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Autore: kenjina    28/08/2013    4 recensioni
Per tutta la vita aveva avuto l’orribile sensazione di essere continuamente tradito da chiunque lo circondasse e diceva di amarlo. Era una consapevolezza che spesso tornava a schiaffeggiarlo durante le sue lunghe notti insonni, quando l’unica cosa contro cui poteva sfogare la sua rabbia erano le lenzuola del letto e l’innocente cuscino.
[Sir Guy di Gisborne]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehilà!

Entro quatta quatta in questo fandom che amo da relativamente poco, ma che mi sta deliziando all’inverosimile.

Per chi non mi conosce e non sa cosa scrivo, sono una che adora i personaggi tormentati. Quelli che sarebbero da odiare, ma che finisci per amare senza remore.

Guy di Gisborne è uno di questi, e dopo mille tentativi per varie long, eccomi qui con una breve one shot.

È la mia personale visione del personaggio, un rapido excursus su quella che è stata la sua vita, fino al giorno della morte – cosa per cui ho odiato gli sceneggiatori, ma li ho anche adorati.

Ma non è questa la sede per parlarne, quindi vi lascio a questa... cosa.

Grazie a chiunque leggerà! E buona lettura!

Marta.

 

Ps: l’immagine è un mio disegno, fatto velocissimamente per il compleanno dell’affascinante attore che interpreta Sir Guy, Richard Armitage. Vi prego quindi di rispettarne i diritti. Grazie!

 

Proditus

 

 

Per tutta la vita aveva avuto l’orribile sensazione di essere continuamente tradito da chiunque lo circondasse e diceva di amarlo. Era una consapevolezza che spesso tornava a schiaffeggiarlo durante le sue lunghe notti insonni, quando l’unica cosa contro cui poteva sfogare la sua rabbia erano le lenzuola del letto e l’innocente cuscino.

Se la gente del suo villaggio lo avesse visto durante quelle notti, avrebbe stentato a riconoscere il tanto temuto braccio destro dello Sceriffo. Alcuni servi raramente osavano muovere qualche passo verso le scale che portavano al piano superiore, dove era la sua stanza, e ascoltavano preoccupati quei gemiti di rabbia e frustrazione che non gli permettevano di dormire. E quando finalmente il sole sorgeva e giungeva l’ora di alzarsi, Sir Guy di Gisborne si svegliava con profonde occhiaie che contornavano e scurivano i suoi occhi freddi, sempre più astioso contro qualsiasi cosa respirasse e si muovesse.

Quella danza di ipocrisia e inganni era nata con l’abbandono del padre, quando aveva deciso di lasciare la sua famiglia per servire il suo Re e seguirlo in Terra Santa. Non era che un ragazzo, all’epoca, e si era ritrovato a dover lasciar scorrere via la sua adolescenza, per diventare un uomo prima del tempo e badare alla sua famiglia.

Poi, c’era stata l’adorata madre, di cui voleva serbare solo il ricordo migliore, ma che aveva tradito sia suo padre che se stesso e la piccola Isabella. La bella e perfetta Ghislaine, che si era donata al padre di quel moccioso arciere e che ora era diventato il suo nemico giurato; lei, che lo aveva tenuto all’oscuro di tutto, per proteggere il suo onore e quello del marito; lei, che gli aveva proibito di andare a trovare il padre quando egli era tornato dalle Crociate e si era rivelato essere un lebbroso. L’odio e la rabbia che aveva provato quel giorno, quando l’aveva seguita e vista mentre portava il pranzo al marito, lo avevano reso talmente cieco da maledirli entrambi, per il dolore che gli stavano causando.

Il pomeriggio di quel funesto incendio fu il peggiore di tutta la sua vita: i suoi genitori erano morti tra le fiamme, lasciandolo senza neppure un corpo da interrare e da pregare. Ma quel giorno, lui e la sorella non avevano perso solo i genitori: erano rimasti senza un tetto sotto cui ripararsi, né un titolo a cui aggrapparsi. Erano soli e cacciati dal villaggio che li aveva visti crescere.

