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Autore: DonnaInRosso    01/09/2013    0 recensioni
Una donna alle prese col proprio passato. Vecchi fantasmi che riaffiorano e nuovi casi da risolvere. Isabella ha tutto questo a cui pensare, e a volte il mero andare avanti non basta.
Dal primo capitolo:
Ho davvero necessità di dormire.
Ritorno a letto, sul comodino mi aspetta la mia vecchia amica, una seducente bottiglia di gin. Prendo una dose standard di pillole, ad occhio e croce sembrerebbero una mezza dozzina, e le butto gli d’un fiato con un sorso di gin. Per un po’ riposerò senza fare brutti sogni.
Domattina sarà un’altra giornata di merda.
Il cielo notturno è plumbeo, di sicuro domani pioverà. E quando piove le notizie sono ancora più brutte del solito. Un’ultima occhiata al cuscino per vedere se la Glock è ancora al suo posto, poi sprofondo in un sonno senza luce.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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<< Se cerchi di urlare o di scappare, ammazzo tua sorella intesi? Anche tu, se non fai la brava dovrò ammazzarla. Ok? Adesso andiamo a fare un giro nel bosco... >>
 
Siamo mano nella mano, perché solo così possiamo farci coraggio a vicenda. Lo seguiamo senza fiatare, ci ricatta, non possiamo difenderci. Abbiamo tanta paura, lui non ci perde d’occhio un solo istante. È riuscito ad entrare in casa perché papà aveva ancora una volta dimenticato di risistemare la vecchia serratura della porta di legno e perché lui può avvicinarsi a casa nostra quando e come vuole senza che nessuno gli dia peso.
 
Lui lavora per papà. Lo aiuta nella gestione della fattoria, mamma gli prepara sempre cose buone e, quando ci riuniamo a tavola tutti insieme, ci prendiamo per mano e recitiamo la preghiera di ringraziamento.
Oggi è venuto a ritinteggiare il tetto della stalla e quando ha finito, papà gli ha dato una pacca sulla spalla, insieme hanno sorriso e hanno bevuto una bottiglia di birra fresca a testa.
Quel pomeriggio è venuto a giocare con me e mia sorella Stella, ha preso il tè con le nostre bambole di pezza e con dei fili di lana colorata e delle perline abbiamo creato delle bellissime collanine.
 
Quando è venuto a prenderci di notte, indossava ancora il bracciale speciale fatto apposta per lui, con la pasta cruda e la vernice spray blu.
 
Ha un coltello affilato con sé e lo punta al collo di Stella, ma io non urlo, anzi non emetto alcun suono; se cerco di svegliare papà lui la ucciderà e poi ammazzerà anche me e dopo salirà per le vecchie scale di legno cigolanti ed entrerà in camera di mamma e papà e li massacrerà senza pietà.
 
È così che ha detto che farà se non ubbidiamo.
 
Siamo arrivati allo stagno delle ninfe fatate, ma di notte quel posto non è così bello come quando ci veniamo con la mamma. Mamma ci racconta sempre belle storie su quel posto e sugli abitanti segreti che vi abitano. Dice che le ninfe fatate appaiono solo di notte, quando nessuno può vederle e far loro del male, ma adesso ci siamo solo noi.
Lui si gira verso di me e mi ordina di sedermi ai piedi dell’albero secolare, quello dove papà aveva promesso a me e a Stella di costruire il nostro forzino segreto, con ponti e funi annodate per arrampicarsi.
Poi prende per mano mia sorella e la porta lontana da me. Le toglie il pigiamino  degli orsetti e lo getta nel fango, Stella ne è triste: quello è il suo pigiama preferito. Poi le sfila le mutandine e comincia ad accarezzarle il visino spaventato.
 Io la guardo ma non posso fare nulla per aiutarla.
 Fa freddo, fa tanto freddo e Stella trema tutta, comincia a piangere e a chiamare la mamma.
Lui le dice di stare zitta, zitta e buona ma Stella ha paura e ho tanta paura anch’io.
Lui le mette una mano davanti alla bocca, ma il faccino di Stella e così piccolo sotto la forza di quella mano gigante e dopo un po’ Stella ha smesso di divincolarsi dalla sua stretta. Non piange né trema più, e lui comincia ad agitarsi. Mi guarda e non sa cosa fare, si arrabbia e dice cose che non ho mai sentito pronunciare e parole che non capisco perché ho solo 6 anni.
Mi raggomitolo e mi schiaccio contro il tronco di quell’albero millenario, ma non sono ancora invisibile ai suoi occhi. Lui prende il corpo di Stella tra le braccia e poi lo adagia sul pelo dell’acqua. Quasi subito la vedo sprofondare giù e scompare sotto i miei occhi.
Lui sembra essersi dimenticato di me, comincia a piangere e a disperarsi e a maledirsi. Anche lui sembra un bambino adesso, anche se ha già 17 anni.
 
Vorrei scappare, tornare a casa, ma credo di essermi persa, non so più come tornare indietro, e poi non posso lasciare Stella da sola nel bosco, quando ritornerà su a galla si spaventerà un sacco e si arrabbierà con me per averla abbandonata.
Lui d’improvviso si gira verso di me e si avvicina furibondo.
Prende il suo coltello e mi fa un taglio sul braccio. Brucia, brucia un sacco, ma continuo a non fare rumore, anche se mi fa male e il sangue comincia a macchiare il mio pigiama.
 
<< Se dici a qualcuno quello che hai visto, verrò di nuovo a casa tua e fredderò te e la tua famiglia, hai capito? >>
 
Gli faccio cenno di sì con la testa e lui mi ordina di andare via e allora scappo nel bosco buio e cerco la via di casa. Cado più volte nell’erba alta e bagnata, gli alberi coprono la luce della luna, mi sbuccio le ginocchia e mi graffio il viso.
Mamma si arrabbierà molto quando vedrà come sono ridotta, ma adesso non importa, devo tornare a casa, lui me lo ha ordinato. Giro in tondo quasi tutta la notte, ma poi da lontano vedo la mia vecchia casetta di legno bianca e rossa e corro dritta in camera mia.
Domani io la mamma e il papà andremo a riprendere Stella nel bosco.
Le piccole ninfe fatate la terranno compagnia per stanotte.
 
