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Autore: millyray    04/09/2013    2 recensioni
Ariel Martinez arriva ad Hogwarts per frequentare il quarto anno. Ma sembra nascondere un segreto, oltre al fatto che deve aiutare Harry Potter a sconfiggere il Signore Oscuro. Chi è in realtà? Da dove viene? Chi è la sua famiglia? (Storia ispirata a Came back to the hell di Ino Chan).
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da V libro alternativo
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CAPITOLO QUARANTADUE

Severus Piton alzò lo sguardo su Charlie, seduto sull’ultimo gradino dei sotterranei di Grimmauld, perfettamente mimetizzato con l’oscurità del luogo che quasi non lo si vedeva.
L’insegnante di Pozioni studiò attentamente la figura del figlio con i suoi occhi scuri e poi li riportò sul Mangiamorte steso a terra, quello che il ragazzo aveva sconfitto durante il combattimento di poche ore prima.

“Riesci a farlo ritornare?” chiese l’uomo, il tono da insegnante odioso completamente sparito. Non gli piaceva usarlo col figlio, anche se doveva ancora abituarsi alla consapevolezza di averne uno. Per lui non era di certo stato facile come per Sirius o Remus e, oltretutto, il suo Charlie non era così esuberante come gli altri ragazzi e non gli aveva reso il lavoro più facile.

“No. Credo che sia irreversibile”, rispose il ragazzo, senza particolare enfasi nel tono, come se la cosa non gli interessasse.
Piton sospirò, provando un certo senso di pietà verso quell’uomo dall’espressione grottesca, costretto a vivere il suo incubo a occhi aperti senza poterne uscire, nonostante fosse il servitore del mago più crudele di tutti i tempi. Quella era una punizione che non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico.

“Come fai ad avere un potere del genere?” chiese, poi.

Charlie portò lo sguardo dall’altra parte, come se temesse un contatto visivo col padre. “Legilimanzia”.

“Ma la Legilimanzia è in grado di far leggere nel pensiero e, a volte, anche di controllarla. Non puoi aver ereditato tutto questo potere da me”.

“Anche mia madre era una brava Legilimante”.

Piton si immobilizzò di colpo e non aggiunse altro. Il ragazzo non aveva mai voluto svelare il nome della madre e non lo avevano fatto nemmeno i suoi amici, sempre se lo sapevano. Questo significava solo una cosa: aveva un rapporto difficile con la donna che lo aveva messo al mondo.
Ciononostante, si arrischiò a chiedergli: “Chi è tua madre?”

“Non posso dirtelo”.

L’uomo restò per qualche secondo a guardarlo. Sapeva che era inutile, ma provò lo stesso a penetrargli la mente con quella tecnica che padre e figlio conoscevano bene, incontrando soltanto una specie di muro di pietra che gli impedì di vedere qualsiasi cosa. Charlie gli lanciò quella che pareva essere un’occhiata di sfida. Già, non era certo così stupido.

Con un sorrisetto divertito e un moto di orgoglio che sentiva invadergli il petto, si apprestò a tirare fuori un’ampolla contenente del liquido azzurro e a versarlo nella bocca del Mangiamorte. Dopo qualche secondo, lo guardò annaspare in cerca d’aria finché la vita non lo abbandonò totalmente.

La morte non era così brutta, dopotutto. A volte era una buona amica che veniva a porgerti la mano quando ne avevi bisogno.

 

James si allungò per riporre un libro sullo scaffale sopra il letto e solo per poco riuscì a trattenere il gemito che stava per spuntargli dalle labbra. Si portò una mano al fianco con una smorfia di dolore e si massaggiò la ferita che si era fatto affrontando i Mangiamorte. Gli dava parecchio fastidio, prudeva e faceva male. E, oltretutto, un assiduo mal di testa gli premeva contro le tempie e aveva brividi di caldo che gli correvano lungo la spina dorsale.

