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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    12/09/2013    2 recensioni
Aveva distrutto tutto quanto quello che amava con poche e mirate parole, aveva rovinato un rapporto che, a suo tempo, era stato un bellissimo fiore.
Sentiva uno strano senso di colpa bruciarlo fin nell’anima, salire su per la gola e poi fermarsi agli occhi, da cui scendeva sotto forma di lacrime, con potenza e con una copiosità che quasi lo spaventava.
Stupido, stupido, idiota.
[Quarta classificata al contest "Perché due sono meglio di una" indetto da syssy5 sul forum di EFP]
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Luna Lovegood, Rolf Scamandro | Coppie: Harry/Luna, Luna/Rolf
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Perchè due sono meglio di una'
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Nick su EFP: TheHeartIsALonelyHunter
Nick sul forum: TheHeartIsALonelyHunter
Titolo: This is the end
Rating: Giallo
Genere: Triste, Angst
Personaggi: Luna Lovegood, Rolf Scamandro, Harry Potter. LunaRolf, LunaHarry
Avvertimenti: What if?, Missing moments, Triangolo
Pacchetto scelto: Gemelli (prompt e oggetto)
Note dell’autore: Viene nominato un mio OC che è Rainy Scamandro, terza figlia di Luna e Rolf.
Ho separato loro due solo perché amo HarryLuna.
Introduzione: Aveva distrutto tutto quanto quello che amava con poche e mirate
parole, aveva rovinato un rapporto che, a suo tempo, era stato un bellissimo
fiore.
Sentiva uno strano senso di colpa bruciarlo fin nell’anima, salire su per la
gola e poi fermarsi agli occhi, da cui scendeva sotto forma di lacrime, con
potenza e con una copiosità che quasi lo spaventava.
Stupido, stupido, idiota.


Rolf non si era mai sentito più stupido di così.
Aveva distrutto tutto quanto quello che amava con poche e mirate parole, aveva rovinato un rapporto che, a suo tempo, era stato un bellissimo fiore.
Sentiva uno strano senso di colpa bruciarlo fin nell’anima, salire su per la gola e poi fermarsi agli occhi, da cui scendeva sotto forma di lacrime, con potenza e con una copiosità che quasi lo spaventava.
Stupido, stupido, idiota.
Possibile che qualcuno possa essere così cieco da non rendersi conto di che tesoro ha accanto fin quando esso non sparisce?
Possibile che quando è troppo tardi per scusarsi ci si accorge che di quel qualcosa non si può più fare a meno?
È da quando se n’è andata che ha vagato per la casa come un pazzo, all’inizio con rabbia cieca, in cerca di qualche cosa da distruggere, qualcosa di suo, per poter allontanare lo spettro della sua cristallina risata dalla casa.
Successivamente, la rabbia era diventata improvvisa lucidità, e solo allora Rolf aveva capito il suo errore.
Inizialmente si era scagliato, in una pazza frenesia, sul telefono appoggiato sul comodino, componendo con velocità il suo numero, sperando con tutto sé stesso che avrebbe risposto, che non l’avrebbe respinto come lui aveva respinto lei.
Ma alle chiamate non c’era risposta, e Rolf continuava a comporre il numero nella speranza che qualcuno avrebbe risposto, che lei avrebbe risposto, ancora con la folle speranza di poterla riportare indietro, di poter RICOMINCIARE insieme.
Dopo trenta tentativi, l’uomo non poté fare altro che accasciarsi esausto sul letto e piangere tutte le sue lacrime, amare e dolorose.
Da allora non era più uscito, costretto a letto da una forza invisibile che non gli permetteva di muoversi da quella casa (la stessa casa maledetta in cui l’aveva rifiutata), se non una volta in cui si era diretto in un bar nella speranza di poter respirare un’aria diversa che non sapesse tanto di Luna.
Ma era dovuto rientrare subito, preso come da un’ossessione morbosa, e appena arrivato a casa era andato a cercare, negli angoli più remoti, qualcosa che fosse suo, per poter conservare ancora un qualche minimo ricordo di lei, per aggrapparsi a qualcosa e credere che no, Luna non era davvero partita, e presto sarebbe tornata dal lavoro.
C’erano pochissime cose che Luna aveva dimenticato a casa, come se nel momento di andarsene un improvviso desiderio d’ordine (lei che non aveva mai avuto ordine…) l’avesse presa e convinta a portare via tutto. Ma una delle pochissime cose che non erano andate perse (perse come il loro amore) erano quegli orecchini a forma di ravanello che lei portava sempre, lo ricordava bene, e che lo avevano fatto innamorare tanto tempo prima.
Rolf li stringeva anche in quel momento, con una possessività unica, proteggendoli e facendogli scudo con la mano, come nella paura che qualcuno potesse portarli via.
