto, stupefatta, e osservò Tony davanti a lei. Lui si fermò a sua volta, trattenuto dalla sua mano, e si voltò di nuovo per guardarla con aria interrogativa.
“Cosa c’è?” le chiese perplesso. Lei si morse il labbro inferiore.
“Come mi hai chiamata?” gli chiese stupita. Lui rifletté per un istante, poi sorrise.
“Amore?”
Pepper si avvicinò e gli schioccò un lungo bacio a fior di labbra.
“Io ti amo.”
Tony non seppe dire bene come successe: l’unica cosa che riuscì a capire fu che si sentì travolto, completamente, interamente, totalmente, da qualcosa che non aveva idea di cosa fosse, ma che adorava follemente perché lo faceva sentire leggero, appagato, qualcosa che lo avvolgeva e lo invadeva, con tanta intensità e tanta forza da fargli battere il cuore contro il petto fino a creare un’eco fuori di lì. Era la sensazione più piena e pienamente felice che avesse mai provato; era il suo sole, luminoso e raggiante come non l’aveva mai visto. 
Deglutì rumorosamente e ricambiò quello sguardo.
“Io ti amo” ripeté incredulo. “Sul serio.”
Pepper scoppiò a ridere di nuovo davanti a quell’espressione assurda e scosse il capo per poi stringersi a lui ancora una volta. Tony si schiarì la voce e le aumentò la presa sulle dita, tirandola verso la strada. Un vago colorito cremisi gli aveva imporporato le guance e Pepper continuava a ridere.
“Sei incredibile, Potts” disse dopo qualche istante di silenzio. “Sei riuscita a farmi diventare un uomo ancor migliore di quello che fossi... sei riuscita a farmi amare qualcuno all’infuori e più di me stesso.”
La risata cristallina di Pepper risuonò nella strada deserta ancora una volta.
“Hai fatto tutto da solo, Stark” cinguettò lei leziosa.
“Ma davvero?”
Tu mi hai baciata.”
“E tu ti sei affrettata a scansarti disgustata.”
“Avevo appena dato le dimissioni!” protestò lei fingendosi indignata.
“Respinte” gongolò Tony compiaciuto. “Non ti lascerò mai andare da nessuna parte.”
Continuarono a camminare ancora per un po’. All’improvviso, Tony scoppiò a ridere.
“Cosa?”
“Ma sul serio Coulson se la fa con Legolas?”
Pepper sbuffò esasperata e scosse il capo.
“Perché te l’ho detto?” si lamentò avvilita. “Phil mi farà a pezzi.”
“Nah” la rassicurò Tony serafico, “non potrebbe mai. A parte che fa parte dei suoi voti, far del male a qualcuno, ma poi dovrebbe affrontare Iron Man arrabbiato e comunque qualcosa l’avevo colta da solo... povero Legolas.”
“Guarda che Phil è una persona meravigliosa” lo rimbeccò Pepper convinta.
“E la violoncellista?” chiese Tony d’un tratto. “Quella di cui parlavate sempre...”
Pepper spostò gli occhi al cielo e si morse il labbro inferiore con aria colpevole. Tony la fissò stupefatto e ammirato.
“Se l’è inventata?” chiese incredulo. “Se l’è inventata? Cioè, quella povera donna per cui io e Capitan Padella ci siamo preoccupati tanto non esiste?”
“Aveva bisogno di scoraggiare Barton” spiegò lei ferma, “perché il protocollo e la morale e va be’, e io gli ho suggerito...”
Tu gliel’hai suggerito?” ripeté Tony ancor più stupito. “Ma amore, tu sei un genio del male. Sei sicura che non debba preoccuparmi?”
Pepper lo fissò maliziosa e bevve l’ultimo sorso di frappè.
“Forse dovremmo tornare alla Torre” proferì dopo qualche altro passo in silenzio. Tony emise un sospiro dubbioso.
“Saranno tutti là” disse neutrale. Pepper gli rivolse un sorriso incoraggiante.
“Potrebbe essere un buon momento per riappacificarti con loro” suggerì tranquilla. “Da quanto mi hai raccontato, non ti sei mai trovato tanto bene con delle persone prima d’ora...”
“Pensa come mi trovo con gli altri.”
“... e sarebbe un peccato rovinare tutto sul nascere per un piccolo disguido. Questi ragazzi sembrano simpatici. Magari diventate amici.”
“Parli come una madre con un figlio solitario e asociale a scuola, lo sai?”
Pepper rise ancora e gli tirò lievemente un braccio per guardarlo negli occhi.
“Allora? Tanto so che anche tu vuoi farlo.”
Tony sbuffò sonoramente e svoltò a destra diretto alla Madison.
“Non ridere Potts.”
 