Erano stati gli anni più duri; tornati in Francia, nella patria della madre, Guy aveva dovuto lavorare sodo pur di rifarsi un nome e un onore. E quando era giunta l’occasione di riscattarsi, per lui e la sorella, quando l’audace Thornton gli aveva proposto un buon prezzo per Isabella che avrebbe permesso ad entrambi di riprendere in mano la propria vita, lui l’aveva colta al balzo. Sapere la sorella sposata con un uomo ricco e potente, gli diede la forza necessaria per scalare le alte vette del potere, e reclamare ciò che gli apparteneva.

Vasey di Nottingham aveva visto in lui un valido alleato, e Guy aveva ritrovato il suo orgoglio, sepolto da qualche parte nel suo passato. Ed era diventato l’odioso e spaventoso cavaliere nero che si aggirava per Locksley e i villaggi limitrofi, seminando terrore, mozzando mani ai ladri e riscuotendo anche il minimo avere della povera gente, per riempire le casse di Nottingham; tutto l’odio e la rabbia che aveva covato da ragazzo, veniva sfogata su quegli innocenti e patetici omuncoli. Ma a discapito di ciò che avrebbe potuto pensare il popolo, lui non amava ciò che faceva; non provava gusto nel diffondere il panico e nell’assecondare la crudeltà dello Sceriffo. Lui era così perché non aveva altro, perché non vi era altra via d’uscita da quella situazione; voleva potere, e Vasey di Nottingham glielo aveva dato.

E quando tutto sembrava girare per il verso giusto, l’aveva vista.

La sua salvezza e la sua perdizione.

Marian.

Quell’angelo fiero e indomito doveva essere suo, dal primo momento in cui vi aveva posato lo sguardo. Il desiderio di possederla, di stringerla tra le braccia ed affondare il viso tra quei morbidi boccoli castani divenne giorno dopo giorno insostenibile. E più la corteggiava, più lei pareva irraggiungibile. Avrebbe dato la vita pur di vederle l’anello del sacro matrimonio alla sua mano sinistra e reclamarla come sua moglie. E quando finalmente era giunto il momento, quando lei aveva accettato e l’aveva vista al suo fianco, sull’altare, ecco l’ennesimo pugno – che quella volta fu anche letterale.

Non conobbe umiliazione più grande di quella di essere abbandonato davanti a Dio e alla sua gente. E si era sfogato nel peggiore dei modi: aveva dato alle fiamme la sua casa e aveva costretto lei e il padre malato a vivere nel castello, sotto una costante scorta di soldati e le sue minacce non troppo velate.

Si era costretto di odiarla con tutto il cuore per ciò che gli aveva fatto, per aver spezzato i suoi sogni di una vita migliore e libera dai peccati, per avergli fatto credere di provare un minimo di affetto nei suoi confronti, quando invece era solo un modo come un altro per illuderlo e prendersi gioco di lui. Aveva tentato con tutte le sue forze di farla soffrire, come lui stava soffrendo, promettendosi di anteporre la sua rabbia di fronte a quel sentimento che, purtroppo o per fortuna, ancora provava per lei.

E quando ancora una volta la vita sembrava sorridergli, ad un passo dalla gloria, con la lama lucente della spada puntata verso il Re d’Inghilterra e la promessa dell’assoluto potere che sarebbe seguito grazie a quell’omicidio, lei era riuscita a tradirlo ancora una volta.

Ed era stato più doloroso della prima.

Preferisco morire piuttosto che stare con voi, Guy di Gisborne.

Fece più male di una stilettata al cuore; così come era sicuro che avrebbe sofferto di meno, se glielo avessero strappato a mani nude.

Io sposerò Robin Hood.

Il sorriso su quelle labbra e i grandi occhi azzurri, mentre pronunciava quel nome, gli aveva annebbiato la vista. Aveva percepito la gola seccarsi, il cuore rallentare i suoi battiti, e il suo sangue... il suo sangue ribolliva dalla rabbia.

Io amo Robin Hood.

Quella semplice frase rimbalzò nella sua mente per quelle che sembravano ore, torturandolo, facendolo vacillare.

Poi la quiete.

Per una frazione di secondo aveva creduto di essere finalmente in pace con se stesso. Non udiva più alcun rifiuto, nessuna donna reclamava l’amore del suo acerrimo nemico. C’era solo il silenzio pacifico di quel villaggio sperduto nel deserto; neppure il loro respiro era udibile nell’aria, giacché entrambi lo stavano trattenendo.