Si appoggiò alla porta, sospirando, un sorriso rassegnato a decorargli le labbra.
Forse sarebbe avvenuto prima del previsto.

Con uno sforzo enorme, tentò di rimettersi dritto e di assumere l’espressione più normale che potesse. Aprì la porta e uscì in corridoio.

“James!” si sentì chiamare da una voce allegra e, improvvisamente, si ritrovò Ariel appesa al collo. Nell’abbracciarlo, però, la ragazza era andata a sbattergli contro il fianco e ciò gli aveva provocato una scarica di dolore talmente forte che gli aveva oscurato la vista per qualche secondo e mozzato qualsiasi urlo gli fosse nato in gola.

“Ari”, mormorò. “Che succede?”

“Niente!” rispose lei, sempre in tono squillante. “Avevo solo voglia di abbracciarti”. E, dopo avergli dato un bacio sulla guancia, scappò su per le scale, saltellando allegramente.
Il ragazzo si trovò a sorridere per l’esuberanza della sorella e, per non cadere a terra, si appoggiò qualche secondo al muro, prima di continuare a trascinare i piedi lentamente al piano terra, reggendosi il fianco con una mano.

Quando entrò in cucina, trovò la signora Weasley intenta a cucinare e i suoi amici seduti attorno al tavolo da pranzo.

Si avvicinò al frigo e tirò fuori un cartone di succo, bevendo direttamente da lì.

“James, sei pallido”, notò Teddy, seduto accanto al padre di fronte alla sua pozione antilupo.

“E’ vero. Sembra che stai per vomitare da un momento all’altro”, aggiunse John con la solita delicatezza che lo contraddistingueva tanto.

Il moro si sentì puntare tutti gli occhi addosso e cercò di apparire più naturale possibile. “Sto bene, sono solo un po’ stanco”, rispose lui, cercando di raggiungere velocemente la porta. Un movimento brusco, però, gli provocò un’altra scarica di dolore che questa volta gli fece venire le lacrime agli occhi, mentre cadeva in ginocchio tra gemiti di dolore.

Gli amici presenti nella stanza si alzarono di colpo, allarmati. Ted corse a sorreggere l’amico perché non sbattesse la testa contro il pavimento e si inginocchiò accanto a lui. Poi lo fece stendere per terra a pancia in su, rivelando così una grossa macchia di sangue che si era allargata sulla sua maglietta.

“Oh Merlino!” esclamò la Signora Weasley, portandosi le mani alla bocca.

Remus, intanto, cercava di sollevargli la maglietta, ma le mani del ragazzo continuavano a spingerlo via. Così Ted fu costretto a bloccargliele.

“No”, biascicò James, contorcendosi sul pavimento.

L’uomo era riuscito a scoprirgli le fasciature che ancora gli coprivano l’addome e che erano piene di sangue fresco. Sperava che si trattasse soltanto della ferita che si era riaperta, ma in cuor suo vedeva qualcosa di ben peggiore.

Infatti, non appena gliele tolse, tutti i presenti sgranarono gli occhi, inorriditi e sconvolti.

 

Jolie si buttò sul letto con un gran sospiro e rimase immobile a fissare il soffitto sopra di sé.

“Che c’è, Lie?” le chiese Emmie, seduta sul proprio baule, notando l’espressione un po’ strana dell’amica.

“Stavo pensando…”, le rispose la ragazza, senza voltarsi a guardarla.

“Ah, perché sai pensare?” fece Victoire in tono scherzoso. La rossina, per tutta risposta, le fece una linguaccia.

“Comunque, pensavo…”, continuò Jolie. “Secondo voi la battaglia in cui dovevamo salvare Harry era quella che abbiamo appena affrontato?”

Le due ragazze presenti nella stanza con lei non le risposero subito, probabilmente impegnate a riflettere sulle parole dell’amica.

“Secondo me sì”, le rispose Emmie. “Prima di partire ci hanno descritto più o meno che cosa sarebbe successo e le cose hanno coinciso. Insomma, quelli che c’erano, il motivo dell’attacco…”.