Dio, come amava quegli orecchini…
E come amava la persona che li portava.
Perché se ne era dimenticato nel momento sbagliato?
Il suo braccio ciondolava sull’orlo del letto, le lacrime rigavano copiose il cuscino.
Il suo cuscino, su cui pochi giorni prima sua moglie dormiva beatamente, col suo profumo di violetta che tanto amava.
Aveva cercato, appiccicandosi a quell’oggetto, di sentire ancora quell’odore inebriargli i sensi e farlo rinvigorire, fargli credere che Luna fosse ancora lì, con lui, che non se ne era andata.
O almeno voleva credere che se su quel letto fosse rimasta una traccia fresca di profumo, voleva dire che sua moglie era stata lì da poco, e probabilmente presto sarebbe tornata.
Ma sapeva benissimo (e lo sapeva benissimo anche Luna) che ormai tutto era finito, che ogni cosa era andata a rotoli, che il filo sottile che si era formato tra loro si era spezzato, irrimediabilmente e perennemente.
Strano come poche e concise parole bastino a far terminare un rapporto durato più di dieci anni.
A lui ne erano bastate due per uccidere definitivamente il fiore che era stato il loro amore, a recidere una pianta che aveva dato come frutti ben tre figli, a rendere totalmente inutili altre parole per cercare di riparare lo strappo.
Non sarebbero bastati cento punti per rimarginare quella ferita, non sarebbero bastate mille rose per riconquistarla come un tempo aveva fatto.
Vattene via.
Rolf si passò una mano sulla faccia.
Che idiota che era stato.
Lui e la sua gelosia corrosiva.
Possibile che fosse andato fuori di testa solo per una riunione tra amici?
Luna l’aveva invitato per conoscere i grandi eroi della Seconda Guerra Magica e per far conoscere lui a loro, e sebbene inizialmente l’idea lo avesse deliziato, Rolf non aveva potuto fare a meno di notare il rossore che si spandeva per tutto il viso di Luna quando parlava di uno dei suoi compagni di avventura in particolare: il famigerato Harry Potter.
L’uomo non aveva potuto ignorare la nota di imbarazzo che la voce di Luna prendeva al parlare, con esagerati complimenti e con una dolcezza innocente, del ragazzo che aveva salvato il Mondo Magico.
Rolf non l’aveva mai nemmeno sospettato, ma per la prima volta si ritrovò a immaginare una passata storia d’amore tra l’uomo di cui tutti i libri di Storia Magica parlavano e la sua dolce e bellissima moglie.
E la conferma gli era arrivata (o meglio, lui aveva voluto vederla come una conferma) la sera della riunione di gruppo durante la quale, seduti l’uno vicino all’altra ad un tavolo di ristorante, circondati da persone che parlavano, i due erano rimasti a fissarsi per lungo tempo negli occhi, come dimentichi del mondo intorno ma consci di essere insieme.
L’incredulità iniziale di Rolf (Dio mio, mia moglie ama un altro uomo….) era stata rimpiazzata, dopo poco tempo, da un sentimento più cocente e forte, un sentimento che lo aveva corroso per le ore, i minuti, i secondi passati a quel tavolo, alla destra di sua moglie: la gelosia.
Gelosia maestosa, imponente, straordinariamente allucinante, gelosia che gli aveva fatto vedere cose che non erano vere né in cielo né in terra.
Gelosia che gli aveva fatto immaginare una passione che non andava oltre alla semplice amicizia, gelosia che gli aveva fatto ricostruire, con la minuziosità e la cura dei dettagli di uno studioso, una storia mai iniziata e mai finita.
Dovevano vedersi la notte, sì…
Forse le sere in cui lui era al lavoro e Luna aveva la casa libera.
Forse dormivano stretti l’uno all’altra nello stesso modo in cui per lungo tempo loro avevano dormito.
Forse progettavano castelli in aria, nudi e felici, mentre l’uomo che ora rideva vicino alla SUA Luna accarezzava i capelli biondi della donna che aveva sposato.
Oh, disgraziato quel giorno e quell’ora!
Disgraziato il momento in cui la sua mente perversa aveva cominciato a tessere un quadro sempre più completo (o meglio, a immaginare) di tutto ciò che era successo tra quei due.
Che idiota, che idiota era stato a credere a una singola parola di ciò che il suo stupido cervello gli aveva suggerito: se lo sarebbe ripetuto fino alla morte, lo sapeva.
Che idiota, che stupido, che imbecille, che cretino.
Che stronzo.
Che stronzo a cacciarla così, senza “se” e senza “ma”, senza chiedere se sì o se no, senza chiedere neanche spiegazioni a quegli sguardi fugaci.
