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Autore: Feel Good Inc    12/09/2013    8 recensioni
La parte più dolorosa dell’intera faccenda è che, nei sogni, Donna Noble ricorda tutto.
~ companions!tribute | hurt/comfort | hints Ten/Rose & Eleven/Clara
Perché anche il Dottore è stato salvato, più di una volta, e da più di una persona.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clara Oswin Oswald, Donna Noble, Martha Jones, Rose Tyler
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Journey’s end:

how to get there (and beyond)

 

 

 

 

 

I sort of found someone in myself that was more than I expected.

 

 

 

«Viaggiare tra i mondi è possibile. Solo un pazzo non lo crederebbe.»

«Non parlarmene. Lo so fin troppo bene.»

«No, non lo sai. Io ti sto dicendo che puoi andartene di qui, Rose Tyler.»

Rose alza gli occhi dalle sue scartoffie quotidiane siglate Torchwood e guarda verso la scrivania della nuova arrivata. Non è tanto il fatto che sappia il suo nome a sorprenderla – il suo nome lo imparano subito tutti; del resto lei è Lei, quella che è morta dall’altra parte, quella che viaggiava con Lui – ma c’è un significato ben preciso nelle altre parole che ha pronunciato, nella breve frase con cui ha trasformato una conversazione leggera e circostanziale in un’improvvisa, intima condivisione: lei la conosce.

«Come?» è l’unica parola che le esce di bocca. Non si sorprende più di nulla, ma vuole, deve sapere. Deve ritrovarlo, e non solo perché le stelle si stanno spegnendo.

La nuova arrivata sorride – ha un sorriso davvero molto luminoso, e dolce – e con l’aria di chi cala una carta vincente volta verso di lei lo schermo del computer sul quale ha lavorato per le ultime due ore. Rose segue il movimento con gli occhi e incontra lo schizzo di quello che sembra un bizzarro... cannone?

«Non te l’hanno detto? Mi hanno presa perché sono brava.»

 

 

 

«Ma io sono un medico» protesta debolmente, le mani sempre più strette attorno alla tazza di cioccolata sempre meno calda. «Non sono un... un soldato. Non credo che quello sia il mio posto. Io sono un medico.» Lo ripete ancora, assaporando come un segreto sotto la lingua il suono di quella parola che ha un milione di nuovi significati da quando sulla strada per l’ospedale si è imbattuta in lui – combattere, rischiare, soffrire, fallire, combattere ancora, salvare: è questo che fanno i dottori.

«Lo so che sei un medico» dice l’altra, conciliante. Si sporge verso di lei sopra il tavolo e posa una mano sulle sue dita, come se potesse scioglierne la stretta con il semplice, lieve contatto. «Ma hai bisogno di questo lavoro, Martha Jones... E a dirla tutta, anche noi abbiamo bisogno di te. Lo sai che è la scelta giusta. Potrai salvare il mondo intero, se accetterai.»

Martha abbozza un sorriso. È strano; quella giovane donna è comparsa quasi dal nulla – quasi come lui – con il suo bel sorriso e l’offerta di un posto alla UNIT, e l’ha subito trattata come un’amica... come se fossero «destinate a conoscersi», così ha detto. Non le ha ancora rivelato il suo nome, eppure ha l’impressione che sappia tutto di lei – e che con questo la UNIT non c’entri niente.

«Mia madre non ne sarà entusiasta, temo.»

La ragazza ridacchia. Ha certamente rilevato l’uso del futuro in luogo del condizionale. Stringe ancora dolcemente sulle sue dita, poi si ritrae a sistemarsi i capelli dietro le orecchie e a far scorrere gli occhi sul menu. «Che ne dici, facciamo una pazzia e ci prendiamo anche un soufflé?»

 

 

 

La parte più dolorosa dell’intera faccenda è che, nei sogni, Donna Noble ricorda tutto.

Ogni volta è uno scenario diverso, ma la storia non cambia: mondi che vivono nella luce e popoli che cantano canzoni così dolorosamente belle da sciogliere il cuore e suo nonno che balla di gioia accanto al telescopio e vulcani e cieli di diamante e biblioteche piene di ombre che si muovono e fuoco e acqua – e su tutto c’è lei, la cabina blu, la cabina blu che rimette cose e case al loro posto correndo nella scia di quelle stesse infinite canzoni. Una storia raccontata in mille modi diversi, mille scene che la fanno sempre svegliare piangendo forte – senza mai sapere il perché.

Questa volta è una sala da tè.

«Perché proprio una sala da tè?» chiede, accettando la tazza fumante dalle mani della giovane seduta di fronte a lei, vestita di un abitino rosso che la fa sembrare ancora più esile e fragile. «Potevi ritrovarmi in un posto qualsiasi. Non capisco il collegamento, e questa, credimi, è una cosa frustrante

La ragazza abbassa lo sguardo e si dedica a latte e zucchero, ma non riesce a dissimulare un lampo di compiaciuto stupore nel viso. «Ti ricordi di me, quindi.»

Donna cerca di reprimere una smorfia. «Solo perché ti sto sognando. Dubito che ti riconoscerei da sveglia, anche se ti vedessi nuda in una strada deserta con un cartello fluorescente intorno al collo.»