 
Mi sveglio in preda al panico, la fronte madida di sudore. Sempre lo stesso maledettissimo sogno, mi tormenta ormai da 19 lunghissimi anni.
Guardo la sveglia, sono le 3:48. Merda. Se non riesco a recuperare qualche ora di sonno, domattina sarò uno straccio a lavoro. Poggio i piedi sul marmo ghiacciato, ma non ho bisogno di quel freddo contatto per svegliarmi dal torpore del sonno. Anche per stanotte Morfeo è andato a farsi fottere.
Vado in bagno e la mia faccia allo specchio mi fa rabbrividire.
 
Cavolo, queste brutte occhiaie non sparirebbero nemmeno se Michelangelo in persona venisse a farmi il più grande lavoro di restauro.
 
Apro l’armadietto pieno zeppo di farmaci e tranquillanti e ne tiro fuori il solito flaconcino arancione di sonniferi che abbatterebbero un cavallo puro sangue, ma non me.
 
Magari ha effetto solo sugli animali, Isabel, la prossima volta rivolgiti ad un vero medico e non ad un veterinario.
Sarà per il sonno perso, ma certo che ne sparo di stronzate.
 
Ho davvero necessità di dormire.
Ritorno a letto, sul comodino mi aspetta la mia vecchia amica, una seducente bottiglia di gin. Prendo una dose standard di pillole, ad occhio e croce sembrerebbero una mezza dozzina, e le butto gli d’un fiato con un sorso di gin. Per un po’ riposerò senza fare brutti sogni.
 
Domattina sarà un’altra giornata di merda.
Il cielo notturno è plumbeo, di sicuro domani pioverà. E quando piove le notizie sono ancora più brutte del solito. Un’ultima occhiata al cuscino per vedere se la Glock è ancora al suo posto, poi sprofondo in un sonno senza luce.
 
 
Lunedì, 10 marzo ore 6.20
 
Driiiinnn!!!!
Dove sei maledetta... *crash*
Apro un occhio solo e...
Oh Cristo! Sarà la ventesima sveglia a cui faccio il funerale solo in quest’ultimo mese.
È ora di alzarsi.
Guardo fuori dalla finestra e il cielo è più scuro e opprimente che mai. Perfetto. Avrò bisogno di una doppia razione di cioccolato a colazione e caffè ristretto, meglio se amaro.
Il mio monolocale è un casino assoluto, sembra ci sia passato dentro l’uragano Katrina.
Cerco tra le lenzuola la T-shirt grigia e i leggins bucherellati neri. Sotto il letto trovo uno stivaletto in pelle e il reggiseno di pizzo. Biancheria piuttosto raffinata per una donna sola come me. Rubo al volo una mela dal centro tavola e mi fiondo in bagno a lavarmi i denti. Trovo anche l’altro stivaletto desaparecidos e mi siedo alla toletta per darmi una sistemata.
 
<< Ci credo che sei sola da una vita Isabel, guarda che faccia ti ritrovi. Non è per gli spiriti che ti porti dietro, la colpa è tutta di questa faccia da spaventapasseri e delle tette inesistenti che ti ritrovi, se sei pronta a far parte del prestigioso club delle “zitelle svitate”. >>
 
Ma tu guarda se mi tocca armeggiare con trucchi e parrucchi di prima mattina per apparire accettabile. Certo che se non lo facessi, in ufficio scapperebbero tutti urlando come forsennati al solo intravedermi da lontano.
 
Uso uno degli elastici che tengo al polso a mo di  braccialetto, mi lego i capelli in una sorta di coda ordinata e sono pronta per andare. Prendo la Glock e la infilo nella sua elegante custodia che tengo stretta alla cintura e prima di uscire sfilo lesta la giacca di pelle dall’appendiabiti.
Scendo in strada e il tram tram giornaliero mi perfora i timpani. Sono le 6.42 e già sono tutti di corsa. Dai tombini fuoriescono pennacchi di fumo nero e con questo tempaccio in arrivo, la città sembra essere calata in un film degli anni trenta. Tutto sembra ridotto al bianco e al nero, perfino i volti dei passanti. Fermo un taxi con un gesto della mano e dal finestrino del guidatore spunta la testa di un tipetto simpatico sulla cinquantina, capelli brizzolati e faccia tutta rughe.
<< Buongiorno brigadiere!! Come vanno le cose in centrale? Si lavora? >>
<< Sono un agente non un brigadiere e poi lo sa che non posso parlare del mio lavoro Scott! Comunque buongiorno anche a lei, ammesso che di buongiorno si possa parlare. >>
<< Eh, brutto tempo vero? Ma che ci vuol fare, non siamo mica a Napoli, dove brilla sempre il sole. Questa è la città dello smog perenne, signorì. >>
<< Deve essere davvero bella questa Napoli, ne parla continuamente. >>
<< Ah, bella assai. Peccato per tutta quella delinquenza. Dovrebbero esserci più commissari come voi lì, allora le cose andrebbero meglio. >>
<< Agente. >>
<< Si, si quello insomma. Eccoci arrivati dottoressa. Sono 20$ >>
<< Grazie Scott. Tenga il resto. >>
<< Gentilissima come sempre, alla prossima. >>
Lo saluto con la mano, brav’uomo questo Scott. È dovuto andar via dalla sua città per lavoro, ma non l’ha mai dimenticata, la porta sempre nel cuore.
 