*

 
Il sole era appena scomparso oltre l’oceano quando Clint si svegliò. Era ancora seduto sul pavimento, stretto tra le braccia di Coulson, quando riaprì gli occhi, e la prima cosa  che fece, prima ancora di dischiudere del tutto le palpebre, fu affondare il capo nel collo di Phil e borbottare frasi insensate ed inarticolate contro la sua gola.
“Sei ancora qui?”
Phil emise un verso divertito.
“E chi pensi che ti abbia tenuto addosso per tutto questo tempo?” chiese ridendo appena. “Ti sei agitato tanto.”
Clint sbuffò contro il suo collo e si aggrappò maggiormente al petto di Coulson.
“Ti stai incollando, Barton” gli fece notare l’agente passandogli una mano tra i capelli e osservando il suo volto con aria affettuosa. “Decisamente.”
“Devo recuperare tutto il tempo in cui le tue idee deficienti – e le ho trattate – mi hanno tenuto a venti chilometri di lontananza.”
Phil rise di nuovo e premette un bacio sulla fronte del Falco.
“Barton!”
La voce di Natasha fece trasalire entrambi; appena Phil udì i suoi passi avvicinarsi, fece per alzarsi, ma Clint emise un verso di protesta e lo costrinse a rimanere con il petto sotto la sua guancia e le braccia attorno alle proprie spalle.
“Hai detto che non mi lasciavi” lo rimbeccò piccato. Coulson aprì la bocca per protestare, ma proprio in quel momento l’agente Romanoff e il dottor Banner varcarono la soglia del salotto. I loro occhi vagarono per tutta la stanza prima di posarsi sull’angolino in cui Barton era ancora semi steso addosso a Phil e un’espressione maliziosa si dipinse sul volto della prima ed una imbarazzata su quello del secondo.
“Oh” fece Bruce e un colorito vagamente purpureo si diffuse sulle sue guance. A quanto sembrava, era riuscito a recuperare una maglia. “Scusateci.”
“Non si preoccupi, dottore” disse frettolosamente Phil, le orecchie tanto rosse che sembravano sul punto di prender fuoco da un momento all’altro. “Ci alziamo subito.”
Si alzò con la forza, ignorando la protesta di Clint, e si lasciò cadere sul divano; Barton lo fissò con aria minacciosa.
“Esigo una lauta ricompensa per parecchie cose.”
“Di che parli, Falco?” chiese Natasha increspando le labbra in un sorrisetto malizioso. Clint la ignorò. “Vi stavamo cercando da parecchio” aggiunse dopo qualche istante, prendendo posto sul bracciolo del sofà vicino a quello su cui sedeva Phil. “Sapete dove sono gli altri?”
“No, mi spiace” rispose Coulson mortificato. “Spero che Stark non abbia fatto nulla di stupido.”
Bruce li raggiunse vicino al divano e si sedette su quello dove stava in bilico Natasha.
“Sono sicuro che sia tutto tranquillo” commentò con fare rassicurante. “Tra poco probabilmente ci raggiungeranno.”
Non aveva neanche finito di parlare che Thor varcò la soglia e li raggiunse a braccia spalancate.
“Miei prodi compagni” esordì compiaciuto. “Vi cercavo da tempo indefinito.”
Clint, che tra loro era quello meno abituato al linguaggio di Thor, lo fissò leggermente perplesso.
“Perché parla come un personaggio di Shakespeare?”
Coulson gli mollò un calcio e lui mise su un’espressione offesa. Il suo malcontento, però, non ebbe possibilità di manifestarsi perché, proprio in quel momento, il Capitano entrò a sua volta nel salotto.
“Eccovi” disse rivolgendo loro un sorriso un po’ debole. Lasciò vagare il suo sguardo sulla stanza, poi parlò di nuovo: “Stark non c’è?”
“No” rispose Phil laconico. “Lei non l’ha visto, Capitano?”
“No” replicò Steve con la stessa aria avvilita. “L’ho cercato dappertutto, non ho trovato la minima traccia.”
Sbuffò sonoramente e si lasciò cadere contro il divano accanto all’agente, abbandonando lo scudo ad un lato del sofà. Stava cominciando seriamente a preoccuparsi per Tony quando il diretto interessato fece la sua entrata trionfale nel salotto. Varcò la soglia a passo spedito, come per raggiungere frettolosamente il corridoio dall’altra parte, quando il suo sguardo saettò sul gruppo di inusuali ospiti nel suo boudoir e allora si fermò di botto in mezzo alla stanza. Dietro di lui, una ragazza la cui mano era stretta alla sua, si bloccò a sua volta.