“Sì, ma Harry non è stato neanche ferito”, la interruppe Vicky pensierosa. “Voglio dire…”. Ma prima che la bionda potesse aggiungere altro, Jolie si era alzata di colpo dal letto e si era precipitata fuori dalla stanza; un terribile presentimento le era venuto tutto d’un colpo.

 

Quando Jolie giunse nella stanza di JamesRemus, seguita da Emmie e Victoire, trovò il ragazzo steso nel letto con un orribile segno che gli copriva quasi tutto l’addome. Ricordava una svastica inscritta in una specie di cerchio. Aveva tutta l’aria di essere un tatuaggio, solo che era realizzato col suo sangue.

Al suo capezzale si erano radunati quasi tutti, con espressioni sconvolte e preoccupate.

La grifoncina si sedette accanto a lui e gli prese la mano delicatamente. “Jamie”, chiamò.

“Lie”, mormorò lui, quasi senza voce. Aprì piano gli occhi, puntandoli in quelli della ragazza, e le strinse la mano.

“E’ stato quel Mangiamorte?” chiese Jolie. “Quando hai spinto Harry? Era la maledizione di cui è morto mio fratello?”

“Cosa?!” esclamò Harry, appoggiato al muro vicino alla porta.

“Credo… credo di sì”, biascicò JamesRemus, cercando di mettersi seduto.

“Ho mandato un Patronus al dottor Kent!” disse la voce di Sirius, accorso in quel momento nella stanza. “Avete chiamato Silente?”

“Remus è andato ad avvertirlo”, gli rispose James, ponendogli una mano sulla spalla.

“Jimmy, tu lo sapevi?” fece John, rivolto all’amico steso nel letto.

“Lo immaginavo”, il moro si spinse con le braccia per mettersi seduto meglio, ma un’altra fitta lo colse all’improvviso e Teddy si slanciò per aiutarlo.

“Perché l’hai fatto?” si intromise allora Harry, avvicinandosi al letto e poggiando le mani sul bordo. “Perché mi hai spinto via?”

“Dovevamo salvarti! Siamo venuti qui per questo. Sapevo che quella era la battaglia in cui saresti stato ferito e non poteva succedere”.

“Ma così…”. Harry non ebbe il coraggio di concludere la frase, ma tutti capirono che cosa intendesse dire. E lo sapeva anche JamesRemus, proprio per questo non aveva voluto dire niente a nessuno. Sperava che la cosa riuscisse a passare inosservata, almeno fino alla sua dipartita, e invece aveva sottovalutato i dolori che avrebbe patito.

 

Piton rimase a fissare il simbolo maledetto sul corpo pallido di James per una decina di minuti buoni, poi riportò lo sguardo su Silente, poggiato alla testiera del letto accanto a lui. Nella stanza erano rimasti Sirius e gli amici del ragazzo.

“Allora, Severus?” chiese l’anziano mago, senza guardare nessuno dei presenti. Teneva lo sguardo fisso sulle proprie mani.

“E’ una maledizione molto antica”, rispose il professore di pozioni, col solito tono strascicato. “Veniva utilizzato ai tempi della comparsa dei primi maghi, ma ormai dovrebbe essere stata dimenticata. Sicuramente colui che l’ha usata doveva avere una conoscenza molto vasta delle arti oscure”.

Dopo le parole del Serpeverde, la stanza cadde in un pesante silenzio.

“E non c’è niente che possiamo fare?” chiese Ariel, angosciata. Come tutti gli altri del resto.

L’insegnante parve riflettere per qualche secondo, poi ricominciò a parlare, osservando il morente. “Ci sarebbe una pozione. È piuttosto complessa, ma posso prepararla. Se non fosse che manca un ingrediente nella mia dispensa”.

“Quale?” chiese Sirius con trepidazione.

“Si tratta del Cuore della Cometa”.