Eccoci arrivati al dipartimento federale della città di Constantine e più precisamente al distretto dei casi irrisolti, dove lavoro da quasi un anno.
Mi chiamo Isabella Fitzgerard, ho 25 anni e sono single.
Il mio compito qui al distretto consiste nell’analizzare vecchi reperti, ricostruire scene del crimine e cercare di mettere a tacere più anime possibili, sperando un giorno di poter ripagare all’errore commesso anni fa.
 
<< Ehi Fitzgerard ben arrivata. Sulla scrivania c’è un caffè fumante tutto per te. >>
<< E scommetto anche un bel fascicolo ammuffito. >>
<< Perspicace. >>
 
Alan Moore, 30 anni, collega di muffa in questo edificio allo scatafascio. Si occupa di catalogare tutti i casi irrisolti secondo un ordine magistralmente creato dalla sua mente contorta. Occhialuto, ma affascinante, siamo usciti insieme qualche volta, ma la mia straordinaria capacità di mandare tutto a monte ha prevalso ancora una volta. Ciò nonostante Alan è sempre galante con me e non mi fa pesare la mia freddezza nei rapporti umani in generale e il mio rifiuto cronico verso tutte quelle attività che potrebbero anche solo lontanamente concedermi un attimo di stabilità interiore.
 
<< Allora cosa abbiamo di bello oggi? >>
<< Statale 124, aprile di 2 anni fa. Un tizio è stato ritrovato carbonizzato nella sua auto. Dalle indagini si stabilì che la macchina era stata manomessa e quindi è stato escluso il suicidio dalla lista dei “sospetti”. Tutto il resto è rimasto un mistero. >>
<< Prove rinvenute, analisi effettuate, controlli incrociati? >>
<< È  tutto nella scatola giù in archivio, numero 3953. >>
<< Ok. Mettiamoci al lavoro. >>
 
Vado giù e accendo le luci dell’archivio dei “senza traccia”.
La vita di tantissime persone si è interrotta qui, il più delle volte senza un’apparente motivo, ed ora è racchiusa in queste scatole identiche tra loro, impilate le une sulle altre, in attesa che arrivi anche il loro turno di essere rispolverate. Mi fermo sempre un attimo su  queste scale di ferro a contemplare questo cimitero di vite spezzate, prima di immergermi a capofitto in un'altra indagine e intanto spero sempre di aggiungere un tassello in più al quadro completo.
A volte le cose girano dalla nostra e la fortuna ci sorride. Per altre storie, invece, il mistero si infittisce e la cassetta torna a ricoprirsi di polvere su uno di questi innumerevoli mensole.
 
Avvicino uno sgabello al casellario che mi interessa ed estraggo fuori dal ripiano il caso n°3953. Il fianco della scatola riporta la data dell’accaduto e il nome L. Castiel.
Le luci del soffitto sono usurate  e così sporche che la luce non riesce a filtrare del tutto dalle plafoniere di plastica.
Questo posto mi mette i brividi. Meglio risalire di sopra.
<< Già a lavoro Isabel? Vuoi una mano? >>
<< Magari Maggie, grazie. Vediamo cosa abbiamo qui. >>
 
Maggie Lancaster, 55 anni, divorziata, ma sposata da una vita con il suo lavoro.
Questo posto le piace così tanto che qualche anno fa ha deciso di vendere la sua casetta in campagna e adesso vive qui nel suo ufficio. Dorme su un vecchio divano sgangherato, mangia cheeseburger e beve caffè tutti i giorni, temendo il giorno della tanto agognata (per molti ma non per lei) pensione.
Mette l’anima in tutto quello che fa ed è molto caparbia e capace. Le sue intuizioni in alcuni casi ci sono stati preziosi per la svolta nelle indagini.
 
Nel contenitore c’è un misero fascicoletto, alcune foto della scena del crimine, il documento dell’autopsia e la targa dell’auto. Il fascicolo in allegato riporta nome e cognome della vittima, l’indirizzo di casa sua e una lista di sospettati, primo fra tutti una certa Melinda Golden, moglie della vittima.
<< Beh all’epoca la pista dei sospetti si concentrò su un probabile omicidio premeditato dalla moglie di Louis Castiel, per una questione di assicurazioni e polizze sulla vita. >>
<< È sempre una questione di soldi o di corna. >> esordisce Maggie.
<< Le accuse contro la donna sono decadute improvvisamente per assenza di prove sufficienti. Poco dopo si è trasferita a Lotzwood, nel Sunnyside. Dobbiamo fare una chiacchierata con lei, nell’assolata città del sud. >>
<< Prenoto subito un volo. >>
<< Alan, prepara i bagagli, tu vieni con me. E  tu Maggie prova a contattare il medico legale che si occupò dell’autopsia e lo sfasciacarrozze che demolì l’automobile. >>
<< Agli ordini, capo. >>
<< Fatto, il check-in è tra due ore. >>
<< Perfetto. Prendi la macchina e passiamo da casa mia. Infilo qualcosa nel borsone e andiamo. >>
<< Isabel, dove credi di andare? >>
Un enorme energumeno pelato altro quasi due metri mi si piazza di fronte.
 
Porca tro... ci mancava solo lui.
 
<< Procuratore. Un caso è stato riaperto e l’unica pista da seguire al momento è quella di un delitto di interessi. Noi stavamo... >>
<< Signorina Fitzgerard quante volte devo ripeterle che in questo posto COMANDO IO! >>
<< Ha ragione signore, ma vede lei non era ancora arrivato in ufficio e noi volevamo subito metterci a lavoro. >>
<< Mmm. >>
Quando si passa la manona nella folta barba le cose non vanno mai bene. Devo prepararmi all’ennesima lavata di capo.
<< Signore, vede... >>
<< La smetta di farneticare e si sbrighi o rischierà di perdere l’aereo. >>
<< Certo signore, vado! >>
 
Procuratore Thompson, anni sconosciuti. Se malauguratamente vi capitasse di incontrarlo in giro, specie di notte, è meglio per voi cambiare al più presto direzione. Il solo aspetto incute terrore, ma credo si sia abituato al fatto che sono una testa dura e che faccio sempre come voglio. Il più delle volte rischio di essere radiata dall’albo, ma alla fine tutto va per il meglio.
 