“Siete qui” esordì stupito. “Pensavo foste alla centrale operativa.”
Pepper gli strattonò leggermente il braccio, ma, per fortuna, nessuno se ne accorse. Tutti avevano lo sguardo fisso sul centro della stanza e spostavano lo sguardo da Tony alla ragazza alle sue spalle, stupiti e perplessi.
Phil, che era l’unico a conoscenza dei fatti, oltre Natasha la quale non sapeva, ma capiva ogni cosa, rivolse un sorriso affettuoso a Pepper, che lei ricambiò.
“Ciao Virginia” le disse con voce pacata. “Sono felice di vederti.”
“Anche io” rispose lei con voce timida. “Anche che tu stia bene” aggiunse indicando il braccio fasciato. Phil lo scosse con aria di sufficienza.
“Non è niente” minimizzò tranquillo. Pepper annuì e rivolse lo sguardo a Natasha, che la fissava scettica.
“Ci ho sperato fino alla fine che non succedesse” commentò scuotendo il capo. Pepper scoppiò a ridere e Tony fissò l’agente con espressione sarcastica.
“Ma quanto spirito, Gracie Hart” la rimbeccò piccato. Steve, che continuava a guardarsi attorno perplesso, si scambiò un’occhiata con Banner. Quando vide che neanche lui sembrava cogliere il senso della discussione, intervenne:
“Ma di che state parlando?” chiese dubbioso. “Sperato in cosa? Quale fine? Stark, cosa succede? Chi è lei?”
“Non è evidente?” lo interruppe Thor compiaciuto. “È la sua promessa.”
Clint aggrottò la fronte senza capire e si rivolse al dio con un’espressione educatamente perplessa che non gli si addiceva affatto.
“Prego?”
Thor sbatté le palpebre e scrollò le spalle.
“La sua promessa” ripeté convinto. “La sua metà... la sua promessa. È evidente per il modo in cui si muovono in simbiosi e comunicano con gli sguardi. È la sua promessa.”
Pepper arrossì appena e abbassò il volto, Tony le lanciò un’occhiata divertita di sfuggita prima di rivolgersi di nuovo alla squadra.
“Bene” disse con aria leggermente impacciata. “Dunque, squadra, lei è Pepper. Pepper, loro sono la squadra: Capitan Ghiacciolo, Thor, Legolas e il dottore. Agente e Gracie Hart già li conosci.”
Natasha lo fissò con le sopracciglia appena levate e Phil roteò gli occhi al cielo esasperato.
“Sei impossibile, Stark” commentò scuotendo il capo. “Assolutamente impossibile.”
Tony sorrise malizioso e Coulson ebbe un brutto presagio; notò di sfuggita l’espressione colpevole di Pepper e sentì di nuovo le orecchie prender fuoco. Si rivolse alla sua amica con aria disperata e lei si morse il labbro implorante.
“Non è colpa mia” si scusò subito. “Sei stato tu a farti beccare... mi ha chiesto esplicitamente se fosse così e dimmi tu cos’altro avrei potuto fare.”
Phil emise un verso disperato e gettò il capo all’indietro; dal pavimento, Barton ghignò.
“Perché continuo a non capire niente di quel che sta succedendo?” ripeté Steve perplesso. Tony gli rivolse un sorrisetto allusivo.
“Mio caro Capitan Padella, devi sapere che non sono l’unico ad avere una relazione” gongolò compiaciuto. Phil lo frenò all’istante.
“Non è una relazione, è iniziata tre ore fa” specificò. Stavolta il calcio lo prese lui.
“Be’, è una relazione iniziata tre ore fa” disse Tony semplicemente. “Ufficialmente. Perché mi risulta che tu e Barton abbiate cominciato ad avvicinarvi molto prima...”
“Tu e Barton?” ripeté il Capitano stupefatto.
“Mi avevi anche inventato la violoncellista” fece Phil. Pepper lo guardò sempre con quell’aria colpevole.
“Inventato?” disse Clint stupito. “Santo Cielo, dimmi che stai scherzando.”
Phil lo ignorò.                    
“Non prendertela” lo blandì Pepper tranquilla. “Tanto l’avrebbe scoperto comunque.”
Un silenzio eloquente cadde nella stanza; Tony pensò all’ultima volta che si erano visti, poche ore prima, e a quello che aveva seguito i loro silenzi. Seppe con certezza che anche gli altri lo stavano pensando. Conscio di quello, fu il primo a parlare di nuovo:
“Mi dispiace esser fuggito così, prima” esordì con voce serafica. “Cioè, Fury ha sbagliato, ma non dovevo comportarmi in quel modo.”
Bruce lo fissò comprensivo.
“È stata una reazione giustificata, soprattutto dopo quello che ti era successo.”