Stupido, ignorante babbeo.
Possibile aver rovinato tutto quell’affetto, tutte quelle notti passate stretti stretti, tutti quei baci segreti, tutti i momenti passati coi loro bambini, tutti i momenti in cui erano stati FELICI?
Semplicemente felici?
Possibile aver rovinato TUTTO per un capriccio della sua mente?
Possibile aver rovinato la sua vita per una gelosia cieca e incontrollabile, per una semplice svista, per due singole parole pronunciate nella follia?
Possibile?
Possibile…
Possibile.
Rolf alzò leggermente la testa, osservando la camera che un tempo era stata sua e di Luna, loro.
Il comodino era ancora leggermente in disordine, e si notavano i segni di alcuni incantesimi riusciti male, alla cui vista l’uomo sorrise.
La carta da parati era di un rosa tenue, amalgamato a un blu notte che spiccava sulla debolezza dell’altro colore: ricordava come avevano litigato aspramente per il colore della carta (oh, bei tempi quelli in cui l’unico problema era una carta da parati…) e come alla fine si erano decisi per un mix tra i due colori che erano sembrati loro stupendi.
Rolf non poté trattenere un sorriso doloroso: come era bella la vita, quando ciò che andava fatto si faceva insieme, e lui non aveva paura (gelosia) di un uomo che nulla aveva a che fare con sua moglie.
L’arredamento era povero, semplice, essenziale, come era lei nella sua vita.
Semplicemente essenziale.
Tutto quanto di quella stanza gli ricordava lei, tutto quello che era lei e la dolcezza che era lei.
Lei…
Lei e la loro camera…
La LORO camera.
La camera in cui erano stati concepiti i loro bambini.
La camera in cui si era consumata la dolcezza di lunghi attimi.
La camera di lunghe notti passate insonni a raccontarsi aneddoti.
La camera piena ancora della sua risata quando tentava di infilarsi un reggiseno e lui doveva aiutarla perché non ne era capace.
La camera in cui si rifugiava pretendendo di doversi truccare, ma Rolf sapeva che non era CAPACE di truccarsi.
La camera di tante e infinite mattinate.
La camera in cui le portava la colazione quando aspettava i gemelli.
La camera in cui i vagiti di due dolci bambini risuonavano anche in quel momento.
La camera in cui la piccola Rainy aveva mosso i primi passi alla scoperta del mondo.
La loro camera…
La camera nido d’amore.
Loro nido d’amore.
Rolf si abbandonò nuovamente sul cuscino: era troppo doloroso ricordare ciò che non c’era più o che non poteva più esserci.
Forse, dico forse, un giorno sarebbe stato capace di convivere con l’assenza di Luna senza dover sentire il senso di colpa rodergli l’anima, e forse un giorno avrebbe potuto perdonare a sé stesso quell’errore madornale.
Forse un giorno avrebbe guardato quella camera e a testa alta vi avrebbe fatto entrare un’altra ragazza, forse…
Forse.
In teoria, ora Rolf avrebbe potuto ricominciare.
In pratica, non voleva farlo senza Luna.
Gli orecchini scintillavano tra le sue mani, la sua presenza eterea riempiva la stanza.
L’uomo si passò una mano sul viso e strinse ancora più forte i monili, quasi fino a sanguinare.
Forse.
Forse un giorno sarebbe riuscito a ridargli gli orecchini e a non aggrapparsi più ad essi come a un salvagente, e sarebbe riuscito a dirgli in faccia “Sto bene” senza nessun rimpianto nella voce.
Forse un giorno ci sarebbe stato il matrimonio, perché no? tra la sua Luna e Harry Potter (sua moglie non era morta qualche anno prima?), e lui sarebbe stato invitato, o forse no, ma sarebbe venuto comunque, a qualsiasi costo, pur di vederla e di dirsi felice, di mostrarsi contento per la sua ex moglie, di approvare quel matrimonio di cui odiava anche solo pensare.
Forse quel giorno gli avrebbe ridato gli orecchini.
Forse quel giorno ne avrebbe trovato la forza.
Forse quel giorno avrebbe trovato di nuovo il coraggio di stringerla tra le braccia.
Forse quel giorno avrebbe riso con lei, forse quel giorno avrebbe pianto di nascosto.
Forse quel giorno non doveva mai venire.
Rolf si addormentò lentamente.
Le sue lacrime rigavano il cuscino, mentre l’odore di violetta gli inebriava le narici (un odore che in realtà solo lui sentiva).
Gli orecchini a forma di ravanello scivolarono lentamente dalla sua mano, cadendo sul pavimento freddo sotto di lui.
Forse.
Forse un giorno sarebbe tornata per riprenderli.
  
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