 << Ce la siamo vista brutta. >>
<< Pensavo peggio. Sembra che Thompson si stia ammorbidendo con l’avanzare dell’età. >>
<< Forse. O forse ha una cotta per te, Isabel. >>
<< Certo come no. Se potesse mi strozzerebbe con le sue stesse mani. >>
<< Con quelle che si ritrova sarebbe un giochetto da ragazzi soffocarti. Ahaha. >>
 
La sua mano sul suo viso e Stella non si agita più...
 
<< Isabel, Isabel! Tutto bene? >>
<< Eh? Cosa? Si, si sto bene tranquillo. Presto saliamo in macchina. >>
Usciamo a tutto gas dal parcheggio ma già siamo imbottigliati nel traffico mattutino. Alan cerca come può di destreggiarsi tra l’infinita fila di auto in cui ci siamo imboccati e appena può, inverte e si infila in un vicolo stretto. I gatti che rovistano nelle pattumiere miagolano e arruffano il pelo appena sentono il rombo del motore, poi sgattaiolano via. Un’altra curva all’ombra dei grandi grattacieli, e ci ritroviamo su una strada secondaria semi deserta.
<< Sai che potresti anche perdere la tua preziosa patente se continui a guidare in questo modo? >>
<<  E tu sai che così rischiamo invece di perdere l’aereo? >>
<< Melinda Golden non sa neppure del nostro arrivo, dove credi che possa scappare. >>
<< Oh, ma io non parlo di lei. E che questa è la mia occasione di stare un po’ con te. L’ultima volta mi hai dato un bel due di picche, ma sai bene che io non demordo. >>
<< Alan sai bene che i tipi precisini come te mi fanno venire il mal di mare. Vedessi il mio appartamento come è ridotto. Di sicuro sverresti per il troppo disordine. >>
<< Possiamo sempre migliorarti. E poi io ti faccio ridere, il che è un grosso punto a mio favore. Devi ammettere che so essere simpatico quando voglio. >>
<< Più simpatico dei tuoi preziosi fascicoli stantii sicuramente! >>
<< Questo è un colpo basso, signorina Fitzgerard! >>
Lui sorride e gli sorrido anch’io.
Forse questo viaggio farà bene ad entrambi.
 
<< Torno subito! >>
<< Fa presto. >>
Salgo di corsa le scale, apro la porta e mi ritrovo a guardare l’abissale accumulo di vestiti ammassati sulle sedie, sul divano, tra le coperte...
 
Dio che macello!
 
Ok non ho tempo di scegliere cosa portare.
Apro il borsone da ginnastica e ci infilo dentro quello che mi capita tra le mani. Vado in bagno e prendo lo spazzolino da denti, la spazzola e pezzi scoordinati di biancheria. Passo per la toletta ed infilo in borsa correttore, eye-liner Smoky e rossetto rosso scarlatto, giusto per non far morire di infarto Alan appena si sveglia. Richiudo la porta e mi lascio alle spalle lo scempio che io stessa ho creato. Forse Alan ha ragione; sarà pure un maniaco dell’ordine ma nemmeno essere una strafottente come me aiuta molto.
 
<< Fatto! Nuovo record. >>
<< Bene. Prossima fermata, Constantine Airport, gate 5. >>
<< E la tua roba? >>
<< Ho chiamato Katerine e le ho detto di prepararmi la valigia. Ci aspetta all’ingresso dell’aeroporto. >>
<< E chi è Katerine? >>
<< Sei gelosa per caso? >>
<< Chi io?!? Sei impazzito? Chiedevo per dire. >>
<< Ah beh allora... >> e sogghigna.
Maledetto. Io gelosa di lui. Assurdo.
Ma allora perché ho una voglia matta di strappargli quell’informazione dalla bocca?
 
Perché sei una ficcanaso, ecco perché.
Giusta osservazione, posso accettarlo.
 
Dieci minuti dopo siamo nel parcheggio dell’aeroporto di Constantine.
Ho proprio voglia di vedere chi è questa Katerine.
 
Prendo il mio bagaglio a mano dal portabagagli e ci avviamo al gate, quando alle nostre spalle arriva una ragazza allampanata coi capelli biondo platino e orecchini grandi come cerchioni di una Harley Davidson.
<< Ecco a te Alan, la tua valigia. C’ho messo dentro un paio di camicie pulite e un vestito elegante, nel caso tu debba incontrare qualcuno di importante. Nella tasca interiore c’è la biancheria e un paio di cravatte. >>
<< Grazie Katerine sei stata molto gentile. Queste sono le chiavi della mia auto, riportala a casa e già che ci sei puoi rimanere da me a dormire in mia assenza. Così puoi anche controllare la posta. >>
<< Certamente Alan. Buon lavoro. >>
E poi si volta e se ne va’.
<< Carina la tua nuova fiamma, peccato sia così maleducata. Poteva almeno presentarsi. >>
<< Presentarsi con Isabel Fitzgerard? La persona più acida e cinica che io conosca? >>
<< Così mi ferisci Alan. >>
<< Al contrario, ti lusingo. E ora sbrighiamoci o perderemo il volo. >>
 
Un’ora dopo
 
Signori e signore, ladies and gentlemen, benvenuti a bordo della Fly Airlines. Mettetevi comodi ai vostri posti, allacciate le cinture di sicurezza e godetevi il viaggio. Grazie.
 
<< Il viaggio durerà due ore, sarà meglio far come dice e riposare un po’ >>
<< Si hai ragione. Ho proprio bisogno di ricaricare le batterie. >>
 
Guardo dall’oblò dell’aereo, il tempo non è migliorato per niente. Grossi nuvoloni incombono sulla città. Manca poco e presto arriverà un terribile acquazzone. Ma quando tra due ore riapriremo gli occhi, ad accoglierci ci sarà un caldo asfissiante.
 