Tony fece una smorfia.
“Non proprio” disse scrollando le spalle. “Comunque, mi dispiace.”
“Anche a me” intervenne Steve. Deglutì e lo guardò negli occhi. “Avevi ragione tu: ti ho giudicato senza saper nulla di te, solo per come sembravi fuori, senza pensare a come ti sei mostrato nel momento davvero importante. Non è vero che pensi solo a te stesso.” Per un istante, i suoi occhi guizzarono su Pepper e lei arrossì ancora. “Non avrei dovuto fermarmi all’apparenza” riprese e spostò lo sguardò su Thor con un sorriso. “Gli uomini saggi vedono oltre la superficie.”
“Be’, anche io dovrei scusarmi di qualcosa” interloquì Phil. “Avrei dovuto avvertirvi in tempo di quello che era successo.”
“Se è per questo” disse Bruce, togliendosi per un attimo gli occhiali, “io non avrei dovuto distruggere l’Elivelivolo.”
“E io non avrei dovuto proteggere Loki permettendogli di attuare il suo delirio venefico” aggiunse Thor con aria affranta. “Ma cercate di capire. È mio fratello.”
Nessuno di loro ebbe la forza di fargli notare per la millesima volta che non fossero veramente fratelli e Natasha intervenne.
“Suppongo, dunque, che io non avrei dovuto nascondere le bugie di Fury” disse scrollando le spalle. Tutti si voltarono contemporaneamente verso Clint e lui li osservò stupito.
“E va be’, mi scuso pure io” disse infine. “Anche se poi non ho fatto niente.”
“Tu non fai mai solo ‘niente’, Barton” disse Natasha roteando gli occhi al cielo spazientita.
“Questo momento va suggellato” intervenne Thor con la sua voce profonda. Afferrò il suo martello facendolo roteare e raggiunse il centro della stanza con passo cadenzato. Tony tirò Pepper più vicino a sé per evitare che venisse investita dalla notevole mole del dio e tutti rimasero ad osservare il Mjolnir puntare verso il pavimento. Una luce bianca scaturì dalla punta di ferro e, quando riaprirono tutti gli occhi, sul cemento grigio, c’era un principio di una pianta dalle foglie luminose.
“Un albero di limoni?” domandò Natasha perplessa. “Perché?”
“Il limone, agente” le rispose Thor appagato, “è simbolo di concordia e rinascita. Che fiorisca in questo luogo dove entrambi abbiano trovato entrambe e sia per sempre simbolo della nostra amicizia.”
L’agente Romanoff accennò un sorriso divertito e quello contagiò quasi tutti i presenti, ognuno incantato a fissare il germoglio fiorire dinanzi ai propri occhi. Fu Natasha a rompere di nuovo il silenzio, rivolgendosi ancora una volta a Pepper. “Virginia, per caso c’è qualcosa che possiamo mangiare?”
Pepper sorrise tranquilla e sciolse con dolcezza le dita dalla stretta di Tony.
“Certamente” rispose indicandole la cucina. “Vieni.”
“Uh, cibo?” annusò Clint saltando in piedi. “Dove c’è cibo, c’è Barton.”
Seguì Natasha verso la cucina e tirò un Coulson disperato dietro di sé. Tony sospirò profondamente e fece per avviarsi anche lui quando Bruce lo raggiunse.
“Hai smesso di sanguinare” gli disse con un sorriso divertito. “E la mano mi sembra in buone condizioni. E anche tu.”
“Uhm, già” grugnì l’altro. Steve e Thor si scambiarono uno sguardo complice. Il dio continuava a sorridere soddisfatto.
“Sei stato all’ospedale?”
“No” rispose Tony con il suo miglior ghigno irriverente. “Ho una fidanzata che gira con una cassetta del pronto soccorso nella borsa.”
“E che attraversa mezza New York da sola per venirti a cercare” aggiunse Steve stupito. Thor sospirò sognante.
“E che ti sopporta ogni singolo giorno” rincarò la dose il dottore. Tony li fissò a turno con aria sarcastica, prima di roteare gli occhi al cielo davanti all’espressione incantata di Thor.
“Siete francamente insopportabili... ve l’ho mai detto?”
“Dimmi, Tony” gli chiese Bruce poggiandogli una mano sulla spalla con fare amichevole e ignorando l’ultima provocazione, “cosa hai fatto per meritarla?”
Tony sorrise – non ghignò, non sghignazzò, non schernì, non canzonò, ma sorrise di un sorriso vero – e arricciò le labbra compiaciuto.
“Non ne ho la più pallida idea” sussurrò colpito. “Ma qualsiasi cosa sia, sono felice di averla fatta.”









