Riesaminato
e corretto l’8 ottobre 2013.
Buona lettura!
CAPITOLO
1
“La
prima impressione non è sempre quella sbagliata”
Sarà
anche il più forte dell’umanità, ma
non si può negare che sia un po’ un bastardo.
Con quel pensiero Eren iniziò il pomeriggio di pulizie
intensive che lo
attendeva.
Mentre strofinava ripetutamente e con forza il pavimento, nella sua
mente si
ripresentava vivida la scena avvenuta pochi minuti prima.
-Pulisci da capo, è completamente lercio quaggiù-.
La voce del caporale, fredda e ricca di rimprovero, gli aveva graffiato
le
orecchie. Gli occhi ombrosi avevano scrutato la stanza con
severità alla
ricerca del minimo granello di polvere, mentre Eren se n'era rimasto
impalato
accanto alla porta, sull’attenti e coi muscoli irrigiditi nel
disperato
tentativo di non lasciarsi scappare la minima espressione. Incredibile
come una
creaturina alta uno e sessanta racchiudesse in sé tanta
furia omicida.
Prima di uscire, l’uomo aveva esitato per un istante preso da
chissà quale
pensiero.
In quell’attimo Eren aveva avuto la possibilità di
guardarlo per la prima volta
da vicino.
Aveva osservato le sue mani piccole ma muscolose, con dita affusolate e
pallide
che parevano troppo delicate per poter stringere un’arma. La
mascella serrata,
il volto scolpito da tutti gli anni di perdite e sofferenze che aveva
dovuto
sopportare. Il labbro superiore incurvato verso il basso, le
sopracciglia
corrucciate in un’espressione di estrema disapprovazione.
Al minore era scappato un sorrisetto: in quel momento l’aveva
trovato buffo,
quasi carino. Quando lo sguardo divertito del ragazzo aveva incontrato
quello
freddo e crudele del caporale, si era impietrito.
-Visto che lo trovi così divertente, quando hai finito puoi
passare a lucidare
anche il pavimento del secondo piano-.
Eren non si era mosso finché Levi non era sparito in fondo
al corridoio,
trattenendo il respiro. Nonostante il diavolo in persona fosse sparito
dalla
stanza, non tirò un sospiro di sollievo, al contrario: una
mole insormontabile
di lavoro lo aspettava.
Provava una stima e un rispetto profondo per il capo delle forze
esploratrici.
Il suo rapporto con il caporale non era qualcosa di descrivibile a
parole.
Assieme all’ammirazione c’erano anche la paura, e
la rabbia. Dentro di sé
nutriva la ridicola speranza di un bambino: se faccio tutto
quello che mi
dice, magari un giorno potrò distruggere i Titani.
Con quel pensiero si diede la carica, lavorando tutto il pomeriggio
senza sosta
fino a sera.
Una volta finito si accovacciò in un angolo. Si sentiva
stanco, ma stranamente
rilassato: trascorrere un pomeriggio in solitudine, lontano dalla cella
e dagli
sguardi inconsapevolmente spaventati degli altri soldati aveva sortito
un
effetto positivo. Piegò le ginocchia e le
circondò con le braccia, mettendosi
comodo: aveva intenzione di restarsene lì rannicchiato per
un po’. Non smaniava
di rivedere l’espressione severa del caporale mentre con fare
critico sminuiva
le sue pulizie. Riteneva di aver fatto un buon lavoro, ma non aveva
osato
replicare. Già il fatto di trovarsi lì ancora
vivo era un miracolo. Lui, il
mostro.
Se posso usare questo potere per salvare
l’umanità, per distruggere i
Titani… allora ne sono grato. Sono l’ultima
speranza.
Disse una voce dentro di sé, ma non era quello che Eren
pensava davvero: era
quello che si era ordinato di pensare.
Aveva paura. Assieme alla gioia selvaggia per aver acquisito
un tale
potere erano arrivati i sentimenti negativi. Il suo Titano era fuori
controllo.
Si torturò un labbro con gli incisivi mente ripensava alla
ferita che Mikasa si
era procurata sul viso a causa sua. Gli si proiettò nella
mente l’immagine
della sorella adottiva mentre veniva divorata da lui, dilaniata nello
stesso
modo di sua madre. La
bocca impastata di sangue,
denti giganteschi ed uno sguardo stupidamente assente.
Trasformò le angosce in odio, così intenso che la
pancia gli si contrasse ed
iniziò a far male.
Accidenti, neppure oggi riuscirò a mangiare nulla,
dove troverò le forze per
combattere?
Avrebbe nascosto questa debolezza agli altri soldati. Si sarebbe
costretto ad
ingoiare la fredda cena a forza, anche se non era certo di riuscire a
trattenerla nello stomaco a lungo.
Sentì le risate e gli scherzi dei compagni che avevano
completato le faccende e
si erano uniti per chiacchierare da fuori la finestra. Poi dei passi
felpati.
Eccolo, sta tornando.
Trattenne il rumoroso sospiro che gli stava per sfuggire, alzandosi in
piedi il
più in fretta possibile. Ma non abbastanza velocemente da
poter non essere
visto.