Prendo dalla borsa le mie pillole “ristora sonno” e ne mando giù tre tutto di un fiato. Spengo le luci, abbasso la tendina all’oblò e cerco di riposare come posso.
 
<< David! David svegliati, qualcuno stanotte è entrato in casa nostra! >>
<< Cosa stai dicendo Tamara. >>
<< Ti dico che è così. La porta è aperta e l’intelaiatura è stata tagliata. >>
<< Oh mio Dio le bambine! Presto corri in camera. >>
<< STELLA! ISABELLA! RISPONDETE!! Isabella dov’è tua sorella? Parlami Isa, rispondimi >>
<< Lui ci ha portate nel bosco stanotte. Stella è rimasta a dormire con le ninfe fatate mamma. Io ho avuto paura, ma adesso c’è il sole e insieme possiamo andare a riprenderla. >>
<< Oh, mio Dio il letto è tutto sporco di sangue! AH!! >>
<< Cara cosa succede, oh Cielo. >>
<< Papà perché la mamma piange? Papà? Papà?? >>
 
<< Isabel? Sveglia siamo arrivati. >>
Sunnyside. Un nome, una promessa. Il sole prilla alto nel cielo e il caldo è soffocante.
Non appena mettiamo piede a terra ricevo una chiamata da Maggie.
<< Pronto? Oh, bene mettici in comunicazione. Dottor Lee, sono l’agente Fitzgerard e stiamo indagando al caso Castiel. Per caso ricorda qualche particolare rinvenuto nell’autopsia fatta da lei due anni fa? >>
<< Salve agente. Si, in effetti lo ricordo bene. Poverino, lo abbiamo identificato da un calco dentale, perché il poveretto era completamente ustionato. La cosa strana è che l’autopsia ha riscontrato una causa del decesso diversa da quella che ci si può aspettare in questi casi. Il signor Castiel non è morto durante l’incendio della macchina, bensì a causa del cianuro. Il suo stomaco ne era pieno. >>
<< Un momento. Sta dicendo che Castiel... >>
<< Era già morto, quando è salito su quell’auto. >>
<< La ringrazio, c’è stato di grande aiuto. >>
<< Prego, arrivederci. >>
Alan getta via il mozzicone di sigaretta e mi guarda curioso.
<< Novità? >>
<< La tesi dell’omicidio è avvalorata! Il tizio si è scolato una tanica di cianuro prima di sedersi comodamente alla guida della sua Chevrolet. >>
<< Interessante. Direi che è giunto il momento di incontrare la povera vedova Castiel. >>
<< Già. Lo credo anch’io. >>
 
 
Stesso giorno, Casa Golden ore 13,53
 
<< L’indirizzo è questo. Carina! >>
<< La modestia non è una sua virtù. >>
Non era una semplice casa. Era una villetta a due piani, con piscina annessa sul retro e cagnolino scodinzolante in giardino.
Bussiamo alla porta con due rintocchi al batacchio e viene ad accoglierci una donna sui 35 anni, capelli castani, grandi occhi verdi.
<< Si? >>
<< Lei è la signora Melinda Golden? >>
<< Chi la desidera? >>
<< Dipartimento casi irrisolti di Constantine. Agenti Moore e Fitzgerard. Siamo qui per la morte di suo marito Louis Castiel. Possiamo entrare? >>
I suoi grandi occhi si illuminano e si riempiono di lacrime, ma poco dopo si scosta dall’ingresso e ci fa segno di entrare. L’interno della casa è ancora più sfarzoso, con un enorme camino elettrico al centro della stanza, parquet su l’intera superficie e suppellettili di ogni genere, forma e colore. Sembra che interi negozi di hobbistica, artigianato, bricolage e interi centri commerciali siano stati svuotati di tutta la merce per riempire ogni angolo possibile di questa casa. E poi ci sono quadri raffiguranti figure sacre, statuette di santi e ovunque sparsi ceri e candele accesi.
Ci accomodiamo sul divano al di sotto di un enorme lampadario di cristallo.
<< Signora Castiel... >>
<< La prego mi chiami Melinda. >>
<< Melinda, siamo qui perché il caso di suo marito non è stato ancora risolto e abbiamo bisogno di farle alcune domande. >>
<< Chi ha riaperto il caso? >>
<< La scientifica. È stato recapitato un messaggio anonimo ai nostri distretti, chiedendoci di riaprire il caso. Il biglietto citava le parole “scavate a fondo.” Credevamo che fosse stata lei, visto l’interesse che avrebbe nel far risolvere il caso, per dar pace all’anima di suo marito. >>
Ad ogni mia parola questa donna è sempre più sconvolta e stringe tra le mani il crocifisso d’oro che porta al collo.
<< Cosa volete sapere? Ho già raccontato tutto quello che sapevo agli agenti che si occuparono del caso 2 anni fa. >>
<< Allora non avrà problemi a ripetere le stesse cose anche a noi. Si ricorda dove si trovava il giorno dell’incidente? >>
<< Ero a casa. Da sola. >>
<< Quindi nessuno può confermare il suo alibi? >>
<< Alibi? Il caso è stato archiviato per mancanza di prove contro di me. >>
<< Ha ereditato una fortuna dalla morte di suo marito Melinda, ed è proprio grazie a quella somma di denaro che adesso vive in questa casa di lusso lontana dalla sua città natale. >>
<< Queste sono sporche insinuazioni! Non vi permetto di accusarmi così in casa mia! Andate fuori! >>
<< Ce ne andremo subito dopo aver finito le nostre domande, adesso si sieda per favore. >>
Alan fa sempre la parte dell’agente cattivo. “Fa uno strano effetto” dice sempre, ed è vero. Chi se lo aspetterebbe da un tipo come lui?
Meglio intervenire, per calmare le acque.
<< Melinda qui nessuno vuole puntarle il dito contro, stiamo solo facendo il nostro lavoro. Mi dica lei guida? >>
<< Si, ho preso la patente un anno fa. Ho dovuto per necessità. Se volessi arrivare in centro coi mezzi pubblici ci metterei un’eternità. >>
<< È un maschio o una femmina? >>
<< Come scusi? >>
<< Sotto il divano. C’è un giocattolo per bambini. E su una delle mensole del camino c’è una sua foto col pancione. >>
<< E... e una femmina. Si chiama Dorothy. >>
<< E dov’è adesso? >>
<< È malata. >>
<< La ringrazio per la sua disponibilità Melinda. Adesso andiamo via, ma ci rifaremo sentire in questi giorni va bene? >>
Ci fa cenno di si con la testa e ci accompagna all’ingresso. Mentre usciamo dal vialetto, sento i suoi occhi fissi su di noi.
<< Quella lì puzza di colpevolezza da chilometri di distanza. Mancanza di prove. Dico ma stiamo scherzando? >>
<< C’è qualcosa che ci tiene nascosto. Dobbiamo scavare a fondo, proprio come dice il biglietto. Ora però andiamo in albergo, ho bisogno di una doccia. >>
 