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So che tutti pensavate fossi scomparsa, ma ultimamente il mio umore e la mia testa mi stanno giocando brutti scherzi, quindi esordisco col dirvi che non vi prometto niente di niente per il futuro e quel che avrò voglia di pubblicare pubblicherò. ^^

 Questa storia era in cantina da un sacco di tempo - la scrissi a Marzo - e rappresenta il mio Epic Win personale perché comprende e riassume tutti i motivi per cui shippo le coppie che shippo e inoltre, per la prima volta, credo di esser riuscita a rendere veramente IC i personaggi - lo confesso, mi riferisco soprattutto a Natasha. Il suo turbolento rapporto con Bruce ha sempre costituito un grande ostacolo per me poiché, considerata la sua indole complessa, non ho mai pensato di esser riuscita a darle l'aspetto che le confà come donna innamorata e qui, anche se brevissimamente, penso di esserci andata abbastanza vicino :D. *Piccolo momento di autocelebrazione*.

Yep, purtroppo sarò costretto a trattenervi ancora qualche istante per le note che, stavolta, mi duole informarvi, sono chilometriche. Anyway, siete tutti autorizzatissimi a saltarle e a vivere benissimo facendolo. ;)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Dunque: 

-perché l’albero di limoni: perché il limone è un frutto divino. Nella mitologia greca, il limone era simbolo di amore e fecondità, rinascita e concordia. È il frutto dell’amore per antonomasia che la Terra, la dea Gaia, dona a Zeus per il suo primo matrimonio, quello con Era, alla quale non sarà sempre fedele, ma che comunque resterà la sua prima moglie per sempre e dalla quale tornerà sempre – le altre sono tutte distrazioni. Era li coltivò in un giardino, dove crebbero così belli che Zeus, geloso della loro bellezza e timoroso che ladri invidiosi potessero appropriarsene, chiese alle Ninfe Esperidi di far loro la guardia; da qui il giardino prese il nome delle Ninfe che lo custodivano.
Qui è usato in funzione simbolica, in quanto metafora dell’amore (quello che lega, nelle sue diverse forme, tutti i protagonisti), della fecondità (fecondato è il terreno ideale in cui nascono i rapporti di amore e amicizia), della rinascita (dopo la battaglia) e della concordia (dopo i litigi);
-l’idea di Tony così provato dagli eventi è chiaramente ispirato ad Iron Man 3;
-la frase di Tony sulla torre (la mia Evangeline) è un riferimento al film animato Disney, “La principessa e il ranocchio”;
-Stephanie è un personaggio di mia invenzione che funge da segretaria per Pepper in molte altre mie storie;
-l’idea che Pepper calzi le Louboutin è ispirata ai film stessi, dove indossa spesso scarpe di Christian;
-nel dialogo tra Natasha e Bruce, l’ultima battuta del dottore è un riferimento al loro primo incontro;
-Gracie Hart è la protagonista femminile di Miss detective, una donna poliziotta dal carattere piuttosto forte. In molte altre mie storie Tony usa questo appellativo per riferirsi a Natasha;  
-l’idea del martello di Thor da cui nasce il rametto dell’albero di limoni è ispirato ad un mito greco, sulla nascita di Atene. Per avere il predominio su questa città, Atena e Poseidone si sfidarono e Zeus stabilì che l’avrebbe avuto chi avrebbe concesso il regalo migliore: Poseidone regalò un cavallo e Atena conficcò la punta della propria lancia sul suolo e da quella spuntò un rametto d’ulivo. Fu lei a diventare poi la protettrice di Atene, che proprio da lei prese il nome. 

So, eccoci alla conclusione. Voglio sprecare un ultimo minuto per ringraziare chi mi segue e scusarmi per le mancate risposte alle recensioni. Non so garantire niente, ora come ora, ma spero di riuscire a recuperarle tutte, prima o poi. Sappiate, comunque, che le leggo e mi rendono taaaanto felice. *___*
Un bacio a tutti e alla prossima! 
Mary. 

 

   
 
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