Giunse come un poderoso pugno allo stomaco.

La consapevolezza di ciò che aveva appena fatto arrivò nello stesso istante in cui lasciò la presa sulla schiena della donna e sull’elsa della spada. E tutto ciò che riusciva a vedere era quella macchia rossa e umida che impregnava velocemente il tessuto leggero e bianco del suo abito – come una macchia d’inchiostro sfuggita alla penna e che tingeva la pergamena.

Pareva una sposa.

Ma non la sua.

Non lo era mai stata, neppure per un breve istante.

Neppure quando credeva che fossero amici.

Aveva iniziato a sfogare la sua rabbia, la sua frustrazione, il suo eterno dolore con l’alcol. Non si radeva, non si lavava, si reggeva a stento sulle gambe, intontito dalla sbronza della notte precedente. E sebbene tutti avessero continuato a temerlo come il Diavolo in persona, ormai del Guy di Gisborne di un tempo non rimaneva che un’ombra sbiadita.

Il cerchio di quei tradimenti che lo avevano reso l’uomo risentito ed astioso per cui andava famoso, era stato chiuso da due persone che erano parte integrante della sua vita. Quello che aveva servito e ammirato come un padre, e che per raggiungere i suoi scopi non aveva esitato a lasciarlo in pasto al Principe Giovanni, e ad ucciderlo: proprio lo Sceriffo, che avrebbe venduto sua madre pur di avere quel potere tanto agognato; e lei, la sua dolce e cara sorellina, scappata dal matrimonio, che aveva deciso di fargli pagare ciò che fece solo ed unicamente per il suo bene, diciassette anni prima: le aveva trovato marito e una sicurezza economica migliore di qualsiasi altro partito, e lei lo accusava di averla abbandonata, di averla venduta.

Lì, in quello sperduto angolo di Sherwood, accanto al placido movimento di uno specchio d’acqua, Guy stringeva tra le braccia l’unica persona che aveva visto la luce nel buio del suo cuore; l’unica persona che si fosse sinceramente preoccupata per lui e che aveva perso la vita pur di salvare la sua. Lui, che avrebbe preferito morire per liberarsi da quei demoni che continuavano a tormentarlo, giorno e notte, con che diritto avrebbe potuto ancora camminare su quella terra, grazie al coraggio di una sconosciuta, troppo ingenua e buona?

Si ritrovò a ridere tra le lacrime, privo di ironia.

L’unica cosa che lo teneva in vita, ora, era la vendetta. Era il desiderio di riscattare quell’esistenza di odio e di tormenti. Aveva le mani troppo sporche di sangue, ma le avrebbe lavate via con quello di chi meritava di essere trapassato dalla sua spada.

E mentre scavava a mani nude la fossa per interrare quel giovane corpo, ormai mortalmente freddo e immobile, Guy immaginò la sua tomba.

Era insignificante, gelida, isolata, dimenticata da Dio. Le erbacce secche la ricoprivano quasi interamente, perché nessuno si prendeva la briga di ripulirla e onorarla.

Che onore vi era stato, infatti, nella vita di quel mostro?

 

* * *

 

Il passaggio segreto, nel ventre del castello, era umido e imponente. Il corridoio, che dal cimitero proseguiva sotto terra, si apriva in una grande sala colonnata, le cui pietre lisce ed imponenti parevano reggere il peso del mondo. Vi era una fresca corrente d’aria provenire dalla grata che portava alle cantine, ma quelli non se ne curarono. Sudavano freddo per la tensione, e rabbrividivano per la paura.

Appena i soldati furono fuori dalla loro vista, uscirono dal nascondiglio e corsero verso la salvezza, alla fine di quel buio e lungo corridoio. Durò qualche minuto, poi l’eco dei passi affrettati dei fuggitivi si fece sempre più flebile, fino a sparire, riportando i sotterranei nel più completo silenzio. Si udiva solo qualche goccia di umidità che cadeva lentamente dal soffitto. Tutto era immobile, compreso quel corpo. Sembrava addormentato, finalmente sereno e libero dal dolore e dalla rabbia che lo avevano consumato.

Era lì, steso al centro della sala, in quel mausoleo che pareva costruito proprio per lui e per ricordare un uomo che aveva smesso di esistere, ma che era riuscito finalmente a vivere, seppur per poco.

   
 
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