“Ma non era una leggenda?!” sbottò Ted, guardando Piton come se avesse appena detto di aver fatto un viaggio su Marte.

“No, non lo è”.

 

Il Cuore della Cometa era un fiore in grado di curare tutte le maledizioni, spiegò Piton. Era poco conosciuto per il fatto che era stato usato forse soltanto due volte in tutta la storia magica ed era stato poco usato perché era quasi irraggiungibile. Cresceva nelle foreste dell’amazzonia, vicino ad un villaggio di maghi e streghe che vivevano ancora in un ambiente primitivo, però molto capaci nel creare tranelli e incantesimi per proteggere le loro ricchezze, come, appunto, il Cuore della Cometa.

“Allora, siamo d’accordo?” chiese Sirius, lo sguardo fisso sulla mappa stesa sul tavolo che segnava la strada che avrebbero dovuto fare. Avrebbero raggiunto la foresta con una passaporta, ma quella li avrebbe portati soltanto al limitare. Tutto il resto sarebbero stati costretti ad attraversarlo a piedi.

Frank e James annuirono. Avevano deciso di accompagnare l’amico in questa spedizione altamente mortale senza esitare. Dopotutto, se si fosse trattato di uno dei loro figli sapevano che nemmeno Sirius li avrebbe lasciati andare da soli.

“Papà, veniamo anche noi”.

I tre uomini si voltarono verso la porta, trovandovi Joel e John fermi sulla soglia che li guardavano con aria decisa.

“Cosa?!” sbottò Frank, spalancando gli occhi.

“Be’, avrete bisogno di tutto l’aiuto possibile”, rispose John, scrollando le spalle, con un sorrisetto beffardo stampato sul volto. Sembrava che percepisse quella spedizione come una gita al luna park.

“Sì, ma di certo non porteremmo voi. Siete solo dei ragazzini”, fece notare Paciock senior, scambiando un’occhiata con i due amici.

“Ci risiamo”, sospirò John in direzione di Joel, mimando le parole con le labbra. L’amico alzò gli occhi al cielo.

“Continuate a sottovalutarci”, iniziò allora il più piccolo dei Black. “Abbiamo affrontato cose peggiori. E poi non ho intenzione di guardare mio fratello morire senza fare niente”.

John annuì, avvicinandosi di più all’amico. I tre uomini sospirarono, ben consci che non avrebbero potuto fare molto per far cambiare loro idea.

“Vengo anche io!” Questa volta era stata la voce di Harry a parlare. Arrivato in cucina senza essere notato, guardava il padre così intensamente che sembrava volergli dire qualcosa soltanto col potere dello sguardo. “James mi ha salvato la vita. Glielo devo”.

 

 

MILLY’S SPACE

Torna settembre e torna anche Milly : ) come state? Vi sono mancata?

James: ti piacerebbe -.-‘’

Milly: sta’ zitto tu! Allooooora ^^
Che dire? Questo capito l’ho scritto finché ero al mare, ma non saprei dire se mi soddisfa oppure no. Lascerò a voi i commenti.
Piccole precisazioni, anche se penso siano superflue: il Cuore della Cometa è una mia totale invenzione, non l’ho presa né rubata in altre parti. Se ne avete già sentito parlare allora è soltanto una coincidenza, o forse no ^^.

Sto vedendo già delle asce levarsi sopra la mia testa. Questa cosa non mi piace. Be’, levo le tende, allora, prima che il mio sangue inizi a scorrere a fiumi o la mia testa faccia la fine di quella di Ned Stark.

Bacioni e buon rientro a scuola o al lavoro : )

Milly.

PUFFOLA_LILY: ehm, mi sa che anche tu stai levando l’ascia ora D: ma ti avviso che se mi uccidi non potrai mai sapere il finale u.u Sì, John e Charlie sono tenerissimi, li adovvo. C’è da ringraziare solo Ino.
Alla prossima,
bacioni,
M.

  
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