 
Quella sera, Motel Moonlight ore 19,30
 
Mi ci voleva proprio un bel bagno rigenerante. Il letto non è comodissimo, ma almeno c’è l’acqua calda e gli asciugamani sono puliti.
*vrooom*
Il display del cellulare si illumina. Nuovo messaggio, è Alan.
 
Text:
“Ti aspetto giù nella hall. Andiamo a cena.”
Alan.
 
 Apro il borsone è con me ho solo robaccia. Prendo un reggiseno verde petrolio senza spalline e gli slip neri, poi tiro fuori dal groviglio di panni il vestitino scollato blu cobalto. Mi tiro su i capelli in uno chignon e metto due gocce di profumo ai lati del collo. Un filo di eye-liner e sono pronta. Ultimo tocco: due pizzicotti sulle gote per un po’ di rossore naturale, così sembro meno cadaverica. Metto la Glock in borsetta e scendo nella hall.
 
Alan cammina frenetico avanti e indietro. È buffo quando si agita, ma e anche carino. Indossa una camicia bianca e una giacca in gessato blu. Ha i capelli scompigliati e umidi e i suoi soliti occhialetti tondi. Si volta verso di me e la sua espressione mi provoca ilarità.
<< Lo so, lo stile femminile non mi dona granché, ma non ho avuto modo di scegliere cosa portare. >>
<< Sei bellissima. >> dice e mi porge il suo braccio.
Arrossisco leggermente e scosto lo sguardo da lui.
<< Non dovevi indossare la giacca per le occasioni importanti? >>
<< Ma questa è un’occasione importante. >>
 
 
Più tardi, Ristorante “Le Tronfie” ore 21.00
 
<< Allora mi dici che cos’è che non ti convince? A me il caso sembra fin troppo semplice. >>
<< È  proprio questo quello che non mi convince. Se il caso è così semplice per quale motivo è stato archiviato come caso non risolto?  Quando le ho chiesto di sua figlia è sbiancata. >>
<< Buonasera signori, cosa vi porto? >>
<< Per me il piatto della casa e una porzione di gamberi, grazie. >>
<< Faccia due piatti della casa e un tris di carne per me. >>
<< Da bere? >>
<< Per i vini ci affidiamo a lei, visto che abbiamo preso sia carne che pesce. >>
<< Come desidera signore. >>
Aspettiamo che il cameriere si allontani, poi Alan riprende:
<< E come intendi procedere? >>
<< Dobbiamo indagare sul passato dei due. E qui entra in gioco Maggie. Louis Castiel è stato ucciso e poi qualcuno ha cercato di farlo sembrare un incidente stradale. Dobbiamo scoprire perché. >>
Arrivano i primi piatti e cominciamo a sferruzzare con le posate.
<< Allora, da quanto frequenti Katerine? >>
 
*cof* *cof*
 
Alan si sta quasi strozzando con il boccone di cibo.
 
Sempre il solito tempismo Isabel.
 
<< Forza bevici su! >> ma non riesco ad essere seriamente preoccupata per lui, la sua espressione è troppo buffa e adesso è diventato rosso come un peperone e continua a tossire.
 
<< Maledetta! Vuoi farmi morire! >>
Ma poi scoppia a ridere anche lui. Che coppia mal assortita che siamo!
<< Dai, sarà meglio pagare e andare a dormire. Domani ci aspetta un’altra giornata di fuoco. Letteralmente. >>
<< Si, ma stasera offro io, anche se volevi ammazzarmi, sono sempre un galantuomo. >>
<< Non insisto solo perché stavo per ucciderti e non hai le forze per contrattaccare. Non sarebbe una sfida ad armi pari. >>
<< Menomale. Le tue battaglie personali a volte sono senza fondamento alcuno. >>
Alan paga lasciando anche una cospicua mancia al cameriere che ringrazia animatamente. Poi saliamo in macchina diretti al motel.
<< Stanotte sei sicura di voler dormire da sola? >>
<< Alan! Certo che sono sicura! Mi piacevi di più quando eri un nerd impacciato. >>
<< Ma cosa hai capito? Io avrei dormito sulla poltrona... e poi che significa “nerd impacciato”? Comunque te l’ho detto perché ho notato che sei un po’ strana, hai il sonno agitato. In aereo hai più volte urlato il nome di una donna e ti sei agitava parecchio. Da quanto è che non dormi come Dio comanda? >>
Da 22 anni, da quando ho visto mia sorella venire uccisa da quello che i miei consideravano “uno di famiglia.”
<< Davvero? Devo aver fatto un brutto sogno per via delle turbolenze e della posizione scomoda, tutto qui. Ti ringrazio per l’interessamento, ma va tutto bene. >>
La conversazione si è stroncata qui, Alan sa quando è meglio non insistere, anche se la mia versione non lo ha convinto per nulla, il che significa che domani ripartirà di nuovo all’attacco. Ma almeno per stasera posso star tranquilla.
 