-Soldato Eren?-
Chiamato da Levi, il ragazzo rivolse il suo sguardo verso il pavimento.
-Sissignore!-
-Stavi per caso oziando?-
-Nossignore!-
-Allora cosa stavi facendo? Lì, seduto in angolo come una
checchetta
pensierosa?- gli chiese con tono derisorio ed una vena di
crudeltà.
Eren si sforzò di rispondere, ma un groppo in gola lo
bloccò. Si costrinse a
guardarlo dritto negli occhi. Il caporale non era un suo amico, ma si
trattava
pur sempre di un alleato prezioso. Soffocò i suoi stupidi
timori, sollevando il
mento e tuffandosi nelle iridi grigie di quell’uomo crudele.
Tale gesto indispettì Levi.
-Seguimi, soldato Eren-.
Si voltò e uscì dalla stanza.
Perché l’ho fatto?! Come mi è
saltato in mente? Ha intenzione di picchiarmi
di nuovo?
Il ragazzo non voleva farsi menare, ma serrò i pugni e lo
seguì
obbedientemente.
La mia vita è nelle sue mani, da quel giorno in
tribunale.
Constatò con rassegnata tristezza che il caporale avrebbe
fatto di lui ciò che
voleva.
L’edificio aveva molte stanze vuote, non sarebbe stato
difficile trovare un
posto appartato dove gliele avrebbe potute suonare con calma e in santa
pace.
Quale motivo avrebbe per picchiarmi poi? Che idiota.
Si rimproverò Eren, ma la paura non diede segni di
cedimento. Contrariamente,
parve intensificarsi.
-Prego- disse Levi, invitandolo a fare il suo ingresso per primo nella
stanza.
Il pavimento di legno cigolò sotto i passi di Eren, rovinato
ma perfettamente pulito, lucidato ed incerato. Rimirandolo si
sentì
una mammina orgogliosa.
Una volta entrato rimase fermo come un palo senza sapere cosa fare.
-Jaeger, adesso ti farò un paio di domande. Sentiti libero
di considerarlo un
interrogatorio. Ora siediti-.
-Ho fatto qualcosa di male?- mormorò. Levi rispose con un
sorrisetto
impercettibile.
Cosa pensa di ottenere interrogandomi qui ed ora? Gli ho
già detto tutto
quello che sapevo prima che mi portassero qui.
Seduto di fronte al caporale, rimasto in piedi in modo da potersi
imporre
maggiormente data la differenza di altezza, l’unica luce che
li illuminava era
quella pallida del tramonto che filtrava attraverso la finestra.
Non aveva nulla di romantico, né di dolce, né di
nostalgico, bensì qualcosa di
malinconico. Un richiamo alla battaglia
dell’umanità. Il cielo rossastro
ricordava le vite perse, le lacrime trattenute la sera di ritorno dal
campo di
battaglia e i duri allenamenti fatti prima di diventare a tutti gli
effetti un
soldato. Nella sua vita c’era stato solo quello: sangue,
fatica, sudore, odio e
paura. Forse prima c’era stato amore, ma si trattava di
ricordi così lontani da
risultare confusi.
Il tamburellare nervoso della dita di Levi lo riportò alla
realtà.
-Eren, stai mangiando correttamente?- chiese scrutandolo con aria
critica.
L'interpellato socchiuse la bocca di fronte a tale domanda, totalmente
inaspettata.
-Certo che sì, signore-.
-Potrai prendere in giro me, ragazzino, ma non i Titani. Ti
strapperanno gambe
e braccia di nuovo-.
Il
ragazzo rimase in silenzio.
-Rispondimi.
Non ho intenzione di buttare
via il mio tempo per te, ficcatelo in quella maledetta testa vuota-.
Il ragazzo serrò con più forza le labbra e gli
lanciò uno sguardo carico
d’odio.
Perché non puoi semplicemente lasciarmi stare?
Pensi di riuscire ad
umiliarmi, ma non ci riuscirai. Sono più forte di quello che
credi.
Senza
accorgersene, l’ultima frase decise di
fuggire,scivolandogli dalle labbra.
Sperava non
avesse sentito, visto che l’aveva mormorata con voce flebile,
ma l’udito del
caporale, come qualsiasi altra cosa di lui, non lasciava scampo.
Scosse la testa: -rispondi-. Incrociò le braccia e
inclinò la testa
impazientemente.
E’ inutile
resistere concluse Eren. Prima parlo, prima
finirà
di umiliarmi. Facciamola finita in fretta.
-Non riesco a trattenere cibo nello stomaco a causa del nervosismo-.
Cercò di
attenuare la situazione facendo spallucce.
-Se continui così non diventerai Miss.Villaggio, ti farai
ammazzare. Siamo
soldati. Il nostro lavoro, la nostra intera vita, consistono nel finire
divorati un giorno o l’altro. Oltretutto in questo stato
saresti uno spuntino
tremendo. E’ questo quello che vuoi? Non fare la femminuccia.
Hai paura Eren?