La ragazza ride, rischiando di soffocare nella tazza. Tossisce e prende fiato e Donna ne approfitta per studiarla e ricordare il momento in cui le loro strade si sono sfiorate per la prima e unica volta, in coda in un anonimo centro per l’impiego di Chiswick, quando lei ha dato una scorsa – piuttosto sfacciata, a onor del vero – al suo curriculum e le ha bisbigliato ammiccando che «la H. C. Clements cerca una segretaria. È solo un lavoro temporaneo, ma è nella City, ed è interessante e prestigiosa, no

Donna è vissuta suo malgrado nel cuore di una fitta rete di coincidenze. Il Dottore Donna ha smesso di credere alle coincidenze nel momento stesso in cui è nata. Anche adesso che è qui, seduta in un sogno a prendere il tè insieme a chi per prima l’ha fatta girare a sinistra, non sa dire se sia quello che la gente chiama destino – sa solo che è esattamente dove dovrebbe essere.

«Ti manca?»

La domanda non la sorprende; ha saputo che sarebbe arrivata nel momento stesso in cui ha chiuso gli occhi. Arriva sempre quando chiude gli occhi.

«Mi manca cosa?» Punta un gomito sul tavolo, giocherellando con una forchetta da dolce. «Avere in testa tutto l’universo fin nei suoi ultimi confini, sapere di poter correre da un punto all’altro dell’infinito e guardare le stelle nascere e morire... sapere di essere importante, anzi, fondamentale?» S’interrompe, anche se non ha alcun bisogno di rifletterci. «No. Mi manca di più lui. Mi manca il fatto che sia stato lui a farmi capire che chiunque, chiunque, può scoprire dentro di sé qualcosa in più... Non la metacrisi, solo... lui.» Di colpo le lancia uno sguardo truce. «Ma questo non osare dirglielo, signorina, altrimenti la prossima volta che ti sogno ti ammazzo.»

La ragazza sorride tranquilla, intrecciando le dita sotto il mento. «Hai intuito anche questo, allora?»

«Ti prego! Quando dormo sono geniale.»

«Lo sei sempre, lo sai.»

«Sì, beh...» Donna scoppia a ridere. «Mi piacerebbe ricordarmela, questa.» Torna subito seria, turbata dal sorriso dell’altra. «Lui come sta?»

La vede sollevare le spalle minute, così minute – persino più delle sue. «Bene. Credo. È diverso, questo sì... Ma va sempre avanti. E ha una folle ossessione per i cravattini, i fez e altra roba strana, sul serio, è una cosa che non riesco proprio a fronteggiare. Suggerimenti?»

Donna sorride di nuovo, ma solo dopo aver battuto le palpebre, per scacciare delle lacrime che per una volta non hanno nulla a che vedere con il risveglio.

«L’hai salvato, eh? Non solo attraverso me, o chiunque altro... Tu lo stai salvando anche adesso.»

«Non dire così. Non avrei mai potuto fare quello che hai fatto tu, Donna Noble

«Oh, qualcosa mi dice che qui possiamo giocarcela.» Il tè se ne sta lì sulla tavola intatta, dimenticato, mentre il tempo a loro disposizione scorre via pian piano. «Perché non mi racconti la tua storia? Tanto non c’è pericolo, lo sai. Non ricorderò niente che potrebbe rischiare di cambiare il tuo flusso temporale, o la mia grigia realtà... E mi piacerebbe ringraziarti per tutto. Per lui.»

La ragazza abbassa le mani e le spalle e, per l’ennesima volta, Donna si sorprende di quanto sembri piccola. Eppure sa che da qualche parte in quel corpicino risiede una forza inumana, e non ci vuole neanche un cervello da Signore del Tempo per capire questo.

La parte più dolorosa dell’intera faccenda è che a volte Donna Noble si sveglia con un nome sulle labbra – il nome di un pianeta, una galassia, una specie, un’eroina – e che appena lo dimentica, è ancora più difficile smettere di piangere.

 

 

 

Un giorno come tanti di una vita come tante, Clara Oswald si sveglia e si sente felice. Si stiracchia nel letto come un gatto, poi rotola via dalle coperte e, avvolta in un pigiama sformato e con i capelli sugli occhi, socchiude le tende per salutare il cielo di Scozia.

 

 

 

I don’t know where I am. I don’t know where I’m going, or where I’ve been.

I was born to save the Doctor, but the Doctor is safe now.

(... and my story is done.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Ho pianto scrivendo questa storia, ed è una cosa che mi era successa solo una volta prima d’ora. Una.

Non lo so, dopo il rewatch della quarta stagione avevo bisogno di collegare la grandezza di Donna a quella di Clara. Ho immaginato quest’ultima che, in una delle sue innumerevoli vite trascorse a salvare il Dottore, convince Donna a presentarsi alla H. C. Clements per quel posto di segretaria – con tutte le conseguenze che conosciamo. E ho dovuto ricondurla anche a Martha e a Rose, semplicemente ho dovuto, fantasticando su un suo coinvolgimento nella UNIT terrestre e nel Torchwood del mondo parallelo: quindi sì, nel mio headcanon è stata Clara a ideare il cannone interdimensionale che ha permesso a Rose di tornare, ed è stata sempre Clara a convincere Martha a unirsi alla UNIT perché tempo dopo fosse anche lei lassù, insieme agli altri Figli del Tempo. L’accenno finale alla Scozia sta a significare che, dopo tutto ciò, la sua strada ha toccato anche quella di Amy.

La frase in incipit è una citazione da Once Upon a Time che circa dodici millenni fa mi è stata promptata da Fede_Wanderer; a lei vanno tutti i miei ringraziamenti e anche qualche maledizione, perché quelle parole, unite a Donna, mi hanno portata a piangere su una storia che non è neanche venuta fuori come avrei voluto. Che non è un tributo a Doctor!Donna come doveva essere, infatti, ma più che altro a tutte le companion – al fatto che la citazione finale di Clara potrebbe benissimo adattarsi a ciascuna di loro.

E beh, hope you liked it.

Aya ~

   
 
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