<< Allora buonanotte, Fitzgerard. >>
<< Buonanotte Moore. Ci vediamo a colazione domani mattina. Sii puntuale e non parlare troppo al telefono con Katerine. >>
<< Ancora? L’ho capito che sei gelosa, non c’è bisogno di sottolinearlo ulteriormente. >>
<< Io lo dico per te. Le onde elettromagnetiche del cellulare ti faranno venire il cancro al cervello. >>
<< Quanto sei perfida. Mi piace! >>
<< Malato! Vai adesso, ‘notte, >>
<< Sogni d’oro. >>
 
Spiritoso.
 
Dicono che un bel bagno caldo sia l’ideale per conciliare il sonno.
Riempio la vasca con acqua bollente, mi spoglio e mi immergo in quell’oasi di pace.
Aggiungo oli profumati e essenza di garofani e sambuco bianco e mi rilasso cercando di scacciare via la brutta sensazione che mi assale di notte. Gli aromi mi inebriano e lentamente scivolo in un tiepido sonno.
 
<< Isabella! Questa è la terza volta in una settimana che fai pipì a letto. Stanotte dormirai con le ginocchia sui ceci. Vediamo se impari. >>
<< La prego priora, voglio vedere i miei genitori, la prego, li chiami! >>
<< Rinchiuderti in questo istituto è stata una loro volontà. Quando decideranno di portarti via, allora li rivedrai. Fino ad allora però dovrai sottostare alle mie regole! >>
 
Oggi è il mio compleanno, ho compiuto 12 anni. Mi alzo e sto per rassettarmi il letto come tutti i giorni, quando vedo tra le lenzuola delle grandi macchie rosse.
Sangue, sangue dappertutto! Devo pulire, o sarò punita. Devo pulire, devo pulire ma non si smacchia, non va via! Urlo e piango e mi dispero.
<< Isabella calmati! Sta’ ferma, Isabella! Non è nulla, sei solo diventata grande. >>
<< Suor Gertrude, non è colpa mia! Non è colpa mia! >>
 
Apro gli occhi e mi ritrovo sommersa. Mi dimeno nell’acqua schiumosa della vasca quasi fosse profondissima. Riesco finalmente ad uscire e cerco di respirare a pieni polmoni e sputo via residui di sapone che mi corrodono la gola. Gli occhi mi bruciano e per un attimo non so più dove mi trovo.
Sento bussare forte alla mia porta, qualcuno urla il mio nome con tono allarmato. È Alan, sembra molto preoccupato, ma non posso andare ad aprire. Provo a raccogliere i pensieri e riesco ad urlare:
<< Moore, che succede? >>
<< Isabel, finalmente! Apri questa porta. >>
Mi avvolgo alla meglio in un asciugamano mini e vado ad aprire sporgendomi solo con la testa.
<< Moore perché urli come un forsennato? Stavo facendo il bagno per questo non ti rispondevo. >>
<< Oh, beh.. io... avevo sentito dei suoni strani provenire da camera tua e mi sono spaventato. Sembrava stessi soffocando. >>
<< Beh sto bene. E adesso torna a dormire prima che qualcuno ci sbatta fuori per schiamazzi. Buonanotte. >>
<< Notte >>
 
Fiuu!
C’è mancato poco. Credo sia andato via solo perché mi ha visto mezza nuda e non voleva mettermi ulteriormente in imbarazzo. Sono così stanca che non ho nemmeno la forza di infilarmi qualcosa di asciutto. Mi poggio sul letto e sprofondo beatamente.
 
 
Vrooom – vroooomm - vroo *click*
<< P-pronto? Cosa? Sono già le 7?? Oh cacchio! Arrivo! >>
 
 
Martedì, 11 marzo ore 7,14
 
<< Eccomi! >>
<< Ben alzata, miss puntualità. Ti ho preso un succo alla papaia e un croissant al cioccolato. >>
<< Molto gentile, grazie. >>
<< Ho delle novità. >>
<< Spara. >>
<< Prima una domanda: ti sei data un’occhiata allo specchio prima di uscire? >>
<< Perché? >>
Indosso una bandana nera con disegni bianchi tra i capelli, una canotta attillata rossa, un pantaloncino a vita alta di jeans, stivaletti neri e giacca di pelle nera borchiata. Un tocco di stile: un rossetto rosso fuoco in tinta con tutto il resto.
<< Così nessuno penserà che sono uno sbirro, a differenza tua. >>
<< Poco ma sicuro. >>
Gli lancio un’occhiataccia e lui ritorna serio.
<< Mentre tu sonnecchiavi tranquillamente, io ho cominciato a lavorare. Ho chiamato Maggie che mi ha dato notizie davvero interessanti. >>
<< Sono tutta orecchi. >>
<< La bambina della Golden è affetta da una rara e acuta forma di sindrome di Down congenita. È stata ricoverata al Saint Mary Ospital dalla nascita fino ai primi tre mesi di vita, poi la madre ha creato una struttura attrezzata a casa sua, comprando tutti i macchinari necessari con la polizza assicurativa del defunto maritino, assumendo un’infermiera giorno e notte, che si occupi della bambina costantemente. >>
<< Beh questo non spiega comunque perché doveva uccidere suo marito. I soldi sarebbero comunque stati usati per curare la piccola. >>
<< Forse il padre non voleva che questa creatura venisse al mondo. Maggie ha scavato a fondo e ha trovato dei documenti medici in cui la bella Melinda aveva dato il consenso per un aborto assistito. Una settimana prima dell’intervento però a ritirato l’autorizzazione. Due giorni dopo il marito è saltato in aria nel deserto. >>
<< Adesso si che le cose si fanno interessanti. >>
Pronta per il secondo round? >>
<< Prontissima! >>
<
Casa Golden, ore 10,00
 