Hai paura dei Titani brutti e cattivi?– ringhiò
derisoriamente. -Non sei né il
primo, né l’unico al quale portano via qualcosa.
Tira fuori quei coglioni che
non hai, e fai rimanere quel cibo dove deve stare. Nello squadrone non
abbiamo
bisogno di pesi, o di altra carne sacrificale-.
Pericolose fitte allo stomaco assalirono Eren: perfetto,
non sarebbe
riuscito a mangiare per minimo altri due giorni.
-Sono mortificato. D’ora in poi mi impegnerò a
mangiare come si deve-.
-Non menti?- lo scrutò Levi.
- Nossignore- deglutì il ragazzo.
-Allora perché distogli lo sguardo?-
Eren serrò la mascella, rifiutandosi di parlare.
-Guardami- fece il caporale. Poi con la mano gli afferrò il
volto e lo trasse a
sé. Quando i loro sguardi si incontrarono percepì
l'ira del ragazzo.
-Non mi interessa se mi detesti, puoi passare la tua intera vita ad
odiarmi, se
ti pare, ma non ti permetterò di rovinarti. Devi capire che
il tuo corpo non è
solo uno strumento, e che la tua vita non è esclusivamente
cosa che riguarda te
e la tua stupida vendetta. So cosa stai passando. Tutti lo sappiamo. Le
notti
insonni, le morse di paura allo stomaco, la nausea e la rabbia. Per
ognuno di
noi è stato lo stesso. C’è chi va oltre
e chi no. Chi non va oltre muore, per
quanto possa essere bravo e qualificato. Questa vita ci distrugge,
Eren, ci
consuma da dentro. Puoi scomparire qui e ora, o al massimo durare altri
dieci
anni e portare altrettanti Titani con te nella tomba-.
-Lei allora lo sa … suppongo. Sa come mi sento-. Eren non
trattenne più la
rabbia nella sua voce: -allora mi dica questo, illustre caporale Levi:
lei per
caso sa come ci si sente ad essere un mostro mutante fuori controllo?-
lo disse
con la sua migliore espressione strafottente, gustandosi a lungo
l’epressione
stupefatta di Rivaille, cercando di imprimersela nella memoria.
-No, non lo so- rispose chinando il capo. La sua umiltà
stupì il ragazzo, che
si sentì improvvisamente stupido per aver usato un tono
così aggressivo.
Levi parve calmarsi, o forse fu Eren che lo fece. Tolta la nebbia
d’odio dagli
occhi lo vide in modo diverso. Il cuore gli si fermò quando
sentì il tono
gentile delle sue parole, allibito come un’antilope a cui il
leone sta per
affondare gli infidi artigli nella carne.
-Non sono qui per distruggerti, sono qui per aiutarti, per renderti
più forte.
Qui sei sotto la mia responsabilità. La tua salute fisica e
quella psicologica
sono entrambe importanti. Per diventare un grande soldato devi
preservarle
entrambe. Per raggiungere i tuoi obbiettivi. Ognuno di noi ha i suoi, o
non
saremmo arrivati fin qui. Io non ti dirò i miei, ma spero tu
riesca a trovare
nei tuoi la forza necessaria-.
Eren rispose a quelle parole con uno sguardo diffidente, impaurito
più dalla
sua gentilezza che dalla sua precedente crudeltà. Le parole
del caporale
affondarono nel suo cuore in modo profondo e inevitabile.
E’
preoccupato per me? Forse non è quel
mostro che ho creduto che fosse finora …
Improvvisamente il dolore allo stomaco era sparito e si sentiva
rinvigorito,
addirittura affamato. Tutte le cose che l’avevano roso dentro
fino a quel
momento ora gli sembrarono stupide, andate, volate via assieme alla
voce
gentile e paterna di Levi.
Finita la discussione il caporale lo invitò ad alzarsi e a
seguirlo: da lì a
poco ci sarebbe stata la cena.
Si avviarono assieme, uno affianco all’altro. Sollevando il
capo Levi notò che
sul volto del soldato era stampato un dolce abbozzo di sorriso.
-Dimenticavo una cosa– disse.
-Cosa signore?-
-Nessuno mi premierà per il tempo che ho sprecato per te
stasera-.
Il tono gentile e paterno di poco prima era scomparso completamente.
-Io le sono molto grato- riconobbe Eren, guardandolo con ammirazione.
In
superficie era stronzo, ma in fondo gli importava di lui e dei suoi
soldati. Si
prendeva cura di tutti nell’ombra e…
-Quindi come ricompensa ho intenzione di prendermi metà
della tua cena. Compreso
il dolcetto di crusca-. Scrutò la reazione di Eren e sul
viso gli affiorò uno
spontaneo ghigno sadico e soddisfatto.
Lo stomaco del ragazzo gorgogliò rumorosamente.
Forse Levi in fondo era solo un grande bastardissimo stronzo.
*
* *
Grazie
per aver letto! Al prossimo
capitolo ^_^
Un ringraziamento speciale a oOPoisonGatebOo per l’aiuto e il sostegno. Andate a vedere le sue fic è fantastica!