<< Melanie, sappiamo della polizza sulla vita di tuo marito e del ricovero di tua figlia. Perché non ci racconti come sono andate le cose? >>
<< Voi non sapete nulla! Io non ho fatto niente a Louis. >>
<< Non hai fatto niente da sola. Facciamo così: io comincio a raccontare quello che secondo me è successo 2 anni fa e, se qualcosa non combacia, tu mi correggi, ok?
Dunque: tu e Louis vi sposate e le cose sembrano andare a gonfie vele. Fino a quando tu Melanie, non rimani incinta. Durante una visita di routine, scopri che la bambina che porti in grembo è malata, ma a te non importa. È un dono di Dio e decidi comunque di continuare la gravidanza. Ma Louis non la pensa allo stesso modo. Vuole che tu ti sottoponga ad un aborto, e alla fine riesce anche a convincerti, ma all’ultimo momento ti tiri indietro. Torni a casa e dici a Louis che l’intervento è avvenuto con successo, poi aspetti che si addormenti e gli fai scivolare in gola un bel quantitativo di cianuro. Louis muore nel giro di pochi minuti. Poi Louis viene caricato nella sua auto e portato sulla statale 124, dove accidentalmente salta in aria facendo un gran botto. >>
<< Vede Melanie fin qui tutto sembra rientrare a pennello, ma ci sono dei punti ancora oscuri. Sappiamo che non ha fatto tutto da sola, qualcuno deve averla aiutata. >>
<< No! Ho fatto tutto da sola. Sono stata io sola ha progettare tutto. >>
<< Può darsi, ma vede lei stessa ieri mi ha detto che ha preso la patente solo un anno fa. Inoltre Louis era molto più robusto e alto di lei. È impossibile che da sola abbia potuto trascinare il suo corpo e caricarlo in macchina. >>
Melanie scoppia in un pianto sommesso, singhiozza e comincia a sbiascicare frasi sconnesse.
<< Lui era un mostro! Meritava di finire nel modo in cui è morto! >>
<< Ci racconti cosa è successo. >>
<< Golden non è il mio vero nome. L’ho cambiato all’anagrafe quando ho compiuto 18 anni, un mese prima di sposare Louis. Il mio nome è Melanie Castiel. Io e Louis eravamo fratello e sorella. >>
<< Oh, mio Dio! >>
Io e Alan siamo scioccati all’udire tali parole.
<< Quando sono rimasta incinta di Dorothy, sapevo che Louis avrebbe cercato di liberarsi di lei in qualche modo, ma non credevo che arrivasse a pensare all’aborto. Pensavo che mi avrebbe fatto continuare la gravidanza e che appena nata si sarebbe attivato per farmela dare via abbandonandola in un orfanotrofio. Invece lui diceva che dentro di me c’era un mostro, il figlio di Satana, che avrei dovuto ucciderlo se volevo fare un favore ad entrambi. Mi rivolsi ad un agente di polizia e gli raccontai tutta la verità. Lui mi disse che la legge non poteva aiutarmi, ma che avrei potuto sbarazzarmi di Louis uccidendolo e che in cambio di denaro lui avrebbe insabbiato la questione. Io l’ho avvelenato, poi l’ho chiamato e lui ha fatto il resto, compreso l’insabbiamento di prove. Ma subito dopo l’accaduto ho preso Dorothy e sono scappata qui, perché non avevo i soldi che lui mi aveva cercato.
Quello che Louis mi ha fatto è abominevole! Ho scoperto della polizza sulla vita solo dopo l’arrivo del primo assegno. Ho cercato di fornire le migliori cure possibili alla mia bambina e ho provato a voltare pagina. Per la legge sono da punire? Adesso mi arresterete? >>
Non so cosa rispondere. Sono disgustata da tutta questa storia mostruosa, ho voglia di vomitare l’anima.
<< Mi dispiace Melanie, ma dobbiamo farlo. È probabile che si possa ricorrere ad eventuali attenuanti. Racconteremo l’intera storia e chiederemo alla Corte una sentenza di grazia. >> interviene Alan.
<< Che ne sarà della mia bambina? Lei non è in grado di autogestirsi. Ha bisogno di me. >>
<< Verrà trasferita in un centro specializzato e riceverà le cure migliori. >>
<< D’accordo allora. Andiamo. >>
 
 
Partimmo il giorno stesso per Constantine dove Melanie fu processata ricevendo il minimo della pena. Probabilmente ad inviarci quel biglietto anonimo era stato proprio l’agente che aveva aiutato Melanie nell’assassinio del fratello.
Dorothy venne trasferita in una clinica privata dove i medici migliori del paese si presero cura di lei.
Una settimana dopo il processo ricevemmo l’avviso dal penitenziario della morte di Melanie Castiel; si era impiccata nella sua cella d’isolamento con le lenzuola della brandina. Col suo sangue aveva lasciato un messaggio sulla parete della cella:
“In questo mondo non c’è giustizia né pace. Torno a te, Padre mio.”
Il giorno stesso anche il cuore della piccola Dorothy si arrestò.
 
Noi tornammo alla nostra vita di sempre, tra scartoffie e porte aperte sul passato, ma la storia di Melanie ci è rimasta nel cuore.
L’uomo può essere capace di barbarie riprovevoli e purtroppo nessun pensiero umano può essere anticipato o prevenuto. Mentre qui il mondo continua come sempre, dietro l’angolo migliaia di persone continuano a morire, a sparire, ad aggiungersi sui nostri scaffali stracolmi chiedendo solo giustizia.
Così, quando ho scritto col pennarello “CASO CHIUSO” per il fascicolo n°3953, non c’ho fatto molto caso, poiché esso si è perso nelle altre centinaia scatole identiche tra loro dei “senza traccia”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FINE 1° EPISODIO.
  
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